29-04-2011

Dieci piccoli Redzepi

Come il numero uno danese, stanno riscrivendo i codici di cucina dei rispettivi paesi. Sono i cuochi outsider della 50Best. E una fotogallery ci aiuta a dipingerne gli orizzonti

Galleria fotografica

Alex Atala, Dom
San Paolo, Brasile
7° nei 50Best

Definire outsider il numero 7 assoluto della S.Pellegrino 50 Best 2011, nonché vecchio conoscente di Identità Golose, è un azzardo. Ma Alex Atala veste meglio di altri i panni del cuoco di nuova generazione. Dopo aver trotterellato in lungo e in largo per il mondo, oggi è stalker di ogni prodotto del suo circondario paulista, amazzone, brasiliano: non gli dà tregua. Perché un Paese che vive un boom economico non può più andare avanti a feijoada, comida a kilo o impiattare foie gras in bisque o brunoise. Molto meglio sganciarsi dai colonialismi e magnificare manioca, priprioca e jabuticaba. Nuovi vocaboli che risuonano nel mondo col fragore di una torcida

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Alex Atala, Dom
San Paolo, Brasile
7° nei 50Best
Definire outsider il numero 7 assoluto della S.Pellegrino 50 Best 2011, nonché vecchio conoscente di Identità Golose, è un azzardo. Ma Alex Atala veste meglio di altri i panni del cuoco di nuova generazione. Dopo aver trotterellato in lungo e in largo per il mondo, oggi è stalker di ogni prodotto del suo circondario paulista, amazzone, brasiliano: non gli dà tregua. Perché un Paese che vive un boom economico non può più andare avanti a feijoada, comida a kilo o impiattare foie gras in bisque o brunoise. Molto meglio sganciarsi dai colonialismi e magnificare manioca, priprioca e jabuticaba. Nuovi vocaboli che risuonano nel mondo col fragore di una torcida

Peter Goossens, Hof Van Cleve
Kruishoutem, Belgio
15° nei 50Best

L'identità di un popolo è evidente più di tutto a spiare quello che mette in tavola. L'hanno capito prima degli altri i baschi e i catalani ma l'esempio sta tracimando alle altre comunità inquiete d'Europa. Come quella fiamminga in Belgio, ricapitolata ogni anno nei Flemish Primitives, sorta di Gastronomika del Nord Europa. Tra i Primitivi fiamminghi si distingue per stazza e timbro questo signore appuntato da 3 Stelle, che tra fiammanti ouvertures all'ostrica e condimenti local per impensabili selvaggine fa saltare sulla sedia i pregiudizi un po' razzisti di chi vuole il Belgio tutto nebbie e sbadigli

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Alex Atala, Dom
San Paolo, Brasile
7° nei 50Best
Definire outsider il numero 7 assoluto della S.Pellegrino 50 Best 2011, nonché vecchio conoscente di Identità Golose, è un azzardo. Ma Alex Atala veste meglio di altri i panni del cuoco di nuova generazione. Dopo aver trotterellato in lungo e in largo per il mondo, oggi è stalker di ogni prodotto del suo circondario paulista, amazzone, brasiliano: non gli dà tregua. Perché un Paese che vive un boom economico non può più andare avanti a feijoada, comida a kilo o impiattare foie gras in bisque o brunoise. Molto meglio sganciarsi dai colonialismi e magnificare manioca, priprioca e jabuticaba. Nuovi vocaboli che risuonano nel mondo col fragore di una torcida








Peter Goossens, Hof Van Cleve
Kruishoutem, Belgio
15° nei 50Best 
L'identità di un popolo è evidente più di tutto a spiare quello che mette in tavola. L'hanno capito prima degli altri i baschi e i catalani ma l'esempio sta tracimando alle altre comunità inquiete d'Europa. Come quella fiamminga in Belgio, ricapitolata ogni anno nei Flemish Primitives, sorta di Gastronomika del Nord Europa. Tra i Primitivi fiamminghi si distingue per stazza e timbro questo signore appuntato da 3 Stelle, che tra fiammanti ouvertures all'ostrica e condimenti local per impensabili selvaggine fa saltare sulla sedia i pregiudizi un po' razzisti di chi vuole il Belgio tutto nebbie e sbadigli

Heinz Reitbauer, Steirereck
Vienna, Austria
22° nei 50Best

Chi ironizza sulla precaria autorialità della cucina austriaca dovrebbe prima considerare che, negli ultimi decenni, gli interpreti più blasonati della scuola classica tedesca, quella più francofila, tengono in tasca certificati di nascita timbrati a Vienna o Salisburgo. Vedi il grande Eckart Witzigmann, impersonificazione di un Anschluss al contrario. Heinz Reitbauer ne è degno erede. Solo che ha scelto di pontificare da casa sua: ora è allo Stadtpark di Vienna per dare conto dei grandi vini e formaggi della Stiria. Ma anche per svegliare il gourmet dal culto della wienerschnitzel frisbee, qui ampiamente cancellato da laicissime spugnole, radici e vegetali (foto di Teresa Zoetl)

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Alex Atala, Dom
San Paolo, Brasile
7° nei 50Best
Definire outsider il numero 7 assoluto della S.Pellegrino 50 Best 2011, nonché vecchio conoscente di Identità Golose, è un azzardo. Ma Alex Atala veste meglio di altri i panni del cuoco di nuova generazione. Dopo aver trotterellato in lungo e in largo per il mondo, oggi è stalker di ogni prodotto del suo circondario paulista, amazzone, brasiliano: non gli dà tregua. Perché un Paese che vive un boom economico non può più andare avanti a feijoada, comida a kilo o impiattare foie gras in bisque o brunoise. Molto meglio sganciarsi dai colonialismi e magnificare manioca, priprioca e jabuticaba. Nuovi vocaboli che risuonano nel mondo col fragore di una torcida








Peter Goossens, Hof Van Cleve
Kruishoutem, Belgio
15° nei 50Best 
L'identità di un popolo è evidente più di tutto a spiare quello che mette in tavola. L'hanno capito prima degli altri i baschi e i catalani ma l'esempio sta tracimando alle altre comunità inquiete d'Europa. Come quella fiamminga in Belgio, ricapitolata ogni anno nei Flemish Primitives, sorta di Gastronomika del Nord Europa. Tra i Primitivi fiamminghi si distingue per stazza e timbro questo signore appuntato da 3 Stelle, che tra fiammanti ouvertures all'ostrica e condimenti local per impensabili selvaggine fa saltare sulla sedia i pregiudizi un po' razzisti di chi vuole il Belgio tutto nebbie e sbadigli








Heinz Reitbauer, Steirereck
Vienna, Austria
22° nei 50Best
Chi ironizza sulla precaria autorialità della cucina austriaca dovrebbe prima considerare che, negli ultimi decenni, gli interpreti più blasonati della scuola classica tedesca, quella più francofila, tengono in tasca certificati di nascita timbrati a Vienna o Salisburgo. Vedi il grande Eckart Witzigmann, impersonificazione di un Anschluss al contrario. Heinz Reitbauer ne è degno erede. Solo che ha scelto di pontificare da casa sua: ora è allo Stadtpark di Vienna per dare conto dei grandi vini e formaggi della Stiria. Ma anche per svegliare il gourmet dal culto della wienerschnitzel frisbee, qui ampiamente cancellato da laicissime spugnole, radici e vegetali (foto di Teresa Zoetl)

Andreas Caminada, Schloss Schauenstein
Fürstenau, Svizzera
23° nei 50Best

La Svizzera è un Paese neutrale ma non gastronomicamente: per vicinanza e opportunità, l'influsso francese è sempre stato lampante. Forse allora il 32enne Andreas Caminada ha saputo recidere il cordone con la Grandeur perché opera nel Graubünden, il più orientale dei Cantoni ma soprattutto il più lontano da Oltralpe. Com'è come non è, nessuno nei dintorni manipola con lo stesso ardore agnelli, vitelli, salmerini, vegetali. Una cucina di montagna giunta alle tre Stelle dopo una serie di tornanti da brivido. Con lui che continua a non disdegnare le spume di tradizione iberica. Perché se prima era assurdo abusarne, ora è assurdo schifarle manco fossero vibrioni. Si chiama personalità (foto di Veronique Hoegger)

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Alex Atala, Dom
San Paolo, Brasile
7° nei 50Best
Definire outsider il numero 7 assoluto della S.Pellegrino 50 Best 2011, nonché vecchio conoscente di Identità Golose, è un azzardo. Ma Alex Atala veste meglio di altri i panni del cuoco di nuova generazione. Dopo aver trotterellato in lungo e in largo per il mondo, oggi è stalker di ogni prodotto del suo circondario paulista, amazzone, brasiliano: non gli dà tregua. Perché un Paese che vive un boom economico non può più andare avanti a feijoada, comida a kilo o impiattare foie gras in bisque o brunoise. Molto meglio sganciarsi dai colonialismi e magnificare manioca, priprioca e jabuticaba. Nuovi vocaboli che risuonano nel mondo col fragore di una torcida








Peter Goossens, Hof Van Cleve
Kruishoutem, Belgio
15° nei 50Best 
L'identità di un popolo è evidente più di tutto a spiare quello che mette in tavola. L'hanno capito prima degli altri i baschi e i catalani ma l'esempio sta tracimando alle altre comunità inquiete d'Europa. Come quella fiamminga in Belgio, ricapitolata ogni anno nei Flemish Primitives, sorta di Gastronomika del Nord Europa. Tra i Primitivi fiamminghi si distingue per stazza e timbro questo signore appuntato da 3 Stelle, che tra fiammanti ouvertures all'ostrica e condimenti local per impensabili selvaggine fa saltare sulla sedia i pregiudizi un po' razzisti di chi vuole il Belgio tutto nebbie e sbadigli








Heinz Reitbauer, Steirereck
Vienna, Austria
22° nei 50Best
Chi ironizza sulla precaria autorialità della cucina austriaca dovrebbe prima considerare che, negli ultimi decenni, gli interpreti più blasonati della scuola classica tedesca, quella più francofila, tengono in tasca certificati di nascita timbrati a Vienna o Salisburgo. Vedi il grande Eckart Witzigmann, impersonificazione di un Anschluss al contrario. Heinz Reitbauer ne è degno erede. Solo che ha scelto di pontificare da casa sua: ora è allo Stadtpark di Vienna per dare conto dei grandi vini e formaggi della Stiria. Ma anche per svegliare il gourmet dal culto della wienerschnitzel frisbee, qui ampiamente cancellato da laicissime spugnole, radici e vegetali (foto di Teresa Zoetl)








Andreas Caminada, Schloss Schauenstein
Fürstenau, Svizzera
23° nei 50Best
La Svizzera è un Paese neutrale ma non gastronomicamente: per vicinanza e opportunità, l'influsso francese è sempre stato lampante. Forse allora il 32enne Andreas Caminada ha saputo recidere il cordone con la Grandeur perché opera nel Graubünden, il più orientale dei Cantoni ma soprattutto il più lontano da Oltralpe. Com'è come non è, nessuno nei dintorni manipola con lo stesso ardore agnelli, vitelli, salmerini, vegetali. Una cucina di montagna giunta alle tre Stelle dopo una serie di tornanti da brivido. Con lui che continua a non disdegnare le spume di tradizione iberica. Perché se prima era assurdo abusarne, ora è assurdo schifarle manco fossero vibrioni. Si chiama personalità (foto di Veronique Hoegger)

Peter Gilmore, Quay
Sydney, Australia
26° nei 50Best

Avrà anche ricevuto il premio di miglior ristorante d'Australasia il Quay. Ma se chiedi a un Aussie in quale continente pensa di essere nato, quello risponderà nove su dieci "Asia" perché è quello il macrocosmo cui si sentono di appartenere. Occhi a mandorla e bulbi occidentali convivono egregiamente nei piatti di questo signore che, davanti all'Opera House di Sydney, intona sinfonie crossover col grande pescato dei dintorni, che può finire in un congee (porridge di riso cinese) arricchito da germogli, petali e fiori miniaturizzati. Che sono prassi comune nel Sud Est asiatico ma in questo caso svettanti nella Green House adiacente al ristorante (foto di Anson Smart)

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Alex Atala, Dom
San Paolo, Brasile
7° nei 50Best
Definire outsider il numero 7 assoluto della S.Pellegrino 50 Best 2011, nonché vecchio conoscente di Identità Golose, è un azzardo. Ma Alex Atala veste meglio di altri i panni del cuoco di nuova generazione. Dopo aver trotterellato in lungo e in largo per il mondo, oggi è stalker di ogni prodotto del suo circondario paulista, amazzone, brasiliano: non gli dà tregua. Perché un Paese che vive un boom economico non può più andare avanti a feijoada, comida a kilo o impiattare foie gras in bisque o brunoise. Molto meglio sganciarsi dai colonialismi e magnificare manioca, priprioca e jabuticaba. Nuovi vocaboli che risuonano nel mondo col fragore di una torcida








Peter Goossens, Hof Van Cleve
Kruishoutem, Belgio
15° nei 50Best 
L'identità di un popolo è evidente più di tutto a spiare quello che mette in tavola. L'hanno capito prima degli altri i baschi e i catalani ma l'esempio sta tracimando alle altre comunità inquiete d'Europa. Come quella fiamminga in Belgio, ricapitolata ogni anno nei Flemish Primitives, sorta di Gastronomika del Nord Europa. Tra i Primitivi fiamminghi si distingue per stazza e timbro questo signore appuntato da 3 Stelle, che tra fiammanti ouvertures all'ostrica e condimenti local per impensabili selvaggine fa saltare sulla sedia i pregiudizi un po' razzisti di chi vuole il Belgio tutto nebbie e sbadigli








Heinz Reitbauer, Steirereck
Vienna, Austria
22° nei 50Best
Chi ironizza sulla precaria autorialità della cucina austriaca dovrebbe prima considerare che, negli ultimi decenni, gli interpreti più blasonati della scuola classica tedesca, quella più francofila, tengono in tasca certificati di nascita timbrati a Vienna o Salisburgo. Vedi il grande Eckart Witzigmann, impersonificazione di un Anschluss al contrario. Heinz Reitbauer ne è degno erede. Solo che ha scelto di pontificare da casa sua: ora è allo Stadtpark di Vienna per dare conto dei grandi vini e formaggi della Stiria. Ma anche per svegliare il gourmet dal culto della wienerschnitzel frisbee, qui ampiamente cancellato da laicissime spugnole, radici e vegetali (foto di Teresa Zoetl)








Andreas Caminada, Schloss Schauenstein
Fürstenau, Svizzera
23° nei 50Best
La Svizzera è un Paese neutrale ma non gastronomicamente: per vicinanza e opportunità, l'influsso francese è sempre stato lampante. Forse allora il 32enne Andreas Caminada ha saputo recidere il cordone con la Grandeur perché opera nel Graubünden, il più orientale dei Cantoni ma soprattutto il più lontano da Oltralpe. Com'è come non è, nessuno nei dintorni manipola con lo stesso ardore agnelli, vitelli, salmerini, vegetali. Una cucina di montagna giunta alle tre Stelle dopo una serie di tornanti da brivido. Con lui che continua a non disdegnare le spume di tradizione iberica. Perché se prima era assurdo abusarne, ora è assurdo schifarle manco fossero vibrioni. Si chiama personalità (foto di Veronique Hoegger)








Peter Gilmore, Quay
Sydney, Australia
26° nei 50Best
Avrà anche ricevuto il premio di miglior ristorante d'Australasia il Quay. Ma se chiedi a un Aussie in quale continente pensa di essere nato, quello risponderà nove su dieci "Asia" perché è quello il macrocosmo cui si sentono di appartenere. Occhi a mandorla e bulbi occidentali convivono egregiamente nei piatti di questo signore che, davanti all'Opera House di Sydney, intona sinfonie crossover col grande pescato dei dintorni, che può finire in un congee (porridge di riso cinese) arricchito da germogli, petali e fiori miniaturizzati. Che sono prassi comune nel Sud Est asiatico ma in questo caso svettanti nella Green House adiacente al ristorante (foto di Anson Smart)

Ignatius Chan, Iggy's
Singapore, Singapore
27° nei 50Best

Si fa presto a dire cucina asiatica d'autore. Ma poi, escluso il Giappone e certa Cina, in Paesi di grande e ghiotta tradizione popolare come Tailandia, Vietnam o Malesia le insegne creative valide stentano a decollare, spesso per incostanze organizzative congenite. In questo scenario spicca Singapore, Stato ricco e popolato da cuochi e ristoratori più abituati a viaggiare e a fiutare come gira il vento altrove. Con quel Carpaccio di manzo wagyu Blackmore con rapa, cavolfiore e fagioli di mare, Ignatius Chan è salito al rango di best chef in town. Un signature dish che specchia rigore francese, ritualità kaiseki e rispetto epistemologico dei tempi, di cottura (delle carni) e di coltura (dei vegetali)

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Alex Atala, Dom
San Paolo, Brasile
7° nei 50Best
Definire outsider il numero 7 assoluto della S.Pellegrino 50 Best 2011, nonché vecchio conoscente di Identità Golose, è un azzardo. Ma Alex Atala veste meglio di altri i panni del cuoco di nuova generazione. Dopo aver trotterellato in lungo e in largo per il mondo, oggi è stalker di ogni prodotto del suo circondario paulista, amazzone, brasiliano: non gli dà tregua. Perché un Paese che vive un boom economico non può più andare avanti a feijoada, comida a kilo o impiattare foie gras in bisque o brunoise. Molto meglio sganciarsi dai colonialismi e magnificare manioca, priprioca e jabuticaba. Nuovi vocaboli che risuonano nel mondo col fragore di una torcida








Peter Goossens, Hof Van Cleve
Kruishoutem, Belgio
15° nei 50Best 
L'identità di un popolo è evidente più di tutto a spiare quello che mette in tavola. L'hanno capito prima degli altri i baschi e i catalani ma l'esempio sta tracimando alle altre comunità inquiete d'Europa. Come quella fiamminga in Belgio, ricapitolata ogni anno nei Flemish Primitives, sorta di Gastronomika del Nord Europa. Tra i Primitivi fiamminghi si distingue per stazza e timbro questo signore appuntato da 3 Stelle, che tra fiammanti ouvertures all'ostrica e condimenti local per impensabili selvaggine fa saltare sulla sedia i pregiudizi un po' razzisti di chi vuole il Belgio tutto nebbie e sbadigli








Heinz Reitbauer, Steirereck
Vienna, Austria
22° nei 50Best
Chi ironizza sulla precaria autorialità della cucina austriaca dovrebbe prima considerare che, negli ultimi decenni, gli interpreti più blasonati della scuola classica tedesca, quella più francofila, tengono in tasca certificati di nascita timbrati a Vienna o Salisburgo. Vedi il grande Eckart Witzigmann, impersonificazione di un Anschluss al contrario. Heinz Reitbauer ne è degno erede. Solo che ha scelto di pontificare da casa sua: ora è allo Stadtpark di Vienna per dare conto dei grandi vini e formaggi della Stiria. Ma anche per svegliare il gourmet dal culto della wienerschnitzel frisbee, qui ampiamente cancellato da laicissime spugnole, radici e vegetali (foto di Teresa Zoetl)








Andreas Caminada, Schloss Schauenstein
Fürstenau, Svizzera
23° nei 50Best
La Svizzera è un Paese neutrale ma non gastronomicamente: per vicinanza e opportunità, l'influsso francese è sempre stato lampante. Forse allora il 32enne Andreas Caminada ha saputo recidere il cordone con la Grandeur perché opera nel Graubünden, il più orientale dei Cantoni ma soprattutto il più lontano da Oltralpe. Com'è come non è, nessuno nei dintorni manipola con lo stesso ardore agnelli, vitelli, salmerini, vegetali. Una cucina di montagna giunta alle tre Stelle dopo una serie di tornanti da brivido. Con lui che continua a non disdegnare le spume di tradizione iberica. Perché se prima era assurdo abusarne, ora è assurdo schifarle manco fossero vibrioni. Si chiama personalità (foto di Veronique Hoegger)








Peter Gilmore, Quay
Sydney, Australia
26° nei 50Best
Avrà anche ricevuto il premio di miglior ristorante d'Australasia il Quay. Ma se chiedi a un Aussie in quale continente pensa di essere nato, quello risponderà nove su dieci "Asia" perché è quello il macrocosmo cui si sentono di appartenere. Occhi a mandorla e bulbi occidentali convivono egregiamente nei piatti di questo signore che, davanti all'Opera House di Sydney, intona sinfonie crossover col grande pescato dei dintorni, che può finire in un congee (porridge di riso cinese) arricchito da germogli, petali e fiori miniaturizzati. Che sono prassi comune nel Sud Est asiatico ma in questo caso svettanti nella Green House adiacente al ristorante (foto di Anson Smart)








Ignatius Chan, Iggy's
Singapore, Singapore
27° nei 50Best
Si fa presto a dire cucina asiatica d'autore. Ma poi, escluso il Giappone e certa Cina, in Paesi di grande e ghiotta tradizione popolare come Tailandia, Vietnam o Malesia le insegne creative valide stentano a decollare, spesso per incostanze organizzative congenite. In questo scenario spicca Singapore, Stato ricco e popolato da cuochi e ristoratori più abituati a viaggiare e a fiutare come gira il vento altrove. Con quel Carpaccio di manzo wagyu Blackmore con rapa, cavolfiore e fagioli di mare, Ignatius Chan è salito al rango di best chef in town. Un signature dish che specchia rigore francese, ritualità kaiseki e rispetto epistemologico dei tempi, di cottura (delle carni) e di coltura (dei vegetali)

Bruno Oteiza e Mikel Alonso, Biko
Città del Messico, Messico
31° nei 50Best

Sorpresa, la nuova cucina messicana "spacca" nella 50Best 2011: pioniere, il prode Enrique Olvera del Pujol, con le sue julienne di cactus e le sue polveri di tortillas, new entry al 49° posto (ma già nella Guida di Identità 3 anni fa). Più su in classifica oggi troviamo la proposta, solo apparentemente stramba, di due baschi quarantenni, venuti a Mexico per scuotere la cucina locale con sferificazioni, arie e liofilizzazioni. Tutto questo, emulando le doti immaginifiche di Pedro Subijana e «la capacità di guardare alla cucina con gli occhi di un niño» che Juan Marì Arzak trasmise loro. Il modo mejor per essere liberi. Di cucinare

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Alex Atala, Dom
San Paolo, Brasile
7° nei 50Best
Definire outsider il numero 7 assoluto della S.Pellegrino 50 Best 2011, nonché vecchio conoscente di Identità Golose, è un azzardo. Ma Alex Atala veste meglio di altri i panni del cuoco di nuova generazione. Dopo aver trotterellato in lungo e in largo per il mondo, oggi è stalker di ogni prodotto del suo circondario paulista, amazzone, brasiliano: non gli dà tregua. Perché un Paese che vive un boom economico non può più andare avanti a feijoada, comida a kilo o impiattare foie gras in bisque o brunoise. Molto meglio sganciarsi dai colonialismi e magnificare manioca, priprioca e jabuticaba. Nuovi vocaboli che risuonano nel mondo col fragore di una torcida








Peter Goossens, Hof Van Cleve
Kruishoutem, Belgio
15° nei 50Best 
L'identità di un popolo è evidente più di tutto a spiare quello che mette in tavola. L'hanno capito prima degli altri i baschi e i catalani ma l'esempio sta tracimando alle altre comunità inquiete d'Europa. Come quella fiamminga in Belgio, ricapitolata ogni anno nei Flemish Primitives, sorta di Gastronomika del Nord Europa. Tra i Primitivi fiamminghi si distingue per stazza e timbro questo signore appuntato da 3 Stelle, che tra fiammanti ouvertures all'ostrica e condimenti local per impensabili selvaggine fa saltare sulla sedia i pregiudizi un po' razzisti di chi vuole il Belgio tutto nebbie e sbadigli








Heinz Reitbauer, Steirereck
Vienna, Austria
22° nei 50Best
Chi ironizza sulla precaria autorialità della cucina austriaca dovrebbe prima considerare che, negli ultimi decenni, gli interpreti più blasonati della scuola classica tedesca, quella più francofila, tengono in tasca certificati di nascita timbrati a Vienna o Salisburgo. Vedi il grande Eckart Witzigmann, impersonificazione di un Anschluss al contrario. Heinz Reitbauer ne è degno erede. Solo che ha scelto di pontificare da casa sua: ora è allo Stadtpark di Vienna per dare conto dei grandi vini e formaggi della Stiria. Ma anche per svegliare il gourmet dal culto della wienerschnitzel frisbee, qui ampiamente cancellato da laicissime spugnole, radici e vegetali (foto di Teresa Zoetl)








Andreas Caminada, Schloss Schauenstein
Fürstenau, Svizzera
23° nei 50Best
La Svizzera è un Paese neutrale ma non gastronomicamente: per vicinanza e opportunità, l'influsso francese è sempre stato lampante. Forse allora il 32enne Andreas Caminada ha saputo recidere il cordone con la Grandeur perché opera nel Graubünden, il più orientale dei Cantoni ma soprattutto il più lontano da Oltralpe. Com'è come non è, nessuno nei dintorni manipola con lo stesso ardore agnelli, vitelli, salmerini, vegetali. Una cucina di montagna giunta alle tre Stelle dopo una serie di tornanti da brivido. Con lui che continua a non disdegnare le spume di tradizione iberica. Perché se prima era assurdo abusarne, ora è assurdo schifarle manco fossero vibrioni. Si chiama personalità (foto di Veronique Hoegger)








Peter Gilmore, Quay
Sydney, Australia
26° nei 50Best
Avrà anche ricevuto il premio di miglior ristorante d'Australasia il Quay. Ma se chiedi a un Aussie in quale continente pensa di essere nato, quello risponderà nove su dieci "Asia" perché è quello il macrocosmo cui si sentono di appartenere. Occhi a mandorla e bulbi occidentali convivono egregiamente nei piatti di questo signore che, davanti all'Opera House di Sydney, intona sinfonie crossover col grande pescato dei dintorni, che può finire in un congee (porridge di riso cinese) arricchito da germogli, petali e fiori miniaturizzati. Che sono prassi comune nel Sud Est asiatico ma in questo caso svettanti nella Green House adiacente al ristorante (foto di Anson Smart)








Ignatius Chan, Iggy's
Singapore, Singapore
27° nei 50Best
Si fa presto a dire cucina asiatica d'autore. Ma poi, escluso il Giappone e certa Cina, in Paesi di grande e ghiotta tradizione popolare come Tailandia, Vietnam o Malesia le insegne creative valide stentano a decollare, spesso per incostanze organizzative congenite. In questo scenario spicca Singapore, Stato ricco e popolato da cuochi e ristoratori più abituati a viaggiare e a fiutare come gira il vento altrove. Con quel Carpaccio di manzo wagyu Blackmore con rapa, cavolfiore e fagioli di mare, Ignatius Chan è salito al rango di best chef in town. Un signature dish che specchia rigore francese, ritualità kaiseki e rispetto epistemologico dei tempi, di cottura (delle carni) e di coltura (dei vegetali)








Bruno Oteiza e Mikel Alonso, Biko
Città del Messico, Messico
31° nei 50Best
Sorpresa, la nuova cucina messicana "spacca" nella 50Best 2011: pioniere, il prode Enrique Olvera del Pujol, con le sue julienne di cactus e le sue polveri di tortillas, new entry al 49° posto (ma già nella Guida di Identità 3 anni fa). Più su in classifica oggi troviamo la proposta, solo apparentemente stramba, di due baschi quarantenni, venuti a Mexico per scuotere la cucina locale con sferificazioni, arie e liofilizzazioni. Tutto questo, emulando le doti immaginifiche di Pedro Subijana e «la capacità di guardare alla cucina con gli occhi di un niño» che Juan Marì Arzak trasmise loro. Il modo mejor per essere liberi. Di cucinare

Hans Välimäki, Chez Dominique
Helsinki, Finlandia
32° nei 50Best

Altra vecchia conoscenza di Identità Golose, questo ragazzo di Helsinki, come Redzepi in Danimarca o Mathias Dahlgren in Svezia, ha tolto il velo a una serie di ghiottonerie autoctone, che a elencarle tre lustri fa gli davano del pazzo: porcini artici, spaghetti "di" (nel senso del complemento di materia) lampone, galli cedroni al posto dei piccioni. «Non aspettatevi colori mediterranei sulla mia tavola», disse sul palco di Milano, «perché se fuori d'inverno è tutto ghiacciato, così dev'essere anche il piatto». Sapori/candori più inebrianti di una vodka

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Alex Atala, Dom
San Paolo, Brasile
7° nei 50Best
Definire outsider il numero 7 assoluto della S.Pellegrino 50 Best 2011, nonché vecchio conoscente di Identità Golose, è un azzardo. Ma Alex Atala veste meglio di altri i panni del cuoco di nuova generazione. Dopo aver trotterellato in lungo e in largo per il mondo, oggi è stalker di ogni prodotto del suo circondario paulista, amazzone, brasiliano: non gli dà tregua. Perché un Paese che vive un boom economico non può più andare avanti a feijoada, comida a kilo o impiattare foie gras in bisque o brunoise. Molto meglio sganciarsi dai colonialismi e magnificare manioca, priprioca e jabuticaba. Nuovi vocaboli che risuonano nel mondo col fragore di una torcida








Peter Goossens, Hof Van Cleve
Kruishoutem, Belgio
15° nei 50Best 
L'identità di un popolo è evidente più di tutto a spiare quello che mette in tavola. L'hanno capito prima degli altri i baschi e i catalani ma l'esempio sta tracimando alle altre comunità inquiete d'Europa. Come quella fiamminga in Belgio, ricapitolata ogni anno nei Flemish Primitives, sorta di Gastronomika del Nord Europa. Tra i Primitivi fiamminghi si distingue per stazza e timbro questo signore appuntato da 3 Stelle, che tra fiammanti ouvertures all'ostrica e condimenti local per impensabili selvaggine fa saltare sulla sedia i pregiudizi un po' razzisti di chi vuole il Belgio tutto nebbie e sbadigli








Heinz Reitbauer, Steirereck
Vienna, Austria
22° nei 50Best
Chi ironizza sulla precaria autorialità della cucina austriaca dovrebbe prima considerare che, negli ultimi decenni, gli interpreti più blasonati della scuola classica tedesca, quella più francofila, tengono in tasca certificati di nascita timbrati a Vienna o Salisburgo. Vedi il grande Eckart Witzigmann, impersonificazione di un Anschluss al contrario. Heinz Reitbauer ne è degno erede. Solo che ha scelto di pontificare da casa sua: ora è allo Stadtpark di Vienna per dare conto dei grandi vini e formaggi della Stiria. Ma anche per svegliare il gourmet dal culto della wienerschnitzel frisbee, qui ampiamente cancellato da laicissime spugnole, radici e vegetali (foto di Teresa Zoetl)








Andreas Caminada, Schloss Schauenstein
Fürstenau, Svizzera
23° nei 50Best
La Svizzera è un Paese neutrale ma non gastronomicamente: per vicinanza e opportunità, l'influsso francese è sempre stato lampante. Forse allora il 32enne Andreas Caminada ha saputo recidere il cordone con la Grandeur perché opera nel Graubünden, il più orientale dei Cantoni ma soprattutto il più lontano da Oltralpe. Com'è come non è, nessuno nei dintorni manipola con lo stesso ardore agnelli, vitelli, salmerini, vegetali. Una cucina di montagna giunta alle tre Stelle dopo una serie di tornanti da brivido. Con lui che continua a non disdegnare le spume di tradizione iberica. Perché se prima era assurdo abusarne, ora è assurdo schifarle manco fossero vibrioni. Si chiama personalità (foto di Veronique Hoegger)








Peter Gilmore, Quay
Sydney, Australia
26° nei 50Best
Avrà anche ricevuto il premio di miglior ristorante d'Australasia il Quay. Ma se chiedi a un Aussie in quale continente pensa di essere nato, quello risponderà nove su dieci "Asia" perché è quello il macrocosmo cui si sentono di appartenere. Occhi a mandorla e bulbi occidentali convivono egregiamente nei piatti di questo signore che, davanti all'Opera House di Sydney, intona sinfonie crossover col grande pescato dei dintorni, che può finire in un congee (porridge di riso cinese) arricchito da germogli, petali e fiori miniaturizzati. Che sono prassi comune nel Sud Est asiatico ma in questo caso svettanti nella Green House adiacente al ristorante (foto di Anson Smart)








Ignatius Chan, Iggy's
Singapore, Singapore
27° nei 50Best
Si fa presto a dire cucina asiatica d'autore. Ma poi, escluso il Giappone e certa Cina, in Paesi di grande e ghiotta tradizione popolare come Tailandia, Vietnam o Malesia le insegne creative valide stentano a decollare, spesso per incostanze organizzative congenite. In questo scenario spicca Singapore, Stato ricco e popolato da cuochi e ristoratori più abituati a viaggiare e a fiutare come gira il vento altrove. Con quel Carpaccio di manzo wagyu Blackmore con rapa, cavolfiore e fagioli di mare, Ignatius Chan è salito al rango di best chef in town. Un signature dish che specchia rigore francese, ritualità kaiseki e rispetto epistemologico dei tempi, di cottura (delle carni) e di coltura (dei vegetali)








Bruno Oteiza e Mikel Alonso, Biko
Città del Messico, Messico
31° nei 50Best
Sorpresa, la nuova cucina messicana "spacca" nella 50Best 2011: pioniere, il prode Enrique Olvera del Pujol, con le sue julienne di cactus e le sue polveri di tortillas, new entry al 49° posto (ma già nella Guida di Identità 3 anni fa). Più su in classifica oggi troviamo la proposta, solo apparentemente stramba, di due baschi quarantenni, venuti a Mexico per scuotere la cucina locale con sferificazioni, arie e liofilizzazioni. Tutto questo, emulando le doti immaginifiche di Pedro Subijana e «la capacità di guardare alla cucina con gli occhi di un niño» che Juan Marì Arzak trasmise loro. Il modo mejor per essere liberi. Di cucinare








Hans Välimäki, Chez Dominique
Helsinki, Finlandia
32° nei 50Best
Altra vecchia conoscenza di Identità Golose, questo ragazzo di Helsinki, come Redzepi in Danimarca o Mathias Dahlgren in Svezia, ha tolto il velo a una serie di ghiottonerie autoctone, che a elencarle tre lustri fa gli davano del pazzo: porcini artici, spaghetti "di" (nel senso del complemento di materia) lampone, galli cedroni al posto dei piccioni. «Non aspettatevi colori mediterranei sulla mia tavola», disse sul palco di Milano, «perché se fuori d'inverno è tutto ghiacciato, così dev'essere anche il piatto». Sapori/candori più inebrianti di una vodka

Gastón Acurio, Astrid y Gaston
Lima, Perù
42° nei 50Best

L'ultima volta che abbiamo sentito nominare il Perù è stato da Massimo Bottura, che laggiù scoprì il ceviche, tassello del suo Tutte le lingue del mondo. Ora però la grande cucina andina ha un volto, quello di Gastón Acurio, acclamatissimo alla Guildhall di Londra, aprile 2011. Con la moglie Astrid il cuoco si batte da anni per aiutare contadini e pescatori della biodiversità nazionale. Il suo motto è: «Que el Perú sea tu casa y el mundo sea tu barrio». Glocalismo andino, giocato su lucuma, loche e alfajor. Un po' il contraltare dei prodotti che Alex Atala enfatizza dell'altro lato dell'Amazzonia (foto Prisacom)

Galleria fotografica






Alex Atala, Dom
San Paolo, Brasile
7° nei 50Best
Definire outsider il numero 7 assoluto della S.Pellegrino 50 Best 2011, nonché vecchio conoscente di Identità Golose, è un azzardo. Ma Alex Atala veste meglio di altri i panni del cuoco di nuova generazione. Dopo aver trotterellato in lungo e in largo per il mondo, oggi è stalker di ogni prodotto del suo circondario paulista, amazzone, brasiliano: non gli dà tregua. Perché un Paese che vive un boom economico non può più andare avanti a feijoada, comida a kilo o impiattare foie gras in bisque o brunoise. Molto meglio sganciarsi dai colonialismi e magnificare manioca, priprioca e jabuticaba. Nuovi vocaboli che risuonano nel mondo col fragore di una torcida








Peter Goossens, Hof Van Cleve
Kruishoutem, Belgio
15° nei 50Best 
L'identità di un popolo è evidente più di tutto a spiare quello che mette in tavola. L'hanno capito prima degli altri i baschi e i catalani ma l'esempio sta tracimando alle altre comunità inquiete d'Europa. Come quella fiamminga in Belgio, ricapitolata ogni anno nei Flemish Primitives, sorta di Gastronomika del Nord Europa. Tra i Primitivi fiamminghi si distingue per stazza e timbro questo signore appuntato da 3 Stelle, che tra fiammanti ouvertures all'ostrica e condimenti local per impensabili selvaggine fa saltare sulla sedia i pregiudizi un po' razzisti di chi vuole il Belgio tutto nebbie e sbadigli








Heinz Reitbauer, Steirereck
Vienna, Austria
22° nei 50Best
Chi ironizza sulla precaria autorialità della cucina austriaca dovrebbe prima considerare che, negli ultimi decenni, gli interpreti più blasonati della scuola classica tedesca, quella più francofila, tengono in tasca certificati di nascita timbrati a Vienna o Salisburgo. Vedi il grande Eckart Witzigmann, impersonificazione di un Anschluss al contrario. Heinz Reitbauer ne è degno erede. Solo che ha scelto di pontificare da casa sua: ora è allo Stadtpark di Vienna per dare conto dei grandi vini e formaggi della Stiria. Ma anche per svegliare il gourmet dal culto della wienerschnitzel frisbee, qui ampiamente cancellato da laicissime spugnole, radici e vegetali (foto di Teresa Zoetl)








Andreas Caminada, Schloss Schauenstein
Fürstenau, Svizzera
23° nei 50Best
La Svizzera è un Paese neutrale ma non gastronomicamente: per vicinanza e opportunità, l'influsso francese è sempre stato lampante. Forse allora il 32enne Andreas Caminada ha saputo recidere il cordone con la Grandeur perché opera nel Graubünden, il più orientale dei Cantoni ma soprattutto il più lontano da Oltralpe. Com'è come non è, nessuno nei dintorni manipola con lo stesso ardore agnelli, vitelli, salmerini, vegetali. Una cucina di montagna giunta alle tre Stelle dopo una serie di tornanti da brivido. Con lui che continua a non disdegnare le spume di tradizione iberica. Perché se prima era assurdo abusarne, ora è assurdo schifarle manco fossero vibrioni. Si chiama personalità (foto di Veronique Hoegger)








Peter Gilmore, Quay
Sydney, Australia
26° nei 50Best
Avrà anche ricevuto il premio di miglior ristorante d'Australasia il Quay. Ma se chiedi a un Aussie in quale continente pensa di essere nato, quello risponderà nove su dieci "Asia" perché è quello il macrocosmo cui si sentono di appartenere. Occhi a mandorla e bulbi occidentali convivono egregiamente nei piatti di questo signore che, davanti all'Opera House di Sydney, intona sinfonie crossover col grande pescato dei dintorni, che può finire in un congee (porridge di riso cinese) arricchito da germogli, petali e fiori miniaturizzati. Che sono prassi comune nel Sud Est asiatico ma in questo caso svettanti nella Green House adiacente al ristorante (foto di Anson Smart)








Ignatius Chan, Iggy's
Singapore, Singapore
27° nei 50Best
Si fa presto a dire cucina asiatica d'autore. Ma poi, escluso il Giappone e certa Cina, in Paesi di grande e ghiotta tradizione popolare come Tailandia, Vietnam o Malesia le insegne creative valide stentano a decollare, spesso per incostanze organizzative congenite. In questo scenario spicca Singapore, Stato ricco e popolato da cuochi e ristoratori più abituati a viaggiare e a fiutare come gira il vento altrove. Con quel Carpaccio di manzo wagyu Blackmore con rapa, cavolfiore e fagioli di mare, Ignatius Chan è salito al rango di best chef in town. Un signature dish che specchia rigore francese, ritualità kaiseki e rispetto epistemologico dei tempi, di cottura (delle carni) e di coltura (dei vegetali)








Bruno Oteiza e Mikel Alonso, Biko
Città del Messico, Messico
31° nei 50Best
Sorpresa, la nuova cucina messicana "spacca" nella 50Best 2011: pioniere, il prode Enrique Olvera del Pujol, con le sue julienne di cactus e le sue polveri di tortillas, new entry al 49° posto (ma già nella Guida di Identità 3 anni fa). Più su in classifica oggi troviamo la proposta, solo apparentemente stramba, di due baschi quarantenni, venuti a Mexico per scuotere la cucina locale con sferificazioni, arie e liofilizzazioni. Tutto questo, emulando le doti immaginifiche di Pedro Subijana e «la capacità di guardare alla cucina con gli occhi di un niño» che Juan Marì Arzak trasmise loro. Il modo mejor per essere liberi. Di cucinare








Hans Välimäki, Chez Dominique
Helsinki, Finlandia
32° nei 50Best
Altra vecchia conoscenza di Identità Golose, questo ragazzo di Helsinki, come Redzepi in Danimarca o Mathias Dahlgren in Svezia, ha tolto il velo a una serie di ghiottonerie autoctone, che a elencarle tre lustri fa gli davano del pazzo: porcini artici, spaghetti "di" (nel senso del complemento di materia) lampone, galli cedroni al posto dei piccioni. «Non aspettatevi colori mediterranei sulla mia tavola», disse sul palco di Milano, «perché se fuori d'inverno è tutto ghiacciato, così dev'essere anche il piatto». Sapori/candori più inebrianti di una vodka








Gastón Acurio, Astrid y Gaston
Lima, Perù
42° nei 50Best
L'ultima volta che abbiamo sentito nominare il Perù è stato da Massimo Bottura, che laggiù scoprì il ceviche, tassello del suo Tutte le lingue del mondo. Ora però la grande cucina andina ha un volto, quello di Gastón Acurio, acclamatissimo alla Guildhall di Londra, aprile 2011. Con la moglie Astrid il cuoco si batte da anni per aiutare contadini e pescatori della biodiversità nazionale. Il suo motto è: «Que el Perú sea tu casa y el mundo sea tu barrio». Glocalismo andino, giocato su lucuma, loche e alfajor. Un po' il contraltare dei prodotti che Alex Atala enfatizza dell'altro lato dell'Amazzonia (foto Prisacom)

Anatoly Komm, Varvary
Mosca, Russia
48° nei 50Best

A lungo schiacciata dal peso di borscht, panne acide e cavoli baltici insapori, anche la Russia sta lentamente scrollandosi le spalle dalla sua tradizione più greve. Un lento zaricidio evidente soprattutto nel lavoro di questo signore che ha chiamato ironicamente la sua insegna "I Barbari". La sua cucina di prossimità ha in effetti le conseguenze di un flagello: attinge al chilometro zero ma poi lo scombina con camere sottovuoto, centrifughe e altre astuzie molecolari. Un voltafaccia che è un pugno nello stomaco a tutti quei russi «che non sono mai stufi di mangiare m***a» (definizione sua, asterischi nostri) (foto di Tim White)

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Alex Atala, Dom
San Paolo, Brasile
7° nei 50Best

Definire outsider il numero 7 assoluto della S.Pellegrino 50 Best 2011, nonché vecchio conoscente di Identità Golose, è un azzardo. Ma Alex Atala veste meglio di altri i panni del cuoco di nuova generazione. Dopo aver trotterellato in lungo e in largo per il mondo, oggi è stalker di ogni prodotto del suo circondario paulista, amazzone, brasiliano: non gli dà tregua. Perché un Paese che vive un boom economico non può più andare avanti a feijoada, comida a kilo o impiattare foie gras in bisque o brunoise. Molto meglio sganciarsi dai colonialismi e magnificare manioca, priprioca e jabuticaba. Nuovi vocaboli che risuonano nel mondo col fragore di una torcida

Galleria fotografica






Alex Atala, Dom
San Paolo, Brasile
7° nei 50Best
Definire outsider il numero 7 assoluto della S.Pellegrino 50 Best 2011, nonché vecchio conoscente di Identità Golose, è un azzardo. Ma Alex Atala veste meglio di altri i panni del cuoco di nuova generazione. Dopo aver trotterellato in lungo e in largo per il mondo, oggi è stalker di ogni prodotto del suo circondario paulista, amazzone, brasiliano: non gli dà tregua. Perché un Paese che vive un boom economico non può più andare avanti a feijoada, comida a kilo o impiattare foie gras in bisque o brunoise. Molto meglio sganciarsi dai colonialismi e magnificare manioca, priprioca e jabuticaba. Nuovi vocaboli che risuonano nel mondo col fragore di una torcida

Peter Goossens, Hof Van Cleve
Kruishoutem, Belgio
15° nei 50Best

L'identità di un popolo è evidente più di tutto a spiare quello che mette in tavola. L'hanno capito prima degli altri i baschi e i catalani ma l'esempio sta tracimando alle altre comunità inquiete d'Europa. Come quella fiamminga in Belgio, ricapitolata ogni anno nei Flemish Primitives, sorta di Gastronomika del Nord Europa. Tra i Primitivi fiamminghi si distingue per stazza e timbro questo signore appuntato da 3 Stelle, che tra fiammanti ouvertures all'ostrica e condimenti local per impensabili selvaggine fa saltare sulla sedia i pregiudizi un po' razzisti di chi vuole il Belgio tutto nebbie e sbadigli

Galleria fotografica






Alex Atala, Dom
San Paolo, Brasile
7° nei 50Best
Definire outsider il numero 7 assoluto della S.Pellegrino 50 Best 2011, nonché vecchio conoscente di Identità Golose, è un azzardo. Ma Alex Atala veste meglio di altri i panni del cuoco di nuova generazione. Dopo aver trotterellato in lungo e in largo per il mondo, oggi è stalker di ogni prodotto del suo circondario paulista, amazzone, brasiliano: non gli dà tregua. Perché un Paese che vive un boom economico non può più andare avanti a feijoada, comida a kilo o impiattare foie gras in bisque o brunoise. Molto meglio sganciarsi dai colonialismi e magnificare manioca, priprioca e jabuticaba. Nuovi vocaboli che risuonano nel mondo col fragore di una torcida








Peter Goossens, Hof Van Cleve
Kruishoutem, Belgio
15° nei 50Best 
L'identità di un popolo è evidente più di tutto a spiare quello che mette in tavola. L'hanno capito prima degli altri i baschi e i catalani ma l'esempio sta tracimando alle altre comunità inquiete d'Europa. Come quella fiamminga in Belgio, ricapitolata ogni anno nei Flemish Primitives, sorta di Gastronomika del Nord Europa. Tra i Primitivi fiamminghi si distingue per stazza e timbro questo signore appuntato da 3 Stelle, che tra fiammanti ouvertures all'ostrica e condimenti local per impensabili selvaggine fa saltare sulla sedia i pregiudizi un po' razzisti di chi vuole il Belgio tutto nebbie e sbadigli

Heinz Reitbauer, Steirereck
Vienna, Austria
22° nei 50Best

Chi ironizza sulla precaria autorialità della cucina austriaca dovrebbe prima considerare che, negli ultimi decenni, gli interpreti più blasonati della scuola classica tedesca, quella più francofila, tengono in tasca certificati di nascita timbrati a Vienna o Salisburgo. Vedi il grande Eckart Witzigmann, impersonificazione di un Anschluss al contrario. Heinz Reitbauer ne è degno erede. Solo che ha scelto di pontificare da casa sua: ora è allo Stadtpark di Vienna per dare conto dei grandi vini e formaggi della Stiria. Ma anche per svegliare il gourmet dal culto della wienerschnitzel frisbee, qui ampiamente cancellato da laicissime spugnole, radici e vegetali (foto di Teresa Zoetl)

Galleria fotografica






Alex Atala, Dom
San Paolo, Brasile
7° nei 50Best
Definire outsider il numero 7 assoluto della S.Pellegrino 50 Best 2011, nonché vecchio conoscente di Identità Golose, è un azzardo. Ma Alex Atala veste meglio di altri i panni del cuoco di nuova generazione. Dopo aver trotterellato in lungo e in largo per il mondo, oggi è stalker di ogni prodotto del suo circondario paulista, amazzone, brasiliano: non gli dà tregua. Perché un Paese che vive un boom economico non può più andare avanti a feijoada, comida a kilo o impiattare foie gras in bisque o brunoise. Molto meglio sganciarsi dai colonialismi e magnificare manioca, priprioca e jabuticaba. Nuovi vocaboli che risuonano nel mondo col fragore di una torcida








Peter Goossens, Hof Van Cleve
Kruishoutem, Belgio
15° nei 50Best 
L'identità di un popolo è evidente più di tutto a spiare quello che mette in tavola. L'hanno capito prima degli altri i baschi e i catalani ma l'esempio sta tracimando alle altre comunità inquiete d'Europa. Come quella fiamminga in Belgio, ricapitolata ogni anno nei Flemish Primitives, sorta di Gastronomika del Nord Europa. Tra i Primitivi fiamminghi si distingue per stazza e timbro questo signore appuntato da 3 Stelle, che tra fiammanti ouvertures all'ostrica e condimenti local per impensabili selvaggine fa saltare sulla sedia i pregiudizi un po' razzisti di chi vuole il Belgio tutto nebbie e sbadigli








Heinz Reitbauer, Steirereck
Vienna, Austria
22° nei 50Best
Chi ironizza sulla precaria autorialità della cucina austriaca dovrebbe prima considerare che, negli ultimi decenni, gli interpreti più blasonati della scuola classica tedesca, quella più francofila, tengono in tasca certificati di nascita timbrati a Vienna o Salisburgo. Vedi il grande Eckart Witzigmann, impersonificazione di un Anschluss al contrario. Heinz Reitbauer ne è degno erede. Solo che ha scelto di pontificare da casa sua: ora è allo Stadtpark di Vienna per dare conto dei grandi vini e formaggi della Stiria. Ma anche per svegliare il gourmet dal culto della wienerschnitzel frisbee, qui ampiamente cancellato da laicissime spugnole, radici e vegetali (foto di Teresa Zoetl)

Andreas Caminada, Schloss Schauenstein
Fürstenau, Svizzera
23° nei 50Best

La Svizzera è un Paese neutrale ma non gastronomicamente: per vicinanza e opportunità, l'influsso francese è sempre stato lampante. Forse allora il 32enne Andreas Caminada ha saputo recidere il cordone con la Grandeur perché opera nel Graubünden, il più orientale dei Cantoni ma soprattutto il più lontano da Oltralpe. Com'è come non è, nessuno nei dintorni manipola con lo stesso ardore agnelli, vitelli, salmerini, vegetali. Una cucina di montagna giunta alle tre Stelle dopo una serie di tornanti da brivido. Con lui che continua a non disdegnare le spume di tradizione iberica. Perché se prima era assurdo abusarne, ora è assurdo schifarle manco fossero vibrioni. Si chiama personalità (foto di Veronique Hoegger)

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Alex Atala, Dom
San Paolo, Brasile
7° nei 50Best
Definire outsider il numero 7 assoluto della S.Pellegrino 50 Best 2011, nonché vecchio conoscente di Identità Golose, è un azzardo. Ma Alex Atala veste meglio di altri i panni del cuoco di nuova generazione. Dopo aver trotterellato in lungo e in largo per il mondo, oggi è stalker di ogni prodotto del suo circondario paulista, amazzone, brasiliano: non gli dà tregua. Perché un Paese che vive un boom economico non può più andare avanti a feijoada, comida a kilo o impiattare foie gras in bisque o brunoise. Molto meglio sganciarsi dai colonialismi e magnificare manioca, priprioca e jabuticaba. Nuovi vocaboli che risuonano nel mondo col fragore di una torcida








Peter Goossens, Hof Van Cleve
Kruishoutem, Belgio
15° nei 50Best 
L'identità di un popolo è evidente più di tutto a spiare quello che mette in tavola. L'hanno capito prima degli altri i baschi e i catalani ma l'esempio sta tracimando alle altre comunità inquiete d'Europa. Come quella fiamminga in Belgio, ricapitolata ogni anno nei Flemish Primitives, sorta di Gastronomika del Nord Europa. Tra i Primitivi fiamminghi si distingue per stazza e timbro questo signore appuntato da 3 Stelle, che tra fiammanti ouvertures all'ostrica e condimenti local per impensabili selvaggine fa saltare sulla sedia i pregiudizi un po' razzisti di chi vuole il Belgio tutto nebbie e sbadigli








Heinz Reitbauer, Steirereck
Vienna, Austria
22° nei 50Best
Chi ironizza sulla precaria autorialità della cucina austriaca dovrebbe prima considerare che, negli ultimi decenni, gli interpreti più blasonati della scuola classica tedesca, quella più francofila, tengono in tasca certificati di nascita timbrati a Vienna o Salisburgo. Vedi il grande Eckart Witzigmann, impersonificazione di un Anschluss al contrario. Heinz Reitbauer ne è degno erede. Solo che ha scelto di pontificare da casa sua: ora è allo Stadtpark di Vienna per dare conto dei grandi vini e formaggi della Stiria. Ma anche per svegliare il gourmet dal culto della wienerschnitzel frisbee, qui ampiamente cancellato da laicissime spugnole, radici e vegetali (foto di Teresa Zoetl)








Andreas Caminada, Schloss Schauenstein
Fürstenau, Svizzera
23° nei 50Best
La Svizzera è un Paese neutrale ma non gastronomicamente: per vicinanza e opportunità, l'influsso francese è sempre stato lampante. Forse allora il 32enne Andreas Caminada ha saputo recidere il cordone con la Grandeur perché opera nel Graubünden, il più orientale dei Cantoni ma soprattutto il più lontano da Oltralpe. Com'è come non è, nessuno nei dintorni manipola con lo stesso ardore agnelli, vitelli, salmerini, vegetali. Una cucina di montagna giunta alle tre Stelle dopo una serie di tornanti da brivido. Con lui che continua a non disdegnare le spume di tradizione iberica. Perché se prima era assurdo abusarne, ora è assurdo schifarle manco fossero vibrioni. Si chiama personalità (foto di Veronique Hoegger)

Peter Gilmore, Quay
Sydney, Australia
26° nei 50Best

Avrà anche ricevuto il premio di miglior ristorante d'Australasia il Quay. Ma se chiedi a un Aussie in quale continente pensa di essere nato, quello risponderà nove su dieci "Asia" perché è quello il macrocosmo cui si sentono di appartenere. Occhi a mandorla e bulbi occidentali convivono egregiamente nei piatti di questo signore che, davanti all'Opera House di Sydney, intona sinfonie crossover col grande pescato dei dintorni, che può finire in un congee (porridge di riso cinese) arricchito da germogli, petali e fiori miniaturizzati. Che sono prassi comune nel Sud Est asiatico ma in questo caso svettanti nella Green House adiacente al ristorante (foto di Anson Smart)

Galleria fotografica






Alex Atala, Dom
San Paolo, Brasile
7° nei 50Best
Definire outsider il numero 7 assoluto della S.Pellegrino 50 Best 2011, nonché vecchio conoscente di Identità Golose, è un azzardo. Ma Alex Atala veste meglio di altri i panni del cuoco di nuova generazione. Dopo aver trotterellato in lungo e in largo per il mondo, oggi è stalker di ogni prodotto del suo circondario paulista, amazzone, brasiliano: non gli dà tregua. Perché un Paese che vive un boom economico non può più andare avanti a feijoada, comida a kilo o impiattare foie gras in bisque o brunoise. Molto meglio sganciarsi dai colonialismi e magnificare manioca, priprioca e jabuticaba. Nuovi vocaboli che risuonano nel mondo col fragore di una torcida








Peter Goossens, Hof Van Cleve
Kruishoutem, Belgio
15° nei 50Best 
L'identità di un popolo è evidente più di tutto a spiare quello che mette in tavola. L'hanno capito prima degli altri i baschi e i catalani ma l'esempio sta tracimando alle altre comunità inquiete d'Europa. Come quella fiamminga in Belgio, ricapitolata ogni anno nei Flemish Primitives, sorta di Gastronomika del Nord Europa. Tra i Primitivi fiamminghi si distingue per stazza e timbro questo signore appuntato da 3 Stelle, che tra fiammanti ouvertures all'ostrica e condimenti local per impensabili selvaggine fa saltare sulla sedia i pregiudizi un po' razzisti di chi vuole il Belgio tutto nebbie e sbadigli








Heinz Reitbauer, Steirereck
Vienna, Austria
22° nei 50Best
Chi ironizza sulla precaria autorialità della cucina austriaca dovrebbe prima considerare che, negli ultimi decenni, gli interpreti più blasonati della scuola classica tedesca, quella più francofila, tengono in tasca certificati di nascita timbrati a Vienna o Salisburgo. Vedi il grande Eckart Witzigmann, impersonificazione di un Anschluss al contrario. Heinz Reitbauer ne è degno erede. Solo che ha scelto di pontificare da casa sua: ora è allo Stadtpark di Vienna per dare conto dei grandi vini e formaggi della Stiria. Ma anche per svegliare il gourmet dal culto della wienerschnitzel frisbee, qui ampiamente cancellato da laicissime spugnole, radici e vegetali (foto di Teresa Zoetl)








Andreas Caminada, Schloss Schauenstein
Fürstenau, Svizzera
23° nei 50Best
La Svizzera è un Paese neutrale ma non gastronomicamente: per vicinanza e opportunità, l'influsso francese è sempre stato lampante. Forse allora il 32enne Andreas Caminada ha saputo recidere il cordone con la Grandeur perché opera nel Graubünden, il più orientale dei Cantoni ma soprattutto il più lontano da Oltralpe. Com'è come non è, nessuno nei dintorni manipola con lo stesso ardore agnelli, vitelli, salmerini, vegetali. Una cucina di montagna giunta alle tre Stelle dopo una serie di tornanti da brivido. Con lui che continua a non disdegnare le spume di tradizione iberica. Perché se prima era assurdo abusarne, ora è assurdo schifarle manco fossero vibrioni. Si chiama personalità (foto di Veronique Hoegger)








Peter Gilmore, Quay
Sydney, Australia
26° nei 50Best
Avrà anche ricevuto il premio di miglior ristorante d'Australasia il Quay. Ma se chiedi a un Aussie in quale continente pensa di essere nato, quello risponderà nove su dieci "Asia" perché è quello il macrocosmo cui si sentono di appartenere. Occhi a mandorla e bulbi occidentali convivono egregiamente nei piatti di questo signore che, davanti all'Opera House di Sydney, intona sinfonie crossover col grande pescato dei dintorni, che può finire in un congee (porridge di riso cinese) arricchito da germogli, petali e fiori miniaturizzati. Che sono prassi comune nel Sud Est asiatico ma in questo caso svettanti nella Green House adiacente al ristorante (foto di Anson Smart)

Ignatius Chan, Iggy's
Singapore, Singapore
27° nei 50Best

Si fa presto a dire cucina asiatica d'autore. Ma poi, escluso il Giappone e certa Cina, in Paesi di grande e ghiotta tradizione popolare come Tailandia, Vietnam o Malesia le insegne creative valide stentano a decollare, spesso per incostanze organizzative congenite. In questo scenario spicca Singapore, Stato ricco e popolato da cuochi e ristoratori più abituati a viaggiare e a fiutare come gira il vento altrove. Con quel Carpaccio di manzo wagyu Blackmore con rapa, cavolfiore e fagioli di mare, Ignatius Chan è salito al rango di best chef in town. Un signature dish che specchia rigore francese, ritualità kaiseki e rispetto epistemologico dei tempi, di cottura (delle carni) e di coltura (dei vegetali)

Galleria fotografica






Alex Atala, Dom
San Paolo, Brasile
7° nei 50Best
Definire outsider il numero 7 assoluto della S.Pellegrino 50 Best 2011, nonché vecchio conoscente di Identità Golose, è un azzardo. Ma Alex Atala veste meglio di altri i panni del cuoco di nuova generazione. Dopo aver trotterellato in lungo e in largo per il mondo, oggi è stalker di ogni prodotto del suo circondario paulista, amazzone, brasiliano: non gli dà tregua. Perché un Paese che vive un boom economico non può più andare avanti a feijoada, comida a kilo o impiattare foie gras in bisque o brunoise. Molto meglio sganciarsi dai colonialismi e magnificare manioca, priprioca e jabuticaba. Nuovi vocaboli che risuonano nel mondo col fragore di una torcida








Peter Goossens, Hof Van Cleve
Kruishoutem, Belgio
15° nei 50Best 
L'identità di un popolo è evidente più di tutto a spiare quello che mette in tavola. L'hanno capito prima degli altri i baschi e i catalani ma l'esempio sta tracimando alle altre comunità inquiete d'Europa. Come quella fiamminga in Belgio, ricapitolata ogni anno nei Flemish Primitives, sorta di Gastronomika del Nord Europa. Tra i Primitivi fiamminghi si distingue per stazza e timbro questo signore appuntato da 3 Stelle, che tra fiammanti ouvertures all'ostrica e condimenti local per impensabili selvaggine fa saltare sulla sedia i pregiudizi un po' razzisti di chi vuole il Belgio tutto nebbie e sbadigli








Heinz Reitbauer, Steirereck
Vienna, Austria
22° nei 50Best
Chi ironizza sulla precaria autorialità della cucina austriaca dovrebbe prima considerare che, negli ultimi decenni, gli interpreti più blasonati della scuola classica tedesca, quella più francofila, tengono in tasca certificati di nascita timbrati a Vienna o Salisburgo. Vedi il grande Eckart Witzigmann, impersonificazione di un Anschluss al contrario. Heinz Reitbauer ne è degno erede. Solo che ha scelto di pontificare da casa sua: ora è allo Stadtpark di Vienna per dare conto dei grandi vini e formaggi della Stiria. Ma anche per svegliare il gourmet dal culto della wienerschnitzel frisbee, qui ampiamente cancellato da laicissime spugnole, radici e vegetali (foto di Teresa Zoetl)








Andreas Caminada, Schloss Schauenstein
Fürstenau, Svizzera
23° nei 50Best
La Svizzera è un Paese neutrale ma non gastronomicamente: per vicinanza e opportunità, l'influsso francese è sempre stato lampante. Forse allora il 32enne Andreas Caminada ha saputo recidere il cordone con la Grandeur perché opera nel Graubünden, il più orientale dei Cantoni ma soprattutto il più lontano da Oltralpe. Com'è come non è, nessuno nei dintorni manipola con lo stesso ardore agnelli, vitelli, salmerini, vegetali. Una cucina di montagna giunta alle tre Stelle dopo una serie di tornanti da brivido. Con lui che continua a non disdegnare le spume di tradizione iberica. Perché se prima era assurdo abusarne, ora è assurdo schifarle manco fossero vibrioni. Si chiama personalità (foto di Veronique Hoegger)








Peter Gilmore, Quay
Sydney, Australia
26° nei 50Best
Avrà anche ricevuto il premio di miglior ristorante d'Australasia il Quay. Ma se chiedi a un Aussie in quale continente pensa di essere nato, quello risponderà nove su dieci "Asia" perché è quello il macrocosmo cui si sentono di appartenere. Occhi a mandorla e bulbi occidentali convivono egregiamente nei piatti di questo signore che, davanti all'Opera House di Sydney, intona sinfonie crossover col grande pescato dei dintorni, che può finire in un congee (porridge di riso cinese) arricchito da germogli, petali e fiori miniaturizzati. Che sono prassi comune nel Sud Est asiatico ma in questo caso svettanti nella Green House adiacente al ristorante (foto di Anson Smart)








Ignatius Chan, Iggy's
Singapore, Singapore
27° nei 50Best
Si fa presto a dire cucina asiatica d'autore. Ma poi, escluso il Giappone e certa Cina, in Paesi di grande e ghiotta tradizione popolare come Tailandia, Vietnam o Malesia le insegne creative valide stentano a decollare, spesso per incostanze organizzative congenite. In questo scenario spicca Singapore, Stato ricco e popolato da cuochi e ristoratori più abituati a viaggiare e a fiutare come gira il vento altrove. Con quel Carpaccio di manzo wagyu Blackmore con rapa, cavolfiore e fagioli di mare, Ignatius Chan è salito al rango di best chef in town. Un signature dish che specchia rigore francese, ritualità kaiseki e rispetto epistemologico dei tempi, di cottura (delle carni) e di coltura (dei vegetali)

Bruno Oteiza e Mikel Alonso, Biko
Città del Messico, Messico
31° nei 50Best

Sorpresa, la nuova cucina messicana "spacca" nella 50Best 2011: pioniere, il prode Enrique Olvera del Pujol, con le sue julienne di cactus e le sue polveri di tortillas, new entry al 49° posto (ma già nella Guida di Identità 3 anni fa). Più su in classifica oggi troviamo la proposta, solo apparentemente stramba, di due baschi quarantenni, venuti a Mexico per scuotere la cucina locale con sferificazioni, arie e liofilizzazioni. Tutto questo, emulando le doti immaginifiche di Pedro Subijana e «la capacità di guardare alla cucina con gli occhi di un niño» che Juan Marì Arzak trasmise loro. Il modo mejor per essere liberi. Di cucinare

Galleria fotografica






Alex Atala, Dom
San Paolo, Brasile
7° nei 50Best
Definire outsider il numero 7 assoluto della S.Pellegrino 50 Best 2011, nonché vecchio conoscente di Identità Golose, è un azzardo. Ma Alex Atala veste meglio di altri i panni del cuoco di nuova generazione. Dopo aver trotterellato in lungo e in largo per il mondo, oggi è stalker di ogni prodotto del suo circondario paulista, amazzone, brasiliano: non gli dà tregua. Perché un Paese che vive un boom economico non può più andare avanti a feijoada, comida a kilo o impiattare foie gras in bisque o brunoise. Molto meglio sganciarsi dai colonialismi e magnificare manioca, priprioca e jabuticaba. Nuovi vocaboli che risuonano nel mondo col fragore di una torcida








Peter Goossens, Hof Van Cleve
Kruishoutem, Belgio
15° nei 50Best 
L'identità di un popolo è evidente più di tutto a spiare quello che mette in tavola. L'hanno capito prima degli altri i baschi e i catalani ma l'esempio sta tracimando alle altre comunità inquiete d'Europa. Come quella fiamminga in Belgio, ricapitolata ogni anno nei Flemish Primitives, sorta di Gastronomika del Nord Europa. Tra i Primitivi fiamminghi si distingue per stazza e timbro questo signore appuntato da 3 Stelle, che tra fiammanti ouvertures all'ostrica e condimenti local per impensabili selvaggine fa saltare sulla sedia i pregiudizi un po' razzisti di chi vuole il Belgio tutto nebbie e sbadigli








Heinz Reitbauer, Steirereck
Vienna, Austria
22° nei 50Best
Chi ironizza sulla precaria autorialità della cucina austriaca dovrebbe prima considerare che, negli ultimi decenni, gli interpreti più blasonati della scuola classica tedesca, quella più francofila, tengono in tasca certificati di nascita timbrati a Vienna o Salisburgo. Vedi il grande Eckart Witzigmann, impersonificazione di un Anschluss al contrario. Heinz Reitbauer ne è degno erede. Solo che ha scelto di pontificare da casa sua: ora è allo Stadtpark di Vienna per dare conto dei grandi vini e formaggi della Stiria. Ma anche per svegliare il gourmet dal culto della wienerschnitzel frisbee, qui ampiamente cancellato da laicissime spugnole, radici e vegetali (foto di Teresa Zoetl)








Andreas Caminada, Schloss Schauenstein
Fürstenau, Svizzera
23° nei 50Best
La Svizzera è un Paese neutrale ma non gastronomicamente: per vicinanza e opportunità, l'influsso francese è sempre stato lampante. Forse allora il 32enne Andreas Caminada ha saputo recidere il cordone con la Grandeur perché opera nel Graubünden, il più orientale dei Cantoni ma soprattutto il più lontano da Oltralpe. Com'è come non è, nessuno nei dintorni manipola con lo stesso ardore agnelli, vitelli, salmerini, vegetali. Una cucina di montagna giunta alle tre Stelle dopo una serie di tornanti da brivido. Con lui che continua a non disdegnare le spume di tradizione iberica. Perché se prima era assurdo abusarne, ora è assurdo schifarle manco fossero vibrioni. Si chiama personalità (foto di Veronique Hoegger)








Peter Gilmore, Quay
Sydney, Australia
26° nei 50Best
Avrà anche ricevuto il premio di miglior ristorante d'Australasia il Quay. Ma se chiedi a un Aussie in quale continente pensa di essere nato, quello risponderà nove su dieci "Asia" perché è quello il macrocosmo cui si sentono di appartenere. Occhi a mandorla e bulbi occidentali convivono egregiamente nei piatti di questo signore che, davanti all'Opera House di Sydney, intona sinfonie crossover col grande pescato dei dintorni, che può finire in un congee (porridge di riso cinese) arricchito da germogli, petali e fiori miniaturizzati. Che sono prassi comune nel Sud Est asiatico ma in questo caso svettanti nella Green House adiacente al ristorante (foto di Anson Smart)








Ignatius Chan, Iggy's
Singapore, Singapore
27° nei 50Best
Si fa presto a dire cucina asiatica d'autore. Ma poi, escluso il Giappone e certa Cina, in Paesi di grande e ghiotta tradizione popolare come Tailandia, Vietnam o Malesia le insegne creative valide stentano a decollare, spesso per incostanze organizzative congenite. In questo scenario spicca Singapore, Stato ricco e popolato da cuochi e ristoratori più abituati a viaggiare e a fiutare come gira il vento altrove. Con quel Carpaccio di manzo wagyu Blackmore con rapa, cavolfiore e fagioli di mare, Ignatius Chan è salito al rango di best chef in town. Un signature dish che specchia rigore francese, ritualità kaiseki e rispetto epistemologico dei tempi, di cottura (delle carni) e di coltura (dei vegetali)








Bruno Oteiza e Mikel Alonso, Biko
Città del Messico, Messico
31° nei 50Best
Sorpresa, la nuova cucina messicana "spacca" nella 50Best 2011: pioniere, il prode Enrique Olvera del Pujol, con le sue julienne di cactus e le sue polveri di tortillas, new entry al 49° posto (ma già nella Guida di Identità 3 anni fa). Più su in classifica oggi troviamo la proposta, solo apparentemente stramba, di due baschi quarantenni, venuti a Mexico per scuotere la cucina locale con sferificazioni, arie e liofilizzazioni. Tutto questo, emulando le doti immaginifiche di Pedro Subijana e «la capacità di guardare alla cucina con gli occhi di un niño» che Juan Marì Arzak trasmise loro. Il modo mejor per essere liberi. Di cucinare

Hans Välimäki, Chez Dominique
Helsinki, Finlandia
32° nei 50Best

Altra vecchia conoscenza di Identità Golose, questo ragazzo di Helsinki, come Redzepi in Danimarca o Mathias Dahlgren in Svezia, ha tolto il velo a una serie di ghiottonerie autoctone, che a elencarle tre lustri fa gli davano del pazzo: porcini artici, spaghetti "di" (nel senso del complemento di materia) lampone, galli cedroni al posto dei piccioni. «Non aspettatevi colori mediterranei sulla mia tavola», disse sul palco di Milano, «perché se fuori d'inverno è tutto ghiacciato, così dev'essere anche il piatto». Sapori/candori più inebrianti di una vodka

Galleria fotografica






Alex Atala, Dom
San Paolo, Brasile
7° nei 50Best
Definire outsider il numero 7 assoluto della S.Pellegrino 50 Best 2011, nonché vecchio conoscente di Identità Golose, è un azzardo. Ma Alex Atala veste meglio di altri i panni del cuoco di nuova generazione. Dopo aver trotterellato in lungo e in largo per il mondo, oggi è stalker di ogni prodotto del suo circondario paulista, amazzone, brasiliano: non gli dà tregua. Perché un Paese che vive un boom economico non può più andare avanti a feijoada, comida a kilo o impiattare foie gras in bisque o brunoise. Molto meglio sganciarsi dai colonialismi e magnificare manioca, priprioca e jabuticaba. Nuovi vocaboli che risuonano nel mondo col fragore di una torcida








Peter Goossens, Hof Van Cleve
Kruishoutem, Belgio
15° nei 50Best 
L'identità di un popolo è evidente più di tutto a spiare quello che mette in tavola. L'hanno capito prima degli altri i baschi e i catalani ma l'esempio sta tracimando alle altre comunità inquiete d'Europa. Come quella fiamminga in Belgio, ricapitolata ogni anno nei Flemish Primitives, sorta di Gastronomika del Nord Europa. Tra i Primitivi fiamminghi si distingue per stazza e timbro questo signore appuntato da 3 Stelle, che tra fiammanti ouvertures all'ostrica e condimenti local per impensabili selvaggine fa saltare sulla sedia i pregiudizi un po' razzisti di chi vuole il Belgio tutto nebbie e sbadigli








Heinz Reitbauer, Steirereck
Vienna, Austria
22° nei 50Best
Chi ironizza sulla precaria autorialità della cucina austriaca dovrebbe prima considerare che, negli ultimi decenni, gli interpreti più blasonati della scuola classica tedesca, quella più francofila, tengono in tasca certificati di nascita timbrati a Vienna o Salisburgo. Vedi il grande Eckart Witzigmann, impersonificazione di un Anschluss al contrario. Heinz Reitbauer ne è degno erede. Solo che ha scelto di pontificare da casa sua: ora è allo Stadtpark di Vienna per dare conto dei grandi vini e formaggi della Stiria. Ma anche per svegliare il gourmet dal culto della wienerschnitzel frisbee, qui ampiamente cancellato da laicissime spugnole, radici e vegetali (foto di Teresa Zoetl)








Andreas Caminada, Schloss Schauenstein
Fürstenau, Svizzera
23° nei 50Best
La Svizzera è un Paese neutrale ma non gastronomicamente: per vicinanza e opportunità, l'influsso francese è sempre stato lampante. Forse allora il 32enne Andreas Caminada ha saputo recidere il cordone con la Grandeur perché opera nel Graubünden, il più orientale dei Cantoni ma soprattutto il più lontano da Oltralpe. Com'è come non è, nessuno nei dintorni manipola con lo stesso ardore agnelli, vitelli, salmerini, vegetali. Una cucina di montagna giunta alle tre Stelle dopo una serie di tornanti da brivido. Con lui che continua a non disdegnare le spume di tradizione iberica. Perché se prima era assurdo abusarne, ora è assurdo schifarle manco fossero vibrioni. Si chiama personalità (foto di Veronique Hoegger)








Peter Gilmore, Quay
Sydney, Australia
26° nei 50Best
Avrà anche ricevuto il premio di miglior ristorante d'Australasia il Quay. Ma se chiedi a un Aussie in quale continente pensa di essere nato, quello risponderà nove su dieci "Asia" perché è quello il macrocosmo cui si sentono di appartenere. Occhi a mandorla e bulbi occidentali convivono egregiamente nei piatti di questo signore che, davanti all'Opera House di Sydney, intona sinfonie crossover col grande pescato dei dintorni, che può finire in un congee (porridge di riso cinese) arricchito da germogli, petali e fiori miniaturizzati. Che sono prassi comune nel Sud Est asiatico ma in questo caso svettanti nella Green House adiacente al ristorante (foto di Anson Smart)








Ignatius Chan, Iggy's
Singapore, Singapore
27° nei 50Best
Si fa presto a dire cucina asiatica d'autore. Ma poi, escluso il Giappone e certa Cina, in Paesi di grande e ghiotta tradizione popolare come Tailandia, Vietnam o Malesia le insegne creative valide stentano a decollare, spesso per incostanze organizzative congenite. In questo scenario spicca Singapore, Stato ricco e popolato da cuochi e ristoratori più abituati a viaggiare e a fiutare come gira il vento altrove. Con quel Carpaccio di manzo wagyu Blackmore con rapa, cavolfiore e fagioli di mare, Ignatius Chan è salito al rango di best chef in town. Un signature dish che specchia rigore francese, ritualità kaiseki e rispetto epistemologico dei tempi, di cottura (delle carni) e di coltura (dei vegetali)








Bruno Oteiza e Mikel Alonso, Biko
Città del Messico, Messico
31° nei 50Best
Sorpresa, la nuova cucina messicana "spacca" nella 50Best 2011: pioniere, il prode Enrique Olvera del Pujol, con le sue julienne di cactus e le sue polveri di tortillas, new entry al 49° posto (ma già nella Guida di Identità 3 anni fa). Più su in classifica oggi troviamo la proposta, solo apparentemente stramba, di due baschi quarantenni, venuti a Mexico per scuotere la cucina locale con sferificazioni, arie e liofilizzazioni. Tutto questo, emulando le doti immaginifiche di Pedro Subijana e «la capacità di guardare alla cucina con gli occhi di un niño» che Juan Marì Arzak trasmise loro. Il modo mejor per essere liberi. Di cucinare








Hans Välimäki, Chez Dominique
Helsinki, Finlandia
32° nei 50Best
Altra vecchia conoscenza di Identità Golose, questo ragazzo di Helsinki, come Redzepi in Danimarca o Mathias Dahlgren in Svezia, ha tolto il velo a una serie di ghiottonerie autoctone, che a elencarle tre lustri fa gli davano del pazzo: porcini artici, spaghetti "di" (nel senso del complemento di materia) lampone, galli cedroni al posto dei piccioni. «Non aspettatevi colori mediterranei sulla mia tavola», disse sul palco di Milano, «perché se fuori d'inverno è tutto ghiacciato, così dev'essere anche il piatto». Sapori/candori più inebrianti di una vodka

Gastón Acurio, Astrid y Gaston
Lima, Perù
42° nei 50Best

L'ultima volta che abbiamo sentito nominare il Perù è stato da Massimo Bottura, che laggiù scoprì il ceviche, tassello del suo Tutte le lingue del mondo. Ora però la grande cucina andina ha un volto, quello di Gastón Acurio, acclamatissimo alla Guildhall di Londra, aprile 2011. Con la moglie Astrid il cuoco si batte da anni per aiutare contadini e pescatori della biodiversità nazionale. Il suo motto è: «Que el Perú sea tu casa y el mundo sea tu barrio». Glocalismo andino, giocato su lucuma, loche e alfajor. Un po' il contraltare dei prodotti che Alex Atala enfatizza dell'altro lato dell'Amazzonia (foto Prisacom)

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Alex Atala, Dom
San Paolo, Brasile
7° nei 50Best
Definire outsider il numero 7 assoluto della S.Pellegrino 50 Best 2011, nonché vecchio conoscente di Identità Golose, è un azzardo. Ma Alex Atala veste meglio di altri i panni del cuoco di nuova generazione. Dopo aver trotterellato in lungo e in largo per il mondo, oggi è stalker di ogni prodotto del suo circondario paulista, amazzone, brasiliano: non gli dà tregua. Perché un Paese che vive un boom economico non può più andare avanti a feijoada, comida a kilo o impiattare foie gras in bisque o brunoise. Molto meglio sganciarsi dai colonialismi e magnificare manioca, priprioca e jabuticaba. Nuovi vocaboli che risuonano nel mondo col fragore di una torcida








Peter Goossens, Hof Van Cleve
Kruishoutem, Belgio
15° nei 50Best 
L'identità di un popolo è evidente più di tutto a spiare quello che mette in tavola. L'hanno capito prima degli altri i baschi e i catalani ma l'esempio sta tracimando alle altre comunità inquiete d'Europa. Come quella fiamminga in Belgio, ricapitolata ogni anno nei Flemish Primitives, sorta di Gastronomika del Nord Europa. Tra i Primitivi fiamminghi si distingue per stazza e timbro questo signore appuntato da 3 Stelle, che tra fiammanti ouvertures all'ostrica e condimenti local per impensabili selvaggine fa saltare sulla sedia i pregiudizi un po' razzisti di chi vuole il Belgio tutto nebbie e sbadigli








Heinz Reitbauer, Steirereck
Vienna, Austria
22° nei 50Best
Chi ironizza sulla precaria autorialità della cucina austriaca dovrebbe prima considerare che, negli ultimi decenni, gli interpreti più blasonati della scuola classica tedesca, quella più francofila, tengono in tasca certificati di nascita timbrati a Vienna o Salisburgo. Vedi il grande Eckart Witzigmann, impersonificazione di un Anschluss al contrario. Heinz Reitbauer ne è degno erede. Solo che ha scelto di pontificare da casa sua: ora è allo Stadtpark di Vienna per dare conto dei grandi vini e formaggi della Stiria. Ma anche per svegliare il gourmet dal culto della wienerschnitzel frisbee, qui ampiamente cancellato da laicissime spugnole, radici e vegetali (foto di Teresa Zoetl)








Andreas Caminada, Schloss Schauenstein
Fürstenau, Svizzera
23° nei 50Best
La Svizzera è un Paese neutrale ma non gastronomicamente: per vicinanza e opportunità, l'influsso francese è sempre stato lampante. Forse allora il 32enne Andreas Caminada ha saputo recidere il cordone con la Grandeur perché opera nel Graubünden, il più orientale dei Cantoni ma soprattutto il più lontano da Oltralpe. Com'è come non è, nessuno nei dintorni manipola con lo stesso ardore agnelli, vitelli, salmerini, vegetali. Una cucina di montagna giunta alle tre Stelle dopo una serie di tornanti da brivido. Con lui che continua a non disdegnare le spume di tradizione iberica. Perché se prima era assurdo abusarne, ora è assurdo schifarle manco fossero vibrioni. Si chiama personalità (foto di Veronique Hoegger)








Peter Gilmore, Quay
Sydney, Australia
26° nei 50Best
Avrà anche ricevuto il premio di miglior ristorante d'Australasia il Quay. Ma se chiedi a un Aussie in quale continente pensa di essere nato, quello risponderà nove su dieci "Asia" perché è quello il macrocosmo cui si sentono di appartenere. Occhi a mandorla e bulbi occidentali convivono egregiamente nei piatti di questo signore che, davanti all'Opera House di Sydney, intona sinfonie crossover col grande pescato dei dintorni, che può finire in un congee (porridge di riso cinese) arricchito da germogli, petali e fiori miniaturizzati. Che sono prassi comune nel Sud Est asiatico ma in questo caso svettanti nella Green House adiacente al ristorante (foto di Anson Smart)








Ignatius Chan, Iggy's
Singapore, Singapore
27° nei 50Best
Si fa presto a dire cucina asiatica d'autore. Ma poi, escluso il Giappone e certa Cina, in Paesi di grande e ghiotta tradizione popolare come Tailandia, Vietnam o Malesia le insegne creative valide stentano a decollare, spesso per incostanze organizzative congenite. In questo scenario spicca Singapore, Stato ricco e popolato da cuochi e ristoratori più abituati a viaggiare e a fiutare come gira il vento altrove. Con quel Carpaccio di manzo wagyu Blackmore con rapa, cavolfiore e fagioli di mare, Ignatius Chan è salito al rango di best chef in town. Un signature dish che specchia rigore francese, ritualità kaiseki e rispetto epistemologico dei tempi, di cottura (delle carni) e di coltura (dei vegetali)








Bruno Oteiza e Mikel Alonso, Biko
Città del Messico, Messico
31° nei 50Best
Sorpresa, la nuova cucina messicana "spacca" nella 50Best 2011: pioniere, il prode Enrique Olvera del Pujol, con le sue julienne di cactus e le sue polveri di tortillas, new entry al 49° posto (ma già nella Guida di Identità 3 anni fa). Più su in classifica oggi troviamo la proposta, solo apparentemente stramba, di due baschi quarantenni, venuti a Mexico per scuotere la cucina locale con sferificazioni, arie e liofilizzazioni. Tutto questo, emulando le doti immaginifiche di Pedro Subijana e «la capacità di guardare alla cucina con gli occhi di un niño» che Juan Marì Arzak trasmise loro. Il modo mejor per essere liberi. Di cucinare








Hans Välimäki, Chez Dominique
Helsinki, Finlandia
32° nei 50Best
Altra vecchia conoscenza di Identità Golose, questo ragazzo di Helsinki, come Redzepi in Danimarca o Mathias Dahlgren in Svezia, ha tolto il velo a una serie di ghiottonerie autoctone, che a elencarle tre lustri fa gli davano del pazzo: porcini artici, spaghetti "di" (nel senso del complemento di materia) lampone, galli cedroni al posto dei piccioni. «Non aspettatevi colori mediterranei sulla mia tavola», disse sul palco di Milano, «perché se fuori d'inverno è tutto ghiacciato, così dev'essere anche il piatto». Sapori/candori più inebrianti di una vodka








Gastón Acurio, Astrid y Gaston
Lima, Perù
42° nei 50Best
L'ultima volta che abbiamo sentito nominare il Perù è stato da Massimo Bottura, che laggiù scoprì il ceviche, tassello del suo Tutte le lingue del mondo. Ora però la grande cucina andina ha un volto, quello di Gastón Acurio, acclamatissimo alla Guildhall di Londra, aprile 2011. Con la moglie Astrid il cuoco si batte da anni per aiutare contadini e pescatori della biodiversità nazionale. Il suo motto è: «Que el Perú sea tu casa y el mundo sea tu barrio». Glocalismo andino, giocato su lucuma, loche e alfajor. Un po' il contraltare dei prodotti che Alex Atala enfatizza dell'altro lato dell'Amazzonia (foto Prisacom)

Anatoly Komm, Varvary
Mosca, Russia
48° nei 50Best

A lungo schiacciata dal peso di borscht, panne acide e cavoli baltici insapori, anche la Russia sta lentamente scrollandosi le spalle dalla sua tradizione più greve. Un lento zaricidio evidente soprattutto nel lavoro di questo signore che ha chiamato ironicamente la sua insegna "I Barbari". La sua cucina di prossimità ha in effetti le conseguenze di un flagello: attinge al chilometro zero ma poi lo scombina con camere sottovuoto, centrifughe e altre astuzie molecolari. Un voltafaccia che è un pugno nello stomaco a tutti quei russi «che non sono mai stufi di mangiare m***a» (definizione sua, asterischi nostri) (foto di Tim White)


Zanattamente buono

Il punto di Gabriele Zanatta: insegne, cuochi e ghiotti orientamenti in Italia e nel mondo

Gabriele Zanatta

di

Gabriele Zanatta

classe 1973, laurea in Filosofia, coordina la Guida ai Ristoranti di Identità Golose e tiene lezioni di storia della gastronomia presso istituti e università. 
instagram @gabrielezanatt

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