L’impero dei sensi è quello in cui si muovono Massimiliano Alajmo de Le Calandre a Rubano e Corrado Assenza del Caffè Sicilia di Noto. Due personaggi geograficamente, fisiognomicamente, concettualmente lontani, eppure uniti da una profonda amicizia fatta di comune sentire e di sincerità, che li ha spinti a condividere per la seconda volta nella storia del congresso, di cui sono frequentatori appassionati (e appassionanti) da lungo tempo, il palco principale di Identità Milano 2025, per la prima lezione della domenica mattina, svegliando il pubblico con un viaggio quasi hardcore attraverso la sensualità.
Introdotti da Niccolò Vecchia, i due fanno una premessa/promessa: «Vi sentirete molto a vostro agio», dice Alajmo. «Abbiamo lavorato pensando a voi», aggiunge Assenza. E quindi i sensi, ovvero la percezione, ovvero «l’elaborazione di tutte le informazioni attraverso l’esperienza, che non è conoscenza» perché quest’ultima è solo qualcosa con cui riempire il vaso della prima, attraverso il nostro corpo. Ciò che diventa anche un viaggio per conoscere sé stessi, a patto che si abbia «la possibilità di concedersi una pasa per riflettere su quello che si è vissuto».

Detto così sembra una affascinante astrazione, è quindi il momento della pratica. Massimiliano riflette sulla tattilità, il «primo senso che il bambino sviluppa quando è ancora un feto», uno strumento eternamente sottovalutato che noi attribuiamo solo alle mani e ai piedi ma che invece interessa il 18 per cento del nostro corpo e principalmente la bocca, sede di un «tatto senza coscienza». «Quello che accade in bocca in realtà accade in bocca», spiega Alajmo. E Assenza individua tre momenti in questo processo di elaborazione del gusto: «la percezione, che avviene con i recettori, la trasmissione delle percezioni stesse e la regia centrale che è affidata ai neuroni», i microchip chiamati a trasformare l’emozione in informazione.
E se pensate che i sapori che conosciamo già, i cinque gusti attraverso i quali definiamo le nostre sensazioni in bocca, il sapido, il dolce, l’amaro, l’acido, l’umami, siano un alfabeto più che sufficiente, vi sbagliate. «Si sta imponendo un sesto gusto, legato al calcio – spiega Corrado – perché è attraverso questo minerale che abbiamo scoperto un chemiorecettore, ora serve soltanto scoprire i neuroni che lo decodifichino». Lo stesso potrebbe avvenire per il grasso o per il piccante, una sensazione interessante che lavora attraverso il trigemino eternamente in bilico tra dolore e piacere. Sembra la storia della vita di chiunque di noi raccontata in breve.

Poi le strade dei due si dividono per un momento. Massimiliano ha voglia di condividere una serie di strumenti o veicoli che lui ha elaborato all’interno del suo locale padovano per accompagnare ed esaltare quello che accade in bocca, convinto com’è che usare materiali e forme differenti conduca a esiti diversi sul piano della sensorialità. Sul video scorrono una serie di diapositive che mostrano una forchetta con le punte recise che aiuta a cercare «la geometria in bocca» di una spumiglia ghiacciata che con essa viene servita, una tazza che offre una diversa prospettiva per un Tiramisù dai lati, un cucchiaio di legno che va usato al contrario, mangiando dal manico alla coppa, una crocchetta di cioccolato e nocciola che riesce a produrre una sensazione di succulenza a partire da elementi secchi, un uovo all’ananas che gioca tra l’intermittenza della pungenza e la continuità del piccante; una Salvia per labbra la cui trama accarezza la bocca del cliente; un palloncino di lampone e limone; una bacca di vaniglia incaricata di produrre forti emozioni grazie alla liquirizia; un cucchiaio mancante di una parte, quasi "morsicato", con cui mangiare un gelato; uno spazzolino da denti in legno le cui setole sono intrise di pino mugo e nelle quali viene «spremuta» una meringa di ceci e un gel di menta che, garantisce Alajmo, «regalano una stimolazione fortissima»; un ricordo di carta che spinge a riprodurre il gesto del leccare un francobollo. Tutto il tatto che c’è o quasi.

Poi torna in scena Assenza, che si concentra sul gesto: il gesto di chi cucina ripetendo atti immutabili da millenni oppure mutevolissimi, il gesto dei contadini, il gesto di lasciare come atto di conservazione di una pratica da trasmettere alle nuove generazioni perché si tramandi. E poi il gesto che crea continuità, come la decorazione di un dolce di marzapane che esprime il proprio archetipo. E in fine «il gesto di chi accoglie i clienti al
Caffè Sicilia che condensa tutti i gesti di chi lavora in quel posto».

Finale ad alto tasso di filosofia, ma nel frattempo il pubblico si è svegliato, eccome. I due tirano fuori una clessidra che corrisponde a una concezione poetica del tempo laddove il cronometro ne rappresenta l’aspetto angosciante e ragionano sul tema del congresso, quel futuro «che va costruito oggi senza aspettare che siano gli altri a farlo. Dobbiamo essere costruttori di progresso, ogni giorno la versione migliore di noi stessi». Questo si può fare soltanto attraverso una «riumanizzazione dell’umanità» che in tempi gravidi di ansie e di incertezze è il solo modo di indirizzare il cambiamento e non di subirlo. Alajmo chiude ricordando un aneddoto, anzi un bi-aneddoto, quasi una parabola: «L’altro giorni una cliente mi ordina il menu perché dice che glielo ha suggerito ChatGPT. Qualche giorno dopo un altro cliente si siede e mi dà una lettera che ho letto l’altra notte, ed è bellissima, mi racconta la storia della sua famiglia e del mio ristorante». E voi, di quale futuro volete fare parte?