Esaurito il lockdown, c’è una tesi che prende sempre più corpo tra i colleghi: in tanti ristoranti non si è mai mangiato così bene. C’è cioè il fondato sospetto che il trimestre della clausura, oltre alle preoccupazioni, abbia regalato anche più tempo agli autori per pensare a fondo dettagli che prima scivolavano via. Sembra aumentata la bontà intrinseca dei piatti. E, più di prima, i menu degustazione appaiono quel che dovrebbero sempre essere: dei percorsi; non sequenze slegate di delizie individuali.
La distanza tra il prima e il dopo al ristorante Hiša Franko, appare addirittura clamorosa. Innanzitutto per colpa nostra, che non venivamo in frazione Staro Zelo - pochi minuti d’auto oltre il confine Italia-Slovenia - da 3 stagioni. È un’eternità nella ristorazione di oggi, figuriamoci nella percezione di una locanda che ogni anno investe quasi tutti gli utili per migliorare la sua struttura. Ora la reception delle camere è distinta dall’accoglienza del ristorante. C’è una bottega di vini e di prodotti buoni e intelligenti, concepiti nella clausura (ne avevamo scritto poche settimane fa). Accanto ci sono 3 tavoli per fare un piacevolissimo aperitivo open-air. E quella buia dépendance in cui un decennio fa ci si scaldava con la coperta di lana è diventata una luminosa sala-dehors aperta sulle verdi vallate, all’ombra del monte Krn.
Soprattutto, ci sono la cuoca Ana Roš e il padrone di casa Valter Kramar, due con lo stesso argento vivo addosso di quando fanno kayak o downhill in bici. Lei mulina così tante idee sul micro e sul macro che non si capisce nemmeno dove trovi il tempo. Lui è un’enciclopedia vivente dei vini naturali sloveni, e di certo corresponsabile di uno dei movimenti di crescita più fragorosi nella viticoltura europea dell’ultimo ventennio. Il segreto? «Se un prodotto è buono», spiega Kramar, stappando con disinvoltura a destra e manca, «lo è indipendentemente dal nome che porta». Assaggiare senza pregiudizi o etichette, il più difficile dei compiti.

Tutt'attorno, la quiete della Soča Valley

Dal 16 giugno scorso, Hiša Franko ha due stelle Michelin, unico nel paese. E' la prima edizione della Rossa di Slovenia. Da festeggiare con un tatuaggio (nella foto, le dita della cuoca)

Nel blasone di Hiša Franko ci sono anche la 38ma posizione della World's 50Best e il titolo di Migliore chef donna al mondo, ottenuto da Ana Roš nel 2017

Yvonne Simon e Ilias Ntoykai
Insieme hanno messo in piedi una brigata micidiale. In cucina Ana è sostenuta già da qualche tempo dalla dedizione e dall’estro di una californiana (
Yvonne Simon), di un colombiano (
Leonardo Fonseca Celis), di una pasticciera croata (
Maša Salopek) e una maestra del pane slovena (
Nataša Djuric, aka
@mydailysourdoughbread). Ma andrebbero citati anche capo-partita e commis (appuntatevi il nome di
Ilias Ntoykai, greco), una babele in cui tutti parlano lo stesso linguaggio, quello che s’interroga su sperimentazione e perfezionismo, non sulla replica di piatti o schemi visti altrove. In sala, con
Valter e la colonna
Matiaš, ci sono
Alen Audic (sloveno),
Alicia Ahua (messicana), e pure
Stefano Cavaterra, un ragazzo romano dall’avvenire assicurato.
Il menu di
Prima Estate (175 euro, 255 con l'abbinamento vini) è un rollercoaster che genera vertigini, nel solco del comandamento dei cuochi dell’ultimo ventennio: ingredienti
local e
di stagione e tecniche
global. Dalla prima parte del menu (
Con le dita) ci siamo appuntati un Bignet di grano saraceno con ricotta fermentata e funghi porcini favoloso, oltre a quella Patata cucinata nel fieno, con yoghurt Tahini-style, che aveva già rapito
la platea di New York nell’autunno scorso.
Con la forchetta s’infilzano invece una memorabile Zucchina con aglio nero, formaggio di capra della fattoria Oresnik e ventresca di tonno (grazie a tutti quelli che impiegano minuti e imprecazioni per comporre micro-assaggi così belli e buoni) e la Trota in 3 servizi, l’ingrediente feticcio della cuoca, questa volta in chiave
nose to tail come i maiali di
Fergus Henderson: 1. Filetto con beurre blanc, semi di papavero e amarene 2. Pelle con emulsione di pancia e bottarga di fegato 3. Consommè alla verbena. Da volare via, come usa dire oggi.
Tra i dessert, si rendono commestibili erbe usate quasi solo a scopo medico (
Sorbetto di fallopia iaponica,
googlate un po’), si trasforma un formaggio Tolminc in
mochi e ci si rinfresca con gioia con gli zuccheri naturali e ridotti di un Gelato al latte acido con coni di pino mugo e prugne secche.

Bigne di crema di grano saraceno, ricotta fermentata e funghi porcini

Zucchina con aglio nero, formaggio di capra della fattoria Oresnik e ventresca di tonno

Sorbetto di fallopia japonica

La mise-en-place della colazione
Discorso a parte merita il vino, un’alternanza di etichette misconosciute e grandi star come ci era capitato di trovare solo da
Mugaritz: si comincia con
Keltis,
Atelier Kramar (una
rebula da buttar giù come acqua), si sale a tavola tra
Bjana e Malvasia
Reia e si conclude, coravin in mano, con un quintetto che riassume la grandezza del distretto di qua e di là del Collio. Nell’ordine:
Radikon Fuori dal Tempo 2006,
Gravner Ribolla 2008,
Sutor Merlot 2004,
Organic Anarchy Pinot Grigio 2016,
Damijan Podversic Prelit 2009. Aiuto.
Non pensate di scamparla nemmeno al mattino dopo: c’è poesia persino nella distribuzione sul piatto delle uova
scrambled.