Dico io: «Chef, possiamo fare una foto a te e alla tua brigata?». Risponde lui: «Quale brigata? In cucina sono da solo, con un lavapiatti». La solitudine di un numero uno, quale Francesco Brutto si candida a essere. Classe 1988, trevigiano di Campocroce, frazione di Mogliano Veneto, studi in Psicologia a Padova, una carriera iniziata a Treviso in un’enoteca che si chiamava semplicemente Vineria e adesso è la sua Undicesimo Vineria, si è formato nella cucina di Pier Giorgio Parini al Povero Diavolo.
Se gli chiedete il suo stile, risponde: «Preparo quello che mi piace». Poi argomenta meglio: «Voglio proporre qualcosa di diverso rispetto alla tradizione del territorio. Voglio che il mio cliente sappia che venendo qui mangerà ciò che non troverebbe altrove. Mi diverte metterlo sul chi va là, sorprenderlo, divertirlo con sapori che non dovrebbero incastrarsi e invece in bocca funzionano perfettamente». Tant’ambizione è sopportata da ottima preparazione tecnica, rara sensibilità, grande passione e un’immensa dedizione al lavoro.

Brutto con Chiara Pavan, sua sous al Venissa
Altrimenti non si spiegherebbe perché, terminato il faccio-tutto-io all’
Undicesimo, si sia sobbarcato da nemmeno due mesi l’ulteriore impegno del
Venissa, ristorante - con annessi e connessi, ossia orto, vigne… - della famiglia
Bisol sull’isola di Mazzorbo, un ponte di distanza da Burano, piena Laguna di Venezia (leggi anche:
C'è uva in laguna). Nonché regno, in passato, prima
Paola Budel, poi
Antonia Klugmann, quindi dello strano ma fertile quartetto formato da
Sabina Joksimovic (ora al
Joia meneghino con
Pietro Leemann),
Andrea Asoli (allo
Château Monfort sempre Milano),
Michelangelo D'Oria e
Serena Baiano (adesso pasticcera a
I Due Buoi alessandrini post-
Ribaldone).
Funziona così: dal lunedì al sabato Brutto è ai fornelli di Treviso. Poi, prima di quelle che per gli altri sono le festività, terminato il servizio fugge nottetempo verso la sua barca ancorata dietro all’aeroporto Marco Polo e raggiunge Mazzorbo, dove per fortuna lo aspetta una brigata di venti persone coordinata da «una grandissima sous chef, è migliore di me», ossia Chiara Pavan, veronese classe 1985 già al Da Caino e allo Zum Löwen.
La domanda sorge spontanea: chef, chi te l’ha fatto fare? «Sono molto legato, da anni, a Matteo Bisol». Non basta. «Quando arrivo al Venissa trovo tanti aiutanti, che a Treviso non ho, e un lavoro già eseguito splendidamente, tanto che alle volte reclamo: “Fatemi fare qualcosa”. Sono tranquillissimo». Non basta ancora, possibile che non arrivi mai la stanchezza? «Dico la verità. Quando prendo la barca in genere è notte fonda. Calma totale, pace, la Laguna è piatta, in alto ci sono le stelle, sento il profumo del mare, in questo periodo anche l’odore delle acacie in fiore. Mi riappacifico col mondo, è relax per l’anima».

La sala dell'Undicesimo Vineria
In realtà va segnalato anche un elemento in più: per
Brutto il doppio impegno è anche una duplice realizzazione professionale. E’ chef capo di due ristoranti dove aveva già lavorato, ma in brigata: non solo a Treviso, dove era entrato da stagista, ma anche al
Venissa, tra il 2014 e il 2015, come secondo della
Klugmann. «Tornare dove dopo dieci anni alla
Vineria e dopo due e mezzo a Mazzorbo dà soddisfazione».
Amplificata dall’ottima riuscita. Al Venissa («Va alla grande») ha trovato una situazione ideale per la sua cucina, che conta molto sulla materia prima vegetale. Vi propone tre menu (5, 7 e 9 piatti, a 120, 150 e 190 euro) con diversi “coefficienti di difficoltà”: i primi due sono percorsi già determinati, con un grado di creatività (lui la chiama “avanguardia”, ndr) più basso, «diciamo rispettivamente 20% e 50%». Il terzo è un senza rete, in base alla fantasia dello chef, che spinge moltissimo. Poche sovrapposizioni coll’Undicesimo Vineria, «i piatti sono pensati qui, con la materia prima che vi trovo. Sono modellati sulla Laguna e la sue erbe», anche se è possibile degustare qualche suo cavallo di battaglia, «penso al Raviolo di frattaglie di rombo, ai Tortellini di tamarindo, doppia panna e angustura e all'Indivia brasata con arancia, mandorla e houttunya)».
Bontà che i trevigiani già conosceranno. O anche no: «All’Undicesimo abbiamo solo un 25% di clientela locale, i più arrivano da Milano, Roma, ma anche da Slovenia, Trentino, Friuli», tutti facilitati dalla vicinanza dell’aeroporto di Treviso, «atterrano, visitano la città, vengono a cenare e l’indomani ripartono. Chi è del posto invece è abituato alle osterie dove si mangia tanto e si paga poco, tutte basate sui piatti della tradizione». La sua proposta, si è detto, è completamente diversa: la potete vedere nella fotogallery del nostro pasto, eccellente, gli scatti sono di Tanio Liotta.

Regis Ramon Freitas con lo chef
Ma sarebbe un errore chiudere questo articolo senza citare l’
alter ego di
Brutto a Treviso, il brasiliano di São Luís
Regis Ramon Freitas, classe 1974,
dominus di sala e cantina. E’ arrivato in città nel 1996 per studiare e non è più ripartito: «La mia insegnante d’italiano voleva che apprendessi la lingua frequentando le osteria locali, per integrarmi meglio. Non bevevo vino, iniziai col raboso. Mi appassionai, la
Vineria aveva aperto nel 2003 con 2mila referenze, presi a lavorarci e vi conobbi quindi un giovane alle prime armi di nome
Francesco Brutto». Quasi un decennio dopo
Freitas trova impiego nella cantina del
Venissa, «entro, vedo
Francesco: “Ma che ci fai anche tu qui?”».
Mai resistere al destino, nel 2014 la vecchia gestione della Vineria vuole chiudere i battenti, i due non si lasciano sfuggire l’occasione di tornarvi: «E’ nostra dall’ottobre 2014. Era stata aperta esattamente undici anni prima, così abbinammo “Undicesimo” al vecchio nome». Oggi ha 8 tavoli (più uno conviviale nella sezione enoteca, per degustare i vini) e mantiene la propria vocazione enoica, con quasi 300 etichette, comprese vecchie annate di Bordeaux e Borgogna. Soprattutto, non ha alcuna pretesa di completezza – un solo amarone in carta, per dire – ma vanta una straordinaria selezione di bottiglie originali e ricercate, spesso esplosive, dove la banalità è bandita («Sono quelle che mi piacciono. La fortuna vuole che siano le stesse che esaltano i piatti di Francesco»). Dunque vini naturali, rifermentazioni, cocktail, tè, estratti... Delineano uno degli abbinamenti più intriganti che ci sia capitato di apprezzare da molti mesi a questa parte.