04-09-2020

Campiverdi e 286 leggende in rosso

Maurice von Greenfields firma il libro in cui racconta tutti i Tre stelle Michelin, i primi in Francia nel 1933. Galeotto un pranzo a 12 anni alla Pyramide. La sua collezione di menù è la più grande al mondo: sono ben 75mila

Maurizio Campiverdi, alias Maurice von Greenfields

Maurizio Campiverdi, alias Maurice von Greenfields, ottant'anni da compiere il 14 febbraio 2021, nell'immagine scattata da Lido Vannucchi

Ieri sera, giovedì 3 settembre, era così e non credo sarà diverso per diversi giorni ancora. Se in Google cercate notizie su Campiverdi vi rimanda ad Amazon dove un chilo di Arborio Campiverdi è in vendita a 2,98 euro (e non conviene visto che per la spedizione dovrete aggiungerne 7,44). Trenta euro invece per un altro e differente prodotto Campiverdi, più logico in chiave Amazon: un libro, peraltro non ancora disponibile perché in vendita giusto da mercoledì e per ora solo nel sito dell’editore Maretti di Imola a 28,50 (e invio gratuito).

Maurice von Greenfields alias Maurizio Campiverdi, bolognese, ottant’anni il prossimo 14 febbraio, giorno di San Valentino. Come Campiverdi la sua famiglia è legata alla storia del riso in Italia, come von Greenfields (Campiverdi in inglese) è un profondo amante del buono a tavola e in cantina tanto da vantare vini da sogno – e tanti - e una collezione di menù, 75mila circa, che è la più grande al mondo, fonte ministero della cultura francese. Non basta. Chiamatelo

come volete ma per assecondare la sua passione per il viaggio, Campiverdi/Greenfields ha calcato il suolo di 192 stati sovrani sui 198 oggi esistenti, compresa la Corea del Nord. Gli mancano Mongolia, Butan, Sau Tomè, Belize, Sud Sudan e Timor Est.

Il risultato pratico di tanto muoversi ovunque nel pianeta sono quattro libri che certo non mettono tristezza, ma che generano invidia: I 50 migliori ristoranti al mondo nel 1980 (i 50 Best sarebbero nati nel 2002); Mangiare da re nel 1994 e Dormire da re nel 1999. A quest’ultimo si deve un curioso aneddoto. Dormire da re conta 500 indirizzi da fiaba, 499 veri e uno inventato di sana pianta ma così lussuoso e proibito che un mensile di viaggi lo ha copiato pari pari senza controllo alcuno.

Manfredi Nicolò Maretti, foto Lido Vannucchi

Manfredi Nicolò Maretti, foto Lido Vannucchi

Con il quarto titolo entriamo nel nuovo secolo, quattro edizioni con altrettanti editori per una materia in costante movimento. Tre stelle Michelin è uscito una prima volta nel 2000, quando i locali tristellati erano 105; una seconda nel 2007 (totale 130 insegne) e una terza nel 2018, 215 le schede. Sempre autentiche miniere d’oro, materiale importantissimo per chi ama l’alta cucina, peccato ben poco valorizzato dalla grafica e dall’impaginazione.

Ora non più. Tutto è stato rilevato e curato da Manfredi Nicolò Maretti che ha rivoltato ogni aspetto e contenuto. Il Tre stelle Michelin da lui edito raccoglie le storie di tutti i 286 tre stelle della storia, dalle primissime in Francia nel 1933 a quelle assegnate nelle edizioni 2020. Prima meraviglia visitata da Campiverdi, la leggendaria Pyramide di Fernand Point a Vienne. Era il 1953, aveva dodici anni ed era accompagnato dai genitori, Dante e Rosa. Allora la Rossa usciva solo in Francia e i tre stelle quell’anno erano undici in tutto, come in Italia adesso

Fernand Point, leggendario chef della Pyramide a Vienne. I genitori di Maurizio Campiverdi portarono loro figlio lì a pranzo nel 1953 all'età di 12 anni appena

Fernand Point, leggendario chef della Pyramide a Vienne. I genitori di Maurizio Campiverdi portarono loro figlio lì a pranzo nel 1953 all'età di 12 anni appena

(contro i 28 dell'Esagono). Da noi la guida per antonomasia sarebbe giunta di lì a poco, nel 1956, e anche se per numero di locali premiati noi italiani siamo secondi solo alla casa madre, il rapporto è eternamente di amore e odio. Amore perché non esiste riconoscimento più noto e prestigioso al mondo. Odio perché il lusso transalpino non ci appartiene e incute soggezione, ci mette in difficoltà perché noi nell’anima amiamo l’osteria e l’incredibile nostra varietà di cucine, così diverse dal Mediterraneo alle Alpi.

Anche se persino una vita può essere condensata in poche parole, basti pensare al Napoleone del Manzoni che Cadde, risorse e giacque, questa quarta versione delle Tre stelle Michelin è una miniera così ricca di informazioni da richiedere giorni e giorni per essere percorsa senza perdersi in ben 720 pagine, con i testi in un corpo che ricorda i bugiardini delle medicine.

Gli chef tristellati in Italia, edizione 2020. Da in alto a sinistra, in senso orario: Enrico Crippa; Enrico Bartolini; Chicco e Bobo Cerea; Giovanni, Nadia e Antonio Santini; Massimiliano Alajmo; Niko Romito; Heinz Beck; Mauro Uliassi; Annie Feolde e Riccardo Monco; Massimo Bottura e Norbert Niederkofler

Gli chef tristellati in Italia, edizione 2020. Da in alto a sinistra, in senso orario: Enrico Crippa; Enrico Bartolini; Chicco e Bobo Cerea; Giovanni, Nadia e Antonio Santini; Massimiliano Alajmo; Niko Romito; Heinz Beck; Mauro Uliassi; Annie Feolde e Riccardo Monco; Massimo Bottura e Norbert Niederkofler

Attenzione: è un libro vivo, per questo richiede attenzioni e tempo, non è un elenco di cuochi, insegne e stagioni di gloria e di polvere. Esemplari la trentina di pagine iniziali, nelle quali è raccontato il 2020 prima come anno della pandemia e poi come anno ricco di sorprese gastronomiche. E sulla crisi da covid, perfetto il pensiero di Enrico Crippa: «L’imperativo? Far girare l’economia delle nostre eccellenze». Verissimo, un mantra.

Importante anche sapere che non compaiono solo i tre stelle. E qui si apre la discussione: ha senso scrivere anche di chi non le hai mai avute o non ancora? Dipende dal taglio che si sceglie nel presentare chi per il curatore meriterebbe più di una o due stelle. Ognuno è libero di stilare l’elenco dei propri oscar – e in fondo Campiverdi lo fece già nel 1980 -, meno di censurare la Michelin perché

Enrico Crippa, tre stelle al Piazza Duomo ad Alba

Enrico Crippa, tre stelle al Piazza Duomo ad Alba

non ha riconosciuto la classe di questo o quello chef. Io stesso mi stupisco di diverse scelte, ad esempio il Lido 84 di Riccardo Camanini ancora fermo a una così come Carlo Cracco da quando è in Galleria, ma spesso ci scordiamo che la Rossa è fatta da persone che seguono linee ben precise, da loro stessi tracciate.

La verità, quindi, è sovente molto più semplice di mille elucubrazioni e presunti complotti: se quello chef non ne vanta tre è perché per i francesi non le merita, purtroppo o per fortuna. Ci scordiamo che non decidiamo noi, bensì gli ispettori guidati da Gwendal Poullennec, anche se ci farebbe molto piacere un elenco di stelle e di stellati che rispecchi in pieno i nostri giudizi. E non i loro. Ma che noia sarebbe? Stellare.

Notarella finale: perché Maurizio Campiverdi ha scelto uno pseudonimo, Maurice von Greenfields, che non si discosta nettamente da nome e cognomi suoi? Pecca in originalità, ma se fosse stato per lui nemmeno quello. Però suo padre voleva che separasse il mondo del lavoro da quello del piacere, altrimenti il Maurizio Campiverdi gastronomo avrebbe finito con il danneggiarlo nella professione togliendoli mordente perché assorto da giudizi, prenotazioni, macarons, promozioni e bocciature. Così ha optato per tre parole che celebrassero tre differenti lingue: Maurice il francese e Greenfields l’inglese, con quel von, tedesco, che è lì come un vezzo, un segno di forza e di nobiltà.


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a cura di

Paolo Marchi

nato a Milano nel marzo 1955, al Giornale per 31 anni dividendosi tra sport e gastronomia, è ideatore e curatore dal 2004 di Identità Golose.
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