Di buone ragioni per partecipare a Il pranzo possibile, apparecchiato il 13 luglio scorso Da Tuccino a Polignano a Mare (Bari), ne aveva almeno due: Tuccino e la sua bambina, Emma. Lo chef Andrea Ribaldone avrebbe dovuto prendere posto nella brigata stellare planata sulla Puglia per apparecchiare il pranzo più buono dell’anno, il ricavato del quale è stato interamente devoluto alla Aisla (Associazione italiana per la ricerca contro la sclerosi laterale amiotrofica). Il cuoco milanese di nascita, oggi capitano di brigata a I Due Buoi di Alessandria avrebbe volentieri prestato le sue braccia, ma un impegno di lavoro spuntato in corner glielo ha impedito.
Ribaldone in Puglia c’era lo stesso, con la testa e con il cuore. Niente retorica, solo un esercizio quotidiano in trasferta: papà-chef cucina per Emma foie gras e gorgonzola, e difende il diritto della figlia al piacere della tavola. “Va matta per i sapori forti”, svela, e cucinando per lei ha capito che “il piacere insensato della vita, per chi non può godere d’altro, passa dalla bocca e sarebbe dunque ora di portare la cucina gourmet negli ospedali”.
Andrea Ribaldone in Puglia è di casa, come lo è Da Tuccino. È così?
Vero. Una profonda amicizia mi lega sia a Pasquale, sia al cognato Vito Mancini, che oggi ha preso insieme al resto della famiglia le redini del ristorante realizzando un desiderio di Tuccino. Tante volte sono stato da loro come a casa e quella atmosfera è una cosa che mi porto dentro e mi lega moltissimo a queste persone e questo ristorante. Di speciale ci sono tante cose, a partire dalla raffinatezza nei dettagli di un vero ristorante gastronomico, nella cura della tavola, nella stupefacente carta dei vini. Il loro crudo ti rimane scolpito nel cervello, c’è veramente il mare nel piatto. E poi c’è quel valore in più, la forza della famiglia, ti fanno sentire un principe. Mi è veramente dispiaciuto moltissimo non esserci, ma non ho avuto scelta.

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Anche perché di buone ragioni per esserci, ne avrebbe avute almeno due. È così?
Sì, una di queste è la mia bambina, Emma, che compirà 14 anni il 21 di luglio. È nata con una tetra paresi spastica. È una bimba molto molto malata, parla con gli occhi un po’ come fa Pasquale, la differenza è che lei non ha cognizione del suo stato. Ha questi occhioni grandissimi, se tu le vai vicino e la baci lei ricambia esprimendo con lo sguardo una capacità affettiva fuori dal comune ed ha un viso bellissimo… quando dorme i suoi tratti sono splendidi. Ma sono quegli occhi scuri, che mi stregano. È veramente il mio amore.
Amore sguardi e grandi difficoltà, com'è facile immaginare.
Terribili difficoltà. Mia moglie Daria ha completamente immolato la vita ad Emma, io cerco di ritagliarmi gli spazi che posso, almeno un giorno a settimana è tutto per lei. Quel tempo che le dedichi, attenzione, non può essere rubato ad altro, deve essere tempo vero. Lo dico con molta franchezza, è talmente totalitario, terribile e bellissimo insieme. Fatto di notti insonni, quando dopo devi affrontare una lunga giornata di servizio in cucina. Di noia, a volte, perché manca tutto lo spettro di possibilità comunicative di una qualunque altra relazione. E pensieri terribili, quando il peso di tutto questo supera le forze, che per fortuna poi passano.
Cosa mangia Emma?
Le piacciono i gusti forti. Va matta per il foie gras, il gorgonzola, tutto frullato naturalmente, ma assicuro che si può fare un cibo saporito anche per chi non può deglutire, ci vuole solo un po’ di tempo e un poco di attenzione. Uno dei sensi intatti, in chi soffre di certe patologie, è il gusto per mezzo del quale passa il piacere della bontà del cibo e in qualche modo il piacere stesso della vita. Altro, non possono e non conoscono: sesso non ne parliamo, bere niente. È per questo che io difendo il diritto di Emma e di tutte le persone malate di mangiare bene.
In che modo?
Vorrei lavorare con gli ospedali, portare lì il cibo gourmet, che non vuol dire cibo costoso ma curato da chi sa mettere insieme i gusti. Io penso davvero che il malato abbia diritto a un cibo di qualità, non solo dal punto di vista nutrizionale ma gustativo. Sarebbe bello che la sanità spalancasse le porte a questo tipo di concetto, portando dentro le cucine ricette pensate apposta per la salute ma anche per il piacere dei malati. Perché ci sono persone che non hanno altra possibilità di godere se non attraverso per il gusto, e almeno quello dobbiamo darglielo.