Avverti sempre un sottile brivido correre giù per la schiena quando arrivi al ristorante e ti propongono di accomodarti allo Chef’s Table, al tavolo dello chef. Da una parte, ovvio, c’è un senso di orgoglio, di piacere, ti senti prescelto, coccolato.
E poi il piacere di veder preparare i piatti davanti ai tuoi occhi, di vivere la cucina, di sentire commenti e a volte discussioni, di sentirsi nella grande casa della gastronomia. Dall’altra, però, c’è un po’ la coscienza di perdere parte dell’esperienza, la sala, il sommelier, le luci, il balletto dei camerieri.
Insomma, difficile la scelta. Ma alla fine si sceglie sempre di andare: la cucina è come una calamita, e non si può resistere. Ma da cosa deriva questo mito del tavolo dello chef?
Abbiamo frequentato tanti tavoli in cucina nel mondo, da quello scenografico di
Gaggan a Bangkok, a quello unico di
Frantzen a Stoccolma, ma il mito si è sempre riproposto in modo identico.
Nato dai banconi delle osterie e dei bar da tapas spagnoli, sublimato dai sushi bar giapponesi (ricordo ancora una cena sublime al bancone di Hirono-San, super sushi-master di Tokyo, con gamberi vivi aperti in due con grande maestria e serviti che si muovevano ancora, e conchiglie di abalone trasformate in fiori davanti ai tuoi occhi), lo chef’s table diventa mito nel mito, perché racchiude in sé molti privilegi.
Il primo è il privilegio di condividere la cucina con chef e brigata. Il secondo è di sentirsi considerati “primus inter pares”, e gioire di un trattamento speciale. Il terzo è di poter porre domande che a volte in sala non si pongono o condividere atmosfere che solitamente vengono negate.

Zucca al forno e olio di fico
Ma c’è un ulteriore privilegio, a volte assolutamente effimero e voluttuario: allo chef’s table ci si sente “amici dello chef”, anche quando questa condizione non si rileva assolutamente nella realtà.
Ed è quindi una condizione diventata a volte, con la crescita del mito del personaggio cuoco, aspirazionale e di moda. A volte però, devo dire, non è affatto così.
Al grande tavolo in cucina di Giancarlo Morelli al Morelli di Milano ci si siede e si diventa realmente tutti amici, condividendo cibo, sorrisi e conversazione. Al meraviglioso tavolo unico (di raffinata svedese fattura) di Frantzen a Stoccolma si condivide il privilegio di una raffinatissima cucina Nippo-nordica, in un ambiente sofisticatissimo fatto di legni pregiati, luci piazzate e oggetti di design svedese.
Al microscopico e ambitissimo tavolo in cucina (o meglio…nell’acquario in cucina a tre posti) di Enrico Crippa al ristorante Piazza Duomo di Alba si analizzano i piatti e la loro perfetta esecuzione e se ne gusta la raffinata bontà, quasi ci si trovasse in un laboratorio di gastronomica perfezione.

Insalata di funghi porcini reali e tonno secco
Da
Matteo Baronetto, al ristorante
Del Cambio, a Torino, la sensazione è stata ancora diversa.
Innanzitutto, pur molto grati della proposta, è stato molto duro rinunciare alla magnificenza degli arredi e decori della sala storica di Camillo Benso, conte di Cavour, tra stucchi dorati e porporati velluti, per la freddezza dell’acciaio delle pentole e dei coltelli del tavolo in cucina.

Insalata di foglie, aceti aromatizzati e brodo di ceci
Ma non travisate: il tavolo dello chef di
Baronetto non è freddo, è una lunga mezzaluna che siede 4/5 commensali nella parte del locale denominata
Farmacia (sono in effetti i locali di un’antica farmacia), tavolo letteralmente e totalmente affacciato su una finestra che offre una visione completa e dettagliata di ciò che avviene nella fucina della gastronomia del
Cambio, dagli antipasti al dolce.
Una visione privilegiata, unica, precisa, che non fa rimpiangere nessun’altra location, nessun altro tavolo. E qui, la vera magia, la vera gentilezza, il vero privilegio: Matteo Baronetto ha “eseguito”, preparato, presentato e portato ognuno dei nostri piatti personalmente, senza l’ausilio di alcuno dei fantastici ragazzi che lo contornano in brigata.

Merluzzo, polenta tostata, portulaca e salsa cassoeula
Un omaggio perfetto, l'aver dedicato il suo tempo, in mezzo alla confusione e alle impellenti necessità di una cucina di un grande ristorante, durante la cena di altri 90 commensali in sala, peraltro seguiti in contemporanea da lui e da i suoi secondi.
Questo è stato un privilegio. Questo è un vero Chef’s Table.

Stelline al brodo di funghi, tuorlo d’uovo e menta
E l’insalata di funghi è uscita gustosa e perfetta, quella di caviale sontuosa e innovativa. E così il resto delle portate…“portate” al tavolo personalmente da
Baronetto.
Il menu ha elencato: Zucca al forno e olio di fico, Insalata di funghi porcini reali e tonno secco, Insalata di foglie, aceti aromatizzati e brodo di ceci, Merluzzo, polenta tostata, portulaca e salsa cassoeula, Gamberi rossi, olio al ginepro e olive verdi marinate, Agnolotti 2.0, Stelline al brodo di funghi, tuorlo d’uovo e menta, Maialino alla brace e cannella, Dolce alle castagne e cachi, Bonet.

Dolce alle castagne e cachi
Insomma: una cena da Re. Anzi, da Conte, diranno i miei piccoli lettori. Quel
Conte Camillo Benso di Cavour, ottimo gastronomo e amante del buon vino, che si sarebbe leccato i baffi (o la barba) davanti a tanta professionalità, gentilezza e, soprattutto, gastronomica opulenza.
Grazie, Del Cambio. Grazie, Cavour. Ma soprattutto…grazie, Matteo Baronetto. Un vero tavolo da chef.
Del Cambio
piazza Carignano, 2
Torino
+39 011 546690
Chiuso domenica sera, l'intero lunedì e martedì a pranzo
Menu degustazione 105, 115 e 145 euro