Da bambina era il rito della domenica in famiglia. A pranzo si mangiavano i tortellini in brodo, e a cena la pizza, rigorosamente fatta in casa: la mamma preparava l’impasto e lo lasciava crescere tutto il pomeriggio sul termosifone, mentre la farcitura era compito del babbo che, prima di infornare, stendeva la pasta con certosina pazienza e la sommergeva di condimenti. Per molti anni, dunque, la pizza è stata questa: un rettangolo soffice, con la base croccante e i condimenti straripanti. Ancor più buona il giorno dopo, meglio se fredda.
Poi è arrivata l’epoca delle pizze con gli amici, da adolescente. Andare in pizzeria significava mangiare fuori spendendo il meno possibile. E poco importavano le lievitazioni, le materie prime e le cotture: le pizze dovevano essere golose e costare pochissimo. Infine è arrivata l’età adulta, e con essa, la cattiva digestione: acidità di stomaco, pesantezza e gonfiore sono diventati i fedeli compagni di tanti dopo cena in pizzeria, regalando notti insonni e infinite arsure.
Così, la pizza è diventata un tabu. Ma col passare degli anni è cresciuta l'informazione, l'attenzione si è spostata sulla qualità degli ingredienti e sull’arte di saper trattare il cibo. Da qui, la decisione di dare alla pizza una seconda chance.

La pizzeria è in piazza XXV Aprile 1 a Reggio Emilia, telefono +39.0522.434922
Il primo approccio è stato con le pizze cosiddette “gourmet”, complici le lunghissime lievitazioni e le farciture ricercate. Tuttavia, la vera sfida è stata quella di tornare alla "classica", la pizza degli incubi notturni. Voci autorevoli inneggiavano alla Napoletana, la pizza stesa, elastica, con il condimento al centro e il cornicione alto sul bordo: «La Vera Pizza,
Lisa!». E alla fine ho ceduto, incuriosita dalla presenza di un pizzaiolo "verace" in terra emiliana.
Piccola Piedigrotta è un ristorantino incastonato nel centro di Reggio Emilia, strapieno anche a pranzo, con un pizzaiolo/patron,
Giovanni Mandara, campano doc di Tramonti (Salerno) ma reggiano ormai da un trentennio, istrionico e appassionato.
Leggendo il menu salta all'occhio l'attenzione alle materie prime, dal pomodoro Corbarino alla mozzarella delle Vacche Rosse, passando per l'uovo di
Parisi e la mortadella di
Palmieri. Gli impasti hanno lievitazioni lunghissime, e sono lavorati con l'acqua di mare (che consente l'utilizzo di meno lievito e meno sale) o con l'aggiunta di canapa; i frigoriferi a vista sono pieni di chicche enoiche, piccole eccellenze italiane e francesi che
Giovanni chiama scherzosamente «cose strane».

Giovanni Mandara con Gualtiero Marchesi
Si possono scegliere pizze tradizionali o "creative", sempre caratterizzate da un bel cornicione soffice e alveolato, e da un impasto elastico ma non gommoso. Sorprendente, nella sua semplicità, quella con il pomodoro Corbarino e la mozzarella delle Vacche Rosse, così come la pizza con la Spalla cruda di Bettella, le foglie di Senape, le fette di arancia macerata nel Pigato e il mix di pepi: grande impatto gustativo e ottimi equilibri in entrambe.
Golosamente opulenta la "La Giovanna" con mozzarella di bufala, carciofo violetto romano, uovo di Parisi e pancetta cotta "La Giovannona" de I Capitelli. Menzione speciale, infine, per la selezione di amari e digestivi, tra cui il vermouth "Dopo Teatro" di Cocchi, servito con ghiaccio e mezzo chinotto (l'agrume vero e proprio, non la bibita). Digestione perfetta, e prova trionfalmente superata. Bentornata, Pizza.