15-11-2009

La leggenda dei testaroli

Pontremoli (Massa Carrara)

Castagne e funghi: adesso è il momento migliore per recarsi a Pontremoli, comune al di qua o al di là del Passo della Cisa lungo l’autostrada che unisce Parma a La Spezia e alla Versilia. Comune che appartiene alla regione Toscana, ma che certo non ha un’anima toscana (e gli abitanti nemmeno l’accento). Capitale della Lunigiana, nonché dei libri e dei librai, sede da quasi sessant’anni del premio Bancarella, Pontremoli golosa ha una bandiera, i testaroli, tanto povera in sé, tre soli ingredienti acqua (che deve essere tiepida e non fredda di rubinetto), farina e pazienza, quanto carica di storia e di suggestioni. Il condimento fa il resto e rende questa sorta di crespella un ricordo indelebile.

Testaroli da testi e guai a fare confusione con il piatto cugino, i panigacci, che incontriamo verso il mare, ad esempio alla Armanda a Castelnuovo Magra, telefono 0187.674410, dove la Liguria ha praticamente fine e la Toscana inizio. Se a Pontremoli chiedi i panigacci ti guardano storto, non riconoscono loro nobiltà. Stessi ingredienti, sono più piccoli e una volta cotti vengono impilati interi e conditi. Per dimensioni, stanno ai testaroli come un vecchio 45 giri a un long playing a 33 giri. Non solo: quest’ultimi, prima di essere sbollentati, vengono tagliati a losanghe e serviti in una fondina e non in un piatto piano.

Testaroli da testi che non sono scritti e tanti acquistano, tra qui e Sarzana, ripromettendosi di usarli una volta a casa, salvo ritrovarsi con un vassoio. I testi sono un sistema di cottura ancestrale, presente in numerosi culture nel pianeta. Testi e non testo perché si tratta di una teglia e del suo coperchio, senza il quale non avremmo i testaroli. In origine erano in terracotta e venivano plasmati in località Castagnetoli per la presenza di una cava di argilla, ormai abbandonata. Oggi si ricorre alla ghisa.

Ogni singolo testo ha un suo nome preciso, sottano la casseruola, nella quale veniva cucinato di tutto, e soprano il coperchio, a rilievi circolari concentrici, imprescindibile per i testaroli perché l’impasto, che tende al liquido, una volta versato, va coperto e i testi ricoperti di brace, zero fiamme vive, un sistema perfetto in una economia agricola, dove contadini e pastori lavorassero lontano da casa. Era in pratica un forno ambulante, perfetto anche per le piadine di farina di castagne, le pattone, piuttosto che torte ripiene di verdure o arrosti di agnello o capra.

I testaroli erano una golosità, non esistevano pastasciutte o risotti. Ricordo grandi discussioni sul condimento ideale, loro e dei panigacci. Da diversi lustri, da quando non è la povertà a dettarci il menù, si può scegliere tra burro, salvia e parmigiano o pecorino, sugo rosso con i funghi o il cinghiale (questi due da me mai graditi, troppo intensi), pesto al basilico di norma senza aglio, il meglio del meglio, anche se un tempo non andavano oltre un filo d’olio e qualche erba aromatica, il formaggio rappresentò già un passo avanti visto che nella torta di erbi (al maschile) non è previsto, troppo un lusso.

Come per tante leccornie oggi c’è la versione industriale e una artigianale, la migliore. L’autentico testarolo, difeso da un presidio Slow Food, deve risultare morbido e poroso e quelli standarizzati, cotti da lastre di acciaio, non lo sono. Da non perdere quelli di due insegne pontremolesi, l’Osteria Caveau del Teatro in piazza S.Cristina, 0187.833328, e l’Osteria della Bietola in via della Pietola, 0187.831949. Per le attività Slow Food due i riferimenti: Marco Cavellini, 0187.833713, 329.6585343, e Alberto Bellotti, 0187832582.


Affari di Gola di Paolo Marchi

Pagina a tutta acquolina, uscita ogni domenica sul Giornale dal novembre 1999 all’autunno 2010. Storie e personaggi che continuano a vivere in questo sito

Paolo Marchi

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Paolo Marchi

nato a Milano nel marzo 1955, al Giornale per 31 anni dividendosi tra sport e gastronomia, è ideatore e curatore dal 2004 di Identità Golose.
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