Giovedì 9 giugno il ristorante La Montecchia degli Alajmo ha ospitato, in anteprima nazionale, la proiezione del documentario Skin Contact: Development of an Orange Taste, la cui première si è tenuta a Londra il 19 aprile scorso. Il cortometraggio ideato da Laura Michelon e Mike Hopkins, alla loro prima produzione con Bottled Films, illustra la passione ed esalta l’ossimoro che svela una lucida follia appartenente a tre piccoli produttori indipendenti: Josko Gravner dal Collio friulano, Angiolino Maule da Gambellara, fondatore dell'associazione VinNatur, e Daniele Piccinin, viticultore a cavallo tra Soave e la Lessinia.
Tutti e tre creano vini con il metodo della vinificazione arcaica delle regioni caucasiche attraverso anfore di terracotta, contro le logiche del mercato. Una metodologia che s’allinea, inoltre, ai principi della biodinamica e della coltivazione biologica, e consiste nel lasciar macerare l'uva in fermentazione, bianca o rossa, a contatto diretto con le bucce. Questo processo di vinificazione permette di produrre un vino naturale dal caratteristico colore ambrato. Bandite filtrazioni e chiarifiche.
La storia traccia una genesi di questi
Orange Wines proprio in Georgia e Armenia ma da qualche tempo prodotti anche in Italia, Slovenia e Spagna: niente contenitori d’acciaio, di legno bensì l’anfora. I tre protagonisti del film rappresentano «altrettante generazioni di coltivatori di uve indigene, lontani tra loro ma vicini per il profondo legame tra la natura e l’uomo», come rileva
Laura Michelon. Nel visionare la proiezione ci si trova di fronte ad un bel viaggio ed è molto emozionante comprendere da
Maule che «gli anni ’70 erano quelli dei lieviti selezionati, negli anni ’80 c’erano le barrique per un maggiore livello di standardizzazione mentre ai giorni nostri, dal 2010, s’inneggia ai sistemi di vinificazione a discapito quasi di un terroir. Il vino prodotto è unico e tale deve essere sempre, immutabile: ossia un vino da terroir che cambia di anno in anno. Abbiamo il dovere di mettere in ogni bottiglia la massima territorialità, non tutte le uve sono degne di macerazione».
Gravner, vignaiolo e filosofo indiscutibile per carisma ed esperienza, sottolinea così la sua “visione”: «La filtrazione toglie al vino tre elementi fondamentali: lieviti, batteri ed enzimi. No alle chiarifiche, e non si filtra. Meno attrezzi si hanno in vigna e in cantina, migliore sarà il vino. L’utilizzo di basse quantità di zolfo è parte della storia della viticoltura, risale a 2000 anni fa. Quando eseguo le mie potature in vigna o i travasi in cantina consulto il calendario delle lune di Maria Thun».

In piedi da sinistra, Daniele Piccinin, Josko Gravner e Angiolino Maule con lo staff de La Montecchia (il primo a sinistra, accosciato, è Massimiliano Alajmo). Il menu prevedeva: Ravanelli all’aceto balsamico con crema di semi di sesamo ed erbette, Cannolo con crema di carote al curry e coriandolo, Cuscinetto di barbabietola, Pjzza vegetariana con tartara vegetale, Cotoletta di scamorza, tutti aperitivi abbinati a Rosa frizzante 2014 di Piccinin. Poi Orto extravergine di oliva (Bianco Montemagro 2014 di Piccinin), Risotto di zucchine, curry nero e crema di carote (Pico 2011 di Maule), Tortelli di cipolla al fumo e cenere (Ribolla 2007 di Gravner), Barbabietola travestita da “petto di piccione” con radicchi amari (Rosso Breg 2004 di Gravner) e Gioco di frutta Pan(e)tone Josko (Recioto 2002 di Maule)
Il giovane
Piccinin, allievo di
Maule e grande estimatore di
Gravner, racconta che «dopo un passato da cuoco e cameriere ho deciso di trasformarmi in vignaiolo con l’obiettivo di recuperare una varietà che stava andando persa, la Durella, vitigno esistente nella mia zona da circa mille anni. In vigna ho scelto sin da subito di voler lavorare nel pieno rispetto di ciò che mi sta attorno e soprattutto di me stesso».
Malvasia, Ribolla Gialla, Friulano, Durella, Garganega e altri sono i vitigni da cui si producono leggendari Orange Wines famosi in tutto il mondo. Nel film le testimonianze straniere attestano anche la versatilità di abbinamento con cucine di tutto il mondo, dai piatti più strutturati alle proposte gastronomiche più semplici, l’equilibrio resta perfetto.
Vale la pena chiudere ancora con le parole di Gravner, pronunciate per l'occasione: «Vorrei anzitutto ringraziare Laura e Mike, mi sembra che abbiano fatto un lavoro molto bello perché semplice, quindi in linea con il tema trattato, mandando un messaggio preciso: si possono fare buoni vini rispettando il territorio e intervenendo il meno possibile in cantina. Grazie ai fratelli Alajmo, a tutta la famiglia Alajmo, per quest’occasione che hanno propiziato. Verso di loro nutro un senso di gratitudine, per tutto quello che fanno per la cucina e per il mondo del vino, quindi per il nostro benessere«.
Aggiunge
Gravner: «Per quanto riguarda il vino, a volte mi sento un nuotatore nel fiume Isonzo che nuota verso la sorgente. E’ la cosa più bella che si possa fare. Il problema è che in questo mondo si trovano tanti altri produttori che, come grandi canoe, vanno dritti verso il mare. Per questo andare controcorrente non è facile. Ma il mio consiglio è di continuare a lottare, magari anche complicandosi la vita, per riuscire a fare le cose semplici. Ricordo quando tutto è iniziato. Era il 1987, in California, durante un tour di degustazioni in cui abbiamo assaggiato circa mille vini in dieci giorni. Quasi tutti vini "dopati". In una cantina, tra le più prestigiose, si sono addirittura vantati di farci assaggiare il miglior vino in commercio, artefatto con aromi sintetici. Quel giorno ho giurato a me stesso di non mettere mai più in bocca vini così, artefatti e dopati. Quella è stata la scintilla per nuotare controcorrente».
Il film è visibile sul sito di Bottled Films al costo di 5 euro; può essere acquistato con sottotitoli in inglese o in italiano.