Pietro Leemann non aveva la certezza di fare la cosa giusta ma intuiva che l’obiettivo della sua cucina non doveva limitarsi al piacere dei sensi, ma anche alla salute olistica di chi la mangiava. Convinto che chi cucina ha un ruolo di grande responsabilità, capiva che il cibo poteva essere uno strumento che porta al benessere, così come al malessere se cucinato senza amore.
Come la scienza si sviluppa per tentativi e intuizioni, così ha fatto lo chef Pietro Leemann che racconta il suo passaggio, non facile, da onnivoro a vegetariano in “Pietro Leemann. Il Sale della Vita. Un cuoco vegetariano alla ricerca della verità" (edito da Mondadori Electa, euro 16,90, pp. 192), un libro profondo e toccante, straordinariamente sincero, che racconta il suo percorso esistenziale ricco d’avventure e di scoperte.
Folgorato dal gusto di una charlotte russe preparata da Angelo Conti Rossini, che diventerà suo mentore, vive di persona negli anni Ottanta la rivoluzione della nouvelle cusine e realizza quanto importante può essere il cibo. Da Gualtiero Marchesi capisce che la cucina non deve essere solo una trasformazione di materie prime, ma deve essere legata alla sostanza socio-culturale di un tempo e di un luogo.

Pane e acqua (per modo di dire): è stato il primo piatto presentato durante la sua recente lezione a Identità Milano
Affascinato dalle culture orientali, nel 1986 decide di partire per l’Oriente. Nella Cina prima degli scontri di piazza Tienanmen, si interessa alla cucina e alla dietetica cinese, ne studia la cultura e la storia. Si concentra sulla dietetica e l’energia, inizia a praticare
tai chi e intuisce, forse per la prima volta, che quello che si mangia, può cambiare realmente le capacità di percepire e la visione della realtà.
Nel 1988, è in Giappone, a Osaka e Tokyo: la cucina giapponese lo affascina per rigore e minuziosità. Pratica
kendo, la scuola marziale dei samurai, e assaggia la cucina vegetariana zen. Tornato in Italia, con un gruppo di amici lungimiranti, nel 1989 apre il
Joia e dà nuova dignità alla cucina vegetariana, relegata fino ad allora a ruolo di comprimaria, oggi unico ristorante vegetariano europeo insignito della stella Michelin.
Il ristorante allora però non era completamente vegetariano: in menù c’era ancora il pesce, ma lo chef comincia a progettare una cucina vegetariana non solo bella e buona, ma con contenuti alimentari diversi. La determinazione a perseguire una dieta vegetariana e purista era forte, ma spesso lo chef perdeva di vista i suoi intenti: aspirava ad essere vegetariano ma non lo era a tutti gli effetti, si sentiva cristiano ma frequentava tante filosofie diverse, aveva paura di togliere dal menù del
Joia il pesce, si sentiva intrappolato in un compromesso e non sapeva come uscirne.

La copertina del nuovo libro dello chef di "alta cucina naturale"
Tutto questo fino all’incontro con il suo maestro
Marco Ferrini che segna definitivamente il passaggio a un vegetarianismo totale e calma finalmente un ardore spirituale e una ricerca vegetariana che lo accompagnava da anni. Nel 2007 si iscrive al
Centro Studi Bhaktivedanta, la scuola fondata dal professor
Ferrini, con indirizzo psicologico, teologico e ayurvedico e nel frattempo il
Joia diventa finalmente 100% vegetariano.
Oggi il ristorante è considerato coerente e un punto di riferimento molto importante, riconosciuto per una cucina buona, sana e vegetariana.
Leemann è sempre più convinto che un’alimentazione vegetariana libera le persone, rispetta il pianeta e che cucinare con virtù rende virtuoso chi prepara e chi mangia.