È possibile fare alta cucina contemporanea in Calabria? Certo che sì, e Luca Abbruzino – come pure Caterina Ceraudo che lo ha preceduto sul palco dell’Auditorium – ne è la prova. Anche lui ha “ereditato” la guida del locale di famiglia a Catanzaro dal padre, Antonio, che oggi fa la spola tra la cucina e la sala presidiata dalla mamma Rosetta.
Ma è grazie alla sua bravura che, da ristorante tradizionale, è diventato una meta gourmet. «Lavorare in Calabria dà più soddisfazioni» dice lui per tutta risposta. E poi, senza falsa presunzione, confessa: «Essere su questo palco è una figata. Gli anni scorsi eravamo seduti in attesa dei grandi nomi e adesso ci siamo noi».
Parla sempre al plurale, sa che, insieme alla famiglia, la sua squadra – giovanissima, il più “anziano” ha 40 anni – è la sua forza. «La nostra è un’attività famigliare, è come se fosse la nostra casa perché siamo sempre lì e questo vale per tutti quelli che ci lavorano».
I suoi piatti partono da ciò che lo circonda, una terra difficile ma anche unica. «Qui ho tutto quello che mi serve; in un’ora vai dalla montagna al mare, ci sono due coste con due mari diversissimi, prodotti straordinari». Per esempio il baccalà, specialità locale.
Lui ne usa ogni parte, senza sprecare nulla, per realizzare un piatto elaborato e concreto: la parte più alta del filetto, cotta al Roner, diventa protagonista del piatto, ma a sottolinearne il sapore ci sono le sue trippette – tagliate a julienne, soffritte con alloro e ginepro e cotte nel vino bianco – e le pelli, cotte e fritte fino a ottenerne una cialda croccante che accoglie un’insalata di misticanza e fiori o emulsionate fino a ottenerne una “maionese” di baccalà che la va a condire.
E ancora, con lische e scarti infarinate e cotte con vino bianco, scorza d’agrumi e alloro fa una salsa d’accompagnamento, una sorta di mugnaia. Un piatto quasi monotematico ma non monocorde, che racchiude tanti profumi di Calabria.
Con il fasciano (scorfano di fondale, reputato un pesce povero ma buonissimo) fa una tartare condita con un’altra “maionese” a base di pasta di mandorla, ostrica e scarti di foglia di verza fermentata. La stessa – preparata quasi come un kimchi coreano – con cui avvolge la tartare glassandola con una riduzione di sugo di pesce che strizza l’occhio alla famosa zuppa di suo padre, e foglie di coriandolo.
Il dessert, invece, anch’esso mono-ingrediente e monocromatico, è un omaggio alla signora Maria che alleva le capre da cui viene il latte utilizzato: gelato, spuma di latte e caprino, cremoso al latte e Whisky (la cui nota torbata ricorda la stalla), aria di latte al Whisky, e poi tre cialde dalla texture diversa a dare consistenza.

Luca Abbruzzino sul palco dell'Auditorium con tutta la sua squadra
Più di pancia l’assaggio proposto al pubblico in sala, un grande classico della sua cucina “mare e monti” che non riesce a levare dal menu: i
Fusilloni con ‘nduja, pecorino e ricci di mare. Abbinamento azzardato, verrebbe da pensare, la terra batte il mare 2 a 1 e forse più.
E invece lo assaggi e scopri che il sapore intenso del ricco viene solo esaltato dalle note piccanti degli altri ingredienti. E capisci perché è il fattore umano a fare la differenza.