22-02-2016
Viaggio a Kobe
Un foto-dossier sui gioielli della prefettura di Hyogo, dalla celebre carne al sakè più prezioso
Lo chef del ristorante Kobe Plaisir di Kobe regge sul vassoio due magnifiche entrecôte di manzo. La carne di Kobe è tra i simboli gastronomici più noti al mondo della capitale della prefettura di Hyogo, 560 chilometri a sud-ovest di Tokyo. Una terra di grandi prodotti, dal sakè ai fagioli neri di soia, dal pepe di Asakuro alle cipolle di Awaji. Li abbiamo scoperti in un viaggio di cinque giorni, organizzato da Jetro Kobe e Jetro Italia (foto e fotogallery Zanatta)
Kobe, un milione e mezzo di abitanti, è la capitale tranquilla della prefettura giapponese di Hyogo, a sua volta inserita nella macro-regione di Kansai, raggiungibile dall’aeroporto internazionale di Osaka. Kobe dista da Osaka un’oretta di macchina e 23 minuti di Shinkansen, i treni ad alta velocità del Giappone. La tratta Kobe-Tokyo, circa 550 chilometri, si percorre in appena 2 ore e mezza
La prefettura di Hyogo - divisa nelle 4 province di Settsu (Kobe), Harima, Tamba e Tajima - unisce due coste: il mare del Giappone e il mare di Seto nel Pacifico a sud. Il suo simbolo è il castello di Himeji, patrimonio mondiale dell’umanità Unesco, eretto nel 1601. Tra poche settimane, tutt’attorno, cominceranno a fiorire i ciliegi, uno spettacolo molto atteso (foto dronestagr.am)
La fama di Kobe accrebbe nel 1868 quando venne aperto il porto, che oggi dialoga con 500 altri porti di 130 paesi nel mondo. È una tappa popolare per le navi da crociera. Kobe è un centro importante per le industrie pesanti e l’acciaio: tra le altre, Kawasaki, Mitsubishi e Toshiba (foto seanews)
Uno dei poli gastronomici più vivaci di Kobe è sotterraneo, nel centro commerciale di Sogo. Decine di isole curatissime, con prodotti gastronomici di ogni genere. In primis, esercizi di patisserie e chocolaterie, una replica perfetta dei modelli francesi
Il pane è un simbolo importante per la gastronomia di Kobe, per i locali e per gli expat, circa 40mila residenti da tutto il mondo
I macaron, molto popolari nella Kobe bene
Passiamo alle meraviglie della gastronomia giapponese autentica: sempre sotto al centro commerciale Sogo, drappi di tessuto tinti con ideogrammi nascondono gli ingressi di piccole tavole a conduzione familiare, come questo teppanyiaki. Quattro tavoli in tutto, ognuno con piastra, per arroventarsi qualsiasi cosa. Nel nostro caso, soba meshi (noodle fritti con carne) e okonomiyaki, sorta di frittata. Vietato indossare maglioni pregiati
Nel centro di Kobe spunta anche una vivace Chinatown. Sono forti i legami commerciali tra la città giapponese e l’isola cinese (con ambizioni irredentiste) di Taiwan
Le relazioni tra Kobe e Taiwan si sono rafforzate anche per un tragico destino comune: le calamità naturali. Il terremoto di Kobe del 17 gennaio 1995 provocò 6.400 vittime e 40mila feriti, danneggiando oltre 240mila palazzi. Nella foto, la prima sede del ristorante di cucina tradizionale Matsunoya dopo il sisma
Il ristorante Matsunoya è rinato in una nuova sede. Gli abbiamo dedicato un post
La chiusura del menu kaiseki del Matsunoya: tè matcha frullato per qualche secondo con canne di bambù, una preparazione molto popolare
Siamo accolti nel quartier generale della prefettura di Hyogo dal governatore in persona, il signor Toshizo Ido (nella foto, a destra). «Volevamo ringraziarvi anche per la nostra formidabile esperienza all’Expo», ci ha detto
I vasi di tulipani nel giardino della residenza del governatore di Hyogo
Dove comprare coltelli da cucina a Kobe? Coltelleria Kireaji-no-le, sulla Moto manchi dori, strada popolare per lo shopping
Con la pluri-premiata macelleria Moriya, passiamo al simbolo per cui la città portuale è famosa nel mondo: la carne di Kobe. Ottenuta da vitelli purosangue Tajima, vengono cresciuti per due anni negli allevamenti di Hyogo. Sulle sue caratteristiche di marmorizzazione abbiamo parlato diverse volte nei giorni di Expo. La curiosità che non sapevamo è che fino al 1868, l’anno in cui fu aperto il porto di Kobe, nessuno in città mangiava carne. Furono gli inglesi a insegnare loro l’arte della macelleria. Purtroppo non riusciremo a visitare alcun allevamento. La motivazione ufficiale? «Dovreste stare qui a Kobe per almeno 80 giorni», ci hanno spiegato gli interlocutori di Jetro Kobe, «solo da allora la vostra composizione batterica non risulterà più nociva per i nostri bovini»
La carne di Kobe è servita in 37 insegne della città (e 300 in tutto il Giappone). Dove andare? Da Kobe Plaisir, al 2-11-5 della Shimoyamate, quartiere Chuo-ku
La lavagna del menu del ristorante Kobe Plaisir, un inno alla carne più ambita del mondo
Lo chef del teppanyiaki, la spettacolare griglia di Kobe Plaisir
Sul suo vassoio, due meravigliose entrecôte di carne di Kobe. Rosolate ai lati, rosse dentro, si squaglieranno in bocca
Impossibile chiedere una tartare di Kobe: vietate
Sulla griglia il ragazzo abbrustolirà anche cipolle, funghi, melanzane e rape
Comincia il tour lontano da Kobe, a caccia delle altre bontà della prefettura di Hyogo. Iniziamo dal miso dell’azienda centenaria Rokko di Ashya. Se in Italia dici miso, pensi a un prodotto unico. Ma, così come non esiste “la birra” o il “vino”, così dobbiamo abituarci a pluralizzare un genere che l’Occidente ingenuamente interpreta spesso come singolare. Esistono infinite varietà di miso, a seconda delle tecniche di lavorazione (bollitura in acqua o a vapore del riso), del tipo di ingredienti utilizzati (riso, ma anche segale o grano, che poi vengono uniti a fagioli neri di soia cotti) e dell’arco temporale di fermentazione
A tavola, l’impiego del miso non è limitato, come crediamo in Italia, alla sola zuppa in apertura del pasto (o alla fine delle maratone: gli atleti la bevono subito per sciogliere i muscoli induriti dai chilometri): la letteratura gastronomica giapponese abbonda di marinature di carne e pesce e dessert
Il futuro miso è messo a fermentare per due anni pressato da massi rocciosi, sotto al pavimento dell’azienda Rokko. Questi miso sono pregiati perché la loro salinità è molto inferiore rispetto agli stessi simili più cheap
Asakuro sansho (pepe), messo sotto alcol. È uno dei prodotti più interessanti che abbiamo trovato nella prefettura di Hyogo: lo abbiamo trovato nell’entroterra di Yabu, nelle vicinanze di una frequentata pista di sci. Detto anche “diamante verde”, il suo frutto crudo esprime una marcata nota citrica che anestetizza piacevolmente la lingua per qualche minuto
Il pepe Asakuro si raccoglie nell’ultima settimana di maggio, quando tutte le famiglie di Yabu e dintorni – anziani inclusi – scuotono 5.500 alberelli, percorsi da una frenetica energia. Longino & Cardenal sta per importarlo in Italia. Scommettiamo fin da ora sul dilagare del prodotto nei menu d’autore
Carne di manzo di Tajima al pepe Asakuro con salsa di soia al vino rosso. Sul retro, verdure croccanti. Ci è stato servito al ristorante La Riviere di Yabu
Un formidabile tris di crème brûlée, ancora al ristorante La Riviere. L’ortodossia del dessert è solo apparente perché ogni tazzina è spinta da un’aromatizzazione speciale: nell’ordine da sinistra a destra, tè matcha, pepe Asakuro e zenzero
Media scatenati con gli ospiti italiani al ristorante La Riviere….
…ci accoglie anche il sindaco di Yabu…
…e i risultati arrivano il giorno dopo: con l’autore di questo dossier c’erano Felice Lo Basso, chef del ristorante Unico di Milano e Riccardo Uleri, ceo di Longino & Cardenal
Intermezzo serale: verdura…
… e carne, da piastrare sul teppanyiaki, naturalmente
Tappa successiva: andiamo alla scoperta dei pregiati fagioli neri di soia (tambaguro) nella provincia di Tamba (guro=fagioli). Nella foto, l’ingresso dell’azienza Odagakishouten di Sasayama, fondata 180 anni fa
I fagioli neri di soia si coltivano da oltre 400 anni. A giugno ha inizio la semina; cento giorni dopo, da metà novembre a marzo, si estraggono dai baccelli: a novembre, una piccola parte verrà usata come edamame (i fagioli che troviamo spesso a inizio pasto in un ristorante giapponese), una gran parte finirà nella fabbrica che cominciamo a visitare
La parte più interessante del processo avviene al piano superiore: su 5 tavoli tondi, squadre da 6 operai osservano i fagioli raccolti ed essiccati uno a uno. Devono scartare quelli non sferici o bucati dagli insetti. «I fagioli neri buoni emettono un suono dolce quando rimbalzano sul tavolo», spiegano. Sono quelli che finiranno nelle lavorazioni finali. Qualità assoluta
I fagioli neri di soia sono venduti al naturale, cotti al vapore, caramellati o arrostiti
Dai fagioli neri di soia si ricava anche del te e farina per dolci come il gelato di soia nera (a sinistra)
Ad Harima, nel museo di Ibonoito, passiamo a un grande prodotto della tradizione di Hyogo: la pasta somen. Composti da farina bianca, acqua cristallina del fiume Ibo e sale di Ako, hanno alle spalle una storia di 600 anni. I somen premium sono venduti in fasci e sono avvolti da una fascetta centrale, che cambia colore a seconda del diametro
Per lungo tempo, i somen sono stati tirati a mano attraverso articolati telai, alla maniera dei tessuti. Oggi la tecnica è aggiornata con sofisticati automatismi
La magia dei somen, pasta ad alta tenuta elastica
La famiglia delle paste giapponesi (kanmen) è piuttosto ricca: con i somen (foto) ci sono i popolari ramen (farina di frumento, acqua, sale e kansui, cioè acqua minerale alcalina), udon (farina bianca, acqua e sale ma spessore più ampio dei somen e consistenza decisa), soba (farina di grano saraceno e farina bianca intrecciate ad acqua calda o fredda e diametro medio) e chasoba (nella foto, stessa tecnica dei soba e aggiunta di tè verde nell’impasto)
Chasoba: soba con tè matcha nell'impasto
Felice Lo Basso si cimenta nell’arte dei somen
I somen cuociono in acqua bollente per due minuti (ma anche meno se il diametro è più sottile) e daranno origine a tutta una varietà di piatti, dalle insalate ai dessert. Il migliore assaggiato? Somen intinti nel brodo d’anatra caldo. Ma funzionano alla grande anche con le zuppe fredde d’estate
Di tutti i prodotti del paniere di Hyogo, abbiamo trovato buonissime le cipolle di Awaji, isola a sud di Kobe. Raccolte, essiccate, appese e raffreddate, hanno un sapore insolitamente molto dolce
Con l’ultima tappa, approfondiamo i processi di produzione del simbolo giapponese più celebre: il sakè. Torniamo a Kobe, nel quartiere generale di Hakutsuru, il marchio più venduto nel mondo, azienda fondata nel 1743, con 34 miliardi di yen di fatturato (276 milioni di euro)
Un bel museo su più piani riproduce la storia del sakè e tutti i passaggi di produzione. Il primo passaggio è il lavaggio (senmai): il riso raccolto viene lavato
Il riso lavato viene poi diviso a seconda degli utilizzi, e messo a raffreddare nelle botte, sollevate da una fune
Il museo esibisce tutte le fasi e gli attrezzi utilizzati nei processi di distillazione, filtraggio, scrematura, pastorizzazione fino all’inserimento finale nelle botti di cedro di Yoshino
Le pittoresche taniche di sakè
Il sakè più pregiato? Il Junmai Dai Ginjo della foto. Ottenuto da riso Yamada Nishiki (la formula uno dei risi da sakè), poi sbiancato (a mano) fino a ridursi a una percentuale record del 38%, è messo a fermentare a una temperatura inferiore. Se ne producono non più di 300 esemplari all’anno. Costa 80 euro in Giappone, fino a 400 euro all’estero
Se tutte le guide di settore del mondo venerano i ristoranti giapponesi, è perché alla base della loro tradizione c’è innanzitutto una storia assai profonda di prodotti eccellenti. Un paniere tutto sommato trascurato di gioielli figli di tradizioni plurisecolari. Un patrimonio di saperi senza i quali la leggendaria chirurgia dei maestri di sushi, sashimi, kaiseki e teppanyiaki - la cucina dei gesti ripetuti allo sfinimento perché solo così si accede alla perfezione – rimarrebbe un esercizio a vuoto.
È per questo che abbiamo accettato con entusiasmo l’invito di Jetro a visitare i prodotti alimentari simbolo della prefettura di Hyogo, una tra le 47 prefetture del Paese, capoluogo Kobe. Una regione di 5 milioni e mezzo di abitanti chiusa tra due mari. Una piccola porzione del più vasto distretto di Kansai, che però somma l’80% della produzione nazionale di sakè, con la sua fabbrica di punta fondata ben 273 anni fa.

In rosso, la prefettura di Hyogo, capitale Kobe
Una terra che produce da 4 secoli eccellenti
miso – ancora un punto di domanda per l’Occidente - e pasta
somen da 600 anni. Fabbriche in cui gli operai separano chini tutti i giorni, da oltre 180 primavere, i fagioli neri di soia buoni da quelli cattivi. Una regione in cui il ristorante di punta è pronto a spegnere 100 candeline (e parliamo di una città tutto sommato minore, non della capitale Tokyo o di Kyoto, culla del
kaiseki).
A Kobe e dintorni, gli alimenti sono certificati da oltre 10 anni da uno speciale sistema di certificazione che premia le produzioni a basso impatto ambientale, i cibi sani e sicuri. Sugli scaffali sono quasi 2mila le tipologie che soddisfano i requisiti, con tanto di bollino. Tanti ve li raccontiamo in un dossier di oltre 50 foto (
clicca le foto in alto).
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Matsunoya, gioie kaiseki
Dossier Corea
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La prefettura di Hyogo - divisa nelle 4 province di Settsu (Kobe), Harima, Tamba e Tajima - unisce due coste: il mare del Giappone e il mare di Seto nel Pacifico a sud. Il suo simbolo è il castello di Himeji, patrimonio mondiale dell’umanità Unesco, eretto nel 1601. Tra poche settimane, tutt’attorno, cominceranno a fiorire i ciliegi, uno spettacolo molto atteso (foto dronestagr.am)
La fama di Kobe accrebbe nel 1868 quando venne aperto il porto, che oggi dialoga con 500 altri porti di 130 paesi nel mondo. È una tappa popolare per le navi da crociera. Kobe è un centro importante per le industrie pesanti e l’acciaio: tra le altre, Kawasaki, Mitsubishi e Toshiba (foto seanews)
Uno dei poli gastronomici più vivaci di Kobe è sotterraneo, nel centro commerciale di Sogo. Decine di isole curatissime, con prodotti gastronomici di ogni genere. In primis, esercizi di patisserie e chocolaterie, una replica perfetta dei modelli francesi
Il pane è un simbolo importante per la gastronomia di Kobe, per i locali e per gli expat, circa 40mila residenti da tutto il mondo
I macaron, molto popolari nella Kobe bene
Passiamo alle meraviglie della gastronomia giapponese autentica: sempre sotto al centro commerciale Sogo, drappi di tessuto tinti con ideogrammi nascondono gli ingressi di piccole tavole a conduzione familiare, come questo teppanyiaki. Quattro tavoli in tutto, ognuno con piastra, per arroventarsi qualsiasi cosa. Nel nostro caso, soba meshi (noodle fritti con carne) e okonomiyaki, sorta di frittata. Vietato indossare maglioni pregiati
Nel centro di Kobe spunta anche una vivace Chinatown. Sono forti i legami commerciali tra la città giapponese e l’isola cinese (con ambizioni irredentiste) di Taiwan
Le relazioni tra Kobe e Taiwan si sono rafforzate anche per un tragico destino comune: le calamità naturali. Il terremoto di Kobe del 17 gennaio 1995 provocò 6.400 vittime e 40mila feriti, danneggiando oltre 240mila palazzi. Nella foto, la prima sede del ristorante di cucina tradizionale Matsunoya dopo il sisma
Il ristorante Matsunoya è rinato in una nuova sede. Gli abbiamo dedicato un post
La chiusura del menu kaiseki del Matsunoya: tè matcha frullato per qualche secondo con canne di bambù, una preparazione molto popolare
Siamo accolti nel quartier generale della prefettura di Hyogo dal governatore in persona, il signor Toshizo Ido (nella foto, a destra). «Volevamo ringraziarvi anche per la nostra formidabile esperienza all’Expo», ci ha detto
I vasi di tulipani nel giardino della residenza del governatore di Hyogo
Dove comprare coltelli da cucina a Kobe? Coltelleria Kireaji-no-le, sulla Moto manchi dori, strada popolare per lo shopping
Con la pluri-premiata macelleria Moriya, passiamo al simbolo per cui la città portuale è famosa nel mondo: la carne di Kobe. Ottenuta da vitelli purosangue Tajima, vengono cresciuti per due anni negli allevamenti di Hyogo. Sulle sue caratteristiche di marmorizzazione abbiamo parlato diverse volte nei giorni di Expo. La curiosità che non sapevamo è che fino al 1868, l’anno in cui fu aperto il porto di Kobe, nessuno in città mangiava carne. Furono gli inglesi a insegnare loro l’arte della macelleria. Purtroppo non riusciremo a visitare alcun allevamento. La motivazione ufficiale? «Dovreste stare qui a Kobe per almeno 80 giorni», ci hanno spiegato gli interlocutori di Jetro Kobe, «solo da allora la vostra composizione batterica non risulterà più nociva per i nostri bovini»
La carne di Kobe è servita in 37 insegne della città (e 300 in tutto il Giappone). Dove andare? Da Kobe Plaisir, al 2-11-5 della Shimoyamate, quartiere Chuo-ku
La lavagna del menu del ristorante Kobe Plaisir, un inno alla carne più ambita del mondo
Lo chef del teppanyiaki, la spettacolare griglia di Kobe Plaisir
Sul suo vassoio, due meravigliose entrecôte di carne di Kobe. Rosolate ai lati, rosse dentro, si squaglieranno in bocca
Impossibile chiedere una tartare di Kobe: vietate
Sulla griglia il ragazzo abbrustolirà anche cipolle, funghi, melanzane e rape
Comincia il tour lontano da Kobe, a caccia delle altre bontà della prefettura di Hyogo. Iniziamo dal miso dell’azienda centenaria Rokko di Ashya. Se in Italia dici miso, pensi a un prodotto unico. Ma, così come non esiste “la birra” o il “vino”, così dobbiamo abituarci a pluralizzare un genere che l’Occidente ingenuamente interpreta spesso come singolare. Esistono infinite varietà di miso, a seconda delle tecniche di lavorazione (bollitura in acqua o a vapore del riso), del tipo di ingredienti utilizzati (riso, ma anche segale o grano, che poi vengono uniti a fagioli neri di soia cotti) e dell’arco temporale di fermentazione
A tavola, l’impiego del miso non è limitato, come crediamo in Italia, alla sola zuppa in apertura del pasto (o alla fine delle maratone: gli atleti la bevono subito per sciogliere i muscoli induriti dai chilometri): la letteratura gastronomica giapponese abbonda di marinature di carne e pesce e dessert
Il futuro miso è messo a fermentare per due anni pressato da massi rocciosi, sotto al pavimento dell’azienda Rokko. Questi miso sono pregiati perché la loro salinità è molto inferiore rispetto agli stessi simili più cheap
Asakuro sansho (pepe), messo sotto alcol. È uno dei prodotti più interessanti che abbiamo trovato nella prefettura di Hyogo: lo abbiamo trovato nell’entroterra di Yabu, nelle vicinanze di una frequentata pista di sci. Detto anche “diamante verde”, il suo frutto crudo esprime una marcata nota citrica che anestetizza piacevolmente la lingua per qualche minuto
Il pepe Asakuro si raccoglie nell’ultima settimana di maggio, quando tutte le famiglie di Yabu e dintorni – anziani inclusi – scuotono 5.500 alberelli, percorsi da una frenetica energia. Longino & Cardenal sta per importarlo in Italia. Scommettiamo fin da ora sul dilagare del prodotto nei menu d’autore
Carne di manzo di Tajima al pepe Asakuro con salsa di soia al vino rosso. Sul retro, verdure croccanti. Ci è stato servito al ristorante La Riviere di Yabu
Un formidabile tris di crème brûlée, ancora al ristorante La Riviere. L’ortodossia del dessert è solo apparente perché ogni tazzina è spinta da un’aromatizzazione speciale: nell’ordine da sinistra a destra, tè matcha, pepe Asakuro e zenzero
Media scatenati con gli ospiti italiani al ristorante La Riviere….
…ci accoglie anche il sindaco di Yabu…
…e i risultati arrivano il giorno dopo: con l’autore di questo dossier c’erano Felice Lo Basso, chef del ristorante Unico di Milano e Riccardo Uleri, ceo di Longino & Cardenal
Intermezzo serale: verdura…
… e carne, da piastrare sul teppanyiaki, naturalmente
Tappa successiva: andiamo alla scoperta dei pregiati fagioli neri di soia (tambaguro) nella provincia di Tamba (guro=fagioli). Nella foto, l’ingresso dell’azienza Odagakishouten di Sasayama, fondata 180 anni fa
I fagioli neri di soia si coltivano da oltre 400 anni. A giugno ha inizio la semina; cento giorni dopo, da metà novembre a marzo, si estraggono dai baccelli: a novembre, una piccola parte verrà usata come edamame (i fagioli che troviamo spesso a inizio pasto in un ristorante giapponese), una gran parte finirà nella fabbrica che cominciamo a visitare
La parte più interessante del processo avviene al piano superiore: su 5 tavoli tondi, squadre da 6 operai osservano i fagioli raccolti ed essiccati uno a uno. Devono scartare quelli non sferici o bucati dagli insetti. «I fagioli neri buoni emettono un suono dolce quando rimbalzano sul tavolo», spiegano. Sono quelli che finiranno nelle lavorazioni finali. Qualità assoluta
I fagioli neri di soia sono venduti al naturale, cotti al vapore, caramellati o arrostiti
Dai fagioli neri di soia si ricava anche del te e farina per dolci come il gelato di soia nera (a sinistra)
Ad Harima, nel museo di Ibonoito, passiamo a un grande prodotto della tradizione di Hyogo: la pasta somen. Composti da farina bianca, acqua cristallina del fiume Ibo e sale di Ako, hanno alle spalle una storia di 600 anni. I somen premium sono venduti in fasci e sono avvolti da una fascetta centrale, che cambia colore a seconda del diametro
Per lungo tempo, i somen sono stati tirati a mano attraverso articolati telai, alla maniera dei tessuti. Oggi la tecnica è aggiornata con sofisticati automatismi
La magia dei somen, pasta ad alta tenuta elastica
La famiglia delle paste giapponesi (kanmen) è piuttosto ricca: con i somen (foto) ci sono i popolari ramen (farina di frumento, acqua, sale e kansui, cioè acqua minerale alcalina), udon (farina bianca, acqua e sale ma spessore più ampio dei somen e consistenza decisa), soba (farina di grano saraceno e farina bianca intrecciate ad acqua calda o fredda e diametro medio) e chasoba (nella foto, stessa tecnica dei soba e aggiunta di tè verde nell’impasto)
Chasoba: soba con tè matcha nell'impasto
Felice Lo Basso si cimenta nell’arte dei somen
I somen cuociono in acqua bollente per due minuti (ma anche meno se il diametro è più sottile) e daranno origine a tutta una varietà di piatti, dalle insalate ai dessert. Il migliore assaggiato? Somen intinti nel brodo d’anatra caldo. Ma funzionano alla grande anche con le zuppe fredde d’estate
Di tutti i prodotti del paniere di Hyogo, abbiamo trovato buonissime le cipolle di Awaji, isola a sud di Kobe. Raccolte, essiccate, appese e raffreddate, hanno un sapore insolitamente molto dolce
Con l’ultima tappa, approfondiamo i processi di produzione del simbolo giapponese più celebre: il sakè. Torniamo a Kobe, nel quartiere generale di Hakutsuru, il marchio più venduto nel mondo, azienda fondata nel 1743, con 34 miliardi di yen di fatturato (276 milioni di euro)
Un bel museo su più piani riproduce la storia del sakè e tutti i passaggi di produzione. Il primo passaggio è il lavaggio (senmai): il riso raccolto viene lavato
Il riso lavato viene poi diviso a seconda degli utilizzi, e messo a raffreddare nelle botte, sollevate da una fune
Il museo esibisce tutte le fasi e gli attrezzi utilizzati nei processi di distillazione, filtraggio, scrematura, pastorizzazione fino all’inserimento finale nelle botti di cedro di Yoshino
Le pittoresche taniche di sakè
Il sakè più pregiato? Il Junmai Dai Ginjo della foto. Ottenuto da riso Yamada Nishiki (la formula uno dei risi da sakè), poi sbiancato (a mano) fino a ridursi a una percentuale record del 38%, è messo a fermentare a una temperatura inferiore. Se ne producono non più di 300 esemplari all’anno. Costa 80 euro in Giappone, fino a 400 euro all’estero
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