C'è un piccolo video virale che da qualche tempo compare qui e là sulle bacheche dei social network con cui, spesso e volentieri, ci intratteniamo pubblicando (anche) cose un po' frivole. Raffigura tre ragazzi afroamericani entrare in un fast-food, ordinare tre panini e...al momento di mangiare due di loro guardano severamente il terzo che addenta ancor prima di aver scattato una foto al suo burger.
E' un ottimo simbolo di come l'idiosincrasia di fotografare qualsiasi cosa arrivi sulla nostra tavola sia ormai decisamente globale, pervasiva, e vada ben oltre il desiderio di immortalare quei piatti che effettivamente meritano di essere ricordati: per la loro bellezza e originalità, oltre che per il fatto che non ce li troviamo davanti tutti i giorni.
Non è certo un caso però se in questi anni di costante crescita della comunicazione social, e parallelamente della smania di condividere con amici e conoscenti virtuali qualsiasi cosa facciamo, diversi ristoranti di cucina d'autore hanno preso una posizione piuttosto rigida verso chi sfoderasse lo smartphone per fotografare i piatti.

E' successo in Francia, ad esempio. Nel 2014 lo chef
Alexandre Gauthier del ristorante
La Grenouillère, una stella Michelin, di La Madelaine-sous-Montreuil, era finito sui giornali di mezzo mondo per quello che sembrava essere un vero e proprio manifesto contro le foto al tavolo. «C'è un posto e un luogo per ogni cosa – aveva detto – noi facciamo di tutto per regalare ai nostri clienti un momento unico, speciale. Ma per riuscirci abbiamo bisogno che loro spengano i propri telefonini».
Al suo fianco c'era anche un altro connazionale come il tristellato
Gilles Goujon, che dal suo
L'Auberge du Vieux Puits, a Fontjoncouse, rincarava la dose: «Se i clienti postano le loro foto sui social, tutta la sorpresa per il nostro lavoro svanisce. In più spesso sono foto di pessima qualità, che non rappresentano nel modo giusto i nostri piatti».
Ma già precedentemente in grandi capitali anglosassoni della cucina come Londra e New York erano comparsi sui menu degli avvisi per invitare i clienti a non scattare foto: sulle rive del Tamigi succedeva da
Gordon Ramsey come da
Tom Aikens, nella Grande Mela uno dei primi a imporre il divieto fu
David Chang, chef e patron dei tanti locali
Momofuku, come raccontava a gennaio 2013
questo post sul sito del
New York Times. In particolare il “no” ai fotografi-commensali scattò all'apertura del piccolo
Momofuku Ko, nel 2008.

"Instagram non funziona oggi, raccontami il tuo pranzo e basta": una delle tante foto satiriche sul tema che girano su internet
Ed è proprio lì che, come annunciato dallo stesso
Chang in
questo articolo scritto per il sito americano
Lucky Peach, il divieto ora è stato tolto. Leggendo le parole del noto chef, si capisce che alla base del rifiuto per le fotografie c'era la tendenza di alcuni clienti a trasformare il proprio tavolo in un vero e proprio set. Si parla di luci, di flash, di minuti interi spesi per costruire la scena perfetta. Un atteggiamento che, soprattutto in un piccolo locale, poteva infastidire il servizio e gli altri avventori del ristorante, oltre che rovinare la qualità di un cibo preparato con tanta cura.
Ma quel che
Chang ammette è che non aveva considerato quanto questo divieto potesse urtare la clientela: «Abbiamo pensato solo al nostro punto di vista – scrive – a come volessimo essere giudicati solo per il sapore del nostro cibo e non per la sua estetica». Qualche lato positivo però c'è stato: «Per sette anni siamo stati come su una nuvola, nessuno sapeva cosa aspettarsi da noi, c'era un senso di avventura e di scoperta».
Ma ora basta: insieme al trasloco in una nuova, più grande, location, è arrivato anche il semaforo verde per i fotografi amatoriali. Complice anche lo sviluppo tecnologico che permette agli appassionati del cosiddetto “food porn” di scattare belle foto velocemente, usando solo il proprio telefono. La tendenza dunque si inverte e non solo per
Chang: sono molti gli chef ad arrendersi a
Instagram e alle altre piattaforme social. E così anche
Simon Rogan, chef e patron del
Fera at Claridge's a Londra, racconta all'
Evening Standard: «I social hanno cambiato tutto, adesso è una cosa accettabilissima sfoderare lo smartphone e fotografare il piatto. Ma dieci anni fa non lo era affatto».
E in Italia? Da noi probabilmente non c'è mai stato un fronte così compatto negli anni passati contro le foto al tavolo, dunque non si potrà parlare di una vera inversione di tendenza. Ma sarà interessante approfondire l'argomento, ascoltando alcuni punti di vista dei diretti interessati. Ed è quello che faremo presto su queste pagine.
1 - continua