26-11-2021

Storie di Vite: il nuovo libro del nostro collaboratore Salvo Ognibene

Un racconto di vino, di territori, di persone e di economia: un’antologia di viaggio, da leggere a sorsi per una degustazione letteraria

Storie di vite. Alla scoperta del vino tra itinera

Storie di vite. Alla scoperta del vino tra itinerari e racconti (Dario Flaccovio Editore) è il nuovo libro di Salvo Ognibene, saggista, sommelier, nonché collaboratore di Identità Golose, con i contributi di Gherardo FabrettiFilippo Moschitta e Antonello De Oto

Il vino è vita: un intreccio di Storia e storie, che condensa religione, territorio, il legame tra la terra e vignaioli, tra la tradizione e le cantine. Soggetto prediletto sin dai tempi di Plinio il Vecchio, evocato dalla penna di Charles Baudelaire e Cesare Pavese, il vino diventa oggi il fulcro del libro Storie di vite. Alla scoperta del vino tra itinerari e racconti (Dario Flaccovio Editore) a cura del saggista e sommelier, nonché collaboratore di Identità Golose, Salvo Ognibene, con i contributi di Gherardo Fabretti, Filippo Moschitta e Antonello De Oto.

Salvo Ognibene, nato a Livorno e cresce a Menfi (Agrigento). Oggi promuove il turismo esperienziale con Meet Sicily ed è consulente digitale e di web marketing. Scrive di vino, di storie e di territori, collabora con diversi giornali del settore e con al guida Slow Wine per la sezione Sicilia

 

Salvo Ognibene, nato a Livorno e cresce a Menfi (Agrigento). Oggi promuove il turismo esperienziale con Meet Sicily ed è consulente digitale e di web marketing. Scrive di vino, di storie e di territori, collabora con diversi giornali del settore e con al guida Slow Wine per la sezione Sicilia

 

Un sentiero che condurrà il lettore dalle origini mitiche del vino al racconto dei territori che ne hanno costituito la storia, specialmente nel Sud Italia, dove si contraddistingue ancora oggi un primato per la viticoltura eroica, in particolar modo in Sicilia.
Proprio a Menfi, luogo di frontiera tra l’influenza araba e quella greca, si estende, infatti, il vigneto più grande d’Europa, «tra i bianchi minerali che sanno di mare e vento, e rossi intensi e strutturati grazie alle sue colline che si spostano verso l’entroterra». Sempre lì, nasce la prima cooperativa vinicola della zona del Belice.

Una narrazione dedicata alla vite e ai suoi frutti, che renderà più chiara, la differenziazione tra vini artigianali, biologici, biodinamici e perfino vegani. Un racconto che trasporterà il lettore, sorso dopo sorso, in quella che continua ad affermarsi come una delle eccellenze d’Italia più amate nel mondo.

Il libro Storie di vite. Alla scoperta del vino tra itinerari e racconti è già disponibile online o nelle librerie al prezzo consigliato di €11,00.

Ve ne lasciamo un estratto, a partire da una citazione di Luis Sepulveda, che inaugura la lettura e che ci è piaciuta tanto:«Poiché le parole sono come il vino: hanno bisogno del respiro e di tempo perché il velluto della voce riveli il loro sapore definitivo».

E adesso, buona lettura!

 

IL VIGNETO PIÙ GRANDE D'EUROPA
Menfi e la sua lezione di economia sociale: un modello vincente

I vigneti di Menfi, Agrigento

I vigneti di Menfi, Agrigento

Dolci colline coperte di vigneti che scivolano su un mare azzurrissimo, dune di sabbia dorata abitate da gigli e vigne selvatiche, questa è Menfi. Scenario di una biodiversità preziosa in un angolo incontaminato della Sicilia. Siamo in provincia di Agrigento, in un territorio che mette in risalto il cielo con i suoi colori, la campagna con le sue morbide colline e i suoi prodotti tipici, il mare con il suo orizzonte e i suoi odori, dove a sfidare il vento di scirocco che soffia dalla vicina Africa dominano incontrastati canneti, dune di sabbia, palme nane, uliveti e vigneti che si estendono per circa 6.000 ettari (di cui 1.000 a regime biologico) fino a un’altitudine di 400 metri. Menfi, posto di frontiera tra l’influenza araba e quella greca, tra i bianchi minerali che sanno di mare e vento e rossi intensi e strutturati grazie alle sue colline che si spostano verso l’entroterra. Punto di incontro della Sicilia che ha abbracciato i primi insediamenti sicani e che dal XII secolo a.C. è diventato fulcro per le comunicazioni commerciali e culturali nel Mediterraneo grazie alla rotta dei fenici, è situata tra i templi di Selinûs (la colonia greca più occidentale della Sicilia) e l’area degli scavi di quella che fu Heraclea (la città riportata nelle orazioni scritte di Cicerone). La comunità agricola ha coltivato la terra intorno al castello voluto nel 1238 da Federico II di Svevia, poi diventato centro urbano nel 1638: il paese si svilupperà negli anni grazie all’agricoltura fiorente e subito dopo la fine della seconda guerra mondiale con il fallimento della riforma agraria molti contadini abbandonarono i campi emigrando in altri Paesi. All’ombra del bouganville più vecchio d’Europa, il 21 dicembre 1958, sessantotto agricoltori si uniscono per formare la prima cooperativa vinicola della zona del Belice versando 1.000 lire a testa: nasce così Cantine Settesoli. La cooperativa, a seguito di una non esatta collocazione politica, stenta a partire fino al 1965 quando avviene la prima vendemmia e viene costruita la cantina.

La suggestiva Valle del Belice, con le sue vigne e i suoi colori

La suggestiva Valle del Belice, con le sue vigne e i suoi colori

Nel 1968 il paese e tutto l’hinterland belicino vengono colpiti da un violento terremoto del nono grado della scala Mercalli, ma per fortuna la cooperativa resiste. Alla fine degli anni Ottanta, il compianto presidente Diego Planeta (eletto il 21 agosto del 1973 e rimasto in carica fino al 18 dicembre 2011) dà avvio a un progetto di ristrutturazione dell’azienda, con l’idea di abbandonare sempre più il vino di massa e produrre più qualità. Nel frattempo Planeta dà impulso alle attività di famiglia che convertono buona parte dei terreni in vigneti: è il febbraio del 1985 quando vengono impiantati i primi quattro ettari di chardonnay (quello che oggi dà vita a Didacus), nel 1994 la prima vendemmia e l’anno successivo sorge la prima cantina. Lo chardonnay Planeta alla prima uscita pubblica, con etichette nascoste, batte tutti gli altri, Gambero Rosso dedica la copertina del mensile di Novembre ’98 quale migliore cantina dell’anno 1999 ai giovani Francesca e Alessio Planeta che ancora oggi costituiscono il board dell’azienda insieme al cugino Santi. La famiglia Planeta, da cinque secoli e attraverso 17 generazioni, si impegna a percorrere le strade dell’evoluzione agricola in una terra non sempre semplice come la Sicilia, con un approccio orientato all’innovazione. Oggi Planeta conta sei cantine, tutte belle e integrate nel paesaggio, costruite durante un viaggio in Sicilia iniziato a Menfi, proseguito a Vittoria nel 1997, Noto nel 1998, sul versante nord dell’Etna nel 2008 e Capo Milazzo nel 2015 per un totale di 387 ettari e 2 milioni e 500.000 bottiglie prodotte. Un viaggio che non abbraccia solo i vini ma anche l’olio, con 150 ettari che scendono dalla collina verso il mare nell’oasi naturale di Capparrina, il sostegno e la promozione della cultura, un Apart Hotel a Palermo e quel gioiello prezioso che è La Foresteria, un resort espressione della più genuina ed elegante ospitalità della famiglia.

«Menfi per la nostra azienda è casa» racconta Alessio Planeta, «origini, famiglia, ma anche i ricordi di un luogo che abbiamo visto cambiare, crescere, evolvere da una vita in campagna legata a riti del passato e quindi alla campagna della generazione di mio padre, a un luogo dal quale siamo partiti per poi portare i nostri vini in giro per il mondo. Oggi non è possibile immaginare una Menfi senza vino, ancor di più se pensiamo all’altra grande potenzialità di questo territorio che è il turismo: un turismo che non può prescindere da una campagna produttiva, ordinata e vissuta». Negli stessi anni in cui Planeta si afferma come punto di riferimento per la Sicilia del vino, la Settesoli (di cui la stessa azienda Planeta è socia e a cui conferisce le uve) lancia la linea Mandrarossa e oggi la cooperativa, motore economico e sociale del paese, conta oltre 2.000 soci che coltivano il più grande vigneto d’Europa: 6.000 ettari di terreno, circa 30 cultivar di uve diverse coltivate per un totale di oltre 500.000 quintali di uve raccolte ogni anno. Numeri enormi rispetto alle altre realtà vitivinicole presenti sul territorio come la chicca di Cantine Barbera: l’azienda coltiva la maggior parte dei suoi quindici ettari di vigneti su delle colline che digradano verso il mare e come azienda socia conferisce anch’essa parte delle uve a Cantine Settesoli.

La viticoltura nel sud Italia, la vigna maritata in Campania

La viticoltura nel sud Italia, la vigna maritata in Campania

Plinio il Vecchio giura che il frutto di queste colline era già il preferito di Giulio Cesare. E a sentire Marilena Barbera, vignaiola e proprietaria dell’azienda, se ne capisce il motivo: «Il vino è la mia vita e fa parte della nostra cultura quotidiana. Sono tornata in Sicilia dopo anni trascorsi in un altrove che non mi apparteneva, ho trovato la vigna e il sogno di mio padre. Ho preso questo sogno e ho scoperto che era anche il mio. Produco i miei vini praticando l’agricoltura biologica e la vinificazione naturale, nel massimo rispetto del terroir di Menfi». Un sogno che inizia nel garage di casa con attrezzature di fortuna a metà degli anni ’90 e che nel 2000 si realizza con le prime 500 bottiglie. Insieme a Marilena, considerata tra i top influencer del vino oramai da diversi anni e tra i primi venti nella classifica di Sommelier Choice Awards, è la madre, la signora Nina, a prendersi cura insieme a lei delle attività in vigna e della vinificazione per una produzione totale di circa 60.000 bottiglie ogni anno e una quantità indefinita di passione per Menfi e il suo vino: «A Menfi non si possono fare vini cattivi» continua Marilena, «è una zona baciata dal sole e benedetta da Bacco e il vino, insieme al mare bandiera blu, è il passaporto per la gloria di chi aspira all’eternità». Un veicolo di riscatto economico e di riappropriazione dell’identità.


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