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I Giolito sono rimasti gli unici a compiere il lungo affinamento che porta alla produzione del Bra duro
Avrebbe festeggiato i 100 di apertura la mitica bottega di affinamento formaggi di Bra, che appartiene da 4 generazioni alla famiglia Giolito, se solo questa pandemia non avesse interrotto la voglia di ritrovarsi e stare insieme. Sarebbe stata la festa dell’azienda, ma soprattutto la festa dei produttori, di chi sta dietro alle forme di formaggio che Giolito preserva e affina per il consumatore finale.
Era il 1920 quando la nonna Mariet, che apparteneva a una lunga tradizione di ortolani braidesi, capì che i formaggi prodotti dalle vallate di montagna per essere conosciuti e valorizzati, dovevano essere avvicinati ai consumatori e così iniziò a raccoglierli e venderli nei mercati del basso Piemonte e della Liguria, primo tra tutti ovviamente, il mercato di Bra, sotto i portici di corso Garibaldi . A lei e alla sua grande intuizione, darà seguito, prima il figlio Francesco, che cominciò a raccogliere e vendere i prodotti provenienti da altre regioni; infine dagli anni ’70 sarà il nipote Fiorenzo a far arrivare il progetto di nonna Mariet fino al secolo attuale e fino ad essere uno dei più conosciuti e stimati affinatori di formaggi in Piemonte.
Da Bra i formaggi selezionati dai Giolito hanno cominciato a raggiungere clienti in tutta Europa e poi hanno attraversato l’Atlantico per approdare anche in America, del Nord soprattutto.
Fiorenzo e Marco Giolito: terza e quarta generazione di affinatori
Ma Fiorenzo non si è fermato li, ed essendo di Bra, patria di grandi pensatori del cibo, e compagno di scorribande giovanili di un certo Carlin Petrini, è stato tra i primi sostenitori ed organizzatori di Cheese, nonché successivamente il referente per i formaggi nell’impresa di Farinetti in Eataly.
Il grande artigiano è in grado di imprimere la firma sulla sua produzione, rendendola unica. L’affinatore ha lo stesso compito, difficile, nel selezionare la materia prima grezza e comprenderne le potenzialità. Nel lavorare poi su un’idea di gusto e metterla in atto «con amore e pazienza, quotidianamente. L’affinatore deve saper fare la punta al formaggio, questo vuol dire affinare, con l’estro e l’esperienza di chi sa trasformare il prodotto».
E la visita alla cantina e allo spaccio di Giolito confermano quanto i formaggi siano l’immagine di chi se ne prende cura.
Si concentra sull’affinatura di pochi formaggi, unico che ancora ha la costanza di stagionare per tempo quasi immemore il Bra duro e dargli quella piccantezza unica e ormai introvabile (ndr, il Bra è l’unica DOP che caratterizza un formaggio per il luogo di affinatura e stagionatura e non per quello di produzione).
Fornisce al Bra tenero sentori di fieno e camomilla o di barbera e poi conserva grandi formaggi, perché anche lo stagionatore non è un lavoro semplice ma «se li tratti bene, con amore, i formaggi, che sono materia viva, ricambiano». Come il Parmigiano Reggiano, selezionato da allevatori di montagna, che qui dentro può riposare anche alcuni anni, per sperimentare nuove fragranze di quello che resta, per Fiorenzo Giolito «indubbiamente il miglior formaggio italiano».
La voglia di nuovi viaggi e nuove esperienze non manca, così nel 2001 i Giolito hanno deciso di aprire un caseificio in Giappone, con latte di mucche locali e tecnologia produttiva italiana, per provare a vendere agli asiatici il formaggio che tanto apprezzavano in Italia.
Oggi a festeggiare i 100 anni dell’azienda di famiglia, insieme a Fiorenzo è al lavoro anche Marco, la quarta generazione di Giolito, pronta a raccogliere il testimone e cambiare la musica che i formaggi devono ascoltare nel loro lento riposo in cantina.
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“Del buono, poco” è il nuovo motto di Davide Oldani nei confronti del vecchio carrello dei formaggi, e del formaggio nella ristorazione in generale. Ossia: il tradizionale carrello è inattuale, bisogna proporre poco ma di altissima qualità, badando anche alla "stagionalità del formaggio", ossia servendo ciascun cacio nel periodo dell'anno in cui si esprime meglio. Così l'assaggio di "formaggi" al D'O, vedi la foto sopra, prevede tre pezzi, ma solo uno è formaggio vero, quello al centro, un Montebore. La finta groviera, a sinistra, è una mousse di pera e pepe del Tibet; la finta scaglia di Parmigiano, a destra, è un pane imbevuto in acqua di formaggio e poi arrostito. Tutte le foto sono di Brambilla-Serrani
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