28-08-2017

Quando Pepe era solo Franco

«Per campare vendevo salvagenti e scaricavo vagoni postali. Il pizzaiolo moderno nasce in sala e poi cresce in cucina»

Franco Pepe in una foto tratta dal sito california

Franco Pepe in una foto tratta dal sito californiano The Taste SF che da San Francisco segue con attenzione quanto di meglio offre l'Italia. Il piazzaiolo di Caiazzo, il grembiule già indossato sul palco di Identità di Pizza 2014 a Milano, sta spiegando e preparando la sua pizza più famosa, la Margherita sbagliata (foto www.thetastesf.com)

Oggi Franco Pepe, 54 anni senza dimostrarli, è il pizzaiolo numero uno al mondo ed è scontato invidiarlo, lui e la sua Pepe in grani a Caiazzo in provincia di Caserta. Se uno volesse prenderne il posto, dovrebbe però rivivere anche i suoi primi passi altrimenti non avrebbe senso, troppo facile. Alcuni ricordi suscitano invidia come quando sostenne un provino per un film con Dalila Di Lazzaro lui che come comparsa si ritrovò anche a personificare Gesù sulla croce. Altri sono figli di tanti sogni in testa e pochi soldi in tasca come le estati a Rimini tentando di vendere improbabili salvagenti alle mamme con prole o i contratti precari alle poste. E non un ufficio qualsiasi, magari a Caiazzo, a casa insomma, bensì alla Centrale di Milano.

«Duravano tre mesi e lavoravi di notte nei tunnel della stazione a scaricare i sacchi della posta dai vagoni. Per evitare di ritrovarti con le mani piagate bisognava evitare le riviste perché legate con lacci taglienti. Di giorno dormivo e in pratica vivevo senza vedere la luce del sole. Era dura, non girava bella gente. Quando arrivavano i vagoni con i cosiddetti valori c’era la sicurezza e te la cavavi, altrimenti guai restare isolato. Però vivevi anche notti speciali. Capitava che girassero delle scene di qualche pellicola e illuminavano certi angoli a giorno. Una sera arrivò Celentano, che energia. Quando due anni fa Identità presentò l’enciclopedia dei 100 più importanti chef, eravamo proprio in Centrale e pensando a dove ero allora e dove sono adesso, mi passò davanti tutta la vita».

Tre maestri della pizza italiana alla presentazione alla Stazione Centrale di Milano di 100 chef x 10 anni, i cento chef che hanno cambiato la cucina italiana. Da sinistra verso destra Ciro Salvo, Renato Bosco e Franco Pepe

Tre maestri della pizza italiana alla presentazione alla Stazione Centrale di Milano di 100 chef x 10 anni, i cento chef che hanno cambiato la cucina italiana. Da sinistra verso destra Ciro Salvo, Renato Bosco e Franco Pepe

Tutta una vita… Che consiglio può dare Franco Pepe a un ragazzo che oggi vuole diventare pizzaiolo?

«Di iniziare facendo il cameriere, l’approccio alla sala, ai clienti è fondamentale».

E poi a impastare.

«No, poi in cucina, nelle cucine dei ristoranti. E migliori saranno quei posti e meglio sarà per quel giovane. Il pizzaiolo contemporaneo deve sapere cosa mette sul disco. Sempre più spesso anche nelle carte delle pizzerie leggi che quel tale prodotto è tutelato da un presidio Slow Food o da un consorzio. Benissimo, ma chi lo lavora lo conosce o lo ha scelto solo per rassicurare i clienti con un marchietto? Faccio un esempio: se comperi il San Marzano migliore e poi lo usi nella pizza fritta, sbagli di brutto».

Sbagliando si impara…

«A patto di volere imparare. Nelle mie pizze è tutto un gioco di caldo e freddo, crudo e cotto, morbido e croccante ma non per divertimento, ma per esaltare ogni singolo ingrediente. Prendiamo la Margherita Sbagliata. E’ nata perché avevo un pomodoro riccio superlativo, ricchissimo di polifenoli ma se lo inforno a 400° lo rovino, allora lo lavoro prima - e a parte - a 180° e lo uso quando è il momento, dopo la cottura della base».

Quando ha preso coscienza di tutto questo?

«E’ stato un lungo viaggio. Ad esempio, sei anni fa proprio Identità mi invitò a proporre una mia pizza a un cena all’Open Colonna a Roma dedicata a cinque giovani chef. Arrivai con i miei panetti e con la voglia di capire come lavorassero quei cuochi, che tecniche avrei potuto fare mie».

Il calzone fritto di Franco Pepe

Il calzone fritto di Franco Pepe

E non smettere mai di informarsi immagino.

«Come un cuoco va a scuola dagli stellati così un pizzaiolo deve passare del tempo da Bonci, Bosco e Padoan, dai napoletani. E deve imparare l’universo pizza, non la pizza di un singolo collega credendo di avere capito tutto. Un giorno presi le foto delle Margherite dei 10 migliori pizzaioli di Napoli. Non ve ne erano due uguali e non mi stupiva, perché erano le loro interpretazioni. Se uno ha personalità si allontana dai disciplinari, basta vedere i Salvo, Sorbillo e Coccia per capirlo».

A volerlo capire…

«Ci sono cose in contrasto tra loro proprio perché tanti non vi dedicano del tempo. Ad esempio, i pizzaioli migliori sono tutti artigiani che offrono un grande prodotto artigianale che proprio perché tale è soggetto a variazioni, anche errori a volte, però tutti vogliono la pizza uguale come fosse uscita da una catena di montaggio. Non è possibile per noi».

Prima di ogni altra cosa, cos’è un pizzaiolo?

«Un fornaio, poi viene il resto. Se uno non sa stendere un disco alto uguale in ogni punto, è già partito con il piede sbagliato».

I giovani cuochi vanno a fare esperienze all’estero, e i pizzaioli?

«Dovrebbero fare altrettanto. Per due motivi: imparare l’inglese e conoscere nuove tecniche, nuove materie prime. Devono andare nelle cucine dei ristoranti, non tanto nelle pizzerie. Quando incontri uno che ha una marcia in più, quasi sempre è stato anche fuori dall’Italia».

Il panorama che si gode al tramonto dalla terrazza di Pepe in grani, la pizzeria di Franco Pepe a Caiazzo in provincia di Caserta

Il panorama che si gode al tramonto dalla terrazza di Pepe in grani, la pizzeria di Franco Pepe a Caiazzo in provincia di Caserta

Franco Pepe si chiede mai come sarà il mondo della pizza, la pizza stessa tra dieci o vent’anni?

«Più pizzaioli seguiranno la loro identità e più novità avremo. Quando so che qualcuno propone la Margherita Sbagliata da una parte sono lusingato, è segno che ho fatto qualcosa di buono. Però a mio figlio Stefano dico sempre di seguire la sua strada, di essere Stefano Pepe come io mi allontanai da mio padre per non essere in eterno suo figlio. E serviranno vere scuole di formazione, alberghieri degni della loro missione, strutture che accolgano i Romito e i Cracco ma anche i Coccia e i Padoan. Io mi sto impegnando in più realtà come quelle di Catel Volturno e di Piedimonte Matese. Il pizzaiolo del futuro sarà sempre di più un cuoco che è anche fornaio, panificatore ma con le 55 ore di pratica legate all’alternanza scuola-lavoro non si insegna nulla e quindi non si impara».

Ultima domanda: chi si presenta a Pepe in Grani, cosa si deve aspettare? Cosa chiedere?

«Vorrei che non ordinasse una singola pizza per mangiarla tutta lui. Così non conoscerà il percorso che con mio figlio e i miei collaboratori abbiamo studiato per lui. Il tavolo ideale è quello per sei, così puoi servire uno spicchio a ognuno in una sorta di menù degustazione. Il tavolo impegnativo non è quello affollato, bensì quello per due. Non è facile alternare le pizze, lavori sui panetti, sei attentissimo e in genere porti a casa il risultato. Per noi è soddisfazione come l’ultimo sabato prima delle vacanze: 1000 pizze in una serata».


Mondo pizza

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a cura di

Paolo Marchi

nato a Milano nel marzo 1955, al Giornale per 31 anni dividendosi tra sport e gastronomia, è ideatore e curatore dal 2004 di Identità Golose.
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instagram instagram.com/oloapmarchi

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