“Asia and Italy”. Il secondo capitolo dell’impegno targato
Identità Golose e
Eataly per propagandare in tutto il mondo la straordinaria biodiversità del Belpaese ha dato vita a un’altra super-cena d’autore che ha visto come protagonisti, in platea, alcuni dei maggiori rappresentanti istituzionali in Italia e all’Esposizione 2015 del continente più grande del mondo, oltre ai padroni di casa
Oscar Farinetti, Paolo Marchi e
Claudio Ceroni, con ulteriori ospiti di riguardo del calibro dei giornalisti
Dario Di Vico e
Beppe Severgnini; in cucina, un trio a-tutta-qualità formato da
Haruo Ichikawa dell’
Iyo meneghino (con il giovane sous chef
Michele Biassoni sempre più promettente),
Enrico Panero del
Da Vinci di Eataly Firenze e
Barbara Scabin del
Blupum d’Ivrea, il fratello
Davide un po’ al tavolo d’onore, un po’ ai fornelli a dare una mano.

Il piatto di Ichikawa-Biassoni, battezzato semplicemente Il Gambero
Parlando di bontà, la parola non poteva che finire a
Marchi, sempre più a suo agio nelle vesti di garante della qualità incarnata dalla nuova alta cucina tricolore. E dunque via alle danze... pardon alle portate, subito dopo l’intervento di
Nicolò Rubelli, uno dei tanti interpreti dell’eccellenza nostrana con il suo gruppo
Rubelli, storico marchio veneziano di tessuti d’arredo e mobili, attivo dal 1858, ora entrato anche nel mondo del design: «Noi italiani siamo creativi. Dunque anarchici, confusionari? No, talentuosi. Possono essere pomodori o seta, comunque sappiamo interpretare e trasformare come nessun altro ciò che proviene magari dall’altra parte del globo. Dobbiamo solo imparare una cosa: a essere capaci di trasmettere meglio le nostre capacità».
Mentre terminava, giungevano ai tavoli i primi piatti. Spettacolare quello di
Ichikawa-Biassoni: Il Gambero, ossia un rosso di Mazara che si donava intero alle fauci, la testa fritta, il carapace ridotto in polvere, la carne che riempiva dei
roll con
brunoise di gambi di
pak choi, lo stesso cavolo cinese le cui foglie chiudevano il delizioso rotolino. Poi altra polpa di gambero con olio, sesamo e sale, una maionese di
yuzu e
nanami (miscela di sette spezie: peperoncino rosso
togarashi, scorza di mandarino, semi di sesamo, di papavero, di canapa, alga
nori tritata, pepe di Sichuan), e per finire i cuori del solito
pak choi e funghi
enokitake. Buonissimo.

Il Sushi Tiramisù finale firmato Luca Montersino e preparato dal suo collaboratore Stefano Rostan
Con
Severgnini che raccontava gli italiani scomodando parole come “intelligenza”, “gusto”, “genio”,
Panero - con l'aiuto di
Marco Visciola de
Il Marin di Eataly Genova - s’incaricava di mettere in pratica proponendo la sua versione del riso alla cantonese:
China Made in Italy era un Carnaroli con piselli freschi, fondo di carne acidulata,
scramble di uova, fettine di lonza di maiale, gambero biondo toscano crudo (fa-vo-lo-so) e cipollotto: piatto complesso, che conferma il talento del piemontese, alcuni lo trovavano un po’ slegato, altri cercavano speranzosi il bis.
Poi toccava alla Scabin: poche parole e un’impresa difficile, interpretare la cucina indiana – prima si era stati in Giappone e Cina – dal punto di vista dell’alta cucina. Il compito era affidato a un piatto golosissimo, Agnello in costa “birjani” alla caprese (il birjani è una pietanza persiana e indiana a base di riso, con spezie, carne o verdure). La sua versione prevedeva un timballo di risotto al dragoncello con agnello stufato in crosta, crema di mozzarella, chutney di pomodoro San Marzano, insalata iceberg e salsa raita (altra specialità indiana: yogurt, cetriolo, spezie).
Chiudeva un dolce firmato
Luca Montersino, per l'occasione preparato da
Stefano Rostan:
Sushi Tiramisù con fragole, salsa alo zenzero e finte uova d’albicocca (c’era chi lo ribattezzava brillantemente
Tiramisushi): bello da vedere, buono da mangiare.