Sul palco dell’auditorium di Identità Milano 2023, è andato in scena una sorta di derby tra Brescia e Bergamo sulla “paternità” del casoncello. Da una parte Alberto Gipponi del Dina di Gussago, dall’altra Chicco Cerea e Da Vittorio a Brusaporto.
In realtà si è trattato di un derby scherzoso, fatto di qualche battuta campanilistica, perché Brescia e Bergamo giocano in una squadra sola, quella della Capitale italiana della cultura per il 2023. Lo ha ricordato, presentando i due chef, anche Annalisa Cavaleri, spiegando come sia “capitale” al singolare, proprio per sottolineare il senso di unione. Ma non solo: la parola cultura arriva dal latino “colere”, che significa insediarsi in un territorio, coltivarlo. Ma anche abbellire il corpo. E ancora rivolgere un culto agli dei.
E così il casoncello diventa una “scusa” per parlare, in cucina, la stessa lingua. Affinché Brescia e Bergamo possano proseguire sulla stessa strada.

Un momento della lezione sul palco dell'auditorium di Identità Milano 2023

Il piatto presentato da Chicco Cerea
«Ci contendiamo il
casoncello da una vita – racconta non senza un pizzico di ironia
Chicco Cerea – Ci sono un’infinità di ricette differenti. Ogni famiglia ha la sua. Che, ovviamente, è sempre la più buona di tutte».
E racconta anche un po’ la genesi di questa pasta ripiena: «C’è quello di montagna, fatto solo con pane, formaggio locale, erbe… Molto povero. Scendendo a valle, c’è l’introduzione del manzo e del maiale: a Bergamo si usa la carne, mentre nel bresciano utilizzano più i salumi. Infine in pianura, nella bassa, troviamo il casoncello più dolce, con amaretto, uvetta, pera, dove veniva messo in passato anche dello zucchero per renderlo più goloso».
E anche per la pasta c’è di tutto: «Si va da zero uova, cioè solo acqua e farina, fino alle dieci uova, per l’impasto. Ma l’importante era che il casoncello si cucinava per il giorno di festa».

Alberto Gipponi prepara il suo casoncello, sotto l'occhio vigile di Chicco Cerea
A pochi chilometri di distanza, se la ricetta può variare (come di famiglia in famiglia), ma il concetto è pressoché identico. «Siamo uniti dal
casoncello – narra
Alberto Gipponi – La radice del termine pasta arriva dal sanscrito, e significa prendersi cura. E poi c’è il ripieno che nasconde il buono e il bello». E la rivoluzione? «È silenziosa. La cultura si forma con il tempo, la dedizione, l’amore. Per questo bisogno interiorizzare e fare crescere poco per il volta il proprio pensiero».
Cerea e Gipponi hanno poi tradotti i loro pensieri ai fornelli. Cerea con una versione classica, golosa, con la “fossetta” che serve a raccogliere quel burro nocciola con salvia dal profumo inebriante. Gipponi, invece, ha voluto fare un omaggio proprio alla famiglia Cerea, rivistando la ricetta del Baccalà alla Vittorio: «Lo avevo visto in televisione. Quando mi è stato chiesto di fare un casoncello innovativo, ho pensato a lui, anche se ho tramutato questa ricetta, con cipolla, panna acida e il gambero di fiume al posto del baccalà. Questo per il ripieno. Il casoncello viene cotto in acqua e poi piastrato. Viene servito con della polenta e a chiudere un estratto di tarassaco ossidato, visto che mi piace molto l’amaro.
E poi Cerea ha chiuso con una sorpresa, un gioco: una piccola oliva realizzata solo con il ripieno del casoncello. Una pasta ripiena che riesce a racchiudere il cuore di due città, di due province, come Brescia e Bergamo, unite nella Capitale della cultura.