Al termine di una cena meravigliosa, la domanda viene spontanea: «Come mai uno chef talentuoso come te, giovane e creativo, ha deciso di rimaner fedele da ormai da 17 anni alla ristorazione d'hotel, che ha pregi ma anche difetti?». Stefano Baiocco traccheggia per un attimo: non perché il quesito lo colga impreparato - anzi, deve esserselo posto un milione di volte - ma proprio perché l'ha ben presente e si è dato risposte mai definitive. Poi spiega la sua scelta.
«Qui mi sento a mio agio, mi va bene così. Certo, all’inizio mi sono dovuto adeguare, ho capito che dovevo creare un doppio binario, da una parte i piatti gourmet, dall’altra la caprese per chi ce la chiede». Difficoltà che, lungi dall’abbatterlo, ne hanno anzi stimolato la fantasia. Al Villa Feltrinelli può anche permettersi il lusso di lavorare – intensamente – per sei/sette mesi l’anno (l’ultimo servizio è il prossimo sabato 7 ottobre: affrettatevi), poi la struttura chiude e lui si può dedicare alla ricerca, ai viaggi. In questo periodo inoltre sprizza particolare energia: «Alla pausa invernale, sventriamo la cucina. Non vedo l’ora, sarà una Ferrari. Non ci dormo di notte. Sono due anni che cullo il progetto, me lo sono disegnato da solo, con Marrone», e ti porta a vedere il pass che non ci sarà più, la zona dove arriveranno le nuove piastre, e così via, felice come un bimbo alla vigilia di Natale.

Il Villa Feltrinelli della foto di Richard Haughton
Si è parlato di Ferrari e il riferimento è adeguato: perché pure
Baiocco è una fuoriserie, che ha trovato il giusto equilibrio per continuare a sfrecciare a mille, senza perdere il controllo. Un bel bilanciamento tra entusiasmo, creatività e moderazione: come i suoi piatti, maturi e strutturati, eppure sempre con quella nota in più che li rende fascinosi, imprevedibili, stuzzicanti. La sua
Insalata è famosa, tanto da diventare classico signature dish: 120 erbe diverse, 30 fiori, poi croccante di champignons e olio di mandorle di Noto.

I pomodori rigorosamente separati...
Ha voluto replicarla da poco con un piatto concettualmente simile,
Tutto pomodoro, messo a punto nell’attuale versione lo scorso anno: 37 tipi di pomodoro con diverse lavorazioni – in polvere, in osmosi con aceto balsamico agli agrumi, in insalata, in chips, confit, in osmosi con salsa dolce piccante… - con budino di acqua di bufala e granita di panzanella. Si procura il vegetale in Alto Adige, è fiero della resa, gustativamente suadente. Arriva al tavolo anche un elenco delle varietà impiegate, dalla “a” di
Aunt Roby alla “z” di
Zebrino, in mezzo vecchie conoscenze come
Ciliegino giallo e rosso,
Cuore di Bue, Piccadilly e
Ramato, e scoperte come il
Green Cherokee e lo
Sky Racer. «Richiede un lavoro super-organizzato», ha tabelle e recipienti specifici, un sistema meticoloso. E’ in fondo questa la strada che
Baiocco ha scelto: essere innovativo, saper stupire, pur rimanendo all’interno di un mondo conosciuto, comprensibile a tutti, che sa coccolare.
Perciò la sua cucina non perde dinamismo, anzi. Nella nostra degustazione – tutti i piatti nella fotogallery – abbiamo assaggiato squisitezze «che preparo da sempre» come ...una semplice Insalata, appunto, oppure Amelia, un soave dessert così ribattezzato di recente, qui abbiamo spiegato perché: Baiocco e il dolce dedicato ad Amelia la lavapiatti. Ma poi tanti altri che hanno visto la luce solo quest’anno: Ravioli “al verde”, davvero perfetti; Risotto al “corallo”; Rognone di coniglio, fino ai dessert, La Banana e La Vecchia Gargnano.
Questo per dire come
Baiocco sia davvero una specie rara: spinge tra gli stucchi, accelera tra i broccati, è ardimentoso tra le vetrate policrome e le altre opulenze della villa, e viene in mente
D’Annunzio a il suo
Vittoriale, poco distante. Insomma, per rispondere compiutamente alla domanda iniziale, il
Villa Feltrinelli – soffitti affrescati e specchi veneziani - gli va a genio, anche se lui è scapigliato. Ricorda come ci finì, quasi per caso: «L’edificio apparteneva a una famiglia bresciana ma era mezzo decrepito. Lo rilevò nel 1997 un newyorkese,
Bob Burns (fondatore della catena alberghiera
Regent International), e partì la ristrutturazione», il grand hotel fu inaugurato nel 2001 - adesso appartiene a un russo, uno dei 50 uomini più ricchi del mondo.
Un anno più tardi la cucina era in sofferenza: Baiocco faceva da un triennio il sous chef del Rossellinis di Palazzo Sasso, ora Avino, a Ravello, con Pino Lavarra. Gli arrivò una telefonata, era la chiamata a Gargnano, «ma io declinai, ero già pronto per andare da Ferran Adrià», l'appuntamento con il lago di Garda fu rimandato, ma solo di poco.
E a proposito di
Adrià: non sono molti gli chef che, all’età di
Baiocco – classe 1973 – possono vantare esperienze tanto blasonate eppure così differenti tra di loro: 1995
Enoteca Pinchiorri, 1998
Alain Ducasse a Parigi («La città dormiva ancora quando la mattina uscivo di casa per iniziare a lavorare»), l’anno successivo
Pierre Gagnaire («Un tizio in aereo mi diede il numero di telefono di un italiano che vi lavorava. Lo chiamai, da una cabina telefonica: “Ciao
Antonio, mi chiamo
Stefano”, eccetera. Era
Antonio Guida, mi fece entrare in quell’indirizzo mitico, anche se non lavorammo mai insieme, se ne andò a sua volta al
Pinchiorri prima che io iniziassi. Siamo rimasti molto legati»), quindi appunto il
Rossellinis ed
El Bulli, nel 2003.
Se dal 2004 non cambia più, non è certo perché si è seduto, anzi. Lo dimostrano i tanti stage effettuati in questi tre lustri abbondanti (Andoni Luis Aduriz, i fratelli Roca, Quique Dacosta, Pascal Barbot, Dani Garcia, Seiji Yamamoto e in un ristorante kaiseki, Kikunoi a Kyoto); lo dimostra la varietà stessa degli stage stessi, che danno l’idea di uno chef onnivoro e poliedrico, di un professionista dalla sete di conoscenza mai appagata; lo conferma su tutto la sua cucina, ossia la cosa più importante.