Passaggi generazionali, negli ultimi tempi ne abbiamo raccontati alcuni tra i più significativi: quelli dei Moroni (leggi qui e qui), dei Rizzo (leggi), dei Cerea (leggi qui e qui), dei Colleoni (leggi), dei Franceschini (leggi)… Nessuno, però, è simile a quello degli Abbruzzino, che fa storia a sé. Anche per questo è andato loro il premio Giovane Famiglia dell’anno della Guida Identità Golose 2017: perché la vicenda che li vede protagonisti è davvero molto diversa dalle altre, molto più breve di quella dei citati. (Per la cronaca, succedono nell’albo d’oro ai Santini, vincitori nel 2011, appunto ai Colleoni, 2012, ai Tinari, 2013, agli Spadone, 2014, ai detti Rizzo, 2015, e agli Uliassi, trionfatori nella scorsa edizione).
«In Italia si fa spesso fatica a passare la mano ai più giovani: c’è sempre un buon motivo per rimandare – ha commentato sul palco Paolo Marchi - Si dice: sono inesperti». Così rimangono nell’ombra, non affrontano le responsabilità e vengono condannati a perpetuare la loro presunta inesperienza. Ma papà Antonio e mamma Rosetta, volti da persone di cuore, vere, hanno scelto invece di compiere un passo indietro, quando avrebbero potuto anche traccheggiare. Facendo in tal modo, oltre a confermare la loro tempra genuina, si sono dimostrati anche molto intelligenti.

La brigata con mamma Rosetta (foto Tanio Liotta)
Gli
Abbruzzino gestiscono
il loro locale a Catanzaro Lido da otto anni, la metà dei quali con babbo
Antonio in cucina. Il lesto passaggio di consegne, nel 2012, è stato propiziato da un’evidenza apparsa palese anche a mamma
Rosetta, squisita donna di sala: il giovane
Luca, classe 1989, all’epoca dunque ventitreenne, non solo era (ed è) un talento cristallino, ma pure precoce e scalpitante. E ha l’aria seriosa del buon figlio con la testa sulle spalle, che si merita fiducia, aggiungiamo noi. «Col garbo che ha - aveva arricchito il racconto il papà,
in questo articolo di G
abriele Zanatta - pensavo che avrebbe voluto stare in sala. Ma tanta è la sua passione per la cucina che ho fatto un passo indietro io, lasciandogli il posto».
Tale passione l’ha sempre dimostrata, poco a poco si è costruito anche la tecnica (da Gennaro Esposito, Enrico Crippa, Mauro Uliassi, Pier Giorgio Parini) che ha innervato una sensibilità sua propria, capace di prescindere da lacci e lacciuoli territoriali: «Tutto sulla tavola, il resto è nulla».
Centralità assoluta del piatto, dunque: e lo chef così è libero di sperimentare non trascurando certo il prodotto del posto, ma sfruttandone l’eccellenza (per freschezza, per stagionalità) a mente aperta. “Alta cucina locale”, la chiama lui, vale a dire il circostante che si fonde con le logiche più ampie del fine dining e abbatte le preclusioni: al bergamotto seguono more fermentate, e l’acidità – cui le nonne erano così poco propense – fa spesso capolino in proposte di totale contemporaneità. Spiega: «Valorizzare il territorio per me significa scovare e lavorare sulle sue vere perle, non sulle ricette della tradizione. Sarebbe un limite imperdonabile»

Paola Valeria Jovinelli, fondatrice de L'Arte del Convivio, premia gli Abbruzzino tra Paolo Marchi e Lisa Casali
Tale attitudine a non farsi ingabbiare da quanto sta attorno si riflette anche sulla struttura stessa del ristorante: è in corso un completo
restyling, dunque in questo periodo il locale è chiuso, l’impegno è riaprirlo prima di Natale. Le novità? In linea con le scelte di
Luca, ossia guardare avanti: via il camino, dove prima c’era la pietra ecco pareti di cemento, a testimoniare una scissione col passato. E poi parquet per terra, le luci illuminano direttamente il tavolo. La Calabria è attorno: ma dagli
Abbruzzino ci si concentra esclusivamente sul piatto.
E che piatti! La cucina è priva di preconcetti. Una ricetta può utilizzare pescato locale (lo sgombro), ma con la logica orientale delle marinature, quindi introdurre la mozzarella che, seguendo il medesimo parallelo, fa le veci del tofu, e bagnare il tutto con un brodo del medesimo sgombro ottenuto però da una specie di katsuobushi ricavato dalle lische del pesce, salate e seccate.

Manzo 65 giorni con salsa di anemoni di mare
E’ raro incontrare tanta consapevolezza e dunque solidità nella resa gustativa, di fronte a un ragazzo di 27 anni che, quando gli si chiede quale sia il suo prodotto del futuro, ossia quello sul quale sta lavorando, non ti risponde citando qualche alga strana, una pianta esotica o il Presìdio per pochi, bensì: «La costata di manzo». E poi lui, così giovane, vanta già un classico, buonissimo e proprio a base del suddetta carne: l'inarrivabile
Manzo 65 giorni con salsa di anemoni di mare, «qui ci trovo l’essenza della Calabria», noi che calabresi non siamo di certo l'essenza del sapore.
Nella fotogallery, tutti i piatti da noi degustati in una recente cena, poco prima della chiusura per lavori. Le foto sono di Tanio Liotta.