«Ho poco tempo per le sperimentazioni, per la creatività!» si duole Terry Giacomello, mentre impiatta in cucina tagliolini di bianco d’uovo, mezze maniche fatte col brodo di prosciutto... Uno allora si chiede cosa accadrebbe se invece, di tempo, ne avesse molto di più. Per dire, ci presenta il suo nuovo “ramo marcio”: nome così così, ma ci sta ancora lavorando. E’ un composto di fibre di sesamo, perché lo chef ha appena comprato una macchina per estrarre gli oli dai semi: il prodotto “avanzato” non va però buttato, così lui lo plasma come fosse appunto un ramo, da farcire con linfa di betulla e guarnire con una foglia trasparente di alloro ottenuta con acqua, soda e acido tartarico… Questo, a Parma. Questo, mentre ha poco tempo per le sperimentazioni.
Tipo interessante dunque, questo friulano discreto di stanza all’Inkiostro di Parma, con lunghi trascorsi in grandi ristoranti: un paio di anni in Francia con Marc Veyrat e Michel Bras, quasi quattro a El Bulli con Ferran Adrià, alcuni con Alex Atala in Brasile, e infine al Mugaritz con Andoni Luis Aduriz, ma anche Noma e Miramar. In Italia invece ha lavorato accanto a Sergio Mei presso il Four Season di Milano.

Giacomello con Francesca Poli, titolare dell'Inkiostro
Eppure ancor prima ha vissuto un'educazione gastronomica che descrive così: «La mia passione per la cucina nasce quando a circa 13 anni ho cominciato ad affiancare mamma
Wanda ai fornelli di una “semplice ma pur buona trattoria di paese”, dove ho carpito i segreti di una gustosa pasta all'uovo o di una polenta fatta con il mais appena macinato al mulino, ma dove ho imparato anche a trattare la selvaggina da piuma, ad esempio come togliere le piume ai fagiani, come marinarli e così via».
Giacomello per il resto ha l’aspetto pacato da chef anti-divo ma la mente brillante, che sforna pensieri e parole in giusta proporzione (più pensieri che parole, insomma).
Nel settembre del 2015 ha portato nella Food Valley italiana il bagaglio tecnico ed esperienziale accumulato lavorando nei locali più innovativi del pianeta e vi tenta un innesco complesso, ma foriero di possibili grandi sviluppi: come radicare la sua verve contemporanea in un luogo di sacra tradizione per eccellenza?
La risposta la dà, ad esempio, con le due idee recenti che abbiamo già citato.
Tagliolini al bianco d'uovo tiepidi, crema di Parmigiano, caviale al tartufo: cuoce l’albume dell’uovo al vapore e sottovuoto per venti volte, per togliere ogni umidità. Poi stende e vi ricava tagliolini che condisce appunto con tuorlo, crema di Parmigiano e caviale di tartufo. Sembra un piatto classico, c’è invece subito la sorpresa di una texture inattesa, poi l’avvolgenza del gusto fondente, pieno, rotondo. Buonissimo.

Tagliolini al bianco d'uovo tiepidi, crema di Parmigiano, caviale al tartufo
Oppure
Mezze maniche al brodo di prosciutto, torta fritta e ristretto di balsamico: fa gelificare il grasso del prosciutto crudo Sant’Ilario 24 mesi, ne ricava un brodo che disidrata per ricavarne favolose mezze maniche dall’aspetto inconsueto, traslucide eppure piccole bombe di gusto. Le condisce quindi crema di torta fritta emulsionata e ristretto di aceto balsamico per dare quel tocco in più. Fantasia al potere, un piatto indimenticabilie, insieme delizioso, evocativo, bellissimo, legato al territorio ma che assieme se distanzia con forte carica innovativa. Una creazione assoluta.
Poi c’è la Spirale d’uovo cotto a freddo, albume montato, contrasti acidi e piccanti: la “cottura” è per 4 ore sotto i -20 gradi, l’albume è montato con l’aceto, poi di vari aromi, ossia pimpinella, sommaco, yuzu, tamarindo, wasabi, shiso verde e rosso, sale Maldon. Il piatto ha sei mesi, diventerà un classico.