24-01-2016

Il dilemma della pizza napoletana

Forno a legna superstar, ma il futuro è nel segno di quello elettrico. Se ne discuterà a Napoli

Un classico forno a legna per la cottura del piatt

Un classico forno a legna per la cottura del piatto italiano che più italiano non si può: la pizza. Il disciplinare dell'autentica pizza napoletana obbliga chi vi aderisce a usare sempre e solo questo tipo, vietati i modelli elettrici e a gas. Ma la lotta all'inquinamente mette a rischio l'uso del forno a legna, da qui mille interrogativi. Se ne discuterà il 25 e 26 gennaio a Napoli, nel corso di Pizza forma mentis. La foto è stata scattata da Lotus Head

Il futuro della pizza napoletana: forno a legna, a gas o elettrico? La domanda è tutt’altro che campata in aria altrimenti domani e dopo, lunedì 25 e martedì 26 gennaio, a Napoli non avrebbe luogo un convegno, Pizza forma mentis, destinato a lasciare un segno, non fosse altro per l’attesa che sta generando da giorni e giorni. Organizzato da Formamentis, società di formazione e consulenza con sede a Battipaglia (Salerno), assieme con Luciano Pignataro Wineblog, LSDM alias Barbara Guerra e Albert Sapere, e Corteseway di Maurizio Cortese, avrebbe dovuto tenersi negli spazi golosi di Eccellenze Campane. Poi è successo che il tam tam si sia fatto sempre più intenso e le richieste di accredito sempre più numerose che gli 80 posti dello spazio prenotato sono risultati una miseria. Da qui la decisione di spostare tutto a Palazzo Caracciolo, hotel 4 stelle in via Carbonara.

Come ha scritto chi organizza, “L’obiettivo è quello di indagare sull’evoluzione della pizza napoletana, il piatto italiano più amato e conosciuto al mondo, proprio in un momento in cui conosce la massima espansione qualitativa e quantitativa.

“Storici, antropologi, professori universitari, giornalisti, comunicatori, esperti, rappresentanti delle associazioni e alcuni dei migliori maestri pizzaioli si incontreranno per un libero confronto riflettendo in particolare sullo strumento di cottura. L’obiettivo è comprendere quanto il forno, a legna, a gas o elettrico, influisce sulla corretta esecuzione di una pizza napoletana e se esistono modelli replicabili che si vadano ad adattare ai diversi contesti di lavoro.

Enzo Coccia davanti al suo forno a legna in un'immagine di Italia Squisita. Sue a Napoli le due pizzerie chiamate La Notizia

Enzo Coccia davanti al suo forno a legna in un'immagine di Italia Squisita. Sue a Napoli le due pizzerie chiamate La Notizia

“In una parola: è lo strumento che fa l'artigiano o il contrario? Cosa si intente per tipicità, fino a che punto è necessario difendere la tradizione come elemento identitario senza aprirsi alle novità in un mondo sempre più piccolo e veloce nei cambiamenti? Cosa si può cambiare affinché nulla cambi e la pizza resti una icona di Napoli e dell'Italia nel mondo anche in questo secolo come nei due precedenti? Non abbiamo risposte, ma solo tanta voglia di mettere in campo le idee”.

Tutto ruota attorno a una parola di 5 lettere: forno. Per il disciplinare che nel 2004 ha garantito alla pizza napoletana di potersi fregiare della STG europea quale Specialità Tradizionale Garantita, deve obbligatoriamente essere quello a legna. Senza, niente STG. E qui iniziano i problemi anche se il disciplinare dell'associazione Verace Pizza Napoletana prevede delle deroghe che però sono eccezioni e certo non la regola. In ogni modo, per la stragrande maggioranza delle persone una pizza cotta nel forno a legna è sempre buona, a prescindere, e una cotta in quello elettrico è al massimo discreta, roba da asporto.

La scritta “forna a legna” che leggiamo all’ingresso di tante pizzerie fa sognare, una calamita straordinaria, meglio di numerosi buttadentro in carne e ossa. Nessuno si vanterà mai di un forno elettrico, fosse pure perfetto. Purtroppo però, c’è un però: sempre più città e metropoli, vedi ad esempio Parigi dal gennaio 2015, vietano forni e camini alimentati a legna per combattere lo smog. E a farne le spese è la pizza, soprattutto quella napoletana che per essere chiamata così esige fiamme vive e braci ardenti.

Oggi esistono forni elettrici che garantiscono prestazioni pari ai cugini a legna. Sono stati condotti test alla cieca e nessuno in pratica riconosce una margherita cotta in uno rispetto a quella cotta nell’altro. Si tira a indovinare. Il problema è culturale e di cuore. A un pizzaiolo partenopeo passare dal vecchio al nuovo suona come tradire due secoli di storia. E va capito, suo padre… il padre di suo padre… ma prima o poi verrà messo davanti a un divieto, a una decisione. La salute della popolazione è ben più importante di una denominazione europea. Perché non giocare d’anticipo rivedendo il disciplinare? Meglio essere protagonisti di una rivoluzione che vittime.

Dare nuovi contenuti all’autentica pizza napoletana vuole anche dire difendere e, possibilmente, aumentare il peso economico dell’intero movimento. Per potersi fregiare della STG o far parte del gruppo VPN non basta un forno, ci sono le farine, le materie prime e se uno, pensiamo a Parigi, ne viene privato per colpa di un divieto anti-smog, presto potrebbe chiedersi perché insistere con prodotti italiani se poi non può tradurre lo sforzo economico in un segno distintivo e la sua sarà sempre e solo una pizza?


Mondo pizza

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a cura di

Paolo Marchi

nato a Milano nel marzo 1955, al Giornale per 31 anni dividendosi tra sport e gastronomia, è ideatore e curatore dal 2004 di Identità Golose.
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