Ancora Campania, sempre Campania. Ha il volto felix dei cuochi di Caserta, Napoli e Salerno quest’inizio d’anno che è già stato definito magico per la regione tirrenica non da noi di Identità ma da un consenso trasversale, praticamente imposto da un bendiddio di talenti, piatti ed entusiasmo. Uno stato di grazia sentenziato dalla Michelin nel novembre scorso, con la calata di 6 nuove stelle, cadute a gravare sul già cospicuo patrimonio ghiotto campano (ora sono 32 i ristoranti con almeno una stella a 6 petali, terza regione dopo Lombardia e Piemonte).
Sabato scorso, gli stessi 6 cuochi di fresco award hanno voluto celebrare assieme il traguardo con una cena congiunta al Comandante di Napoli, padrone di casa Salvatore Bianco da Torre del Greco, chef 32enne che ancora strabuzza gli occhi come indossa la giacca al mattino, guardandosi allo specchio il pettorale sinistro (ma i meriti li ha eccome, e lo vedremo presto). Con lui, a cucinare al decimo piano del Romeo Hotel - vista pazzesca con Vesuvio e Costiera a sinistra e Capri a destra – sono arrivati baldanzosi Rosanna Marziale delle Colonne di Caserta, Pasquale Palamaro dell’Indaco di Ischia; Vincenzo Guarino dell’Accanto all’Angiolieri di Vico Equense; Luigi Tramontano del Flauto di Pan di Villa Cimbrone a Ravello e Giuseppe Stanzione de Le Trabe di Paestum.

Salvatore Bianco, 10 piani sopra Napoli
Tutti ragazzi che hanno preso ulteriore slancio dopo il riconoscimento:
Palamaro ha finalmente potuto aumentare la risicata brigata degli inizi e la
Marziale ha deciso di aprire anche a cena
il venerdì e il sabato, due decisioni non scontate tra i fatalismi predominanti della crisi.
Il menu della serata ha cercato di non tradire le inclinazioni ai fornelli di ognuno: la perizia tutta da incisore sorrentino di
Bianco, le alchimie bufaline di
Marziale (unica donna del mazzo, ma perfettamente a suo agio), i fondali ischitani di
Palamaro, i due orti e le due facce della stessa penisola di
Guarino e
Tramontano e la vivace classicità di confine di
Stanzione, al limite perché sulle rive del Cilento, dopo la sua Paestum c’è un misterioso vuoto d’autore.
Se i piatti della cena li trovate lampanti in bontà nella fotogallery qui sotto, il cronista ha il dovere di portare agli atti le dichiarazioni del firmatario della Rossa 2013 Fausto Arrighi, seduto tra gli ospiti e in fondo artefice della serata: «Avercene ogni anno di grattacapi come quelli che ci procura la Campania». Perché dietro c’è ancora un’altra generazione che scalpita, da Giuseppe Iannotti a Pietro Parisi, da Gianluca D’Agostino a Cristian Torsiello, una cantera che non ha eguali in Italia. «Del resto sono tutti ragazzi con grandi esempi davanti», specificava Luigi Cremona del Touring.
Al che la mente è corsa subito a due pensieri: il duetto che si terrà in Auditorium a
Identità Milano lunedì 11 febbraio prossimo tra
Tonino Cannavacciuolo e
Gennaro Esposito, gemelli separati nei destini: transfuga in Piemonte il primo, stanziale nella nativa Vico il secondo. Ma entrambi ai vertici della cucina mediterranea in Europa.
E una seconda riflessione: nella terza edizione di
Identità Milano, anno 2007, la regione ospite fu proprio la Campania. Salirono sul palco i peninsulari
Ernesto Iaccarino e
Alfonso Caputo, l'irpino
Antonio Pisaniello, lo stesso
Cannavacciuolo e il pasticcere amalfitano
Salvatore De Riso, tuttora arcignamente aggrappati alle loro insegne. Sei anni dopo, non basterebbe un’edizione intera per dare voce ai grandi cuochi campani di oggi, domani e dopodomani.