29-11-2009

Le tagliatelle del GVCI

Hong Kong

Il prossimo 17 gennaio, una domenica, terza edizione della Giornata dell’orgoglio della cucina italiana nel mondo promossa dal GVCI, il Gruppo virtuale cuochi italiani che ha da poco celebrato il suo summit asiatico a Hong Kong. In una metropoli che sta alla Cina un po’ come New York all’America, l’associazione guidata dallo chef Mario Caramella e dal giornalista Rosario Scarpato ha festeggiato i vent’anni dei primi locali di qualità, forti del fatto che l’ex colonia inglese non ha conosciuto l’epopea di una immigrazione che ha portato una cucina italiana ad alta improbabilità qualitativa e dalla quale la nostra cucina contemporanea si sta affrancando.

In tanti, ovunque, investono nella cucina italiana. Purtroppo, sovente è labile il rapporto con la madre patria, complice anche un Ice, istituto per il commercio estero, di imbarazzante inutilità pratica quando si tratta di promuovere il prodotto agroalimentare e ristorativo. Ha detto Caramella pensando alla ferocia dei francesi: «La Francia ha il marketing nel Dna e va oltre la cucina e il vino. Amano celebrare, basta ricordarsi che hanno inventato le Olimpiadi con De Coubertin e i Mondiali di calcio con Jules Rimet. Pensiamo a noi piuttosto, a noi cuochi che ci sbattiamo per le nostre eccellenze».

Verissimo, ormai esiste nel mondo una generazione di chef che si impuntano, esigono, chiedono vera Italia e spesso ottengono soddisfazione perché la gestione di un locale italiano è meno onerosa di uno francese e in caso di successo offre maggiori guadagni. Restano lacune, manca una guida che faccia da traino come la Michelin per i cugini, sopravvivono ricette sbarellate, ma c’è vita. Caramella ha chiare le tre cose che un ristorante italiano all'estero deve avere per essere considerato tale: «In cucina uno chef italiano e non uno che ha studiato in Italia; l'olio extra vergine di oliva; pasta e riso al dente, nulla di precotto. Però c'è un quarto punto: non usare aglio tritato. Noi italiani usiamo dare sapore ai piatti con l'aglio ma non lo mangiamo, però all'estero il 90% delle bruschette hanno l'aglio a pioggia sopra. Sembra di mangiare coreano».

E un evento come la giornata del 17 gennaio nasce proprio per difendere e far crescere la nostra immagine offrendo lo stesso piatto, finora sempre un primo perché è un momento del pasto che ci distingue, a chi si è accomodato a tavola quel giorno. Due anni fa il debutto con la Carbonara, poi il Risotto allo zafferano e adesso le Tagliatelle al ragù alla bolognese. E le discussioni abbondano perché è pressoché impossibile in Italia trovare una ricetta base in cui la maggioranza si riconosce. La cucina casalinga, la cucina dei nostri borghi e delle nostre valli, dei nostri pescatori e dei nostri porti, l’Italia a tutta fantasia e scarsa capacità di programmare e fare gruppo ci regala decine e decine di interpretazioni del tema base, ognuno convinto che la sua sia quella vera.

In fondo capita anche nella musica, c’è lo spartito originale e si sono poi gli esecutori che interpretano la musica secondo la loro personalità e cultura, però tutti hanno ben chiaro il punto di partenza. Nella cucina italiana invece tutti hanno ragione e tutti sono depositari del verbo quando invece sarebbe corretto focalizzare l’essenza di una ricetta per l’alta cucina e separare la quotidianità tra casa e trattoria dalla visione storica e magari, in occasioni come quelle del 17 gennaio, presentare ai clienti più attenti la versione classica e quella personale. Penso ad esempio al Risotto giallo di un Paolo Lopriore a Siena, alla Certosa di Maggiano, dove il comune denominatore è in pratica solo lo zafferano e nemmeno unito in cottura, ma versato sopra una volta messo il risotto nel piatto.

A parte che il ragù non è solo bolognese, in queste settimane è vivo il dibattito nel forum del GVCI, il cui sito ufficiale è itchefs-gvci.com, su cosa concorra a fissarne la ricetta da pubblicare in vista della festa. Un tempo due carni grasse, la cartella di manzo (è un taglio vicino alla pancia) e la pancetta dolce, oggi ben più facilmente un trito bovino e la coppa perché più magre. Non devono mancare un soffritto di carote, cipolla e sedano, vino (bianco o rosso) e pomodoro (possibilmente il concentrato, triplo). Pomo della discordia il latte: serviva ad ammorbidire le carni sfibrate da lunghe cotture, ma ha ancora senso? Le risposte si sprecano.


Affari di Gola di Paolo Marchi

Pagina a tutta acquolina, uscita ogni domenica sul Giornale dal novembre 1999 all’autunno 2010. Storie e personaggi che continuano a vivere in questo sito

Paolo Marchi

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Paolo Marchi

nato a Milano nel marzo 1955, al Giornale per 31 anni dividendosi tra sport e gastronomia, è ideatore e curatore dal 2004 di Identità Golose.
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