Riccardo Camanini è diverso. «Quando mi avete invitato su questo palco, mi è venuta la pelle d’oca» spiega alla platea di Madrid Fusión, oggi primo dei tre giorni del congresso spagnolo numero 17, edizione d’esordio nel 2003, l’anno dopo lo chef ospite Carlo Cracco e il giornalista Paolo Marchi avrebbero avuto l’idea di creare qualcosa del genere anche in Italia, a Milano, e Identità sarebbe in effetti nata l’inverno successivo.
Ma non divaghiamo: Riccardo Camanini è diverso, dicevamo. «Ricordo quando, 20, 25 anni fa, rimanevo incantato da quel processo rinascimentale in atto nella cucina iberica… Voi siete i padroni delle tecniche. Quindi mi sono chiesto: che cosa posso andare a dir loro? Cosa posso raccontare a Madrid?». La risposta è stata: qualcosa di fortemente identitario, la pasta, «forse così riuscirò a interpretare insieme me stesso e il prodotto». Prima dello chef del Lido 84 erano saliti sul palco Ricard Camarena, che aveva raccontato alcuni piatti di straordinaria esecuzione, e quelli del Disfrutar, come sempre all’avanguardia, sensazionale la realizzazione dei loro falsi formaggi. In entrambi i casi, lezioni dal grande impatto visuale, capaci di scatenare gli scatti delle foodblogger.
Camanini ovviamente ha scelto una via differente. Poco spettacolo, l’effetto
wow ha raggiunto solo i palati fini: perché occorrono una certa sensibilità ed esperienza per comprendere l’eccezionalità della sua
ponencia.
In pratica, il nostro chef ha proposto tre piatti di pasta, teoricamente i più banali che ci possano essere: Spaghetti al pomodoro, Risoni in brodo, Fusilli in bianco. Le successive spiegazioni hanno chiarito che Camanini non era impazzito: si tratta infatti di versioni “speciali”.
Del primo caso vi abbiamo in realtà già parlato a lungo e in anteprima: si tratta dello Spaghettino unto in rosso coi quali si propone un’operazione di recupero della memoria gustativa. Ma altro non aggiungiamo, trovate tutto qui: Lo spaghettino unto in rosso di Riccardo Camanini (e altre sue delizie).

Spaghettino unto in rosso
Per i
Risoni in brodo, il bello sta non tanto nei risoni, ma nel brodo. «Ho voluto lavorare sul classico piatto che si dà ai bambini, o agli anziani». L’idea è venuta, dicevamo, dal brodo, e del tutto casualmente.
«Qualche settimana fa, era il giorno di chiusura del Lido 84, passo comunque al ristorante. Dovevo, tra le altre cose, cambiare l’acqua ai ceci che avevamo messo in ammollo, a freddo. Vedo però che il liquido ha preso un bel colore ambrato, ci penso, mi scatta qualcosa e decido di tenerlo. Il giorno dopo, anzi, lo faccio ridurre per otto ore, da un litro ne viene fuori pochissimo, quasi una lavorazione improponibile».

L'acqua dei ceci ristretta, prende un gusto insospettabile...
Il colore è bruno, «lo assaggio e il gusto è netto, lampante:
jus de crustacés, anzi
d'homard. Non avevo aggiunto nulla, nemmeno sale, eppure avevo ottenuto una sorta di succo di astice puro, neanche una bisque: mi ha subito ricordato il fondo con il quale i francesi fanno le gelatine
tramblotant, il ricordo mi è tornato a quegli aromi transalpini di vent'anni fa, quando lavoravo Oltralpe. Incredibile».
Così la pasta in brodo è presto fatta: si cuociono i risoni come al solito, e poi s’aggiunge questa sorta di pozione magica, d’incredibile potenza gustativa e finezza.

Risoni in brodo sullo schermo del congresso
La terza preparazione – la pasta in bianco - è quella più tecnica. «Sono partito dall’idea di una pasta salutare, digeribile, che contrasta un poco con il concetto italiano di “al dente”». Serve una premessa: la cottura della pasta porta alla gelatinizzazione degli amidi. Questi sono formati da due molecole complesse, l'amilosio e l'amilopectina, che si aggregano a formare dei granuli insolubili in acqua a temperatura ambiente, e difficilmente attaccabili dagli enzimi digestivi. Per diventare più digeribili, i granuli di amido devono essere portati a temperatura elevata, in ambiente acquoso: in queste condizioni s’idratano, perdono la struttura ordinata e ne assumono una disordinata, con le caratteristiche di un gel. È il processo di gelatinizzazione degli amidi, appunto, che li rende attaccabili dagli enzimi digestivi. Gli italiani vogliono la pasta “al dente”: significa che l’amido è gelatinizzato solo all’esterno, mentre la parte interna risulta piacevolmente tenace ma dalla digestione complessa.

Quando l'amido gelatinizzato si raffredda, avviene un fenomeno chiamato retrogradazione dell'amido, attraverso il quale le molecole si riallineano un poco (l'esempio più classico è il pane raffermo). Intanto, però, la cottura ha parzialmente trasformato l’amido in uno zucchero più semplice e digeribile.
Camanini forza i processi di gelatinizzazione e retrogradazione della pasta. «Prendo dei fusilli, li cuocio in forno a vapore a 80° per 12 ore, alternando soluzioni saline spruzzate per equilibrare il punto di sale. Poi li metto in frigo a 3° per altre 12 ore», e così per una settimana. In pratica, cuoce la pasta in forno a vapore per 84 ore, raffreddandola poi per altrettante.
«Alla fine di questo processo i miei fusilli avranno preso un bel colore ambrato. Li butto in acqua bollente per 3-4 minuti, non di più», e scola. Saranno perfettamente cotti ma uniformemente al dente, senza distinzione tra parte interna ed esterna. Avranno conservato del tutto il loro bel gusto di grano, non disperso nell’acqua di cottura, anzi potenziato dal processo tecnico descritto: «Per questo, val la pena optare per un condimento leggerissimo, che non copra tale sapore». Un filo di extravergine, una grattata di parmigiano, e i
Fusilli in bianco di
Camanini sono pronti.