12-03-2024

Così Alajmo ha incantato Identità Milano portando un Suono N'Uovo in cucina

Lo chef padovano de Le Calandre propone un piatto di fettuccine rivoluzionario, da gustare con le orecchie tappate. E spiega: «Ascoltare la materia anche per un solo istante significa entrare a farne parte». L'inizio di un percorso di ricerca clamoroso

Massimiliano Alajmo sul palco di Identità Milano

Massimiliano Alajmo sul palco di Identità Milano 2024. Assolutamente strepitosa la sua lezione, incentrata sul suono. Tutte le foto sono di Brambilla-Serrani

Il senso di Massimiliano per l’udito. Un intervento inconsueto e avvincente quello di Massimiliano Alajmo, chef tristellato delle Calandre di Rubano (Padova), che incanta il pubblico di Identità Milano 2024 con un viaggio immersivo nel modo in cui il suono influisce sull’esperienza gastronomica contribuendo a istruire una vera e propria indagine conoscitiva di se stessi. Crack, bùm.

Alajmo parte da un piatto, un semplice piatto, che preparano i suoi collaboratori Michele e Luca («Due chef che hanno molto più talento di me», scherza lui) ma non siamo affatto in zona cooking show. Nessuno in sala è pronto per quello che seguirà. Il piatto si chiama Suono N’Uovo e già dal nome fa capire quale sia l’ingrediente attorno al quale ruoterà tutto. «Sono partito dall’idea della pasta all’uovo, sfogliando i ricettari incontriamo solo ricette in cui si usano il tuorlo e l’albume, l’uovo intero si direbbe, e allora ho pensato all’uovo davvero intero. Poi mi sono ricordato della nonna, che mi serviva del miele densissimo in un certo barattolino dello yogurt e me lo serviva nel guscio dell’uovo. Di quella cosa mi è rimasto il suono. E da quel suono sono partito». Per arrivare al risultato finale, Massimiliano e i suoi collaboratori hanno polverizzato il guscio, dopo averlo sterilizzato, e lo hanno unito all’impasto.

Alajmo con Federico De Cesare Viola, che ha presentato la sua lezione

Alajmo con Federico De Cesare Viola, che ha presentato la sua lezione

Ma c’era qualcosa che non andava, esiste del resto una Spoon River di piatti abbandonati, in cui l’azione non va dietro al pensiero. «Abbiamo assaggiato al piatto e istintivamente stavamo per scartarlo, questa sedimentazione polverosa sotto i denti aveva qualcosa di sgradevole. Poi...». Poi, l’idea, venuta chissà a chi. «Ci siamo tappati le orecchie ed è iniziato un percorso totalmente diverso, un viaggio pazzesco, l’esperienza ti rimandava a un’idea di movimento, di esplorazione, di indagine interiore, e ci ha aperto uno scenario incredibile». Suono N’Uovo sono delle fettuccine piuttosto tradizionali, a parte ovviamente la polvere di guscio, leggermente affumicate con erbe secche come timo, maggiorana, salvia, alloro, cotte in acqua bollente e condite con una fonduta di castelmagno realizzata con un latte vegetale per esaltare il profumo del formaggio e con un brodo doppio di gallina estremamente concentrato e legato con un goccio di amido di patate.

La pasta viene spadellata con del parmigiano reggiano, del castelmagno e rifinita con la polvere di erbe secche. Si mangia una forchettata e poi si beve un liquido a base di burro nocciola allungato con un’acqua di sedano rapa. Il risultato è un piatto con eleganti profumi di montagna. Buono, probabilmente buonissimo. Ma il fatto però è che il cliente che lo ordinerà nel ristorante di Rubano verrà dotato di tappi per le orecchie e sarà invitato anche a chiudere gli occhi «come saracinesche». Alajmo giura: «Ci si immerge in una degustazione quasi ipnotica, molto forte. Ho fatto un po’ di test, se uno riesce a isolarsi è molto piacevole, molto regressivo, anche se poi ognuno di noi ha una cassa armonica diversa, la mia esperienza non può essere la tua esperienza». Non siamo davanti a una trovata per épater les bourgeois, ma alla fine, anzi al centro, forse all’inizio, di un percorso che ha visto lo chef padovano lavorare a lungo sull’indagine del ruolo dell’ascolto nell’esperienza del mangiare. «L’udito – dice Alajmo mostrando delle slide - è uno dei sensi più trascurati, ma quello che sentiamo quando mangiamo e beviamo sono suoni più importanti di quanto si pensi. Quando entri in una caffetteria silenziosa, magari il caffè è buonissimo, ma ti mancherà il "suo rumore"; se invece senti un macinino in azione, quel suono ti dà delle informazioni che recepisci e ti anticipano l’esperienza gustativa».

Suono N’Uovo

Suono N’Uovo

Ma c’è suono e suono, c’è un esterno, quello trasmesso dalle onde sonore, e un suono interno, «che avviene a livello mandibolare» e che ci trasmette la soddisfazione del masticare. Alajmo racconta di indagini nelle quali si è imbattuto nel corso delle sue ricerche, dimostrano come cambiando il rumore del morso viene modificata la percezione di croccantezza e freschezza di un’umile patatina industriale, come il cervello integri le sensazioni uditive in modo immediato e automatico, alterando la nostra percezione della consistenza del cibo che abbiamo in bocca, come certi stimoli uditivi anticipino il senso della nostra esperienza. Il resto è una vertigine. Amplificare i suoni del cibo intensifica la percezione interiore, trasformando l’atto del mangiare in un viaggio nel viaggio, alla scoperta di noi stessi, del nostro rapporto con il cibo, con la sua componente ancestrale, di nascita e di rinascita, come strumento di consapevolezza e conoscenza, come fossimo di nuovo dei bambini che passano dal seno materno («Il primo ristorante della nostra vita») alla scoperta della masticazione e al suo valore epistemologico. «Ascoltare la materia anche solo per un istante vuol dire diventarne parte», conclude Alajmo. Mastico dunque sono. Il resto è rumore. Di fondo. 


IG2024: la disobbedienza

Tutti i contenuti di Identità Milano 2024, edizione numero 19 del nostro congresso internazionale.

a cura di

Andrea Cuomo

Romano ma ora a Milano, sommelier, è inviato del quotidiano Il Giornale. Racconta da anni i sapori che incontra

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