Mondo pizza

01-02-2025

Franco Pepe: «L'identità è nell'impasto»

Ultimo episodio della nostra inchiesta sulla mania "pizza a ruota di carro". La parola va al maestro di Caiazzo della pizzeria Pepe in Grani

Franco Pepe, della pizzeria Pepe in Grani a Caiazz

Franco Pepe, della pizzeria Pepe in Grani a Caiazzo, Caserta

Durante un nostro recente viaggio in Campania abbiamo notato un deciso mutamento di tendenza, un'inversione di marcia rispetto a quanto abbiamo assistito negli ultimi anni nelle pizzerie in regione: dall'ossessione per cornicioni alti e bombati a una vera e propria epidemia del crunch, fino all'ultima tendenza (in realtà un ritorno) dei pizzaioli campani, la pizza a ruota di carro. Diametro che sfiora i 40 cm, una pizza sottile, dal bordo quasi inesistente, farcita abbondantemente e se ben eseguita, digeribile - grazie ad almeno 24 ore di lievitazione - e davvero gustosa. Ma attenzione: una vera pizza a ruota di carro, ha una base "resistente" abbastanza da non cedere sotto il peso sublime del condimento.

Ora, abbiamo chiesto a tre grandi maestri della pizza pensieri, storia e riflessioni su questa particolare interpretazione del disco lievitato, due di loro radicati nella patria per eccellenza di tonde memorabili - Napoli - e uno, sovrano assoluto dell'alto Casertano, tanto da aver reso meta di pellegrinaggio, la sua deliziosa Caiazzo: stiamo parlando rispettivamente di Enzo Coccia della pizzeria La Notizia 53 e La Notizia 94 (nel cuore del capoluogo partenopeo), Salvatore Salvo della pizzeria Salvo (in Riviera di Chiaia e a San Giorgio a Cremano, la sua sede storica), e Franco Pepe, di Pepe in grani

Con loro conosceremo la genesi di questa pizza, interrogandoci anche sul valore delle mode e sulla vera identità della pizza napoletana oggi. 

Dopo Enzo Coccia e Salvatore Salvo oggi lasciamo la parola a Franco Pepe.
MARIALUISA IANNUZZI

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Partiamo da una premessa: la pizza a ruota di carro non è quella che proponiamo da Pepe in Grani, a Caiazzo (Caserta).

Non ci appartiene e non rispecchia la nostra identità sebbene ultimamente notiamo una sua sensibile diffusione nelle carte delle pizzerie campane e, a tal motivo, penso sia giusto riflettere su quanto stia accadendo attorno a noi.

Vulcanica
In tre lavorazioni: in forno con paté di olive caiazzane, a metà cottura viene aggiunta la passata di pomodoro lungo dell’agro sarnese, alla fine - a freddo - treccia di mozzarella di bufala sfilacciata a mano, cappero disidratato e origano fresco

Vulcanica
In tre lavorazioni: in forno con paté di olive caiazzane, a metà cottura viene aggiunta la passata di pomodoro lungo dell’agro sarnese, alla fine - a freddo - treccia di mozzarella di bufala sfilacciata a mano, cappero disidratato e origano fresco

Ma prima ancora di parlare di pizza a ruota di carro, sarebbe opportuno porci una domanda, anche un po’ provocatoria: qual è la vera pizza napoletana oggi? Esiste davvero?

Prendiamo in considerazione il disciplinare internazionale del marchio Pizza napoletana che risale agli anni ’90.

L’aspetto finale della pizza viene così descritto:

«La pizza a fine cottura presenta un cornicione regolare, gonfio, privo di bolle e bruciature, di colore dorato e dal profumo caratteristico di pane; la parte centrale risulta morbida (in quanto il condimento ostacola l’evaporazione). La pizza è agevolmente ripiegabile su sè stessa (a libretto o a portafoglio)».

 

Ora, in occasione di una lezione alla facoltà di agraria dell’Università degli Studi di Napoli, ho mostrato in un’unica slide le 12 pizze dei più grandi maestri pizzaioli contemporanei partenopei. Ecco emergere un dato immediato, visibile a occhio nudo: ogni pizza è diversa dall’altra.

Ed è un aspetto sul quale sarebbe opportuno soffermarsi perché, al di là delle tendenze in voga, a mio avviso, i pizzaioli di Napoli, città emblematica per la pizza, hanno la grande responsabilità di offrire una risposta univoca, per far capire a chi arriva da ogni parte del mondo, quale sia l’autentica pizza napoletana, che per me rispecchia quella descritta nel disciplinare del ’90, realizzata con un panetto da 190 grammi. E questo è un punto.

È cruciale, poi, interrogarsi sul tipo di servizio da adottare in una pizzeria per renderla concretamente contemporanea, valutarne l’offerta, che da Pepe in grani mettiamo sempre in discussione purché sia attuale: ragionarci è fondamentale. Dopotutto, conosciamo bene l’evoluzione di cui siamo stati testimoni negli ultimi 20-30 anni: ma come alzare ulteriormente l’asticella nel futuro? E ancora, come rendere la pizza un alimento sempre più sano?

Da quando nasce Pepe in Grani ben 12 anni fa, nell’alto Casertano a Caiazzo, abbiamo sempre portato avanti l’idea di pizza della famiglia Pepe che ha origine nel pane, impronta identitaria del nostro prodotto.

Un unico impasto, dal pane alla pizza. Un’unica storia, ed è quella che ci teniamo a raccontare quando un grande chef o un appassionato viene a farci visita in pizzeria. È successo, per esempio, con Ferran Adrià.

Un unico impasto: ed ecco la nostra pizza, il fritto, salato e dolce, la pizza in teglia e alla pala, sottile e croccante, ma anche il pane: sì, siamo l’espressione del nostro impasto, versatile, in grado di raccontare, indirettamente, stesura e cottura, di diversificare la temperatura di servizio, di preservare le consistenze diverse. La nostra identità prima di tutto.


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Franco Pepe

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Franco Pepe

la sua Pepe in Grani, nata nell’ottobre 2012, è considerata da molti la miglior pizzeria del mondo. Merito di questo classe 1963 la cui competenza si fonda sull’esperienza di tre generazioni. I suoi maestri, salvo Piergiorgio Giorilli, sono in famiglia. Nonno Ciccio portava a casa il grano da macinare: aprì quindi un forno dove vendeva pane e cibi popolari, ovviamente a Caiazzo. Poi il padre Stefano, quindi i fratelli Antonio e MassimilianoFranco è figlio di questa scuola, però ha visto più avanti

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