Dieci anni di Angelo Sabatelli. Era il luglio 2010 quando lo chef pugliese tornò nella sua Monopoli, per aprirvi l'Angelo Sabatelli Ristorante all'interno della Masseria Spina - già era rientrato in Italia nel 2007, lavorando prima a Taranto, poi presso l’hotel Egnazia, dopo le mille scorribande degli anni precedenti, Hong Kong, Giacarta, Shangai, Mauritius, con anche stage al Trigabolo di Argenta e con Gualtiero Marchesi in via Bonvesin de la Riva.
Si chiude dunque tra qualche settimana la decima stagione del locale, dal 10 maggio 2017 trasferito a Putignano (leggi Il nuovo debutto di Angelo Sabatelli). «È stato un periodo sicuramente positivissimo - ci spiega - L'unica cosa è che soffriamo ancora un poco di incostanza nel lavoro, autunno e primavera sono molto tranquilli, troppo. Altrimenti penso sia stato un percorso interessante, pieno di soddisfazioni. Ci poteva essere qualcosa in più? Probabilmente sì. Ma so di vivere in una terra difficile per l'alta cucina, preferisco allora crescere step by step. Non vivo di altre risorse, cerco di non strafare, quando posso permettermi un investimento, lo faccio; altrimenti, aspetto il momento giusto».

Aggiunge: «Non spingo neppure troppo a tavola, mantengo una forte connessione con la tradizione, perché abbiamo una maggior parte di clienti locali che si troverebbe altrimenti a disagio (chi viene dal resto dell'Italia e dal mondo invece è più aperto). Cerco così ingredienti nostri e gusti che la gente sappia riconoscere: a volte, solo per il fatto che sono impiattati in modo diverso, qualcuno non capisce. Ma capita sempre più raramente, per la verità, le cose stanno cambiando. La stagione si è un po' allungata, oggi c'è più movimento anche di stranieri, la gente del posto è più preparata, sono arrivati colleghi bravi attorno a noi che propongono cose nuove, quindi si sviluppa una certa cultura gastronomica diffusa. Poi, vabbé trovi anche quello che ti dice che il vino "sa un po' di tappo", e la bottiglia ha un tappo a vite. Ma per fortuna non è così frequente».

Sabatelli a Meet in Cucina Puglia
L'anno scorso, ospite di
Meet in Cucina Puglia di
Massimo Di Cintio,
Sabatelli presentò un suo percorso di nove piatti, «quelli che mi piacciono maggiormente, o hanno avuti più riscontri. Ce ne sarebbero altri. Ho però impostato una sorta di degustazione, con alternanza di terra, mare, mondo vegetale». Gli abbiamo chiesto, per il decimo compleanno del suo locale, di aggiungere un altro piatto, del 2019, per comporre un suo menu dei due lustri, l'
Angelo Sabatelli perfetto. Ecco i nostri (per questa volta teorici, ahimè) assaggi.

Seppia, allievo, mandorla e limone. Tutte le foto, dove non altrimenti specificato, sono di Meet in Cucina Puglia
Seppia, allievo, mandorla e limone - Un piatto del 2012, forse il suo più celebre, il signature dish (
qui la ricetta). Lo stesso anno, così
Paolo Marchi descriveva questa poreparazione, che poi ha subito ulteriori miglioramenti: "Da orbita, oltre ogni immaginazione. Già il punto di partenza è da brividi di piacere, le seppie giovani, gli allievi, che i baresi amano gustare anche con un formaggio appena stagionato. Poi la mano di
Angelo che a metà agosto li proponeva con salsa di mandorle e basilico, limone e agretti" (leggi
Sabatelli, questo chef è un Angelo).

Acquasale con gambero violetto accompagnato da testa di gambero soffiata e salsa dolce piccante
Acquasale con gambero violetto accompagnato da testa di gambero soffiata e salsa dolce piccante - Del 2011. «Come faccio spesso, volevo confrontarmi con qualcosa che tutti conoscono in Puglia, l'insalata di pane o acquasale. La si mangia ovunque a casa, ma non è facile trovarla nei locali pubblici, bisogna andare in osteria, ma solo in quelle giuste! Ho allora fatto una prova, desideravo valorizzare il prodotto in forma diversa. All'inizio ci misi tante salse, ognuna in base agli stessi ingredienti della ricetta, ne uscì un piatto molto colorato. Oggi l'ho "pulito" e ho aggiunto un tocco del mio passato, la testa di gambero soffiata con salsa dolcepiccante in accompagnamento. Così non buttiamo nulla».

Melanzana arrosto, burrata, pomodorini e basilico
Melanzana arrosto, burrata, pomodorini e basilico - «È tra i primissimi piatti che ho proposto, nel 2010. Piacque parecchio. Qualcuno mi disse: non devi più toglierla dal menu. Ci provai, la tolsi, ma la gente me la chiedeva ugualmente, così mi sono arreso. È rimasta ed è diventata quasi un must. Peraltro adesso è diversa da quella iniziale, ha avuto un'evoluzione».

Crudo di manzo, ricci di mare e nasturzio
Crudo di manzo, ricci di mare e nasturzio - «Un piatto del 2013 o 2014, non ricordo bene. Qui in Puglia i ricci vanno per la maggiore, si sa. Il manzo è italiano, molto dolce, profumato, con una bella marezzatura. Nel piatto si sente bene lo iodio, con il riccio che fa da condimento insieme al tocco del nasturzio. Sotto ho aggiunto un po' del mio passato, una pasta di
tom yum, molto speziata, aromatica, piccante, che spinge sul gusto».

Risotto, zucca, tartufo, erborinato
Risotto, zucca, tartufo, erborinato - Piatto del 2016, «autunnale. È una stagione in cui tutti propongono zucca o tartufo. Ci ho pensato ed è nato questo accostamento con un gorgonzola, in realtà un erborinato pugliese di
Dicecca ad Altamura, sono molto bravi. Io all'inizio volevo farlo sembrare un semplice risotto alla zucca e gorgonzola, nascondendo il tartufo alla base. Poi, un giorno, facemmo una prova e la salsa venne fuori poco densa. Cercai di coprirla con questa crema di tartufo nero tritato, ad anello, e il piatto è rimasto così. Il gusto non cambia ed è più bello esteticamente».

Ramen di piccione, vongole e agrumi accompagnato da coscia panata e fritta glassata al miele e soia
Ramen di piccione, vongole e agrumi accompagnato da coscia panata e fritta, glassata al miele e soia - Anno 2018. «Stavo preparando un piccione e mi restavano alcuni scarti, in particolare le ali. Ho pensato: ci faccio un bel brodo e ce lo mangiamo noi della brigata. Iniziai le prove e venne fuori un brodo fantastico. Mi dissi: va proposto anche ai clienti. Da lì l'idea del ramen, per il quale usiamo il troccolo, che è uno spaghettino piccolo quadrato, di un produttore di Lecce. Ho aggiunto sapidità con le vongole e acidità col gel di agrumi, per il resto il brodo è già speziato di suo, molto aromatico e sapido. A fianco, propongo la coscia del piccione panata e fritta, poi glassata con miele e soia».

Tortelli di peperone alla brace, brodo di olive leccino e cenere
Tortelli di peperone alla brace, brodo di olive leccino e cenere - Altro piatto del 2018. «Volevo che si assaggiasse l'estate, quindi il peperone arrosto. Pensavo all'inizio a un crostino, a un'insalata, ma mi sembrava banale per un locale di
fine dining. E allora ecco i ravioli. Con gli scarti dei peperoni facciamo un infuso, la cenere invece è composta dalla sua pelle bruciata e un po' di olive nere frullate con olio extravergine. Sembra un brodo "sporco", inquinato. Chi l'ha mangiato mi ha detto che è tornato indietro nel tempo».

Moro oceanico, mais al cocco, insalata di basilico, curry rosso. Foto Sonia Gioia
Moro oceanico, mais al cocco, insalata di basilico, curry rosso - Un piatto di quest'anno, fa parte del menu
Emozioni Extra-territoriali. «Deriva dalle mie esperienze asiatiche. È nato dall'assaggio del moro, un pesce in qualche modo simile al merluzzo. Mi è piaciuto molto. Lo cuocio semplicemente al vapore, vi abbino questo retrogusto di mandorla e cocco fresco. Per rinforzare un poco il sapore del pesce, ho pensato infatti a qualcosa di dolce e grasso, come il cocco con il mais, e poi a qualcosa che spinga, ossia il curry rosso con lemon grass e lime: questa crema è la cosa più difficile da fare, deve avere il tipico bilanciamento thai tra dolce, piccante, acido e sapido. Per rinfrescare, un'insalata semplice di foglie: basilico verde e rosso, germogli di spinaci».

Carré d'agnello al carbone servito con contorno di purea di carota alla fava di tonka, marasciuolo sautè, carbone di manioca
Carré d'agnello al carbone servito con contorno di purea di carota alla fava di tonka, marasciuolo sautè, carbone di manioca - Anno 2016. «Risponde alla voglia di portare la brace nell'alta cucina. Il carbone è realizzato con un brodo molto intenso di legumi, verdure e collagene; vi aggiungo il nero di seppia, poi pane raffermo. Scompare del tutto il sapore del mare dato dal nero. Ci faccio quindi una crema che poi diventa polvere di carbone. Poi salsa al vin cotto pugliese, carbone vegetale con la manioca e di nuovo nero di seppia, marasciuolo e una crema di carote. C'è il dolce, c'è l'amaro».

Bon bon di cioccolato, lampascioni canditi e liquore al carciofo
Bon bon di cioccolato, lampascioni canditi e liquore al carciofo - Del 2011. «Avevo in programma delle riprese per la trasmissione televisiva
Eat Parade. Mi chiesero di elencare un po' di prodotti tipici pugliesi, inserii ovviamente anche il lampascione. Mi dissero: "Puoi preparare un menu tutto a base di lampascioni?". Risposi di sì. "Anche il dolce?". Presi tempo per pensarci. All'epoca lavoravo a Monopoli e vivevo a Taranto, poco più di un'ora d'auto. Quella notte stavo guidando verso casa e mi arrovellavo: il lampascione è amaro, come posso abbinarlo? Ero arrivato quasi a destinazione e mi venne in mente che in Indonesia il cioccolato è chiamato
bitter sweet. L'idea giusta. La prima versione in realtà non mi convinse del tutto. Oggi abbiamo raffinato la cosa: la produzione di questi lampascioni canditi richiede quasi due mesi, rimane solo una nota amarognola, per il resto sembra quasi una sfoglia di cipolla. Per un mese cambiamo loro l'acqua (che deve essere ghiacciata, per non far partire la fermentazione) tutti i giorni, anche 14 volte al giorno. Poi vengono lasciati alcune settimane nello sciroppo. Al momento di preparare il piatto, li sgoccioliamo, aggiungiamo liquore al carciofo e cioccolato. A parte c'è il bon bon, una ganache al cioccolato panata all'inglese, senza tuorlo d'uovo, solo albume, con sopra gli zest di arancia. Esito: un susseguirsi di profumi che tornano al palato. È un dolce non dolce: tranne il cioccolato, è tutto salato, aromatico o amaro. Alcuni clienti si bloccano,
no grazie, ma chi lo assaggia lo ordina di nuovo».