Casertano l’uno. Ericino l’altro. Classe 1983 il primo. Millesimo 1986 il secondo. Pizzaiolo Giorgio. Cuoco Nicola. Cos’hanno in comune? La tenacia, la caparbietà, la passione e la professionalità nel fare quel che fanno. Maestro Caruso sotto l’insegna di Lievità, che a Milano ha già conquistato tre civici in tre diverse zone della città: via Pasquale Sottocorno 17, via Carlo Ravizza 11 e via Varese 4. Chef Bandi a guidare l’Osteria Il Moro, nel cuore di Trapani. Dove, la scorsa estate, Giorgio è capitato quasi per caso. Anzi no, su suggerimento di Pasquale Bonsignore, originario di Castelvetrano e capitano di un progetto sartoriale di valorizzazione del genius loci che va sotto il nome di Incuso, includendo olio, olive, origano, capperi e pomodori.

Giorgio Caruso (foto Carlo Baroni)
Insomma, un buon nunzio ci ha messo lo zampino. E così
Giorgio va da
Nicola, scatta la scintilla e pure l’idea di mettere a punto una serata in cui pizza e cucina si fondano in un intreccio costruttivo. Della serie, non semplicemente gli impasti dell’uno completati dai topping dell’altro, ma un vero e proprio scambio culturale e territoriale. Fra la Campania di
Caruso e la Sicilia di
Bandi. «Anche perché un tempo erano riunite sotto il Regno delle Due Sicilie», precisa Giorgio. Alla regia di
Lievità non da solo, ma con altri quattro soci-amici:
Andrea e
Gianmaria D’Angelo,
Giovanni Grossi e
Lorenzo Santin. Mentre
Nicola condivide oneri e onori col fratello
Enzo. Con lui (in sala) sin dall’inizio. Quando, più di una dozzina d’anni fa, in quel di Valderice, inaugurarono
Sfizi e Delizie. Poi, il salto di qualità, il trasferimento e l’apertura dell’
Osteria Il Moro in un palazzo ottocentesco, nella trapanese via Garibaldi. Un palese upgrade per i
Bandi bros. Che si muovono in uno spazio perlaceo e luminoso, prezioso delle teste di moro targate
Le ceramiche di Flo, azienda artigiana di Custonaci.

Lievità di via Sottocorno dopo il restyling

E questa è invece l'Osteria Il Moro di Trapani
Tavoli in legno, vecchi pavimenti e pareti ruvide color senape invece per la pizzeria
Lievità di Sottocorno, fresca di restyling. «Volevamo un ambiente dai toni più caldi», racconta
Giorgio. Presentando in questo locale la serata
Spicchi da Chef. Quasi un ossimoro, per certi versi. Per altri, una ghiotta occasione per assaggiare un’insolita trama culinaria. Che ha preso il via così, con un
Ricordo di pane cunzato. Nel senso che gli ingredienti del pane condito alla siciliana maniera c’erano tutti, ma riletti con un twist. Quindi: tarallo napoletano all’olio e al vino by
Caruso e acqua di pomodoro, origano, basilico croccante, polvere di olive e sardine affumicate by
Nicola. Da consumare al cucchiaio. Mentre nel calice finiva il bianco frizzante, aromatico e brillante
Traimari delle
Cantine Pellegrino, la marsalese maison complice del menu.
E dopo il pane nel bicchiere? La pizza al piatto. La montanara per l’esattezza, palese firma partenopea di mister
Caruso. Che la frigge e la passa nel forno a legna. Per poi farcirla con il pesto alla trapanese. «A base di pomodoro, basilico, aglio e mandorle. Tutti messi a crudo e pestati nel mortaio», precisa
Nicola. Che condisce la montanara
bedda con l’extravergine
Pregio (blend di rotondella, frantoio e carpellese), siglato dalla dop Colline Salernitane. In sintesi: un chiasmo, per un equo scambio di eccellenze. In abbinamento? Il
Gibelè, un bianco secco e fresco, figlio in purezza dello zibibbo. Fiero di esprimersi fra note floreali e fruttate di gelsomino, mela verde e cedro. Il suo nome? Viene dal monte pantesco Gibele, un vulcano ormai spento, ma dalle pendici ricoperte da una rigogliosa vegetazione.

Montanara al pesto trapanese
Ma post montanara si è andati decisamente verso il mare. Tenendo i piedi per terra, grazie alla focaccia di farina di farro monococco integrale bio, targata
Molino Quaglia. Anche perché
Giorgio fa parte dei
Petra Selected Partners, il network pensato dal molino atestino per mettere in rete l’eccellenza. Una focaccia dal gusto tonico e deciso, cotta nel forno a legna e farcita con sgombro marinato e affumicato da
Nicola, burrata, pomodorino confit e zeste di limone. Sapidità e delicatezza a rincorrersi in ogni spicchio. Complice l’olio
Incuso, monocultivar di nocellara del Belice. Nel calice:
Il Salinaro. Cosa sennò? Un grillo equilibrato e scattante, le cui uve vengono accarezzate dalla brezza del mare, non lontano dalle saline della costa occidentale.

Focaccia di farina di farro monococco integrale bio con sgombro marinato e affumicato, burrata e pomodorino confit
A seguire, in un climax studiato ad hoc, la pizza più iconica di
Caruso, di matrice napoletana ma di stampo contemporaneo. Messa a punto con
Petra 3, seguendo lunghe lievitazioni e maturazioni. A completarla? Il
Baccalà in compagnia. Sì, di olive, capperi, pomodori del piennolo del Vesuvio e crema di patate, finocchio, zenzero e cipollotto. Per un effetto vellutato al palato. Esaltato dall’extravergine utilizzato: il
Polifemo dell’azienda ragusana
Viragì. Un monovarietale da tonda iblea dal tono fragrante e lievemente piccante. Mentre il bicchiere accoglieva il
Materico, nerello mascalese coltivato in bio, dai tratti speziati di chiodi di garofano, pepe nero e cannella.
Infine, il dessert. Assoluto sincretismo campano-siciliano:
Come fosse cassata. Traduzione: una zeppola-cassata colma di ricotta di pecora, impreziosita da cioccolato di Modica. Al top: sfoglia di marzapane, zucchero a velo e fetta d’arancia candita. Un dolce emblema della serata, in perfetto pairing con il suadente Passito di Pantelleria liquoroso, solare interpretazione delle uve zibibbo. Cresciute su viti ad alberello, tecnica di coltivazione entrata a far parte del patrimonio immateriale dell’Unesco. Un nettare aureo, dalle sfumature di albicocca, miele e fichi secchi.
Cosa resterà di tal serata? Un’amicizia, anzitutto. E la consapevole certezza che sempre più pizza e cucina procedano all’unisono. Ma non in modo parallelo. Bensì tangenziale: contaminandosi, dialogando, interagendo e dando voce alla tensione evolutiva di entrambe.