Bisogna fermarsi nel tempo, come ha osato fare il Soave, mostrandosi nella sua perentoria longevità. E bisogna buttare all'aria i tempi: accostare natura e tecnologia.
Soave Stories quest’anno ha raccontato il pezzo di viaggio coraggioso di un vino e un territorio baciati dal successo, che hanno saputo mettersi in discussione. Lo ha fatto portando nelle cantine ed esplorando la terra ora vulcanica, ora più calcarea, i 33 cru.
Alle degustazioni in cui lo stesso presidente del
Consorzio di tutela del Soave,
Sandro Gini dell'
omonima azienda vitivinicola, accanto al direttore
Aldo Lorenzoni, indica quante siano le giovani donne che con grinta afferrano i fili di questa storia: altro segnale importante. Tra le frasi che ci consegna ne prendiamo due: «Il vino va bevuto dandogli il tempo, senza distrazioni». E poi «le annate difficili sono superiori nel tempo, questa è la bellezza della natura». Lo dice offrendo il suo
Soave Doc classico Salvarenza del 2002 formato Magnum che
Kerin O'Keefe accoglie con uno «strepitoso», lesto a contagiare tutti: la sua fermentazione spiccatamente nel legno e la sua complessità conducono a un’esperienza indimenticabile.
Al Palazzo del Capitano dieci
Soave si sono rivelati, dal 2018 al 2002 appunto, nel dare l’avvio a un sabato intenso. Oltre seimila ettari, 200 membri del consorzio, la Garganega protagonista assoluta, spesso in purezza, talvolta accompagnata dal Trebbiano, fino al 30%. Quello di Soave: infatti al Palazzo del Capitano nasce un simpatico match con i marchigiani.
Il primo giorno – venerdì – al cospetto del castello si sale a respirare la biodiversità del giardino di
Rocca Sveva in una tregua del sole. Qui, nelle vigne abbracciate alle rose, si porge un
Ciondola Superiore 2017, che sprigiona la sua mineralità e la sua impronta floreale. Conclude un Recioto, con le uve che restano ad appassire tre mesi almeno: avvolge con note di frutta matura e il finale nel segno nella mandorla. Dal giardino al cuore della terra - la parete invalicabile del Monte Tenda con un’infiltrazione generosa - si scende nelle aree di produzione.
Bisogna prendere lo scuolabus, come a tornare un po’ bambini, per arrivare a Castelcerino e all’azienda Coffele. Qui si affacciano i computer e la tecnologia, come quello solerte di capre e pecore nelle vigne: non a caso, si tiene alla qualifica di biologico.
Del resto, degustando il Soave Doc classico Vigneto Sengialta, 2015 di Balestri Valda scopriremo che assistenti speciali sono le api e cru vale anche per il miele.
Dopo il confronto tra l’agronomo
Ermanno Murari e il presidente
Strada del Vino Soave Paolo Menapace, 25 produttori presenteranno le annate a ritroso negli anni. Garganega e Trebbiano, struttura e aromaticità.
Si incontrano vini come Soave Doc “La Broia” 2010 di Roccolo Grassi in cui gli anni valorizzano la complessità degli aromi, senza perdere in freschezza. O più indietro, il Recioto 2009 Luna Nova di Corte Mainente con la dolcezza placata sul finale dalla nota amara della mandorla.
Tra le tappe, una cantina che ha il volto di tre giovani in prima linea (
Matteo, Luca e
Alessio), forti della capacità di osare trasmessa da papà
Stefano e prima ancora del nonno
Bepi che arrivò dal Trentino
. Inama racconta che le vigne sono come persone e chi se ne prende cura come un infermiere: ci vogliono tempo (eccolo, ancora) e dedizione per ascoltare la vita del sottosuolo.
I giovani conducono tra le due annate del 2016 e del 2017 e la ricerca continua sul
Vigneti di Carbonare, Soave classico Doc, Garganega 100%, una fermentazione e affinamento in acciaio per 12 mesi, dopo la macerazione sulle bucce. L’etichetta narra la storia di tre fratelli, sei mani che si uniscono. Con la convinzione di nonno
Bepi: piccoli sacrifici, piccole soddisfazioni. Meglio faticare e raccogliere in grande.