Domenica 5 marzo, Christian Puglisi sarà relatore a Identità Milano per la terza volta. Dopo l’apertura del Relæ (anno 2010), il messinese di Copenhagen ha esteso altri tentacoli sulla capitale danese: il wine bar con piccoli piatti Manfreds & Vin, la panetteria (sostantivo riduttivo) Mirabelle, la pizzeria (anche qui, non solo pizzeria) Bæst e, più di recente, Rudo, bar d’aperitivo varato all’interno del neonato Eataly danese.
Se in questi 7 anni Puglisi è riuscito ad alternare con grande efficacia il mestiere di cuoco a quello di imprenditore, lo deve al fatto di aver posizionato le persone giuste al posto giusto. Come Jonathan Tam, promosso head chef del Relae nel giugno scorso e correlatore al suo fianco tra pochi giorni. Non è il primo cuoco canadese che si fa largo in Danimarca - vedi Ben Ing, attuale head chef del Noma, o Daniel Burns, pasticciere che ha aperto (e ora chiuso) Luksus a New York. «Per noi Copenhagen è un posto fantastico», conferma il ragazzo, originario di Edmonton, nell’Alberta, «le stagioni e i prodotti sono molto simili a quelli del nostro paese. Così quel che impariamo in Scandinavia potrà essere applicato un giorno a casa nostra».

Carrots and lemon thyme. Carote e timo limone su un brodo di carote grigliate (foto Zanatta)
La liaison tra
Tam e
Puglisi dura quasi da un decennio: «Ci incontrammo nel novembre del 2007», ci racconta il cuoco 31enne, «quando
Christian era sous chef al
Noma. Ero entrato per cominciare il mio stage e lui è stato il primo a salutarmi». La scuola
Redzepi li affiata così bene che nel 2010 preparano il salto in solitaria a Nørrebro, nella periferia nord-ovest del paese.
All’epoca, la Jægersborggade è popolata da pusher e sbandati. In un quinquennio diventa un’ambitissima food street con piccole e grandi insegne di valore. Merito del
Relæ, locale-traino che acquista rapidi consensi anche grazie a una distanziazione dal paradigma
nomiano, con l’accoglienza di materie prime italiane («perché devo rinunciare all’olio d’oliva?» è uno storico
statement di
Puglisi) e un approccio che, dietro a impiatti all’apparenza semplici, nasconde il tentativo di penetrare l’ingrediente nel profondo. E di stringere sempre più il cerchio al concetto di sostenibilità.
Sette primavere e una stella Michelin dopo, l’intento di fondo non è cambiato di una virgola: « Ora che sono head chef, non m’interessa generare un nuovo concetto, voglio solo continuare a fare bene quello che Christian ha creato, rimanere sulla sua stessa lunghezza d’onda (in inglese, to be on the same page). Io e Christian lavoriamo ancora più vicini di un tempo. Ci chiediamo come far evolvere la cucina del Relæ nel solco dell’intuizione delle origini». Fedeltà assoluta.

L'ingresso del Relæ, al 41 della Jægersborggade, Copenhagen
La novità nella continuità è la
Farm of Ideas, la fattoria, non solo di idee, acquisita nei mesi scorsi ad Abbetved, a 40 minuti d’auto dalla città: fornisce al ristorante una serie crescente di vegetali e il latte e derivati di 8 mucche di razza Jersey. Un feudo destinato a estendersi, nello spazio e nell’influenza che avrà nella concezione dei menu del
Puglisi group. E che già ha: «La prima ispirazione dei piatti del
Relæ», conferma
Tam, «arriva dalla nostra fattoria. Abbiamo raccolto i primi vegetali nella primavera scorsa. Il menu lo decide il nostro rapporto quotidiano con i contadini».
E il succedersi delle stagioni, che nel menu invernale attuale si traduce in una serie interessante di brodi, come quello generoso e strutturato di carote grigliate che bagna
Carrots and lemon thyme, un gran bel piatto che accosta la dolcezza di carote - di tante varietà diverse, tagliate sottili e cotte leggermente al vapore - all’acidità del timo limone. «I brodi sono un riflesso di questa stagione», torna
Tam, «In inverno abbiamo tante radici, che spesso però risultano pesanti. Declinarle in forma di brodo ci consente di estrarne l’anima e, insieme, di dare corpo ai piatti senza che risultino troppo
heavy».

Mushroom, almonds and sourdough, un piatto di pasta-non-pasta (le tagliatelle sono di funghi) ispirato alla Cacio e pepe (Zanatta)
L’accento italiano non è sparito, vedi
Mushroom, almond and sourdough, “Funghi, mandorle e lievito madre”, più che una "pasta danese", un nuovo scintillante esempio di pasta-non-pasta: «L’ispirazione arriva dalla
Cacio e pepe. Il fungo è un white portobello (genere champignon,
ndr) che una piccola fattoria svedese fa crescere più della media, solo per noi. Li tagliamo per il lungo, in modo che somiglino a una pasta. Li cuociamo in un brodo di funghi e poi li tiriamo in una salsa di latte di mandorle. Aggiungiamo pepe nero e pane di lievito madre per aggiungere consistenza e acidità». Due bocconi leggeri e voluttuosi.
La lezione a due voci di Milano sarà tutta da ascoltare: «Vogliamo parlare del menu degustazione
Relæ experience e del modo in cui cambiamo il format così da tener conto dell'intera esperienza, modellando un menu fatto di piatti misti. Questo nuovo format ci permette di approfondire l'analisi/interpretazione dell'ingrediente».