05-01-2015

Genovese senza patria, con stile

Lo chef del Pagliaccio in splendida forma: il rigore dei suoi piatti adesso è più estroverso che mai

Anthony Genovese nelle cucine del suo Pagliaccio:

Anthony Genovese nelle cucine del suo Pagliaccio: il nome deriva da un quadro, dipindo da sua mamma e appeso nel locale, simbolo perfetto di una personalità che unisce allegria e un poco di malinconia

In una grande biblioteca culinaria che fosse divisa per aree geografiche, dove collochereste un libro di Anthony Genovese? Risposta difficile, visto che la sua cucina è un caleidoscopio di suggestioni diverse, attinte lungo le tappe di una carriera che lo ha visto spadellare in mezzo mondo, lui già di per sé figlio di emigrati – genitori calabresi ma è nato in Francia, dove ha mosso i primi passi in cucina – e per di più accoppiato con Marion Lichtle, pasticciera che viene dall’Alsazia, zona di confine tra diversità come anche la Storia ci ha insegnato. «Di certo non mi collocherei nella sezione di “cucina romana”» ridacchia, e ha ragione: per quanto il suo Pagliaccio sia ben innestato tra vicoli capitolini a due passi da Campo de' Fiori, il suo stile nulla ha a che vedere con la tradizione locale, ma anche con lo gnam superficiale di certa Roma godona, come direbbe Dagospia.
 
Comunque il problema non si pone, perché Genovese di libri per ora non ne ha scritti (ha all'attivo un solo volume fotografico, Ten-xtnd; «Far stampare 40 ricette? E che senso ha?»): a conferma di una personalità lontana anni luce dallo star system dell’alta cucina, dalla logica Masterchef con annessi e connessi, per quanto abbia perso con gli anni quella freddezza un po’ algida che sembrava contraddistinguerla, «ma non è poi vero… Siete voi giornalisti ad avermi descritto così, e mi va bene, è divertente». E probabilmente qualche partecipazione alla "Prova del Cuoco" l’ha aiutato a rapportarsi con palcoscenico e telecamere.
 
Genovese con la brigata; la sua compagna, Marion Lichtle, è a destra

Genovese con la brigata; la sua compagna, Marion Lichtle, è a destra

Un’evoluzione che però non ha imbastardito lo stile, semmai lo ha reso più intellegibile. Lui conferma: «Si cresce, si accolgono con maggiore consapevolezza e moderazione le critiche. Ha capito che a volte sono andato oltre. D’altra parte dieci anni fa spingevo molto sull’acceleratore anche per provocare…». Sbagliatissimo però pensare a una strategia di marketing ieri e a una tendenza al volemose bene oggi: Genovese è semplicemente diventato adulto – va per i 47 anni – ma mantiene la personalità forte che ha sempre dimostrato, quello spunto ribelle – è una classe 1968 – che lo fa inorridire appena accenniamo a qualche accomodamento: «Non è che adesso mi faccia influenzare». Rigoroso. E persino troppo orgoglioso per accettare l’idea di poter annacquare sé stesso pur di essere più “popolare”.
 
No, il suo stile non chiamatelo fusion, perché sarebbe come relegarlo a una tendenza modaiola: lui la fusione ce l’ha iscritta nella biografia, così serve portate che sono frutto del suo percorso personale. Oggi hanno raggiunto un equilibrio mirabile: perché questo chef «schivo e ieratico» (Andrea Cuomo) che «ha tracciato un solco tutto suo, senza scendere a compromessi» (Paolo Marchi) riesce a comunicare come non mai, a parole e coi gusti. I suoi piatti erano, sono e (ci auguriamo) resteranno originali, personali; ma hanno acquisito di spessore, risultando per nulla introversi. Anzi ti sorridono con cariche gustative insolite, stimolanti e godibili. Non una tavola piaciona, da generone romano: ma piacevolissima. E impeccabile: di certo il miglior Genovese di sempre.
 
Dim alla piastra, verza e ossobuco: piatto straordinario di una cena ad alto livello

Dim alla piastra, verza e ossobuco: piatto straordinario di una cena ad alto livello

Si pensi alle capesante, alimento ruffiano per eccellenza. Ti arriva un piatto di Capesante, carote, zenzero e mela verde e scopri che il mollusco è solo una scusa, un illustre comprimario di una portata (favolosa) che vede la carota come reale protagonista. E persino l’Uovo di quaglia in camicia, altro ingrediente-feticcio per chi vuole vincere facile, viene accostato a compagni scomodi, castagne al profumo d'arancia e gelato alla birra, con esiti però più che felici.
 
Sono solo alcuni esempi di una cena straordinaria: tale è, ad esempio, anche il Cannolo croccante farcito con spuma di foie gras, anguilla glassata al tamarillo, violetta e lime, che dona eleganza ed equilibrio a piene mani, tra note grasse, acide, dolci, aromatiche, iodate, citriche, floreali, in una complessità di estrema raffinatezza. E che dire dei Dim alla piastra, un classico di Genovese, questa volta splendidamente declinati con verza e ossobuco?
 
Ci sono infine i dolci della Lichtle, che mantengono il livello: basterebbe quel pre-dessert di salvifica freschezza dopo tanta opulenza in bocca, il Sorbetto al pompelmo rosa, yogurt al profumo di lemon grass, per testimoniarlo.
 

Carlo Mangio

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La meta è comunque golosa, per Carlo Passera

a cura di

Carlo Passera

classe 1974, milanese orgoglioso di esserlo, giornalista professionista dal 1999, ossia un millennio fa, si è a lungo occupato di politica e nel tempo libero di cibo. Ora fa l'opposto ed è assai contento così. Appena può, si butta su viaggi e buona tavola. Coordinatore della redazione di identitagolose.it e curatore della Guida di Identità Golose alle Pizzerie e Cocktail Bar d'autore. Instagram: carlopassera

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