09-11-2011

Il Bosforo dei sapori

Un fotoracconto per fissare il felice stato di grazia di Istanbul, vera bengodi tra due mondi

Spezie in fila nelle bancarelle del mercato copert

Spezie in fila nelle bancarelle del mercato coperto di Istanbul, metropoli che vede convogliare da millenni i sapori di Oriente e Occidente (fotogallery a cura di Carlo Passera) 

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Boğaziçi Köprüsü, il ponte sul Bosforo che unisce i due continenti

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Boğaziçi Köprüsü, il ponte sul Bosforo che unisce i due continenti

Tornati recentemente a Istanbul dopo alcuni anni di assenza, abbiamo notato con piacere un netto risveglio (o una nascita tout court) dello spirito gourmand “all’occidentale” in città. E’ un fiorire di iniziative, spazi, proposte, stili che superano quel certo anonimato vagamente mediocre che caratterizzava fino a non molto tempo fa anche le tavole di maggior prestigio – o la schietta ruralità della cucina basic. C’è sempre stata cultura del cibo, oggi cresce anche la capacità di comunicarla e renderla fruibile a chi giunge da queste parti per qualche giorno di vacanza. Sono d’aiuto anche parecchi siti o blog di foodies turchi, che offrono consigli utilissimi, su tutti istanbuleats.com. (in foto, un piatto del talentuoso chef Mehmet Gürs, già presentato a Identità Golose 2011: Dessert di zucca candita, marinata 24 ore in acqua di calce, con gelato di pistacchio e sciroppo di sesamo)

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Boğaziçi Köprüsü, il ponte sul Bosforo che unisce i due continenti








Tornati recentemente a Istanbul dopo alcuni anni di assenza, abbiamo notato con piacere un netto risveglio (o una nascita tout court) dello spirito gourmand “all’occidentale” in città. E’ un fiorire di iniziative, spazi, proposte, stili che superano quel certo anonimato vagamente mediocre che caratterizzava fino a non molto tempo fa anche le tavole di maggior prestigio – o la schietta ruralità della cucina basic. C’è sempre stata cultura del cibo, oggi cresce anche la capacità di comunicarla e renderla fruibile a chi giunge da queste parti per qualche giorno di vacanza. Sono d’aiuto anche parecchi siti o blog di foodies turchi, che offrono consigli utilissimi, su tutti istanbuleats.com. (in foto, un piatto del talentuoso chef Mehmet Gürs, già presentato a Identità Golose 2011: Dessert di zucca candita, marinata 24 ore in acqua di calce, con gelato di pistacchio e sciroppo di sesamo)

Ogni discettazione sull’alta cucina istanbuliota trova l’alfa e l’omega al diciottesimo piano del Marmara Pera, elegante hotel che ospita il miglior ristorante di Turchia, Mikla, regno di Mehmet Gürs (nella foto). La stessa sua biografia ne fa il rappresentante perfetto della Istanbul sfaccettata della quale abbiamo accennato: papà turco, mamma finlandese, nonna svedese, l’infanzia trascorsa a Tammisaari, 90 chilometri da Helsinki, scuola alberghiera a Providence, Rhode Island, Usa. E’ il profeta della New Anatolian Cuisine

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Boğaziçi Köprüsü, il ponte sul Bosforo che unisce i due continenti








Tornati recentemente a Istanbul dopo alcuni anni di assenza, abbiamo notato con piacere un netto risveglio (o una nascita tout court) dello spirito gourmand “all’occidentale” in città. E’ un fiorire di iniziative, spazi, proposte, stili che superano quel certo anonimato vagamente mediocre che caratterizzava fino a non molto tempo fa anche le tavole di maggior prestigio – o la schietta ruralità della cucina basic. C’è sempre stata cultura del cibo, oggi cresce anche la capacità di comunicarla e renderla fruibile a chi giunge da queste parti per qualche giorno di vacanza. Sono d’aiuto anche parecchi siti o blog di foodies turchi, che offrono consigli utilissimi, su tutti istanbuleats.com. (in foto, un piatto del talentuoso chef Mehmet Gürs, già presentato a Identità Golose 2011: Dessert di zucca candita, marinata 24 ore in acqua di calce, con gelato di pistacchio e sciroppo di sesamo)








Ogni discettazione sull’alta cucina istanbuliota trova l’alfa e l’omega al diciottesimo piano del Marmara Pera, elegante hotel che ospita il miglior ristorante di Turchia, Mikla, regno di Mehmet Gürs (nella foto). La stessa sua biografia ne fa il rappresentante perfetto della Istanbul sfaccettata della quale abbiamo accennato: papà turco, mamma finlandese, nonna svedese, l’infanzia trascorsa a Tammisaari, 90 chilometri da Helsinki, scuola alberghiera a Providence, Rhode Island, Usa. E’ il profeta della New Anatolian Cuisine

La vista che si gode dalle finestre di Mikla – se c’è bel tempo e la temperatura lo consente si può cenare anche in terrazza, sotto le stelle – è meravigliosa: le luci della città ai vostri piedi, a milioni, il Corno d’Oro col traffico di battelli, sull’altra sponda il vecchio quartiere di Sultanahmet, il Topkapi, Santa Sofia, più in là i minareti della Moschea Blu, a destra la Süleymaniye Camii, moschea di Solimano... Imperdibile. Ma prima di accomodarvi al tavolo salite ancora d’un piano, al diciannovesimo e ultimo, per godervi una flute di champagne (o, dopo cena, un cocktail), magari appoggiati alla balaustra con panorama sull’infinito, il cielo come soffitto, la mente che spazia libera

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Boğaziçi Köprüsü, il ponte sul Bosforo che unisce i due continenti








Tornati recentemente a Istanbul dopo alcuni anni di assenza, abbiamo notato con piacere un netto risveglio (o una nascita tout court) dello spirito gourmand “all’occidentale” in città. E’ un fiorire di iniziative, spazi, proposte, stili che superano quel certo anonimato vagamente mediocre che caratterizzava fino a non molto tempo fa anche le tavole di maggior prestigio – o la schietta ruralità della cucina basic. C’è sempre stata cultura del cibo, oggi cresce anche la capacità di comunicarla e renderla fruibile a chi giunge da queste parti per qualche giorno di vacanza. Sono d’aiuto anche parecchi siti o blog di foodies turchi, che offrono consigli utilissimi, su tutti istanbuleats.com. (in foto, un piatto del talentuoso chef Mehmet Gürs, già presentato a Identità Golose 2011: Dessert di zucca candita, marinata 24 ore in acqua di calce, con gelato di pistacchio e sciroppo di sesamo)








Ogni discettazione sull’alta cucina istanbuliota trova l’alfa e l’omega al diciottesimo piano del Marmara Pera, elegante hotel che ospita il miglior ristorante di Turchia, Mikla, regno di Mehmet Gürs (nella foto). La stessa sua biografia ne fa il rappresentante perfetto della Istanbul sfaccettata della quale abbiamo accennato: papà turco, mamma finlandese, nonna svedese, l’infanzia trascorsa a Tammisaari, 90 chilometri da Helsinki, scuola alberghiera a Providence, Rhode Island, Usa. E’ il profeta della New Anatolian Cuisine








La vista che si gode dalle finestre di Mikla – se c’è bel tempo e la temperatura lo consente si può cenare anche in terrazza, sotto le stelle – è meravigliosa: le luci della città ai vostri piedi, a milioni, il Corno d’Oro col traffico di battelli, sull’altra sponda il vecchio quartiere di Sultanahmet, il Topkapi, Santa Sofia, più in là i minareti della Moschea Blu, a destra la Süleymaniye Camii, moschea di Solimano... Imperdibile. Ma prima di accomodarvi al tavolo salite ancora d’un piano, al diciannovesimo e ultimo, per godervi una flute di champagne (o, dopo cena, un cocktail), magari appoggiati alla balaustra con panorama sull’infinito, il cielo come soffitto, la mente che spazia libera

Mehmet Gürs segue in fondo “solo” le tracce di chi (penso ad Alex Atala in Brasile, René Redzepi in Danimarca, Gastón Acurio in Perù...) un bel giorno decide di fare delle proprie radici culinarie un poco disconosciute, dei prodotti di farmers a chilometro zero o mille, ma comunque del territorio (che se è l’Amazzonia, è un territorio gigantesco. E anche la Turchia non scherza), il punto di partenza per reinventare una tradizione. Il suo menu è proprio, innanzi tutto, un inno alle materie prime scovate nei più remoti angoli in un Paese di 780mila chilometri quadrati, ossia più di due volte e mezza l’Italia: gli agnelli Kıvırcık allevati in Tracia, una sorta di gruviera che viene dall’Anatolia del Nordest, i vini della Cappadocia, i pistacchi da Gaziantep, la marmellata di lavanda selvatica ancora prodotta dalle donne di un villaggetto non lontano da Smirne... Menu degustazione a 140 lire turche, 210 col wine pairing (sono rispettivamente 55 e 83 euro)

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Tornati recentemente a Istanbul dopo alcuni anni di assenza, abbiamo notato con piacere un netto risveglio (o una nascita tout court) dello spirito gourmand “all’occidentale” in città. E’ un fiorire di iniziative, spazi, proposte, stili che superano quel certo anonimato vagamente mediocre che caratterizzava fino a non molto tempo fa anche le tavole di maggior prestigio – o la schietta ruralità della cucina basic. C’è sempre stata cultura del cibo, oggi cresce anche la capacità di comunicarla e renderla fruibile a chi giunge da queste parti per qualche giorno di vacanza. Sono d’aiuto anche parecchi siti o blog di foodies turchi, che offrono consigli utilissimi, su tutti istanbuleats.com. (in foto, un piatto del talentuoso chef Mehmet Gürs, già presentato a Identità Golose 2011: Dessert di zucca candita, marinata 24 ore in acqua di calce, con gelato di pistacchio e sciroppo di sesamo)








Ogni discettazione sull’alta cucina istanbuliota trova l’alfa e l’omega al diciottesimo piano del Marmara Pera, elegante hotel che ospita il miglior ristorante di Turchia, Mikla, regno di Mehmet Gürs (nella foto). La stessa sua biografia ne fa il rappresentante perfetto della Istanbul sfaccettata della quale abbiamo accennato: papà turco, mamma finlandese, nonna svedese, l’infanzia trascorsa a Tammisaari, 90 chilometri da Helsinki, scuola alberghiera a Providence, Rhode Island, Usa. E’ il profeta della New Anatolian Cuisine








La vista che si gode dalle finestre di Mikla – se c’è bel tempo e la temperatura lo consente si può cenare anche in terrazza, sotto le stelle – è meravigliosa: le luci della città ai vostri piedi, a milioni, il Corno d’Oro col traffico di battelli, sull’altra sponda il vecchio quartiere di Sultanahmet, il Topkapi, Santa Sofia, più in là i minareti della Moschea Blu, a destra la Süleymaniye Camii, moschea di Solimano... Imperdibile. Ma prima di accomodarvi al tavolo salite ancora d’un piano, al diciannovesimo e ultimo, per godervi una flute di champagne (o, dopo cena, un cocktail), magari appoggiati alla balaustra con panorama sull’infinito, il cielo come soffitto, la mente che spazia libera








Mehmet Gürs segue in fondo “solo” le tracce di chi (penso ad Alex Atala in Brasile, René Redzepi in Danimarca, Gastón Acurio in Perù...) un bel giorno decide di fare delle proprie radici culinarie un poco disconosciute, dei prodotti di farmers a chilometro zero o mille, ma comunque del territorio (che se è l’Amazzonia, è un territorio gigantesco. E anche la Turchia non scherza), il punto di partenza per reinventare una tradizione. Il suo menu è proprio, innanzi tutto, un inno alle materie prime scovate nei più remoti angoli in un Paese di 780mila chilometri quadrati, ossia più di due volte e mezza l’Italia: gli agnelli Kıvırcık allevati in Tracia, una sorta di gruviera che viene dall’Anatolia del Nordest, i vini della Cappadocia, i pistacchi da Gaziantep, la marmellata di lavanda selvatica ancora prodotta dalle donne di un villaggetto non lontano da Smirne... Menu degustazione a 140 lire turche, 210 col wine pairing (sono rispettivamente 55 e 83 euro)

Nella foto, un antipasto che è una sorta di riassunto perfetto di come la tradizione possa essere reinventata in modo creativo, creando un piatto che è intimamente turco eppure al 100% partorito dalla mente di Gürs. Sardine crisp, lemon è la reinterpretazione di un classico street food istanbuliota di cui parleremo tra poco, il panino col pesce del mar Nero e un goccio di succo di limone che si compra ancor oggi facendo la fila davanti ai barconi ancorati vicino al ponte di Galata

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Boğaziçi Köprüsü, il ponte sul Bosforo che unisce i due continenti








Tornati recentemente a Istanbul dopo alcuni anni di assenza, abbiamo notato con piacere un netto risveglio (o una nascita tout court) dello spirito gourmand “all’occidentale” in città. E’ un fiorire di iniziative, spazi, proposte, stili che superano quel certo anonimato vagamente mediocre che caratterizzava fino a non molto tempo fa anche le tavole di maggior prestigio – o la schietta ruralità della cucina basic. C’è sempre stata cultura del cibo, oggi cresce anche la capacità di comunicarla e renderla fruibile a chi giunge da queste parti per qualche giorno di vacanza. Sono d’aiuto anche parecchi siti o blog di foodies turchi, che offrono consigli utilissimi, su tutti istanbuleats.com. (in foto, un piatto del talentuoso chef Mehmet Gürs, già presentato a Identità Golose 2011: Dessert di zucca candita, marinata 24 ore in acqua di calce, con gelato di pistacchio e sciroppo di sesamo)








Ogni discettazione sull’alta cucina istanbuliota trova l’alfa e l’omega al diciottesimo piano del Marmara Pera, elegante hotel che ospita il miglior ristorante di Turchia, Mikla, regno di Mehmet Gürs (nella foto). La stessa sua biografia ne fa il rappresentante perfetto della Istanbul sfaccettata della quale abbiamo accennato: papà turco, mamma finlandese, nonna svedese, l’infanzia trascorsa a Tammisaari, 90 chilometri da Helsinki, scuola alberghiera a Providence, Rhode Island, Usa. E’ il profeta della New Anatolian Cuisine








La vista che si gode dalle finestre di Mikla – se c’è bel tempo e la temperatura lo consente si può cenare anche in terrazza, sotto le stelle – è meravigliosa: le luci della città ai vostri piedi, a milioni, il Corno d’Oro col traffico di battelli, sull’altra sponda il vecchio quartiere di Sultanahmet, il Topkapi, Santa Sofia, più in là i minareti della Moschea Blu, a destra la Süleymaniye Camii, moschea di Solimano... Imperdibile. Ma prima di accomodarvi al tavolo salite ancora d’un piano, al diciannovesimo e ultimo, per godervi una flute di champagne (o, dopo cena, un cocktail), magari appoggiati alla balaustra con panorama sull’infinito, il cielo come soffitto, la mente che spazia libera








Mehmet Gürs segue in fondo “solo” le tracce di chi (penso ad Alex Atala in Brasile, René Redzepi in Danimarca, Gastón Acurio in Perù...) un bel giorno decide di fare delle proprie radici culinarie un poco disconosciute, dei prodotti di farmers a chilometro zero o mille, ma comunque del territorio (che se è l’Amazzonia, è un territorio gigantesco. E anche la Turchia non scherza), il punto di partenza per reinventare una tradizione. Il suo menu è proprio, innanzi tutto, un inno alle materie prime scovate nei più remoti angoli in un Paese di 780mila chilometri quadrati, ossia più di due volte e mezza l’Italia: gli agnelli Kıvırcık allevati in Tracia, una sorta di gruviera che viene dall’Anatolia del Nordest, i vini della Cappadocia, i pistacchi da Gaziantep, la marmellata di lavanda selvatica ancora prodotta dalle donne di un villaggetto non lontano da Smirne... Menu degustazione a 140 lire turche, 210 col wine pairing (sono rispettivamente 55 e 83 euro)








Nella foto, un antipasto che è una sorta di riassunto perfetto di come la tradizione possa essere reinventata in modo creativo, creando un piatto che è intimamente turco eppure al 100% partorito dalla mente di Gürs. Sardine crisp, lemon è la reinterpretazione di un classico street food istanbuliota di cui parleremo tra poco, il panino col pesce del mar Nero e un goccio di succo di limone che si compra ancor oggi facendo la fila davanti ai barconi ancorati vicino al ponte di Galata

Ecco un piatto che invece è solo accostamento di prodotti selezionati, pura materia. Dried beef, ossia una carne di manzo a mò di bresaola, con il Kars gravyer, formaggio vaccino che è una sorta di gruviera stagionato circa 10 mesi e proveniente da Kars, città a poca distante dal confine armeno, famosa per i suoi pascoli e bestiame

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Boğaziçi Köprüsü, il ponte sul Bosforo che unisce i due continenti








Tornati recentemente a Istanbul dopo alcuni anni di assenza, abbiamo notato con piacere un netto risveglio (o una nascita tout court) dello spirito gourmand “all’occidentale” in città. E’ un fiorire di iniziative, spazi, proposte, stili che superano quel certo anonimato vagamente mediocre che caratterizzava fino a non molto tempo fa anche le tavole di maggior prestigio – o la schietta ruralità della cucina basic. C’è sempre stata cultura del cibo, oggi cresce anche la capacità di comunicarla e renderla fruibile a chi giunge da queste parti per qualche giorno di vacanza. Sono d’aiuto anche parecchi siti o blog di foodies turchi, che offrono consigli utilissimi, su tutti istanbuleats.com. (in foto, un piatto del talentuoso chef Mehmet Gürs, già presentato a Identità Golose 2011: Dessert di zucca candita, marinata 24 ore in acqua di calce, con gelato di pistacchio e sciroppo di sesamo)








Ogni discettazione sull’alta cucina istanbuliota trova l’alfa e l’omega al diciottesimo piano del Marmara Pera, elegante hotel che ospita il miglior ristorante di Turchia, Mikla, regno di Mehmet Gürs (nella foto). La stessa sua biografia ne fa il rappresentante perfetto della Istanbul sfaccettata della quale abbiamo accennato: papà turco, mamma finlandese, nonna svedese, l’infanzia trascorsa a Tammisaari, 90 chilometri da Helsinki, scuola alberghiera a Providence, Rhode Island, Usa. E’ il profeta della New Anatolian Cuisine








La vista che si gode dalle finestre di Mikla – se c’è bel tempo e la temperatura lo consente si può cenare anche in terrazza, sotto le stelle – è meravigliosa: le luci della città ai vostri piedi, a milioni, il Corno d’Oro col traffico di battelli, sull’altra sponda il vecchio quartiere di Sultanahmet, il Topkapi, Santa Sofia, più in là i minareti della Moschea Blu, a destra la Süleymaniye Camii, moschea di Solimano... Imperdibile. Ma prima di accomodarvi al tavolo salite ancora d’un piano, al diciannovesimo e ultimo, per godervi una flute di champagne (o, dopo cena, un cocktail), magari appoggiati alla balaustra con panorama sull’infinito, il cielo come soffitto, la mente che spazia libera








Mehmet Gürs segue in fondo “solo” le tracce di chi (penso ad Alex Atala in Brasile, René Redzepi in Danimarca, Gastón Acurio in Perù...) un bel giorno decide di fare delle proprie radici culinarie un poco disconosciute, dei prodotti di farmers a chilometro zero o mille, ma comunque del territorio (che se è l’Amazzonia, è un territorio gigantesco. E anche la Turchia non scherza), il punto di partenza per reinventare una tradizione. Il suo menu è proprio, innanzi tutto, un inno alle materie prime scovate nei più remoti angoli in un Paese di 780mila chilometri quadrati, ossia più di due volte e mezza l’Italia: gli agnelli Kıvırcık allevati in Tracia, una sorta di gruviera che viene dall’Anatolia del Nordest, i vini della Cappadocia, i pistacchi da Gaziantep, la marmellata di lavanda selvatica ancora prodotta dalle donne di un villaggetto non lontano da Smirne... Menu degustazione a 140 lire turche, 210 col wine pairing (sono rispettivamente 55 e 83 euro)








Nella foto, un antipasto che è una sorta di riassunto perfetto di come la tradizione possa essere reinventata in modo creativo, creando un piatto che è intimamente turco eppure al 100% partorito dalla mente di Gürs. Sardine crisp, lemon è la reinterpretazione di un classico street food istanbuliota di cui parleremo tra poco, il panino col pesce del mar Nero e un goccio di succo di limone che si compra ancor oggi facendo la fila davanti ai barconi ancorati vicino al ponte di Galata








Ecco un piatto che invece è solo accostamento di prodotti selezionati, pura materia. Dried beef, ossia una carne di manzo a mò di bresaola, con il Kars gravyer, formaggio vaccino che è una sorta di gruviera stagionato circa 10 mesi e proveniente da Kars, città a poca distante dal confine armeno, famosa per i suoi pascoli e bestiame

Il piatto della serata, che è ormai un cavallo di battaglia dello chef, è la spalla di agnello Kıvırcık, cotta sottovuoto per 24 ore a bassa temperatura, accompagnato da un pilaf  “umido” di farro, pestil di prugna e melassa di melograno

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Boğaziçi Köprüsü, il ponte sul Bosforo che unisce i due continenti








Tornati recentemente a Istanbul dopo alcuni anni di assenza, abbiamo notato con piacere un netto risveglio (o una nascita tout court) dello spirito gourmand “all’occidentale” in città. E’ un fiorire di iniziative, spazi, proposte, stili che superano quel certo anonimato vagamente mediocre che caratterizzava fino a non molto tempo fa anche le tavole di maggior prestigio – o la schietta ruralità della cucina basic. C’è sempre stata cultura del cibo, oggi cresce anche la capacità di comunicarla e renderla fruibile a chi giunge da queste parti per qualche giorno di vacanza. Sono d’aiuto anche parecchi siti o blog di foodies turchi, che offrono consigli utilissimi, su tutti istanbuleats.com. (in foto, un piatto del talentuoso chef Mehmet Gürs, già presentato a Identità Golose 2011: Dessert di zucca candita, marinata 24 ore in acqua di calce, con gelato di pistacchio e sciroppo di sesamo)








Ogni discettazione sull’alta cucina istanbuliota trova l’alfa e l’omega al diciottesimo piano del Marmara Pera, elegante hotel che ospita il miglior ristorante di Turchia, Mikla, regno di Mehmet Gürs (nella foto). La stessa sua biografia ne fa il rappresentante perfetto della Istanbul sfaccettata della quale abbiamo accennato: papà turco, mamma finlandese, nonna svedese, l’infanzia trascorsa a Tammisaari, 90 chilometri da Helsinki, scuola alberghiera a Providence, Rhode Island, Usa. E’ il profeta della New Anatolian Cuisine








La vista che si gode dalle finestre di Mikla – se c’è bel tempo e la temperatura lo consente si può cenare anche in terrazza, sotto le stelle – è meravigliosa: le luci della città ai vostri piedi, a milioni, il Corno d’Oro col traffico di battelli, sull’altra sponda il vecchio quartiere di Sultanahmet, il Topkapi, Santa Sofia, più in là i minareti della Moschea Blu, a destra la Süleymaniye Camii, moschea di Solimano... Imperdibile. Ma prima di accomodarvi al tavolo salite ancora d’un piano, al diciannovesimo e ultimo, per godervi una flute di champagne (o, dopo cena, un cocktail), magari appoggiati alla balaustra con panorama sull’infinito, il cielo come soffitto, la mente che spazia libera








Mehmet Gürs segue in fondo “solo” le tracce di chi (penso ad Alex Atala in Brasile, René Redzepi in Danimarca, Gastón Acurio in Perù...) un bel giorno decide di fare delle proprie radici culinarie un poco disconosciute, dei prodotti di farmers a chilometro zero o mille, ma comunque del territorio (che se è l’Amazzonia, è un territorio gigantesco. E anche la Turchia non scherza), il punto di partenza per reinventare una tradizione. Il suo menu è proprio, innanzi tutto, un inno alle materie prime scovate nei più remoti angoli in un Paese di 780mila chilometri quadrati, ossia più di due volte e mezza l’Italia: gli agnelli Kıvırcık allevati in Tracia, una sorta di gruviera che viene dall’Anatolia del Nordest, i vini della Cappadocia, i pistacchi da Gaziantep, la marmellata di lavanda selvatica ancora prodotta dalle donne di un villaggetto non lontano da Smirne... Menu degustazione a 140 lire turche, 210 col wine pairing (sono rispettivamente 55 e 83 euro)








Nella foto, un antipasto che è una sorta di riassunto perfetto di come la tradizione possa essere reinventata in modo creativo, creando un piatto che è intimamente turco eppure al 100% partorito dalla mente di Gürs. Sardine crisp, lemon è la reinterpretazione di un classico street food istanbuliota di cui parleremo tra poco, il panino col pesce del mar Nero e un goccio di succo di limone che si compra ancor oggi facendo la fila davanti ai barconi ancorati vicino al ponte di Galata








Ecco un piatto che invece è solo accostamento di prodotti selezionati, pura materia. Dried beef, ossia una carne di manzo a mò di bresaola, con il Kars gravyer, formaggio vaccino che è una sorta di gruviera stagionato circa 10 mesi e proveniente da Kars, città a poca distante dal confine armeno, famosa per i suoi pascoli e bestiame








Il piatto della serata, che è ormai un cavallo di battaglia dello chef, è la spalla di agnello Kıvırcık, cotta sottovuoto per 24 ore a bassa temperatura, accompagnato da un pilaf  “umido” di farro, pestil di prugna e melassa di melograno

Detto di Gürs, un weekend gastronomico a Istanbul offre anche molto altro. La cosa più divertente è uscire dalle zone turistiche per scoprire indirizzi nascosti, magari sfacciatamente retrò ma custodi di luminose pepite del gusto. Come Pando, negozietto anonimo nel bel quartiere di Besiktas, Mumcu Bakkal Sokok 5, dove andare a far colazione o uno spuntino veloce per pranzo, magari seduti placidamente ai tavolini apparecchiati sulla strada chiusa al traffico dove fervono le più disparate attività commerciali. Ad accogliervi sarà lo stesso Pando, un incredibile vecchietto 85enne d’origine bulgara che prima vi scruterà con curiosità e poi vi delizierà con un sorriso. E non solo…

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Tornati recentemente a Istanbul dopo alcuni anni di assenza, abbiamo notato con piacere un netto risveglio (o una nascita tout court) dello spirito gourmand “all’occidentale” in città. E’ un fiorire di iniziative, spazi, proposte, stili che superano quel certo anonimato vagamente mediocre che caratterizzava fino a non molto tempo fa anche le tavole di maggior prestigio – o la schietta ruralità della cucina basic. C’è sempre stata cultura del cibo, oggi cresce anche la capacità di comunicarla e renderla fruibile a chi giunge da queste parti per qualche giorno di vacanza. Sono d’aiuto anche parecchi siti o blog di foodies turchi, che offrono consigli utilissimi, su tutti istanbuleats.com. (in foto, un piatto del talentuoso chef Mehmet Gürs, già presentato a Identità Golose 2011: Dessert di zucca candita, marinata 24 ore in acqua di calce, con gelato di pistacchio e sciroppo di sesamo)








Ogni discettazione sull’alta cucina istanbuliota trova l’alfa e l’omega al diciottesimo piano del Marmara Pera, elegante hotel che ospita il miglior ristorante di Turchia, Mikla, regno di Mehmet Gürs (nella foto). La stessa sua biografia ne fa il rappresentante perfetto della Istanbul sfaccettata della quale abbiamo accennato: papà turco, mamma finlandese, nonna svedese, l’infanzia trascorsa a Tammisaari, 90 chilometri da Helsinki, scuola alberghiera a Providence, Rhode Island, Usa. E’ il profeta della New Anatolian Cuisine








La vista che si gode dalle finestre di Mikla – se c’è bel tempo e la temperatura lo consente si può cenare anche in terrazza, sotto le stelle – è meravigliosa: le luci della città ai vostri piedi, a milioni, il Corno d’Oro col traffico di battelli, sull’altra sponda il vecchio quartiere di Sultanahmet, il Topkapi, Santa Sofia, più in là i minareti della Moschea Blu, a destra la Süleymaniye Camii, moschea di Solimano... Imperdibile. Ma prima di accomodarvi al tavolo salite ancora d’un piano, al diciannovesimo e ultimo, per godervi una flute di champagne (o, dopo cena, un cocktail), magari appoggiati alla balaustra con panorama sull’infinito, il cielo come soffitto, la mente che spazia libera








Mehmet Gürs segue in fondo “solo” le tracce di chi (penso ad Alex Atala in Brasile, René Redzepi in Danimarca, Gastón Acurio in Perù...) un bel giorno decide di fare delle proprie radici culinarie un poco disconosciute, dei prodotti di farmers a chilometro zero o mille, ma comunque del territorio (che se è l’Amazzonia, è un territorio gigantesco. E anche la Turchia non scherza), il punto di partenza per reinventare una tradizione. Il suo menu è proprio, innanzi tutto, un inno alle materie prime scovate nei più remoti angoli in un Paese di 780mila chilometri quadrati, ossia più di due volte e mezza l’Italia: gli agnelli Kıvırcık allevati in Tracia, una sorta di gruviera che viene dall’Anatolia del Nordest, i vini della Cappadocia, i pistacchi da Gaziantep, la marmellata di lavanda selvatica ancora prodotta dalle donne di un villaggetto non lontano da Smirne... Menu degustazione a 140 lire turche, 210 col wine pairing (sono rispettivamente 55 e 83 euro)








Nella foto, un antipasto che è una sorta di riassunto perfetto di come la tradizione possa essere reinventata in modo creativo, creando un piatto che è intimamente turco eppure al 100% partorito dalla mente di Gürs. Sardine crisp, lemon è la reinterpretazione di un classico street food istanbuliota di cui parleremo tra poco, il panino col pesce del mar Nero e un goccio di succo di limone che si compra ancor oggi facendo la fila davanti ai barconi ancorati vicino al ponte di Galata








Ecco un piatto che invece è solo accostamento di prodotti selezionati, pura materia. Dried beef, ossia una carne di manzo a mò di bresaola, con il Kars gravyer, formaggio vaccino che è una sorta di gruviera stagionato circa 10 mesi e proveniente da Kars, città a poca distante dal confine armeno, famosa per i suoi pascoli e bestiame








Il piatto della serata, che è ormai un cavallo di battaglia dello chef, è la spalla di agnello Kıvırcık, cotta sottovuoto per 24 ore a bassa temperatura, accompagnato da un pilaf  “umido” di farro, pestil di prugna e melassa di melograno








Detto di Gürs, un weekend gastronomico a Istanbul offre anche molto altro. La cosa più divertente è uscire dalle zone turistiche per scoprire indirizzi nascosti, magari sfacciatamente retrò ma custodi di luminose pepite del gusto. Come Pando, negozietto anonimo nel bel quartiere di Besiktas, Mumcu Bakkal Sokok 5, dove andare a far colazione o uno spuntino veloce per pranzo, magari seduti placidamente ai tavolini apparecchiati sulla strada chiusa al traffico dove fervono le più disparate attività commerciali. Ad accogliervi sarà lo stesso Pando, un incredibile vecchietto 85enne d’origine bulgara che prima vi scruterà con curiosità e poi vi delizierà con un sorriso. E non solo…

È il regno del kaimak, versione turco-balcanica della nostra panna, ottenuto dalla fermentazione del grasso estratto durante la cottura del latte crudo vaccino. Fresco – come in questo caso – ha un gusto più dolce. Viene quindi servito accompagnato da miele e pane bianco, per uno spuntino paradisiaco, specie se preceduto – come sarà lo stesso Pando a suggerirvi – da un paio di uova freschissime cotte al tegamino, per dare anche una nota salata alla vostra colazione. Il negozio è aperto dal 1895 e i prezzi sembrano rimasti quelli di allora: kaimak col miele, pane, uova (buonissime!) al tegamino e un té o un caffé a 10 lire turche, poco meno di 4 euro

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Boğaziçi Köprüsü, il ponte sul Bosforo che unisce i due continenti








Tornati recentemente a Istanbul dopo alcuni anni di assenza, abbiamo notato con piacere un netto risveglio (o una nascita tout court) dello spirito gourmand “all’occidentale” in città. E’ un fiorire di iniziative, spazi, proposte, stili che superano quel certo anonimato vagamente mediocre che caratterizzava fino a non molto tempo fa anche le tavole di maggior prestigio – o la schietta ruralità della cucina basic. C’è sempre stata cultura del cibo, oggi cresce anche la capacità di comunicarla e renderla fruibile a chi giunge da queste parti per qualche giorno di vacanza. Sono d’aiuto anche parecchi siti o blog di foodies turchi, che offrono consigli utilissimi, su tutti istanbuleats.com. (in foto, un piatto del talentuoso chef Mehmet Gürs, già presentato a Identità Golose 2011: Dessert di zucca candita, marinata 24 ore in acqua di calce, con gelato di pistacchio e sciroppo di sesamo)








Ogni discettazione sull’alta cucina istanbuliota trova l’alfa e l’omega al diciottesimo piano del Marmara Pera, elegante hotel che ospita il miglior ristorante di Turchia, Mikla, regno di Mehmet Gürs (nella foto). La stessa sua biografia ne fa il rappresentante perfetto della Istanbul sfaccettata della quale abbiamo accennato: papà turco, mamma finlandese, nonna svedese, l’infanzia trascorsa a Tammisaari, 90 chilometri da Helsinki, scuola alberghiera a Providence, Rhode Island, Usa. E’ il profeta della New Anatolian Cuisine








La vista che si gode dalle finestre di Mikla – se c’è bel tempo e la temperatura lo consente si può cenare anche in terrazza, sotto le stelle – è meravigliosa: le luci della città ai vostri piedi, a milioni, il Corno d’Oro col traffico di battelli, sull’altra sponda il vecchio quartiere di Sultanahmet, il Topkapi, Santa Sofia, più in là i minareti della Moschea Blu, a destra la Süleymaniye Camii, moschea di Solimano... Imperdibile. Ma prima di accomodarvi al tavolo salite ancora d’un piano, al diciannovesimo e ultimo, per godervi una flute di champagne (o, dopo cena, un cocktail), magari appoggiati alla balaustra con panorama sull’infinito, il cielo come soffitto, la mente che spazia libera








Mehmet Gürs segue in fondo “solo” le tracce di chi (penso ad Alex Atala in Brasile, René Redzepi in Danimarca, Gastón Acurio in Perù...) un bel giorno decide di fare delle proprie radici culinarie un poco disconosciute, dei prodotti di farmers a chilometro zero o mille, ma comunque del territorio (che se è l’Amazzonia, è un territorio gigantesco. E anche la Turchia non scherza), il punto di partenza per reinventare una tradizione. Il suo menu è proprio, innanzi tutto, un inno alle materie prime scovate nei più remoti angoli in un Paese di 780mila chilometri quadrati, ossia più di due volte e mezza l’Italia: gli agnelli Kıvırcık allevati in Tracia, una sorta di gruviera che viene dall’Anatolia del Nordest, i vini della Cappadocia, i pistacchi da Gaziantep, la marmellata di lavanda selvatica ancora prodotta dalle donne di un villaggetto non lontano da Smirne... Menu degustazione a 140 lire turche, 210 col wine pairing (sono rispettivamente 55 e 83 euro)








Nella foto, un antipasto che è una sorta di riassunto perfetto di come la tradizione possa essere reinventata in modo creativo, creando un piatto che è intimamente turco eppure al 100% partorito dalla mente di Gürs. Sardine crisp, lemon è la reinterpretazione di un classico street food istanbuliota di cui parleremo tra poco, il panino col pesce del mar Nero e un goccio di succo di limone che si compra ancor oggi facendo la fila davanti ai barconi ancorati vicino al ponte di Galata








Ecco un piatto che invece è solo accostamento di prodotti selezionati, pura materia. Dried beef, ossia una carne di manzo a mò di bresaola, con il Kars gravyer, formaggio vaccino che è una sorta di gruviera stagionato circa 10 mesi e proveniente da Kars, città a poca distante dal confine armeno, famosa per i suoi pascoli e bestiame








Il piatto della serata, che è ormai un cavallo di battaglia dello chef, è la spalla di agnello Kıvırcık, cotta sottovuoto per 24 ore a bassa temperatura, accompagnato da un pilaf  “umido” di farro, pestil di prugna e melassa di melograno








Detto di Gürs, un weekend gastronomico a Istanbul offre anche molto altro. La cosa più divertente è uscire dalle zone turistiche per scoprire indirizzi nascosti, magari sfacciatamente retrò ma custodi di luminose pepite del gusto. Come Pando, negozietto anonimo nel bel quartiere di Besiktas, Mumcu Bakkal Sokok 5, dove andare a far colazione o uno spuntino veloce per pranzo, magari seduti placidamente ai tavolini apparecchiati sulla strada chiusa al traffico dove fervono le più disparate attività commerciali. Ad accogliervi sarà lo stesso Pando, un incredibile vecchietto 85enne d’origine bulgara che prima vi scruterà con curiosità e poi vi delizierà con un sorriso. E non solo…








È il regno del kaimak, versione turco-balcanica della nostra panna, ottenuto dalla fermentazione del grasso estratto durante la cottura del latte crudo vaccino. Fresco – come in questo caso – ha un gusto più dolce. Viene quindi servito accompagnato da miele e pane bianco, per uno spuntino paradisiaco, specie se preceduto – come sarà lo stesso Pando a suggerirvi – da un paio di uova freschissime cotte al tegamino, per dare anche una nota salata alla vostra colazione. Il negozio è aperto dal 1895 e i prezzi sembrano rimasti quelli di allora: kaimak col miele, pane, uova (buonissime!) al tegamino e un té o un caffé a 10 lire turche, poco meno di 4 euro

Un altro indirizzo prezioso: Kiblecesme Caddesi 96, a Kantarcilar (Kucuk Pazari), nel quartiere di Eminonu, un poco fuori mano anche questo. Ci troviamo in un dedalo di viuzze polverose e di caravanserragli di epoca ottomana non lontani dal Corno d’Oro: diciamo che il modo più facile per raggiungerlo è scendervi – puntando verso il mare - dopo aver visitato la Süleymaniye Camii. Qui è Altan Sekerleme, bottega di dolciumi, un po’ fané ma che trasuda autenticità. Di proprietà della stessa famiglia da quattro generazioni, banconi di marmo, espositori di legno usurato: il tempo da queste parti sembra essersi fermato

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Boğaziçi Köprüsü, il ponte sul Bosforo che unisce i due continenti








Tornati recentemente a Istanbul dopo alcuni anni di assenza, abbiamo notato con piacere un netto risveglio (o una nascita tout court) dello spirito gourmand “all’occidentale” in città. E’ un fiorire di iniziative, spazi, proposte, stili che superano quel certo anonimato vagamente mediocre che caratterizzava fino a non molto tempo fa anche le tavole di maggior prestigio – o la schietta ruralità della cucina basic. C’è sempre stata cultura del cibo, oggi cresce anche la capacità di comunicarla e renderla fruibile a chi giunge da queste parti per qualche giorno di vacanza. Sono d’aiuto anche parecchi siti o blog di foodies turchi, che offrono consigli utilissimi, su tutti istanbuleats.com. (in foto, un piatto del talentuoso chef Mehmet Gürs, già presentato a Identità Golose 2011: Dessert di zucca candita, marinata 24 ore in acqua di calce, con gelato di pistacchio e sciroppo di sesamo)








Ogni discettazione sull’alta cucina istanbuliota trova l’alfa e l’omega al diciottesimo piano del Marmara Pera, elegante hotel che ospita il miglior ristorante di Turchia, Mikla, regno di Mehmet Gürs (nella foto). La stessa sua biografia ne fa il rappresentante perfetto della Istanbul sfaccettata della quale abbiamo accennato: papà turco, mamma finlandese, nonna svedese, l’infanzia trascorsa a Tammisaari, 90 chilometri da Helsinki, scuola alberghiera a Providence, Rhode Island, Usa. E’ il profeta della New Anatolian Cuisine








La vista che si gode dalle finestre di Mikla – se c’è bel tempo e la temperatura lo consente si può cenare anche in terrazza, sotto le stelle – è meravigliosa: le luci della città ai vostri piedi, a milioni, il Corno d’Oro col traffico di battelli, sull’altra sponda il vecchio quartiere di Sultanahmet, il Topkapi, Santa Sofia, più in là i minareti della Moschea Blu, a destra la Süleymaniye Camii, moschea di Solimano... Imperdibile. Ma prima di accomodarvi al tavolo salite ancora d’un piano, al diciannovesimo e ultimo, per godervi una flute di champagne (o, dopo cena, un cocktail), magari appoggiati alla balaustra con panorama sull’infinito, il cielo come soffitto, la mente che spazia libera








Mehmet Gürs segue in fondo “solo” le tracce di chi (penso ad Alex Atala in Brasile, René Redzepi in Danimarca, Gastón Acurio in Perù...) un bel giorno decide di fare delle proprie radici culinarie un poco disconosciute, dei prodotti di farmers a chilometro zero o mille, ma comunque del territorio (che se è l’Amazzonia, è un territorio gigantesco. E anche la Turchia non scherza), il punto di partenza per reinventare una tradizione. Il suo menu è proprio, innanzi tutto, un inno alle materie prime scovate nei più remoti angoli in un Paese di 780mila chilometri quadrati, ossia più di due volte e mezza l’Italia: gli agnelli Kıvırcık allevati in Tracia, una sorta di gruviera che viene dall’Anatolia del Nordest, i vini della Cappadocia, i pistacchi da Gaziantep, la marmellata di lavanda selvatica ancora prodotta dalle donne di un villaggetto non lontano da Smirne... Menu degustazione a 140 lire turche, 210 col wine pairing (sono rispettivamente 55 e 83 euro)








Nella foto, un antipasto che è una sorta di riassunto perfetto di come la tradizione possa essere reinventata in modo creativo, creando un piatto che è intimamente turco eppure al 100% partorito dalla mente di Gürs. Sardine crisp, lemon è la reinterpretazione di un classico street food istanbuliota di cui parleremo tra poco, il panino col pesce del mar Nero e un goccio di succo di limone che si compra ancor oggi facendo la fila davanti ai barconi ancorati vicino al ponte di Galata








Ecco un piatto che invece è solo accostamento di prodotti selezionati, pura materia. Dried beef, ossia una carne di manzo a mò di bresaola, con il Kars gravyer, formaggio vaccino che è una sorta di gruviera stagionato circa 10 mesi e proveniente da Kars, città a poca distante dal confine armeno, famosa per i suoi pascoli e bestiame








Il piatto della serata, che è ormai un cavallo di battaglia dello chef, è la spalla di agnello Kıvırcık, cotta sottovuoto per 24 ore a bassa temperatura, accompagnato da un pilaf  “umido” di farro, pestil di prugna e melassa di melograno








Detto di Gürs, un weekend gastronomico a Istanbul offre anche molto altro. La cosa più divertente è uscire dalle zone turistiche per scoprire indirizzi nascosti, magari sfacciatamente retrò ma custodi di luminose pepite del gusto. Come Pando, negozietto anonimo nel bel quartiere di Besiktas, Mumcu Bakkal Sokok 5, dove andare a far colazione o uno spuntino veloce per pranzo, magari seduti placidamente ai tavolini apparecchiati sulla strada chiusa al traffico dove fervono le più disparate attività commerciali. Ad accogliervi sarà lo stesso Pando, un incredibile vecchietto 85enne d’origine bulgara che prima vi scruterà con curiosità e poi vi delizierà con un sorriso. E non solo…








È il regno del kaimak, versione turco-balcanica della nostra panna, ottenuto dalla fermentazione del grasso estratto durante la cottura del latte crudo vaccino. Fresco – come in questo caso – ha un gusto più dolce. Viene quindi servito accompagnato da miele e pane bianco, per uno spuntino paradisiaco, specie se preceduto – come sarà lo stesso Pando a suggerirvi – da un paio di uova freschissime cotte al tegamino, per dare anche una nota salata alla vostra colazione. Il negozio è aperto dal 1895 e i prezzi sembrano rimasti quelli di allora: kaimak col miele, pane, uova (buonissime!) al tegamino e un té o un caffé a 10 lire turche, poco meno di 4 euro








Un altro indirizzo prezioso: Kiblecesme Caddesi 96, a Kantarcilar (Kucuk Pazari), nel quartiere di Eminonu, un poco fuori mano anche questo. Ci troviamo in un dedalo di viuzze polverose e di caravanserragli di epoca ottomana non lontani dal Corno d’Oro: diciamo che il modo più facile per raggiungerlo è scendervi – puntando verso il mare - dopo aver visitato la Süleymaniye Camii. Qui è Altan Sekerleme, bottega di dolciumi, un po’ fané ma che trasuda autenticità. Di proprietà della stessa famiglia da quattro generazioni, banconi di marmo, espositori di legno usurato: il tempo da queste parti sembra essersi fermato

Se avete già assaggiato una scatola di lokum, anche detti turkish delight (così li chiamarono gli inglesi, che per primi li portarono in Europa), magari di fattura industriale e comprata all’ultimo momento in aeroporto, avete solo una vaga di idea di cosa siano questi dolcetti antichissimi (venivano prodotti già nel XV secolo lavorando la melassa e il miele, oggi sostituiti da amido e zucchero). Sono quadrotti di consistenza gelatinosa, che invitano al morso, aromatizzati - qui da Altan con deliziosi aromi fatti in casa – nei modi più svariati: alla rosa canina, ai frutti rossi, al limone, alla cannella, alle spezie.... A volte racchiudono una gemma croccante di pistacchio, mandorla o nocciola; sono ricoperti di zucchero a velo o cocco grattugiato. Impossibile non comprarne almeno una scatola, visti anche i prezzi (10 lire turche al chilo, meno di 4 euro; qualcosa in più la variante al pistacchio o alla mandorla). Da Altan sono prodotti anche buonissimi dolcetti di mandorla (nella foto) e caramelle artigianali

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Boğaziçi Köprüsü, il ponte sul Bosforo che unisce i due continenti








Tornati recentemente a Istanbul dopo alcuni anni di assenza, abbiamo notato con piacere un netto risveglio (o una nascita tout court) dello spirito gourmand “all’occidentale” in città. E’ un fiorire di iniziative, spazi, proposte, stili che superano quel certo anonimato vagamente mediocre che caratterizzava fino a non molto tempo fa anche le tavole di maggior prestigio – o la schietta ruralità della cucina basic. C’è sempre stata cultura del cibo, oggi cresce anche la capacità di comunicarla e renderla fruibile a chi giunge da queste parti per qualche giorno di vacanza. Sono d’aiuto anche parecchi siti o blog di foodies turchi, che offrono consigli utilissimi, su tutti istanbuleats.com. (in foto, un piatto del talentuoso chef Mehmet Gürs, già presentato a Identità Golose 2011: Dessert di zucca candita, marinata 24 ore in acqua di calce, con gelato di pistacchio e sciroppo di sesamo)








Ogni discettazione sull’alta cucina istanbuliota trova l’alfa e l’omega al diciottesimo piano del Marmara Pera, elegante hotel che ospita il miglior ristorante di Turchia, Mikla, regno di Mehmet Gürs (nella foto). La stessa sua biografia ne fa il rappresentante perfetto della Istanbul sfaccettata della quale abbiamo accennato: papà turco, mamma finlandese, nonna svedese, l’infanzia trascorsa a Tammisaari, 90 chilometri da Helsinki, scuola alberghiera a Providence, Rhode Island, Usa. E’ il profeta della New Anatolian Cuisine








La vista che si gode dalle finestre di Mikla – se c’è bel tempo e la temperatura lo consente si può cenare anche in terrazza, sotto le stelle – è meravigliosa: le luci della città ai vostri piedi, a milioni, il Corno d’Oro col traffico di battelli, sull’altra sponda il vecchio quartiere di Sultanahmet, il Topkapi, Santa Sofia, più in là i minareti della Moschea Blu, a destra la Süleymaniye Camii, moschea di Solimano... Imperdibile. Ma prima di accomodarvi al tavolo salite ancora d’un piano, al diciannovesimo e ultimo, per godervi una flute di champagne (o, dopo cena, un cocktail), magari appoggiati alla balaustra con panorama sull’infinito, il cielo come soffitto, la mente che spazia libera








Mehmet Gürs segue in fondo “solo” le tracce di chi (penso ad Alex Atala in Brasile, René Redzepi in Danimarca, Gastón Acurio in Perù...) un bel giorno decide di fare delle proprie radici culinarie un poco disconosciute, dei prodotti di farmers a chilometro zero o mille, ma comunque del territorio (che se è l’Amazzonia, è un territorio gigantesco. E anche la Turchia non scherza), il punto di partenza per reinventare una tradizione. Il suo menu è proprio, innanzi tutto, un inno alle materie prime scovate nei più remoti angoli in un Paese di 780mila chilometri quadrati, ossia più di due volte e mezza l’Italia: gli agnelli Kıvırcık allevati in Tracia, una sorta di gruviera che viene dall’Anatolia del Nordest, i vini della Cappadocia, i pistacchi da Gaziantep, la marmellata di lavanda selvatica ancora prodotta dalle donne di un villaggetto non lontano da Smirne... Menu degustazione a 140 lire turche, 210 col wine pairing (sono rispettivamente 55 e 83 euro)








Nella foto, un antipasto che è una sorta di riassunto perfetto di come la tradizione possa essere reinventata in modo creativo, creando un piatto che è intimamente turco eppure al 100% partorito dalla mente di Gürs. Sardine crisp, lemon è la reinterpretazione di un classico street food istanbuliota di cui parleremo tra poco, il panino col pesce del mar Nero e un goccio di succo di limone che si compra ancor oggi facendo la fila davanti ai barconi ancorati vicino al ponte di Galata








Ecco un piatto che invece è solo accostamento di prodotti selezionati, pura materia. Dried beef, ossia una carne di manzo a mò di bresaola, con il Kars gravyer, formaggio vaccino che è una sorta di gruviera stagionato circa 10 mesi e proveniente da Kars, città a poca distante dal confine armeno, famosa per i suoi pascoli e bestiame








Il piatto della serata, che è ormai un cavallo di battaglia dello chef, è la spalla di agnello Kıvırcık, cotta sottovuoto per 24 ore a bassa temperatura, accompagnato da un pilaf  “umido” di farro, pestil di prugna e melassa di melograno








Detto di Gürs, un weekend gastronomico a Istanbul offre anche molto altro. La cosa più divertente è uscire dalle zone turistiche per scoprire indirizzi nascosti, magari sfacciatamente retrò ma custodi di luminose pepite del gusto. Come Pando, negozietto anonimo nel bel quartiere di Besiktas, Mumcu Bakkal Sokok 5, dove andare a far colazione o uno spuntino veloce per pranzo, magari seduti placidamente ai tavolini apparecchiati sulla strada chiusa al traffico dove fervono le più disparate attività commerciali. Ad accogliervi sarà lo stesso Pando, un incredibile vecchietto 85enne d’origine bulgara che prima vi scruterà con curiosità e poi vi delizierà con un sorriso. E non solo…








È il regno del kaimak, versione turco-balcanica della nostra panna, ottenuto dalla fermentazione del grasso estratto durante la cottura del latte crudo vaccino. Fresco – come in questo caso – ha un gusto più dolce. Viene quindi servito accompagnato da miele e pane bianco, per uno spuntino paradisiaco, specie se preceduto – come sarà lo stesso Pando a suggerirvi – da un paio di uova freschissime cotte al tegamino, per dare anche una nota salata alla vostra colazione. Il negozio è aperto dal 1895 e i prezzi sembrano rimasti quelli di allora: kaimak col miele, pane, uova (buonissime!) al tegamino e un té o un caffé a 10 lire turche, poco meno di 4 euro








Un altro indirizzo prezioso: Kiblecesme Caddesi 96, a Kantarcilar (Kucuk Pazari), nel quartiere di Eminonu, un poco fuori mano anche questo. Ci troviamo in un dedalo di viuzze polverose e di caravanserragli di epoca ottomana non lontani dal Corno d’Oro: diciamo che il modo più facile per raggiungerlo è scendervi – puntando verso il mare - dopo aver visitato la Süleymaniye Camii. Qui è Altan Sekerleme, bottega di dolciumi, un po’ fané ma che trasuda autenticità. Di proprietà della stessa famiglia da quattro generazioni, banconi di marmo, espositori di legno usurato: il tempo da queste parti sembra essersi fermato








Se avete già assaggiato una scatola di lokum, anche detti turkish delight (così li chiamarono gli inglesi, che per primi li portarono in Europa), magari di fattura industriale e comprata all’ultimo momento in aeroporto, avete solo una vaga di idea di cosa siano questi dolcetti antichissimi (venivano prodotti già nel XV secolo lavorando la melassa e il miele, oggi sostituiti da amido e zucchero). Sono quadrotti di consistenza gelatinosa, che invitano al morso, aromatizzati  - qui da Altan con deliziosi aromi fatti in casa – nei modi più svariati: alla rosa canina, ai frutti rossi, al limone, alla cannella, alle spezie.... A volte racchiudono una gemma croccante di pistacchio, mandorla o nocciola; sono ricoperti di zucchero a velo o cocco grattugiato. Impossibile non comprarne almeno una scatola, visti anche i prezzi (10 lire turche al chilo, meno di 4 euro; qualcosa in più la variante al pistacchio o alla mandorla). Da Altan sono prodotti anche buonissimi dolcetti di mandorla (nella foto) e caramelle artigianali

Un posto come Çiya Sofrası (Güneşli Bahçe Sokak 43) piacerebbe enormemente a Carlin Petrini: è il luogo della tradizione riscoperta. E’ entrato anche nei nostri cuori, intanto perché si trova a Kadiköy, sponda asiatica, almeno mezz’ora di taxi (ma tanto costano pochissimo), quartiere del tutto fuori dai giri turistici ma di splendida autenticità: una Istanbul vera, vivace, vitale, che ama uscire la sera (è un susseguirsi di ristorantini, caffé, pasticcerie, chioschi da street food...) e mangiare bene. Qualcuno considera addirittura Çiya il miglior ristorante in città: di certo è uno spettacolo ammirare la serie infinita di squisite pietanze nei pentoloni, già pronte per essere servite, tra le quali scegliere i vostri molteplici assaggi, a prezzi a dir poco irrisori (si cena pantagruelicamente, bevendo birra, per 15-20 lire turche, 6-8 euro)

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Boğaziçi Köprüsü, il ponte sul Bosforo che unisce i due continenti








Tornati recentemente a Istanbul dopo alcuni anni di assenza, abbiamo notato con piacere un netto risveglio (o una nascita tout court) dello spirito gourmand “all’occidentale” in città. E’ un fiorire di iniziative, spazi, proposte, stili che superano quel certo anonimato vagamente mediocre che caratterizzava fino a non molto tempo fa anche le tavole di maggior prestigio – o la schietta ruralità della cucina basic. C’è sempre stata cultura del cibo, oggi cresce anche la capacità di comunicarla e renderla fruibile a chi giunge da queste parti per qualche giorno di vacanza. Sono d’aiuto anche parecchi siti o blog di foodies turchi, che offrono consigli utilissimi, su tutti istanbuleats.com. (in foto, un piatto del talentuoso chef Mehmet Gürs, già presentato a Identità Golose 2011: Dessert di zucca candita, marinata 24 ore in acqua di calce, con gelato di pistacchio e sciroppo di sesamo)








Ogni discettazione sull’alta cucina istanbuliota trova l’alfa e l’omega al diciottesimo piano del Marmara Pera, elegante hotel che ospita il miglior ristorante di Turchia, Mikla, regno di Mehmet Gürs (nella foto). La stessa sua biografia ne fa il rappresentante perfetto della Istanbul sfaccettata della quale abbiamo accennato: papà turco, mamma finlandese, nonna svedese, l’infanzia trascorsa a Tammisaari, 90 chilometri da Helsinki, scuola alberghiera a Providence, Rhode Island, Usa. E’ il profeta della New Anatolian Cuisine








La vista che si gode dalle finestre di Mikla – se c’è bel tempo e la temperatura lo consente si può cenare anche in terrazza, sotto le stelle – è meravigliosa: le luci della città ai vostri piedi, a milioni, il Corno d’Oro col traffico di battelli, sull’altra sponda il vecchio quartiere di Sultanahmet, il Topkapi, Santa Sofia, più in là i minareti della Moschea Blu, a destra la Süleymaniye Camii, moschea di Solimano... Imperdibile. Ma prima di accomodarvi al tavolo salite ancora d’un piano, al diciannovesimo e ultimo, per godervi una flute di champagne (o, dopo cena, un cocktail), magari appoggiati alla balaustra con panorama sull’infinito, il cielo come soffitto, la mente che spazia libera








Mehmet Gürs segue in fondo “solo” le tracce di chi (penso ad Alex Atala in Brasile, René Redzepi in Danimarca, Gastón Acurio in Perù...) un bel giorno decide di fare delle proprie radici culinarie un poco disconosciute, dei prodotti di farmers a chilometro zero o mille, ma comunque del territorio (che se è l’Amazzonia, è un territorio gigantesco. E anche la Turchia non scherza), il punto di partenza per reinventare una tradizione. Il suo menu è proprio, innanzi tutto, un inno alle materie prime scovate nei più remoti angoli in un Paese di 780mila chilometri quadrati, ossia più di due volte e mezza l’Italia: gli agnelli Kıvırcık allevati in Tracia, una sorta di gruviera che viene dall’Anatolia del Nordest, i vini della Cappadocia, i pistacchi da Gaziantep, la marmellata di lavanda selvatica ancora prodotta dalle donne di un villaggetto non lontano da Smirne... Menu degustazione a 140 lire turche, 210 col wine pairing (sono rispettivamente 55 e 83 euro)








Nella foto, un antipasto che è una sorta di riassunto perfetto di come la tradizione possa essere reinventata in modo creativo, creando un piatto che è intimamente turco eppure al 100% partorito dalla mente di Gürs. Sardine crisp, lemon è la reinterpretazione di un classico street food istanbuliota di cui parleremo tra poco, il panino col pesce del mar Nero e un goccio di succo di limone che si compra ancor oggi facendo la fila davanti ai barconi ancorati vicino al ponte di Galata








Ecco un piatto che invece è solo accostamento di prodotti selezionati, pura materia. Dried beef, ossia una carne di manzo a mò di bresaola, con il Kars gravyer, formaggio vaccino che è una sorta di gruviera stagionato circa 10 mesi e proveniente da Kars, città a poca distante dal confine armeno, famosa per i suoi pascoli e bestiame








Il piatto della serata, che è ormai un cavallo di battaglia dello chef, è la spalla di agnello Kıvırcık, cotta sottovuoto per 24 ore a bassa temperatura, accompagnato da un pilaf  “umido” di farro, pestil di prugna e melassa di melograno








Detto di Gürs, un weekend gastronomico a Istanbul offre anche molto altro. La cosa più divertente è uscire dalle zone turistiche per scoprire indirizzi nascosti, magari sfacciatamente retrò ma custodi di luminose pepite del gusto. Come Pando, negozietto anonimo nel bel quartiere di Besiktas, Mumcu Bakkal Sokok 5, dove andare a far colazione o uno spuntino veloce per pranzo, magari seduti placidamente ai tavolini apparecchiati sulla strada chiusa al traffico dove fervono le più disparate attività commerciali. Ad accogliervi sarà lo stesso Pando, un incredibile vecchietto 85enne d’origine bulgara che prima vi scruterà con curiosità e poi vi delizierà con un sorriso. E non solo…








È il regno del kaimak, versione turco-balcanica della nostra panna, ottenuto dalla fermentazione del grasso estratto durante la cottura del latte crudo vaccino. Fresco – come in questo caso – ha un gusto più dolce. Viene quindi servito accompagnato da miele e pane bianco, per uno spuntino paradisiaco, specie se preceduto – come sarà lo stesso Pando a suggerirvi – da un paio di uova freschissime cotte al tegamino, per dare anche una nota salata alla vostra colazione. Il negozio è aperto dal 1895 e i prezzi sembrano rimasti quelli di allora: kaimak col miele, pane, uova (buonissime!) al tegamino e un té o un caffé a 10 lire turche, poco meno di 4 euro








Un altro indirizzo prezioso: Kiblecesme Caddesi 96, a Kantarcilar (Kucuk Pazari), nel quartiere di Eminonu, un poco fuori mano anche questo. Ci troviamo in un dedalo di viuzze polverose e di caravanserragli di epoca ottomana non lontani dal Corno d’Oro: diciamo che il modo più facile per raggiungerlo è scendervi – puntando verso il mare - dopo aver visitato la Süleymaniye Camii. Qui è Altan Sekerleme, bottega di dolciumi, un po’ fané ma che trasuda autenticità. Di proprietà della stessa famiglia da quattro generazioni, banconi di marmo, espositori di legno usurato: il tempo da queste parti sembra essersi fermato








Se avete già assaggiato una scatola di lokum, anche detti turkish delight (così li chiamarono gli inglesi, che per primi li portarono in Europa), magari di fattura industriale e comprata all’ultimo momento in aeroporto, avete solo una vaga di idea di cosa siano questi dolcetti antichissimi (venivano prodotti già nel XV secolo lavorando la melassa e il miele, oggi sostituiti da amido e zucchero). Sono quadrotti di consistenza gelatinosa, che invitano al morso, aromatizzati  - qui da Altan con deliziosi aromi fatti in casa – nei modi più svariati: alla rosa canina, ai frutti rossi, al limone, alla cannella, alle spezie.... A volte racchiudono una gemma croccante di pistacchio, mandorla o nocciola; sono ricoperti di zucchero a velo o cocco grattugiato. Impossibile non comprarne almeno una scatola, visti anche i prezzi (10 lire turche al chilo, meno di 4 euro; qualcosa in più la variante al pistacchio o alla mandorla). Da Altan sono prodotti anche buonissimi dolcetti di mandorla (nella foto) e caramelle artigianali








Un posto come Çiya Sofrası (Güneşli Bahçe Sokak 43) piacerebbe enormemente a Carlin Petrini: è il luogo della tradizione riscoperta. E’ entrato anche nei nostri cuori, intanto perché si trova a Kadiköy, sponda asiatica, almeno mezz’ora di taxi (ma tanto costano pochissimo), quartiere del tutto fuori dai giri turistici ma di splendida autenticità: una Istanbul vera, vivace, vitale, che ama uscire la sera (è un susseguirsi di ristorantini, caffé, pasticcerie, chioschi da street food...) e mangiare bene. Qualcuno considera addirittura Çiya il miglior ristorante in città: di certo è uno spettacolo ammirare la serie infinita di squisite pietanze nei pentoloni, già pronte per essere servite, tra le quali scegliere i vostri molteplici assaggi, a prezzi a dir poco irrisori (si cena pantagruelicamente, bevendo birra, per 15-20 lire turche, 6-8 euro)

Sia chiaro: Çiya è una trattoriaccia con banconi di legno, cibo pronto e servizio avventuroso. Ma la qualità è eccellente e qui davvero potrete sbizzarrirvi creando da soli una sorta di menu degustazione tra i più tipici piatti turchi (le verdure sono tutte da urlo). Inutile elencarvi i piatti: sono decine e cambiano di continuo a seconda della stagione e del mercato. Costituiscono una sorta di compendio delle cucine regionali grazie all’opera instancabile del proprietario e chef Musa Dagdeviren, originario della città sud-orientale di Gaziantep e sorta di antropologo culinario: raccoglie e pubblica ricette da tutto il Paese e pubblica persino una rivista dedicata alla cultura del cibo turco (Yemek ve Kultur). Di fronte a Çiya Sofrası è Çiya Kebap, figlioccio ancor più easy tutto dedito al tipico piatto turco-arabo a base di carne. E per un perfetto dopocena, sempre in zona, c’è Fazil Bey (Serasker Caddesi 1), che vi aiuterà a superare ogni possibile pregiudizio attorno al turkish coffee

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Boğaziçi Köprüsü, il ponte sul Bosforo che unisce i due continenti








Tornati recentemente a Istanbul dopo alcuni anni di assenza, abbiamo notato con piacere un netto risveglio (o una nascita tout court) dello spirito gourmand “all’occidentale” in città. E’ un fiorire di iniziative, spazi, proposte, stili che superano quel certo anonimato vagamente mediocre che caratterizzava fino a non molto tempo fa anche le tavole di maggior prestigio – o la schietta ruralità della cucina basic. C’è sempre stata cultura del cibo, oggi cresce anche la capacità di comunicarla e renderla fruibile a chi giunge da queste parti per qualche giorno di vacanza. Sono d’aiuto anche parecchi siti o blog di foodies turchi, che offrono consigli utilissimi, su tutti istanbuleats.com. (in foto, un piatto del talentuoso chef Mehmet Gürs, già presentato a Identità Golose 2011: Dessert di zucca candita, marinata 24 ore in acqua di calce, con gelato di pistacchio e sciroppo di sesamo)








Ogni discettazione sull’alta cucina istanbuliota trova l’alfa e l’omega al diciottesimo piano del Marmara Pera, elegante hotel che ospita il miglior ristorante di Turchia, Mikla, regno di Mehmet Gürs (nella foto). La stessa sua biografia ne fa il rappresentante perfetto della Istanbul sfaccettata della quale abbiamo accennato: papà turco, mamma finlandese, nonna svedese, l’infanzia trascorsa a Tammisaari, 90 chilometri da Helsinki, scuola alberghiera a Providence, Rhode Island, Usa. E’ il profeta della New Anatolian Cuisine








La vista che si gode dalle finestre di Mikla – se c’è bel tempo e la temperatura lo consente si può cenare anche in terrazza, sotto le stelle – è meravigliosa: le luci della città ai vostri piedi, a milioni, il Corno d’Oro col traffico di battelli, sull’altra sponda il vecchio quartiere di Sultanahmet, il Topkapi, Santa Sofia, più in là i minareti della Moschea Blu, a destra la Süleymaniye Camii, moschea di Solimano... Imperdibile. Ma prima di accomodarvi al tavolo salite ancora d’un piano, al diciannovesimo e ultimo, per godervi una flute di champagne (o, dopo cena, un cocktail), magari appoggiati alla balaustra con panorama sull’infinito, il cielo come soffitto, la mente che spazia libera








Mehmet Gürs segue in fondo “solo” le tracce di chi (penso ad Alex Atala in Brasile, René Redzepi in Danimarca, Gastón Acurio in Perù...) un bel giorno decide di fare delle proprie radici culinarie un poco disconosciute, dei prodotti di farmers a chilometro zero o mille, ma comunque del territorio (che se è l’Amazzonia, è un territorio gigantesco. E anche la Turchia non scherza), il punto di partenza per reinventare una tradizione. Il suo menu è proprio, innanzi tutto, un inno alle materie prime scovate nei più remoti angoli in un Paese di 780mila chilometri quadrati, ossia più di due volte e mezza l’Italia: gli agnelli Kıvırcık allevati in Tracia, una sorta di gruviera che viene dall’Anatolia del Nordest, i vini della Cappadocia, i pistacchi da Gaziantep, la marmellata di lavanda selvatica ancora prodotta dalle donne di un villaggetto non lontano da Smirne... Menu degustazione a 140 lire turche, 210 col wine pairing (sono rispettivamente 55 e 83 euro)








Nella foto, un antipasto che è una sorta di riassunto perfetto di come la tradizione possa essere reinventata in modo creativo, creando un piatto che è intimamente turco eppure al 100% partorito dalla mente di Gürs. Sardine crisp, lemon è la reinterpretazione di un classico street food istanbuliota di cui parleremo tra poco, il panino col pesce del mar Nero e un goccio di succo di limone che si compra ancor oggi facendo la fila davanti ai barconi ancorati vicino al ponte di Galata








Ecco un piatto che invece è solo accostamento di prodotti selezionati, pura materia. Dried beef, ossia una carne di manzo a mò di bresaola, con il Kars gravyer, formaggio vaccino che è una sorta di gruviera stagionato circa 10 mesi e proveniente da Kars, città a poca distante dal confine armeno, famosa per i suoi pascoli e bestiame








Il piatto della serata, che è ormai un cavallo di battaglia dello chef, è la spalla di agnello Kıvırcık, cotta sottovuoto per 24 ore a bassa temperatura, accompagnato da un pilaf  “umido” di farro, pestil di prugna e melassa di melograno








Detto di Gürs, un weekend gastronomico a Istanbul offre anche molto altro. La cosa più divertente è uscire dalle zone turistiche per scoprire indirizzi nascosti, magari sfacciatamente retrò ma custodi di luminose pepite del gusto. Come Pando, negozietto anonimo nel bel quartiere di Besiktas, Mumcu Bakkal Sokok 5, dove andare a far colazione o uno spuntino veloce per pranzo, magari seduti placidamente ai tavolini apparecchiati sulla strada chiusa al traffico dove fervono le più disparate attività commerciali. Ad accogliervi sarà lo stesso Pando, un incredibile vecchietto 85enne d’origine bulgara che prima vi scruterà con curiosità e poi vi delizierà con un sorriso. E non solo…








È il regno del kaimak, versione turco-balcanica della nostra panna, ottenuto dalla fermentazione del grasso estratto durante la cottura del latte crudo vaccino. Fresco – come in questo caso – ha un gusto più dolce. Viene quindi servito accompagnato da miele e pane bianco, per uno spuntino paradisiaco, specie se preceduto – come sarà lo stesso Pando a suggerirvi – da un paio di uova freschissime cotte al tegamino, per dare anche una nota salata alla vostra colazione. Il negozio è aperto dal 1895 e i prezzi sembrano rimasti quelli di allora: kaimak col miele, pane, uova (buonissime!) al tegamino e un té o un caffé a 10 lire turche, poco meno di 4 euro








Un altro indirizzo prezioso: Kiblecesme Caddesi 96, a Kantarcilar (Kucuk Pazari), nel quartiere di Eminonu, un poco fuori mano anche questo. Ci troviamo in un dedalo di viuzze polverose e di caravanserragli di epoca ottomana non lontani dal Corno d’Oro: diciamo che il modo più facile per raggiungerlo è scendervi – puntando verso il mare - dopo aver visitato la Süleymaniye Camii. Qui è Altan Sekerleme, bottega di dolciumi, un po’ fané ma che trasuda autenticità. Di proprietà della stessa famiglia da quattro generazioni, banconi di marmo, espositori di legno usurato: il tempo da queste parti sembra essersi fermato








Se avete già assaggiato una scatola di lokum, anche detti turkish delight (così li chiamarono gli inglesi, che per primi li portarono in Europa), magari di fattura industriale e comprata all’ultimo momento in aeroporto, avete solo una vaga di idea di cosa siano questi dolcetti antichissimi (venivano prodotti già nel XV secolo lavorando la melassa e il miele, oggi sostituiti da amido e zucchero). Sono quadrotti di consistenza gelatinosa, che invitano al morso, aromatizzati  - qui da Altan con deliziosi aromi fatti in casa – nei modi più svariati: alla rosa canina, ai frutti rossi, al limone, alla cannella, alle spezie.... A volte racchiudono una gemma croccante di pistacchio, mandorla o nocciola; sono ricoperti di zucchero a velo o cocco grattugiato. Impossibile non comprarne almeno una scatola, visti anche i prezzi (10 lire turche al chilo, meno di 4 euro; qualcosa in più la variante al pistacchio o alla mandorla). Da Altan sono prodotti anche buonissimi dolcetti di mandorla (nella foto) e caramelle artigianali








Un posto come Çiya Sofrası (Güneşli Bahçe Sokak 43) piacerebbe enormemente a Carlin Petrini: è il luogo della tradizione riscoperta. E’ entrato anche nei nostri cuori, intanto perché si trova a Kadiköy, sponda asiatica, almeno mezz’ora di taxi (ma tanto costano pochissimo), quartiere del tutto fuori dai giri turistici ma di splendida autenticità: una Istanbul vera, vivace, vitale, che ama uscire la sera (è un susseguirsi di ristorantini, caffé, pasticcerie, chioschi da street food...) e mangiare bene. Qualcuno considera addirittura Çiya il miglior ristorante in città: di certo è uno spettacolo ammirare la serie infinita di squisite pietanze nei pentoloni, già pronte per essere servite, tra le quali scegliere i vostri molteplici assaggi, a prezzi a dir poco irrisori (si cena pantagruelicamente, bevendo birra, per 15-20 lire turche, 6-8 euro)








Sia chiaro: Çiya è una trattoriaccia con banconi di legno, cibo pronto e servizio avventuroso. Ma la qualità è eccellente e qui davvero potrete sbizzarrirvi creando da soli una sorta di menu degustazione tra i più tipici piatti turchi (le verdure sono tutte da urlo). Inutile elencarvi i piatti: sono decine e cambiano di continuo a seconda della stagione e del mercato. Costituiscono una sorta di compendio delle cucine regionali grazie all’opera instancabile del proprietario e chef Musa Dagdeviren, originario della città sud-orientale di Gaziantep e sorta di antropologo culinario: raccoglie e pubblica ricette da tutto il Paese e pubblica persino una rivista dedicata alla cultura del cibo turco (Yemek ve Kultur). Di fronte a Çiya Sofrası è Çiya Kebap, figlioccio ancor più easy tutto dedito al tipico piatto turco-arabo a base di carne. E per un perfetto dopocena, sempre in zona, c’è Fazil Bey (Serasker Caddesi 1), che vi aiuterà a superare ogni possibile pregiudizio attorno al turkish coffee

Balik significa pane, ekmek pesce. Balik ekmek, dunque, è il tipicissimo panino col pesce che potrete degustare all’imbarcadero di Eminonu, all’estremità meridionale del ponte di Galata. Qui sono ancorate diverse barche-cucina con grandi griglie dove gli sgombri sfrigolano pronti per essere serviti tra due fette di pane bianco, un po’ di cipolla appena scottata, sale e limone a volontà, anche in funzione anti-vibrione. Non leggero, magari un po’ junk food, ma davvero gustoso

Galleria fotografica






Boğaziçi Köprüsü, il ponte sul Bosforo che unisce i due continenti








Tornati recentemente a Istanbul dopo alcuni anni di assenza, abbiamo notato con piacere un netto risveglio (o una nascita tout court) dello spirito gourmand “all’occidentale” in città. E’ un fiorire di iniziative, spazi, proposte, stili che superano quel certo anonimato vagamente mediocre che caratterizzava fino a non molto tempo fa anche le tavole di maggior prestigio – o la schietta ruralità della cucina basic. C’è sempre stata cultura del cibo, oggi cresce anche la capacità di comunicarla e renderla fruibile a chi giunge da queste parti per qualche giorno di vacanza. Sono d’aiuto anche parecchi siti o blog di foodies turchi, che offrono consigli utilissimi, su tutti istanbuleats.com. (in foto, un piatto del talentuoso chef Mehmet Gürs, già presentato a Identità Golose 2011: Dessert di zucca candita, marinata 24 ore in acqua di calce, con gelato di pistacchio e sciroppo di sesamo)








Ogni discettazione sull’alta cucina istanbuliota trova l’alfa e l’omega al diciottesimo piano del Marmara Pera, elegante hotel che ospita il miglior ristorante di Turchia, Mikla, regno di Mehmet Gürs (nella foto). La stessa sua biografia ne fa il rappresentante perfetto della Istanbul sfaccettata della quale abbiamo accennato: papà turco, mamma finlandese, nonna svedese, l’infanzia trascorsa a Tammisaari, 90 chilometri da Helsinki, scuola alberghiera a Providence, Rhode Island, Usa. E’ il profeta della New Anatolian Cuisine








La vista che si gode dalle finestre di Mikla – se c’è bel tempo e la temperatura lo consente si può cenare anche in terrazza, sotto le stelle – è meravigliosa: le luci della città ai vostri piedi, a milioni, il Corno d’Oro col traffico di battelli, sull’altra sponda il vecchio quartiere di Sultanahmet, il Topkapi, Santa Sofia, più in là i minareti della Moschea Blu, a destra la Süleymaniye Camii, moschea di Solimano... Imperdibile. Ma prima di accomodarvi al tavolo salite ancora d’un piano, al diciannovesimo e ultimo, per godervi una flute di champagne (o, dopo cena, un cocktail), magari appoggiati alla balaustra con panorama sull’infinito, il cielo come soffitto, la mente che spazia libera








Mehmet Gürs segue in fondo “solo” le tracce di chi (penso ad Alex Atala in Brasile, René Redzepi in Danimarca, Gastón Acurio in Perù...) un bel giorno decide di fare delle proprie radici culinarie un poco disconosciute, dei prodotti di farmers a chilometro zero o mille, ma comunque del territorio (che se è l’Amazzonia, è un territorio gigantesco. E anche la Turchia non scherza), il punto di partenza per reinventare una tradizione. Il suo menu è proprio, innanzi tutto, un inno alle materie prime scovate nei più remoti angoli in un Paese di 780mila chilometri quadrati, ossia più di due volte e mezza l’Italia: gli agnelli Kıvırcık allevati in Tracia, una sorta di gruviera che viene dall’Anatolia del Nordest, i vini della Cappadocia, i pistacchi da Gaziantep, la marmellata di lavanda selvatica ancora prodotta dalle donne di un villaggetto non lontano da Smirne... Menu degustazione a 140 lire turche, 210 col wine pairing (sono rispettivamente 55 e 83 euro)








Nella foto, un antipasto che è una sorta di riassunto perfetto di come la tradizione possa essere reinventata in modo creativo, creando un piatto che è intimamente turco eppure al 100% partorito dalla mente di Gürs. Sardine crisp, lemon è la reinterpretazione di un classico street food istanbuliota di cui parleremo tra poco, il panino col pesce del mar Nero e un goccio di succo di limone che si compra ancor oggi facendo la fila davanti ai barconi ancorati vicino al ponte di Galata








Ecco un piatto che invece è solo accostamento di prodotti selezionati, pura materia. Dried beef, ossia una carne di manzo a mò di bresaola, con il Kars gravyer, formaggio vaccino che è una sorta di gruviera stagionato circa 10 mesi e proveniente da Kars, città a poca distante dal confine armeno, famosa per i suoi pascoli e bestiame








Il piatto della serata, che è ormai un cavallo di battaglia dello chef, è la spalla di agnello Kıvırcık, cotta sottovuoto per 24 ore a bassa temperatura, accompagnato da un pilaf  “umido” di farro, pestil di prugna e melassa di melograno








Detto di Gürs, un weekend gastronomico a Istanbul offre anche molto altro. La cosa più divertente è uscire dalle zone turistiche per scoprire indirizzi nascosti, magari sfacciatamente retrò ma custodi di luminose pepite del gusto. Come Pando, negozietto anonimo nel bel quartiere di Besiktas, Mumcu Bakkal Sokok 5, dove andare a far colazione o uno spuntino veloce per pranzo, magari seduti placidamente ai tavolini apparecchiati sulla strada chiusa al traffico dove fervono le più disparate attività commerciali. Ad accogliervi sarà lo stesso Pando, un incredibile vecchietto 85enne d’origine bulgara che prima vi scruterà con curiosità e poi vi delizierà con un sorriso. E non solo…








È il regno del kaimak, versione turco-balcanica della nostra panna, ottenuto dalla fermentazione del grasso estratto durante la cottura del latte crudo vaccino. Fresco – come in questo caso – ha un gusto più dolce. Viene quindi servito accompagnato da miele e pane bianco, per uno spuntino paradisiaco, specie se preceduto – come sarà lo stesso Pando a suggerirvi – da un paio di uova freschissime cotte al tegamino, per dare anche una nota salata alla vostra colazione. Il negozio è aperto dal 1895 e i prezzi sembrano rimasti quelli di allora: kaimak col miele, pane, uova (buonissime!) al tegamino e un té o un caffé a 10 lire turche, poco meno di 4 euro








Un altro indirizzo prezioso: Kiblecesme Caddesi 96, a Kantarcilar (Kucuk Pazari), nel quartiere di Eminonu, un poco fuori mano anche questo. Ci troviamo in un dedalo di viuzze polverose e di caravanserragli di epoca ottomana non lontani dal Corno d’Oro: diciamo che il modo più facile per raggiungerlo è scendervi – puntando verso il mare - dopo aver visitato la Süleymaniye Camii. Qui è Altan Sekerleme, bottega di dolciumi, un po’ fané ma che trasuda autenticità. Di proprietà della stessa famiglia da quattro generazioni, banconi di marmo, espositori di legno usurato: il tempo da queste parti sembra essersi fermato








Se avete già assaggiato una scatola di lokum, anche detti turkish delight (così li chiamarono gli inglesi, che per primi li portarono in Europa), magari di fattura industriale e comprata all’ultimo momento in aeroporto, avete solo una vaga di idea di cosa siano questi dolcetti antichissimi (venivano prodotti già nel XV secolo lavorando la melassa e il miele, oggi sostituiti da amido e zucchero). Sono quadrotti di consistenza gelatinosa, che invitano al morso, aromatizzati  - qui da Altan con deliziosi aromi fatti in casa – nei modi più svariati: alla rosa canina, ai frutti rossi, al limone, alla cannella, alle spezie.... A volte racchiudono una gemma croccante di pistacchio, mandorla o nocciola; sono ricoperti di zucchero a velo o cocco grattugiato. Impossibile non comprarne almeno una scatola, visti anche i prezzi (10 lire turche al chilo, meno di 4 euro; qualcosa in più la variante al pistacchio o alla mandorla). Da Altan sono prodotti anche buonissimi dolcetti di mandorla (nella foto) e caramelle artigianali








Un posto come Çiya Sofrası (Güneşli Bahçe Sokak 43) piacerebbe enormemente a Carlin Petrini: è il luogo della tradizione riscoperta. E’ entrato anche nei nostri cuori, intanto perché si trova a Kadiköy, sponda asiatica, almeno mezz’ora di taxi (ma tanto costano pochissimo), quartiere del tutto fuori dai giri turistici ma di splendida autenticità: una Istanbul vera, vivace, vitale, che ama uscire la sera (è un susseguirsi di ristorantini, caffé, pasticcerie, chioschi da street food...) e mangiare bene. Qualcuno considera addirittura Çiya il miglior ristorante in città: di certo è uno spettacolo ammirare la serie infinita di squisite pietanze nei pentoloni, già pronte per essere servite, tra le quali scegliere i vostri molteplici assaggi, a prezzi a dir poco irrisori (si cena pantagruelicamente, bevendo birra, per 15-20 lire turche, 6-8 euro)








Sia chiaro: Çiya è una trattoriaccia con banconi di legno, cibo pronto e servizio avventuroso. Ma la qualità è eccellente e qui davvero potrete sbizzarrirvi creando da soli una sorta di menu degustazione tra i più tipici piatti turchi (le verdure sono tutte da urlo). Inutile elencarvi i piatti: sono decine e cambiano di continuo a seconda della stagione e del mercato. Costituiscono una sorta di compendio delle cucine regionali grazie all’opera instancabile del proprietario e chef Musa Dagdeviren, originario della città sud-orientale di Gaziantep e sorta di antropologo culinario: raccoglie e pubblica ricette da tutto il Paese e pubblica persino una rivista dedicata alla cultura del cibo turco (Yemek ve Kultur). Di fronte a Çiya Sofrası è Çiya Kebap, figlioccio ancor più easy tutto dedito al tipico piatto turco-arabo a base di carne. E per un perfetto dopocena, sempre in zona, c’è Fazil Bey (Serasker Caddesi 1), che vi aiuterà a superare ogni possibile pregiudizio attorno al turkish coffee








Balik significa pane, ekmek pesce. Balik ekmek, dunque, è il tipicissimo panino col pesce che potrete degustare all’imbarcadero di Eminonu, all’estremità meridionale del ponte di Galata. Qui sono ancorate diverse barche-cucina con grandi griglie dove gli sgombri sfrigolano pronti per essere serviti tra due fette di pane bianco, un po’ di cipolla appena scottata, sale e limone a volontà, anche in funzione anti-vibrione. Non leggero, magari un po’ junk food, ma davvero gustoso

Balik ekmek è solo uno dei tanti tipi di street food che potete assaggiare in città. Sempre all’imbarcadero di Eminonu (ma non solo lì) ci sono svariati chioschetti che vendono anche misir, la classica pannocchia arrostita, o tulumba, una specie di gnocco fritto e condito con abbondante sciroppo dolce (nella foto)

Galleria fotografica






Boğaziçi Köprüsü, il ponte sul Bosforo che unisce i due continenti








Tornati recentemente a Istanbul dopo alcuni anni di assenza, abbiamo notato con piacere un netto risveglio (o una nascita tout court) dello spirito gourmand “all’occidentale” in città. E’ un fiorire di iniziative, spazi, proposte, stili che superano quel certo anonimato vagamente mediocre che caratterizzava fino a non molto tempo fa anche le tavole di maggior prestigio – o la schietta ruralità della cucina basic. C’è sempre stata cultura del cibo, oggi cresce anche la capacità di comunicarla e renderla fruibile a chi giunge da queste parti per qualche giorno di vacanza. Sono d’aiuto anche parecchi siti o blog di foodies turchi, che offrono consigli utilissimi, su tutti istanbuleats.com. (in foto, un piatto del talentuoso chef Mehmet Gürs, già presentato a Identità Golose 2011: Dessert di zucca candita, marinata 24 ore in acqua di calce, con gelato di pistacchio e sciroppo di sesamo)








Ogni discettazione sull’alta cucina istanbuliota trova l’alfa e l’omega al diciottesimo piano del Marmara Pera, elegante hotel che ospita il miglior ristorante di Turchia, Mikla, regno di Mehmet Gürs (nella foto). La stessa sua biografia ne fa il rappresentante perfetto della Istanbul sfaccettata della quale abbiamo accennato: papà turco, mamma finlandese, nonna svedese, l’infanzia trascorsa a Tammisaari, 90 chilometri da Helsinki, scuola alberghiera a Providence, Rhode Island, Usa. E’ il profeta della New Anatolian Cuisine








La vista che si gode dalle finestre di Mikla – se c’è bel tempo e la temperatura lo consente si può cenare anche in terrazza, sotto le stelle – è meravigliosa: le luci della città ai vostri piedi, a milioni, il Corno d’Oro col traffico di battelli, sull’altra sponda il vecchio quartiere di Sultanahmet, il Topkapi, Santa Sofia, più in là i minareti della Moschea Blu, a destra la Süleymaniye Camii, moschea di Solimano... Imperdibile. Ma prima di accomodarvi al tavolo salite ancora d’un piano, al diciannovesimo e ultimo, per godervi una flute di champagne (o, dopo cena, un cocktail), magari appoggiati alla balaustra con panorama sull’infinito, il cielo come soffitto, la mente che spazia libera








Mehmet Gürs segue in fondo “solo” le tracce di chi (penso ad Alex Atala in Brasile, René Redzepi in Danimarca, Gastón Acurio in Perù...) un bel giorno decide di fare delle proprie radici culinarie un poco disconosciute, dei prodotti di farmers a chilometro zero o mille, ma comunque del territorio (che se è l’Amazzonia, è un territorio gigantesco. E anche la Turchia non scherza), il punto di partenza per reinventare una tradizione. Il suo menu è proprio, innanzi tutto, un inno alle materie prime scovate nei più remoti angoli in un Paese di 780mila chilometri quadrati, ossia più di due volte e mezza l’Italia: gli agnelli Kıvırcık allevati in Tracia, una sorta di gruviera che viene dall’Anatolia del Nordest, i vini della Cappadocia, i pistacchi da Gaziantep, la marmellata di lavanda selvatica ancora prodotta dalle donne di un villaggetto non lontano da Smirne... Menu degustazione a 140 lire turche, 210 col wine pairing (sono rispettivamente 55 e 83 euro)








Nella foto, un antipasto che è una sorta di riassunto perfetto di come la tradizione possa essere reinventata in modo creativo, creando un piatto che è intimamente turco eppure al 100% partorito dalla mente di Gürs. Sardine crisp, lemon è la reinterpretazione di un classico street food istanbuliota di cui parleremo tra poco, il panino col pesce del mar Nero e un goccio di succo di limone che si compra ancor oggi facendo la fila davanti ai barconi ancorati vicino al ponte di Galata








Ecco un piatto che invece è solo accostamento di prodotti selezionati, pura materia. Dried beef, ossia una carne di manzo a mò di bresaola, con il Kars gravyer, formaggio vaccino che è una sorta di gruviera stagionato circa 10 mesi e proveniente da Kars, città a poca distante dal confine armeno, famosa per i suoi pascoli e bestiame








Il piatto della serata, che è ormai un cavallo di battaglia dello chef, è la spalla di agnello Kıvırcık, cotta sottovuoto per 24 ore a bassa temperatura, accompagnato da un pilaf  “umido” di farro, pestil di prugna e melassa di melograno








Detto di Gürs, un weekend gastronomico a Istanbul offre anche molto altro. La cosa più divertente è uscire dalle zone turistiche per scoprire indirizzi nascosti, magari sfacciatamente retrò ma custodi di luminose pepite del gusto. Come Pando, negozietto anonimo nel bel quartiere di Besiktas, Mumcu Bakkal Sokok 5, dove andare a far colazione o uno spuntino veloce per pranzo, magari seduti placidamente ai tavolini apparecchiati sulla strada chiusa al traffico dove fervono le più disparate attività commerciali. Ad accogliervi sarà lo stesso Pando, un incredibile vecchietto 85enne d’origine bulgara che prima vi scruterà con curiosità e poi vi delizierà con un sorriso. E non solo…








È il regno del kaimak, versione turco-balcanica della nostra panna, ottenuto dalla fermentazione del grasso estratto durante la cottura del latte crudo vaccino. Fresco – come in questo caso – ha un gusto più dolce. Viene quindi servito accompagnato da miele e pane bianco, per uno spuntino paradisiaco, specie se preceduto – come sarà lo stesso Pando a suggerirvi – da un paio di uova freschissime cotte al tegamino, per dare anche una nota salata alla vostra colazione. Il negozio è aperto dal 1895 e i prezzi sembrano rimasti quelli di allora: kaimak col miele, pane, uova (buonissime!) al tegamino e un té o un caffé a 10 lire turche, poco meno di 4 euro








Un altro indirizzo prezioso: Kiblecesme Caddesi 96, a Kantarcilar (Kucuk Pazari), nel quartiere di Eminonu, un poco fuori mano anche questo. Ci troviamo in un dedalo di viuzze polverose e di caravanserragli di epoca ottomana non lontani dal Corno d’Oro: diciamo che il modo più facile per raggiungerlo è scendervi – puntando verso il mare - dopo aver visitato la Süleymaniye Camii. Qui è Altan Sekerleme, bottega di dolciumi, un po’ fané ma che trasuda autenticità. Di proprietà della stessa famiglia da quattro generazioni, banconi di marmo, espositori di legno usurato: il tempo da queste parti sembra essersi fermato








Se avete già assaggiato una scatola di lokum, anche detti turkish delight (così li chiamarono gli inglesi, che per primi li portarono in Europa), magari di fattura industriale e comprata all’ultimo momento in aeroporto, avete solo una vaga di idea di cosa siano questi dolcetti antichissimi (venivano prodotti già nel XV secolo lavorando la melassa e il miele, oggi sostituiti da amido e zucchero). Sono quadrotti di consistenza gelatinosa, che invitano al morso, aromatizzati  - qui da Altan con deliziosi aromi fatti in casa – nei modi più svariati: alla rosa canina, ai frutti rossi, al limone, alla cannella, alle spezie.... A volte racchiudono una gemma croccante di pistacchio, mandorla o nocciola; sono ricoperti di zucchero a velo o cocco grattugiato. Impossibile non comprarne almeno una scatola, visti anche i prezzi (10 lire turche al chilo, meno di 4 euro; qualcosa in più la variante al pistacchio o alla mandorla). Da Altan sono prodotti anche buonissimi dolcetti di mandorla (nella foto) e caramelle artigianali








Un posto come Çiya Sofrası (Güneşli Bahçe Sokak 43) piacerebbe enormemente a Carlin Petrini: è il luogo della tradizione riscoperta. E’ entrato anche nei nostri cuori, intanto perché si trova a Kadiköy, sponda asiatica, almeno mezz’ora di taxi (ma tanto costano pochissimo), quartiere del tutto fuori dai giri turistici ma di splendida autenticità: una Istanbul vera, vivace, vitale, che ama uscire la sera (è un susseguirsi di ristorantini, caffé, pasticcerie, chioschi da street food...) e mangiare bene. Qualcuno considera addirittura Çiya il miglior ristorante in città: di certo è uno spettacolo ammirare la serie infinita di squisite pietanze nei pentoloni, già pronte per essere servite, tra le quali scegliere i vostri molteplici assaggi, a prezzi a dir poco irrisori (si cena pantagruelicamente, bevendo birra, per 15-20 lire turche, 6-8 euro)








Sia chiaro: Çiya è una trattoriaccia con banconi di legno, cibo pronto e servizio avventuroso. Ma la qualità è eccellente e qui davvero potrete sbizzarrirvi creando da soli una sorta di menu degustazione tra i più tipici piatti turchi (le verdure sono tutte da urlo). Inutile elencarvi i piatti: sono decine e cambiano di continuo a seconda della stagione e del mercato. Costituiscono una sorta di compendio delle cucine regionali grazie all’opera instancabile del proprietario e chef Musa Dagdeviren, originario della città sud-orientale di Gaziantep e sorta di antropologo culinario: raccoglie e pubblica ricette da tutto il Paese e pubblica persino una rivista dedicata alla cultura del cibo turco (Yemek ve Kultur). Di fronte a Çiya Sofrası è Çiya Kebap, figlioccio ancor più easy tutto dedito al tipico piatto turco-arabo a base di carne. E per un perfetto dopocena, sempre in zona, c’è Fazil Bey (Serasker Caddesi 1), che vi aiuterà a superare ogni possibile pregiudizio attorno al turkish coffee








Balik significa pane, ekmek pesce. Balik ekmek, dunque, è il tipicissimo panino col pesce che potrete degustare all’imbarcadero di Eminonu, all’estremità meridionale del ponte di Galata. Qui sono ancorate diverse barche-cucina con grandi griglie dove gli sgombri sfrigolano pronti per essere serviti tra due fette di pane bianco, un po’ di cipolla appena scottata, sale e limone a volontà, anche in funzione anti-vibrione. Non leggero, magari un po’ junk food, ma davvero gustoso








Balik ekmek è solo uno dei tanti tipi di street food che potete assaggiare in città. Sempre all’imbarcadero di Eminonu (ma non solo lì) ci sono svariati chioschetti che vendono anche misir, la classica pannocchia arrostita, o tulumba, una specie di gnocco fritto e condito con abbondante sciroppo dolce (nella foto)

Altra zona da street food per antonomasia è piazza Taksim e dintorni, centro nevralgico della Istanbul moderna e notturna. Chioschi e negozietti sono tantissimi, segnaliamo solo Kizilkayalar in Siraselviler Caddesi 6 per il suo islak burger (islak significa “bagnato”), che è risorsa straordinaria per uno spuntino alle ore piccole, post-disco e/o post-sbornia. E’ un panino curioso perché... fa il bagno turco: viene infatti prima inumidito con una salsa a base di pomodoro e poi, farcito con una polpetta di carne all’aglio, posto in una teca a vapore, sorta di hamam che lo consegna caldo e umoroso alle vostre fauci voraci. Da leccarsi le dita!

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Boğaziçi Köprüsü, il ponte sul Bosforo che unisce i due continenti








Tornati recentemente a Istanbul dopo alcuni anni di assenza, abbiamo notato con piacere un netto risveglio (o una nascita tout court) dello spirito gourmand “all’occidentale” in città. E’ un fiorire di iniziative, spazi, proposte, stili che superano quel certo anonimato vagamente mediocre che caratterizzava fino a non molto tempo fa anche le tavole di maggior prestigio – o la schietta ruralità della cucina basic. C’è sempre stata cultura del cibo, oggi cresce anche la capacità di comunicarla e renderla fruibile a chi giunge da queste parti per qualche giorno di vacanza. Sono d’aiuto anche parecchi siti o blog di foodies turchi, che offrono consigli utilissimi, su tutti istanbuleats.com. (in foto, un piatto del talentuoso chef Mehmet Gürs, già presentato a Identità Golose 2011: Dessert di zucca candita, marinata 24 ore in acqua di calce, con gelato di pistacchio e sciroppo di sesamo)








Ogni discettazione sull’alta cucina istanbuliota trova l’alfa e l’omega al diciottesimo piano del Marmara Pera, elegante hotel che ospita il miglior ristorante di Turchia, Mikla, regno di Mehmet Gürs (nella foto). La stessa sua biografia ne fa il rappresentante perfetto della Istanbul sfaccettata della quale abbiamo accennato: papà turco, mamma finlandese, nonna svedese, l’infanzia trascorsa a Tammisaari, 90 chilometri da Helsinki, scuola alberghiera a Providence, Rhode Island, Usa. E’ il profeta della New Anatolian Cuisine








La vista che si gode dalle finestre di Mikla – se c’è bel tempo e la temperatura lo consente si può cenare anche in terrazza, sotto le stelle – è meravigliosa: le luci della città ai vostri piedi, a milioni, il Corno d’Oro col traffico di battelli, sull’altra sponda il vecchio quartiere di Sultanahmet, il Topkapi, Santa Sofia, più in là i minareti della Moschea Blu, a destra la Süleymaniye Camii, moschea di Solimano... Imperdibile. Ma prima di accomodarvi al tavolo salite ancora d’un piano, al diciannovesimo e ultimo, per godervi una flute di champagne (o, dopo cena, un cocktail), magari appoggiati alla balaustra con panorama sull’infinito, il cielo come soffitto, la mente che spazia libera








Mehmet Gürs segue in fondo “solo” le tracce di chi (penso ad Alex Atala in Brasile, René Redzepi in Danimarca, Gastón Acurio in Perù...) un bel giorno decide di fare delle proprie radici culinarie un poco disconosciute, dei prodotti di farmers a chilometro zero o mille, ma comunque del territorio (che se è l’Amazzonia, è un territorio gigantesco. E anche la Turchia non scherza), il punto di partenza per reinventare una tradizione. Il suo menu è proprio, innanzi tutto, un inno alle materie prime scovate nei più remoti angoli in un Paese di 780mila chilometri quadrati, ossia più di due volte e mezza l’Italia: gli agnelli Kıvırcık allevati in Tracia, una sorta di gruviera che viene dall’Anatolia del Nordest, i vini della Cappadocia, i pistacchi da Gaziantep, la marmellata di lavanda selvatica ancora prodotta dalle donne di un villaggetto non lontano da Smirne... Menu degustazione a 140 lire turche, 210 col wine pairing (sono rispettivamente 55 e 83 euro)








Nella foto, un antipasto che è una sorta di riassunto perfetto di come la tradizione possa essere reinventata in modo creativo, creando un piatto che è intimamente turco eppure al 100% partorito dalla mente di Gürs. Sardine crisp, lemon è la reinterpretazione di un classico street food istanbuliota di cui parleremo tra poco, il panino col pesce del mar Nero e un goccio di succo di limone che si compra ancor oggi facendo la fila davanti ai barconi ancorati vicino al ponte di Galata








Ecco un piatto che invece è solo accostamento di prodotti selezionati, pura materia. Dried beef, ossia una carne di manzo a mò di bresaola, con il Kars gravyer, formaggio vaccino che è una sorta di gruviera stagionato circa 10 mesi e proveniente da Kars, città a poca distante dal confine armeno, famosa per i suoi pascoli e bestiame








Il piatto della serata, che è ormai un cavallo di battaglia dello chef, è la spalla di agnello Kıvırcık, cotta sottovuoto per 24 ore a bassa temperatura, accompagnato da un pilaf  “umido” di farro, pestil di prugna e melassa di melograno








Detto di Gürs, un weekend gastronomico a Istanbul offre anche molto altro. La cosa più divertente è uscire dalle zone turistiche per scoprire indirizzi nascosti, magari sfacciatamente retrò ma custodi di luminose pepite del gusto. Come Pando, negozietto anonimo nel bel quartiere di Besiktas, Mumcu Bakkal Sokok 5, dove andare a far colazione o uno spuntino veloce per pranzo, magari seduti placidamente ai tavolini apparecchiati sulla strada chiusa al traffico dove fervono le più disparate attività commerciali. Ad accogliervi sarà lo stesso Pando, un incredibile vecchietto 85enne d’origine bulgara che prima vi scruterà con curiosità e poi vi delizierà con un sorriso. E non solo…








È il regno del kaimak, versione turco-balcanica della nostra panna, ottenuto dalla fermentazione del grasso estratto durante la cottura del latte crudo vaccino. Fresco – come in questo caso – ha un gusto più dolce. Viene quindi servito accompagnato da miele e pane bianco, per uno spuntino paradisiaco, specie se preceduto – come sarà lo stesso Pando a suggerirvi – da un paio di uova freschissime cotte al tegamino, per dare anche una nota salata alla vostra colazione. Il negozio è aperto dal 1895 e i prezzi sembrano rimasti quelli di allora: kaimak col miele, pane, uova (buonissime!) al tegamino e un té o un caffé a 10 lire turche, poco meno di 4 euro








Un altro indirizzo prezioso: Kiblecesme Caddesi 96, a Kantarcilar (Kucuk Pazari), nel quartiere di Eminonu, un poco fuori mano anche questo. Ci troviamo in un dedalo di viuzze polverose e di caravanserragli di epoca ottomana non lontani dal Corno d’Oro: diciamo che il modo più facile per raggiungerlo è scendervi – puntando verso il mare - dopo aver visitato la Süleymaniye Camii. Qui è Altan Sekerleme, bottega di dolciumi, un po’ fané ma che trasuda autenticità. Di proprietà della stessa famiglia da quattro generazioni, banconi di marmo, espositori di legno usurato: il tempo da queste parti sembra essersi fermato








Se avete già assaggiato una scatola di lokum, anche detti turkish delight (così li chiamarono gli inglesi, che per primi li portarono in Europa), magari di fattura industriale e comprata all’ultimo momento in aeroporto, avete solo una vaga di idea di cosa siano questi dolcetti antichissimi (venivano prodotti già nel XV secolo lavorando la melassa e il miele, oggi sostituiti da amido e zucchero). Sono quadrotti di consistenza gelatinosa, che invitano al morso, aromatizzati  - qui da Altan con deliziosi aromi fatti in casa – nei modi più svariati: alla rosa canina, ai frutti rossi, al limone, alla cannella, alle spezie.... A volte racchiudono una gemma croccante di pistacchio, mandorla o nocciola; sono ricoperti di zucchero a velo o cocco grattugiato. Impossibile non comprarne almeno una scatola, visti anche i prezzi (10 lire turche al chilo, meno di 4 euro; qualcosa in più la variante al pistacchio o alla mandorla). Da Altan sono prodotti anche buonissimi dolcetti di mandorla (nella foto) e caramelle artigianali








Un posto come Çiya Sofrası (Güneşli Bahçe Sokak 43) piacerebbe enormemente a Carlin Petrini: è il luogo della tradizione riscoperta. E’ entrato anche nei nostri cuori, intanto perché si trova a Kadiköy, sponda asiatica, almeno mezz’ora di taxi (ma tanto costano pochissimo), quartiere del tutto fuori dai giri turistici ma di splendida autenticità: una Istanbul vera, vivace, vitale, che ama uscire la sera (è un susseguirsi di ristorantini, caffé, pasticcerie, chioschi da street food...) e mangiare bene. Qualcuno considera addirittura Çiya il miglior ristorante in città: di certo è uno spettacolo ammirare la serie infinita di squisite pietanze nei pentoloni, già pronte per essere servite, tra le quali scegliere i vostri molteplici assaggi, a prezzi a dir poco irrisori (si cena pantagruelicamente, bevendo birra, per 15-20 lire turche, 6-8 euro)








Sia chiaro: Çiya è una trattoriaccia con banconi di legno, cibo pronto e servizio avventuroso. Ma la qualità è eccellente e qui davvero potrete sbizzarrirvi creando da soli una sorta di menu degustazione tra i più tipici piatti turchi (le verdure sono tutte da urlo). Inutile elencarvi i piatti: sono decine e cambiano di continuo a seconda della stagione e del mercato. Costituiscono una sorta di compendio delle cucine regionali grazie all’opera instancabile del proprietario e chef Musa Dagdeviren, originario della città sud-orientale di Gaziantep e sorta di antropologo culinario: raccoglie e pubblica ricette da tutto il Paese e pubblica persino una rivista dedicata alla cultura del cibo turco (Yemek ve Kultur). Di fronte a Çiya Sofrası è Çiya Kebap, figlioccio ancor più easy tutto dedito al tipico piatto turco-arabo a base di carne. E per un perfetto dopocena, sempre in zona, c’è Fazil Bey (Serasker Caddesi 1), che vi aiuterà a superare ogni possibile pregiudizio attorno al turkish coffee








Balik significa pane, ekmek pesce. Balik ekmek, dunque, è il tipicissimo panino col pesce che potrete degustare all’imbarcadero di Eminonu, all’estremità meridionale del ponte di Galata. Qui sono ancorate diverse barche-cucina con grandi griglie dove gli sgombri sfrigolano pronti per essere serviti tra due fette di pane bianco, un po’ di cipolla appena scottata, sale e limone a volontà, anche in funzione anti-vibrione. Non leggero, magari un po’ junk food, ma davvero gustoso








Balik ekmek è solo uno dei tanti tipi di street food che potete assaggiare in città. Sempre all’imbarcadero di Eminonu (ma non solo lì) ci sono svariati chioschetti che vendono anche misir, la classica pannocchia arrostita, o tulumba, una specie di gnocco fritto e condito con abbondante sciroppo dolce (nella foto)








Altra zona da street food per antonomasia è piazza Taksim e dintorni, centro nevralgico della Istanbul moderna e notturna. Chioschi e negozietti sono tantissimi, segnaliamo solo Kizilkayalar in Siraselviler Caddesi 6 per il suo islak burger (islak significa “bagnato”), che è risorsa straordinaria per uno spuntino alle ore piccole, post-disco e/o post-sbornia. E’ un panino curioso perché... fa il bagno turco: viene infatti prima inumidito con una salsa a base di pomodoro e poi, farcito con una polpetta di carne all’aglio, posto in una teca a vapore, sorta di hamam che lo consegna caldo e umoroso alle vostre fauci voraci. Da leccarsi le dita!

Per restare in zona, Taksim (e İstiklâl Caddesi, che da lì diparte: è la via del passeggio e dello struscio della Istanbul moderna, nel quartiere di Beyoğlu) non è particolarmente consigliabile per il turista gourmand: si tratta di un’area turistica e frenetica, più adatta alla vita notturna che a una cena slow. Però due indirizzi non malvagi li forniamo volentieri. Il primo è quello di Zubeyir (Bekar Sokak 28), dove mangiare un buon kebap (o kebāb, in arabo), ossia un piatto di ottima carne arrostita, magari accompagnato – come usa - da un bicchiere di ayran, bibita a base di yogurt leggermente salato e allungato con acqua (attenti a non confondere il piatto di kebap col tipico panino condito, ormai diffuso come street food anche in Occidente e che noi chiamiamo spesso allo stesso modo, ma è in realtà si dice döner kebap, ossia “kebap che gira”, per ragioni evidenti). L’altro consiglio è Antiochia (Minare Sokak 21), dove assaggiare piatti di discreta fattura dell’Hatay, regione turca incuneata tra il confine con la Siria e il Mar Mediterraneo (nella foto)

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Boğaziçi Köprüsü, il ponte sul Bosforo che unisce i due continenti








Tornati recentemente a Istanbul dopo alcuni anni di assenza, abbiamo notato con piacere un netto risveglio (o una nascita tout court) dello spirito gourmand “all’occidentale” in città. E’ un fiorire di iniziative, spazi, proposte, stili che superano quel certo anonimato vagamente mediocre che caratterizzava fino a non molto tempo fa anche le tavole di maggior prestigio – o la schietta ruralità della cucina basic. C’è sempre stata cultura del cibo, oggi cresce anche la capacità di comunicarla e renderla fruibile a chi giunge da queste parti per qualche giorno di vacanza. Sono d’aiuto anche parecchi siti o blog di foodies turchi, che offrono consigli utilissimi, su tutti istanbuleats.com. (in foto, un piatto del talentuoso chef Mehmet Gürs, già presentato a Identità Golose 2011: Dessert di zucca candita, marinata 24 ore in acqua di calce, con gelato di pistacchio e sciroppo di sesamo)








Ogni discettazione sull’alta cucina istanbuliota trova l’alfa e l’omega al diciottesimo piano del Marmara Pera, elegante hotel che ospita il miglior ristorante di Turchia, Mikla, regno di Mehmet Gürs (nella foto). La stessa sua biografia ne fa il rappresentante perfetto della Istanbul sfaccettata della quale abbiamo accennato: papà turco, mamma finlandese, nonna svedese, l’infanzia trascorsa a Tammisaari, 90 chilometri da Helsinki, scuola alberghiera a Providence, Rhode Island, Usa. E’ il profeta della New Anatolian Cuisine








La vista che si gode dalle finestre di Mikla – se c’è bel tempo e la temperatura lo consente si può cenare anche in terrazza, sotto le stelle – è meravigliosa: le luci della città ai vostri piedi, a milioni, il Corno d’Oro col traffico di battelli, sull’altra sponda il vecchio quartiere di Sultanahmet, il Topkapi, Santa Sofia, più in là i minareti della Moschea Blu, a destra la Süleymaniye Camii, moschea di Solimano... Imperdibile. Ma prima di accomodarvi al tavolo salite ancora d’un piano, al diciannovesimo e ultimo, per godervi una flute di champagne (o, dopo cena, un cocktail), magari appoggiati alla balaustra con panorama sull’infinito, il cielo come soffitto, la mente che spazia libera








Mehmet Gürs segue in fondo “solo” le tracce di chi (penso ad Alex Atala in Brasile, René Redzepi in Danimarca, Gastón Acurio in Perù...) un bel giorno decide di fare delle proprie radici culinarie un poco disconosciute, dei prodotti di farmers a chilometro zero o mille, ma comunque del territorio (che se è l’Amazzonia, è un territorio gigantesco. E anche la Turchia non scherza), il punto di partenza per reinventare una tradizione. Il suo menu è proprio, innanzi tutto, un inno alle materie prime scovate nei più remoti angoli in un Paese di 780mila chilometri quadrati, ossia più di due volte e mezza l’Italia: gli agnelli Kıvırcık allevati in Tracia, una sorta di gruviera che viene dall’Anatolia del Nordest, i vini della Cappadocia, i pistacchi da Gaziantep, la marmellata di lavanda selvatica ancora prodotta dalle donne di un villaggetto non lontano da Smirne... Menu degustazione a 140 lire turche, 210 col wine pairing (sono rispettivamente 55 e 83 euro)








Nella foto, un antipasto che è una sorta di riassunto perfetto di come la tradizione possa essere reinventata in modo creativo, creando un piatto che è intimamente turco eppure al 100% partorito dalla mente di Gürs. Sardine crisp, lemon è la reinterpretazione di un classico street food istanbuliota di cui parleremo tra poco, il panino col pesce del mar Nero e un goccio di succo di limone che si compra ancor oggi facendo la fila davanti ai barconi ancorati vicino al ponte di Galata








Ecco un piatto che invece è solo accostamento di prodotti selezionati, pura materia. Dried beef, ossia una carne di manzo a mò di bresaola, con il Kars gravyer, formaggio vaccino che è una sorta di gruviera stagionato circa 10 mesi e proveniente da Kars, città a poca distante dal confine armeno, famosa per i suoi pascoli e bestiame








Il piatto della serata, che è ormai un cavallo di battaglia dello chef, è la spalla di agnello Kıvırcık, cotta sottovuoto per 24 ore a bassa temperatura, accompagnato da un pilaf  “umido” di farro, pestil di prugna e melassa di melograno








Detto di Gürs, un weekend gastronomico a Istanbul offre anche molto altro. La cosa più divertente è uscire dalle zone turistiche per scoprire indirizzi nascosti, magari sfacciatamente retrò ma custodi di luminose pepite del gusto. Come Pando, negozietto anonimo nel bel quartiere di Besiktas, Mumcu Bakkal Sokok 5, dove andare a far colazione o uno spuntino veloce per pranzo, magari seduti placidamente ai tavolini apparecchiati sulla strada chiusa al traffico dove fervono le più disparate attività commerciali. Ad accogliervi sarà lo stesso Pando, un incredibile vecchietto 85enne d’origine bulgara che prima vi scruterà con curiosità e poi vi delizierà con un sorriso. E non solo…








È il regno del kaimak, versione turco-balcanica della nostra panna, ottenuto dalla fermentazione del grasso estratto durante la cottura del latte crudo vaccino. Fresco – come in questo caso – ha un gusto più dolce. Viene quindi servito accompagnato da miele e pane bianco, per uno spuntino paradisiaco, specie se preceduto – come sarà lo stesso Pando a suggerirvi – da un paio di uova freschissime cotte al tegamino, per dare anche una nota salata alla vostra colazione. Il negozio è aperto dal 1895 e i prezzi sembrano rimasti quelli di allora: kaimak col miele, pane, uova (buonissime!) al tegamino e un té o un caffé a 10 lire turche, poco meno di 4 euro








Un altro indirizzo prezioso: Kiblecesme Caddesi 96, a Kantarcilar (Kucuk Pazari), nel quartiere di Eminonu, un poco fuori mano anche questo. Ci troviamo in un dedalo di viuzze polverose e di caravanserragli di epoca ottomana non lontani dal Corno d’Oro: diciamo che il modo più facile per raggiungerlo è scendervi – puntando verso il mare - dopo aver visitato la Süleymaniye Camii. Qui è Altan Sekerleme, bottega di dolciumi, un po’ fané ma che trasuda autenticità. Di proprietà della stessa famiglia da quattro generazioni, banconi di marmo, espositori di legno usurato: il tempo da queste parti sembra essersi fermato








Se avete già assaggiato una scatola di lokum, anche detti turkish delight (così li chiamarono gli inglesi, che per primi li portarono in Europa), magari di fattura industriale e comprata all’ultimo momento in aeroporto, avete solo una vaga di idea di cosa siano questi dolcetti antichissimi (venivano prodotti già nel XV secolo lavorando la melassa e il miele, oggi sostituiti da amido e zucchero). Sono quadrotti di consistenza gelatinosa, che invitano al morso, aromatizzati  - qui da Altan con deliziosi aromi fatti in casa – nei modi più svariati: alla rosa canina, ai frutti rossi, al limone, alla cannella, alle spezie.... A volte racchiudono una gemma croccante di pistacchio, mandorla o nocciola; sono ricoperti di zucchero a velo o cocco grattugiato. Impossibile non comprarne almeno una scatola, visti anche i prezzi (10 lire turche al chilo, meno di 4 euro; qualcosa in più la variante al pistacchio o alla mandorla). Da Altan sono prodotti anche buonissimi dolcetti di mandorla (nella foto) e caramelle artigianali








Un posto come Çiya Sofrası (Güneşli Bahçe Sokak 43) piacerebbe enormemente a Carlin Petrini: è il luogo della tradizione riscoperta. E’ entrato anche nei nostri cuori, intanto perché si trova a Kadiköy, sponda asiatica, almeno mezz’ora di taxi (ma tanto costano pochissimo), quartiere del tutto fuori dai giri turistici ma di splendida autenticità: una Istanbul vera, vivace, vitale, che ama uscire la sera (è un susseguirsi di ristorantini, caffé, pasticcerie, chioschi da street food...) e mangiare bene. Qualcuno considera addirittura Çiya il miglior ristorante in città: di certo è uno spettacolo ammirare la serie infinita di squisite pietanze nei pentoloni, già pronte per essere servite, tra le quali scegliere i vostri molteplici assaggi, a prezzi a dir poco irrisori (si cena pantagruelicamente, bevendo birra, per 15-20 lire turche, 6-8 euro)








Sia chiaro: Çiya è una trattoriaccia con banconi di legno, cibo pronto e servizio avventuroso. Ma la qualità è eccellente e qui davvero potrete sbizzarrirvi creando da soli una sorta di menu degustazione tra i più tipici piatti turchi (le verdure sono tutte da urlo). Inutile elencarvi i piatti: sono decine e cambiano di continuo a seconda della stagione e del mercato. Costituiscono una sorta di compendio delle cucine regionali grazie all’opera instancabile del proprietario e chef Musa Dagdeviren, originario della città sud-orientale di Gaziantep e sorta di antropologo culinario: raccoglie e pubblica ricette da tutto il Paese e pubblica persino una rivista dedicata alla cultura del cibo turco (Yemek ve Kultur). Di fronte a Çiya Sofrası è Çiya Kebap, figlioccio ancor più easy tutto dedito al tipico piatto turco-arabo a base di carne. E per un perfetto dopocena, sempre in zona, c’è Fazil Bey (Serasker Caddesi 1), che vi aiuterà a superare ogni possibile pregiudizio attorno al turkish coffee








Balik significa pane, ekmek pesce. Balik ekmek, dunque, è il tipicissimo panino col pesce che potrete degustare all’imbarcadero di Eminonu, all’estremità meridionale del ponte di Galata. Qui sono ancorate diverse barche-cucina con grandi griglie dove gli sgombri sfrigolano pronti per essere serviti tra due fette di pane bianco, un po’ di cipolla appena scottata, sale e limone a volontà, anche in funzione anti-vibrione. Non leggero, magari un po’ junk food, ma davvero gustoso








Balik ekmek è solo uno dei tanti tipi di street food che potete assaggiare in città. Sempre all’imbarcadero di Eminonu (ma non solo lì) ci sono svariati chioschetti che vendono anche misir, la classica pannocchia arrostita, o tulumba, una specie di gnocco fritto e condito con abbondante sciroppo dolce (nella foto)








Altra zona da street food per antonomasia è piazza Taksim e dintorni, centro nevralgico della Istanbul moderna e notturna. Chioschi e negozietti sono tantissimi, segnaliamo solo Kizilkayalar in Siraselviler Caddesi 6 per il suo islak burger (islak significa “bagnato”), che è risorsa straordinaria per uno spuntino alle ore piccole, post-disco e/o post-sbornia. E’ un panino curioso perché... fa il bagno turco: viene infatti prima inumidito con una salsa a base di pomodoro e poi, farcito con una polpetta di carne all’aglio, posto in una teca a vapore, sorta di hamam che lo consegna caldo e umoroso alle vostre fauci voraci. Da leccarsi le dita!








Per restare in zona, Taksim (e İstiklâl Caddesi, che da lì diparte: è la via del passeggio e dello struscio della Istanbul moderna, nel quartiere di Beyoğlu) non è particolarmente consigliabile per il turista gourmand: si tratta di un’area turistica e frenetica, più adatta alla vita notturna che a una cena slow. Però due indirizzi non malvagi li forniamo volentieri. Il primo è quello di Zubeyir (Bekar Sokak 28), dove mangiare un buon kebap (o kebāb, in arabo), ossia un piatto di ottima carne arrostita, magari accompagnato – come usa - da un bicchiere di ayran, bibita a base di yogurt leggermente salato e allungato con acqua (attenti a non confondere il piatto di kebap col tipico panino condito, ormai diffuso come street food anche in Occidente e che noi chiamiamo spesso allo stesso modo, ma è in realtà si dice döner kebap, ossia “kebap che gira”, per ragioni evidenti). L’altro consiglio è Antiochia (Minare Sokak 21), dove assaggiare piatti di discreta fattura dell’Hatay, regione turca incuneata tra il confine con la Siria e il Mar Mediterraneo (nella foto)

Ultimissima segnalazione: Istanbul è una città che, nonostante la fama, può essere abbastanza fredda. Ma se nella bella stagione, quando la temperatura sale parecchio, volete rinfrescarvi in un giardino segreto dissetandovi con bibitoni sani e naturali, il miglior posto è Limonlu Bahçe (Yeniçarşı Caddesi 98), ideale per sfuggire dalla frenesia della vicina İstiklâl. All’esterno è solo una porticina in un caseggiato dall’aspetto modesto, ma entrando una serie di scale e passaggi vi condurrà in una vera oasi di piante di limoni e arance. Le specialità della casa sono, ovviamente, le limonate (pure in una versione densa e cremosa, nella foto) e affini; ma anche tutta la caffetteria è di ottima fattura, mentre la cucina – da spuntino veloce – risulta senza infamia né lode

Istanbul è una città straordinaria e fascinosa, bellissima e spiazzante, anche perché rappresenta una cartina di tornasole della modernità prossima ventura; è, oggi, una sorta di gigantesco laboratorio culturale e sociale che frulla insieme l’incredibile passato, l’ambizioso presente e il futuro che non potrà non arridere a una megalopoli tentacolare dalle energie infinite (13 milioni di abitanti ufficiali, ma si stima siano almeno 17).

Sarà un’immagine scontata, ma qui siamo davvero in una realtà complessa e unica perché imprescindibile ponte geografico, culturale, religioso, antropologico: tra Europa e Asia, tra storia e divenire, tra islam e cristianesimo, tra Stato laico e confessionale, tra democrazia e regime. Inevitabile che in questo caleidoscopico mosaico di suggestioni anche la cucina subisca mille influenze che la rendono interessante, oggi più di ieri. Abbiamo cercato di darne testimonianza attraverso un fotoracconto di 20 immagini.

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Boğaziçi Köprüsü, il ponte sul Bosforo che unisce i due continenti

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Boğaziçi Köprüsü, il ponte sul Bosforo che unisce i due continenti

Tornati recentemente a Istanbul dopo alcuni anni di assenza, abbiamo notato con piacere un netto risveglio (o una nascita tout court) dello spirito gourmand “all’occidentale” in città. E’ un fiorire di iniziative, spazi, proposte, stili che superano quel certo anonimato vagamente mediocre che caratterizzava fino a non molto tempo fa anche le tavole di maggior prestigio – o la schietta ruralità della cucina basic. C’è sempre stata cultura del cibo, oggi cresce anche la capacità di comunicarla e renderla fruibile a chi giunge da queste parti per qualche giorno di vacanza. Sono d’aiuto anche parecchi siti o blog di foodies turchi, che offrono consigli utilissimi, su tutti istanbuleats.com. (in foto, un piatto del talentuoso chef Mehmet Gürs, già presentato a Identità Golose 2011: Dessert di zucca candita, marinata 24 ore in acqua di calce, con gelato di pistacchio e sciroppo di sesamo)

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Boğaziçi Köprüsü, il ponte sul Bosforo che unisce i due continenti








Tornati recentemente a Istanbul dopo alcuni anni di assenza, abbiamo notato con piacere un netto risveglio (o una nascita tout court) dello spirito gourmand “all’occidentale” in città. E’ un fiorire di iniziative, spazi, proposte, stili che superano quel certo anonimato vagamente mediocre che caratterizzava fino a non molto tempo fa anche le tavole di maggior prestigio – o la schietta ruralità della cucina basic. C’è sempre stata cultura del cibo, oggi cresce anche la capacità di comunicarla e renderla fruibile a chi giunge da queste parti per qualche giorno di vacanza. Sono d’aiuto anche parecchi siti o blog di foodies turchi, che offrono consigli utilissimi, su tutti istanbuleats.com. (in foto, un piatto del talentuoso chef Mehmet Gürs, già presentato a Identità Golose 2011: Dessert di zucca candita, marinata 24 ore in acqua di calce, con gelato di pistacchio e sciroppo di sesamo)

Ogni discettazione sull’alta cucina istanbuliota trova l’alfa e l’omega al diciottesimo piano del Marmara Pera, elegante hotel che ospita il miglior ristorante di Turchia, Mikla, regno di Mehmet Gürs (nella foto). La stessa sua biografia ne fa il rappresentante perfetto della Istanbul sfaccettata della quale abbiamo accennato: papà turco, mamma finlandese, nonna svedese, l’infanzia trascorsa a Tammisaari, 90 chilometri da Helsinki, scuola alberghiera a Providence, Rhode Island, Usa. E’ il profeta della New Anatolian Cuisine

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Tornati recentemente a Istanbul dopo alcuni anni di assenza, abbiamo notato con piacere un netto risveglio (o una nascita tout court) dello spirito gourmand “all’occidentale” in città. E’ un fiorire di iniziative, spazi, proposte, stili che superano quel certo anonimato vagamente mediocre che caratterizzava fino a non molto tempo fa anche le tavole di maggior prestigio – o la schietta ruralità della cucina basic. C’è sempre stata cultura del cibo, oggi cresce anche la capacità di comunicarla e renderla fruibile a chi giunge da queste parti per qualche giorno di vacanza. Sono d’aiuto anche parecchi siti o blog di foodies turchi, che offrono consigli utilissimi, su tutti istanbuleats.com. (in foto, un piatto del talentuoso chef Mehmet Gürs, già presentato a Identità Golose 2011: Dessert di zucca candita, marinata 24 ore in acqua di calce, con gelato di pistacchio e sciroppo di sesamo)








Ogni discettazione sull’alta cucina istanbuliota trova l’alfa e l’omega al diciottesimo piano del Marmara Pera, elegante hotel che ospita il miglior ristorante di Turchia, Mikla, regno di Mehmet Gürs (nella foto). La stessa sua biografia ne fa il rappresentante perfetto della Istanbul sfaccettata della quale abbiamo accennato: papà turco, mamma finlandese, nonna svedese, l’infanzia trascorsa a Tammisaari, 90 chilometri da Helsinki, scuola alberghiera a Providence, Rhode Island, Usa. E’ il profeta della New Anatolian Cuisine

La vista che si gode dalle finestre di Mikla – se c’è bel tempo e la temperatura lo consente si può cenare anche in terrazza, sotto le stelle – è meravigliosa: le luci della città ai vostri piedi, a milioni, il Corno d’Oro col traffico di battelli, sull’altra sponda il vecchio quartiere di Sultanahmet, il Topkapi, Santa Sofia, più in là i minareti della Moschea Blu, a destra la Süleymaniye Camii, moschea di Solimano... Imperdibile. Ma prima di accomodarvi al tavolo salite ancora d’un piano, al diciannovesimo e ultimo, per godervi una flute di champagne (o, dopo cena, un cocktail), magari appoggiati alla balaustra con panorama sull’infinito, il cielo come soffitto, la mente che spazia libera

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Tornati recentemente a Istanbul dopo alcuni anni di assenza, abbiamo notato con piacere un netto risveglio (o una nascita tout court) dello spirito gourmand “all’occidentale” in città. E’ un fiorire di iniziative, spazi, proposte, stili che superano quel certo anonimato vagamente mediocre che caratterizzava fino a non molto tempo fa anche le tavole di maggior prestigio – o la schietta ruralità della cucina basic. C’è sempre stata cultura del cibo, oggi cresce anche la capacità di comunicarla e renderla fruibile a chi giunge da queste parti per qualche giorno di vacanza. Sono d’aiuto anche parecchi siti o blog di foodies turchi, che offrono consigli utilissimi, su tutti istanbuleats.com. (in foto, un piatto del talentuoso chef Mehmet Gürs, già presentato a Identità Golose 2011: Dessert di zucca candita, marinata 24 ore in acqua di calce, con gelato di pistacchio e sciroppo di sesamo)








Ogni discettazione sull’alta cucina istanbuliota trova l’alfa e l’omega al diciottesimo piano del Marmara Pera, elegante hotel che ospita il miglior ristorante di Turchia, Mikla, regno di Mehmet Gürs (nella foto). La stessa sua biografia ne fa il rappresentante perfetto della Istanbul sfaccettata della quale abbiamo accennato: papà turco, mamma finlandese, nonna svedese, l’infanzia trascorsa a Tammisaari, 90 chilometri da Helsinki, scuola alberghiera a Providence, Rhode Island, Usa. E’ il profeta della New Anatolian Cuisine








La vista che si gode dalle finestre di Mikla – se c’è bel tempo e la temperatura lo consente si può cenare anche in terrazza, sotto le stelle – è meravigliosa: le luci della città ai vostri piedi, a milioni, il Corno d’Oro col traffico di battelli, sull’altra sponda il vecchio quartiere di Sultanahmet, il Topkapi, Santa Sofia, più in là i minareti della Moschea Blu, a destra la Süleymaniye Camii, moschea di Solimano... Imperdibile. Ma prima di accomodarvi al tavolo salite ancora d’un piano, al diciannovesimo e ultimo, per godervi una flute di champagne (o, dopo cena, un cocktail), magari appoggiati alla balaustra con panorama sull’infinito, il cielo come soffitto, la mente che spazia libera

Mehmet Gürs segue in fondo “solo” le tracce di chi (penso ad Alex Atala in Brasile, René Redzepi in Danimarca, Gastón Acurio in Perù...) un bel giorno decide di fare delle proprie radici culinarie un poco disconosciute, dei prodotti di farmers a chilometro zero o mille, ma comunque del territorio (che se è l’Amazzonia, è un territorio gigantesco. E anche la Turchia non scherza), il punto di partenza per reinventare una tradizione. Il suo menu è proprio, innanzi tutto, un inno alle materie prime scovate nei più remoti angoli in un Paese di 780mila chilometri quadrati, ossia più di due volte e mezza l’Italia: gli agnelli Kıvırcık allevati in Tracia, una sorta di gruviera che viene dall’Anatolia del Nordest, i vini della Cappadocia, i pistacchi da Gaziantep, la marmellata di lavanda selvatica ancora prodotta dalle donne di un villaggetto non lontano da Smirne... Menu degustazione a 140 lire turche, 210 col wine pairing (sono rispettivamente 55 e 83 euro)

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Boğaziçi Köprüsü, il ponte sul Bosforo che unisce i due continenti








Tornati recentemente a Istanbul dopo alcuni anni di assenza, abbiamo notato con piacere un netto risveglio (o una nascita tout court) dello spirito gourmand “all’occidentale” in città. E’ un fiorire di iniziative, spazi, proposte, stili che superano quel certo anonimato vagamente mediocre che caratterizzava fino a non molto tempo fa anche le tavole di maggior prestigio – o la schietta ruralità della cucina basic. C’è sempre stata cultura del cibo, oggi cresce anche la capacità di comunicarla e renderla fruibile a chi giunge da queste parti per qualche giorno di vacanza. Sono d’aiuto anche parecchi siti o blog di foodies turchi, che offrono consigli utilissimi, su tutti istanbuleats.com. (in foto, un piatto del talentuoso chef Mehmet Gürs, già presentato a Identità Golose 2011: Dessert di zucca candita, marinata 24 ore in acqua di calce, con gelato di pistacchio e sciroppo di sesamo)








Ogni discettazione sull’alta cucina istanbuliota trova l’alfa e l’omega al diciottesimo piano del Marmara Pera, elegante hotel che ospita il miglior ristorante di Turchia, Mikla, regno di Mehmet Gürs (nella foto). La stessa sua biografia ne fa il rappresentante perfetto della Istanbul sfaccettata della quale abbiamo accennato: papà turco, mamma finlandese, nonna svedese, l’infanzia trascorsa a Tammisaari, 90 chilometri da Helsinki, scuola alberghiera a Providence, Rhode Island, Usa. E’ il profeta della New Anatolian Cuisine








La vista che si gode dalle finestre di Mikla – se c’è bel tempo e la temperatura lo consente si può cenare anche in terrazza, sotto le stelle – è meravigliosa: le luci della città ai vostri piedi, a milioni, il Corno d’Oro col traffico di battelli, sull’altra sponda il vecchio quartiere di Sultanahmet, il Topkapi, Santa Sofia, più in là i minareti della Moschea Blu, a destra la Süleymaniye Camii, moschea di Solimano... Imperdibile. Ma prima di accomodarvi al tavolo salite ancora d’un piano, al diciannovesimo e ultimo, per godervi una flute di champagne (o, dopo cena, un cocktail), magari appoggiati alla balaustra con panorama sull’infinito, il cielo come soffitto, la mente che spazia libera








Mehmet Gürs segue in fondo “solo” le tracce di chi (penso ad Alex Atala in Brasile, René Redzepi in Danimarca, Gastón Acurio in Perù...) un bel giorno decide di fare delle proprie radici culinarie un poco disconosciute, dei prodotti di farmers a chilometro zero o mille, ma comunque del territorio (che se è l’Amazzonia, è un territorio gigantesco. E anche la Turchia non scherza), il punto di partenza per reinventare una tradizione. Il suo menu è proprio, innanzi tutto, un inno alle materie prime scovate nei più remoti angoli in un Paese di 780mila chilometri quadrati, ossia più di due volte e mezza l’Italia: gli agnelli Kıvırcık allevati in Tracia, una sorta di gruviera che viene dall’Anatolia del Nordest, i vini della Cappadocia, i pistacchi da Gaziantep, la marmellata di lavanda selvatica ancora prodotta dalle donne di un villaggetto non lontano da Smirne... Menu degustazione a 140 lire turche, 210 col wine pairing (sono rispettivamente 55 e 83 euro)

Nella foto, un antipasto che è una sorta di riassunto perfetto di come la tradizione possa essere reinventata in modo creativo, creando un piatto che è intimamente turco eppure al 100% partorito dalla mente di Gürs. Sardine crisp, lemon è la reinterpretazione di un classico street food istanbuliota di cui parleremo tra poco, il panino col pesce del mar Nero e un goccio di succo di limone che si compra ancor oggi facendo la fila davanti ai barconi ancorati vicino al ponte di Galata

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Boğaziçi Köprüsü, il ponte sul Bosforo che unisce i due continenti








Tornati recentemente a Istanbul dopo alcuni anni di assenza, abbiamo notato con piacere un netto risveglio (o una nascita tout court) dello spirito gourmand “all’occidentale” in città. E’ un fiorire di iniziative, spazi, proposte, stili che superano quel certo anonimato vagamente mediocre che caratterizzava fino a non molto tempo fa anche le tavole di maggior prestigio – o la schietta ruralità della cucina basic. C’è sempre stata cultura del cibo, oggi cresce anche la capacità di comunicarla e renderla fruibile a chi giunge da queste parti per qualche giorno di vacanza. Sono d’aiuto anche parecchi siti o blog di foodies turchi, che offrono consigli utilissimi, su tutti istanbuleats.com. (in foto, un piatto del talentuoso chef Mehmet Gürs, già presentato a Identità Golose 2011: Dessert di zucca candita, marinata 24 ore in acqua di calce, con gelato di pistacchio e sciroppo di sesamo)








Ogni discettazione sull’alta cucina istanbuliota trova l’alfa e l’omega al diciottesimo piano del Marmara Pera, elegante hotel che ospita il miglior ristorante di Turchia, Mikla, regno di Mehmet Gürs (nella foto). La stessa sua biografia ne fa il rappresentante perfetto della Istanbul sfaccettata della quale abbiamo accennato: papà turco, mamma finlandese, nonna svedese, l’infanzia trascorsa a Tammisaari, 90 chilometri da Helsinki, scuola alberghiera a Providence, Rhode Island, Usa. E’ il profeta della New Anatolian Cuisine








La vista che si gode dalle finestre di Mikla – se c’è bel tempo e la temperatura lo consente si può cenare anche in terrazza, sotto le stelle – è meravigliosa: le luci della città ai vostri piedi, a milioni, il Corno d’Oro col traffico di battelli, sull’altra sponda il vecchio quartiere di Sultanahmet, il Topkapi, Santa Sofia, più in là i minareti della Moschea Blu, a destra la Süleymaniye Camii, moschea di Solimano... Imperdibile. Ma prima di accomodarvi al tavolo salite ancora d’un piano, al diciannovesimo e ultimo, per godervi una flute di champagne (o, dopo cena, un cocktail), magari appoggiati alla balaustra con panorama sull’infinito, il cielo come soffitto, la mente che spazia libera








Mehmet Gürs segue in fondo “solo” le tracce di chi (penso ad Alex Atala in Brasile, René Redzepi in Danimarca, Gastón Acurio in Perù...) un bel giorno decide di fare delle proprie radici culinarie un poco disconosciute, dei prodotti di farmers a chilometro zero o mille, ma comunque del territorio (che se è l’Amazzonia, è un territorio gigantesco. E anche la Turchia non scherza), il punto di partenza per reinventare una tradizione. Il suo menu è proprio, innanzi tutto, un inno alle materie prime scovate nei più remoti angoli in un Paese di 780mila chilometri quadrati, ossia più di due volte e mezza l’Italia: gli agnelli Kıvırcık allevati in Tracia, una sorta di gruviera che viene dall’Anatolia del Nordest, i vini della Cappadocia, i pistacchi da Gaziantep, la marmellata di lavanda selvatica ancora prodotta dalle donne di un villaggetto non lontano da Smirne... Menu degustazione a 140 lire turche, 210 col wine pairing (sono rispettivamente 55 e 83 euro)








Nella foto, un antipasto che è una sorta di riassunto perfetto di come la tradizione possa essere reinventata in modo creativo, creando un piatto che è intimamente turco eppure al 100% partorito dalla mente di Gürs. Sardine crisp, lemon è la reinterpretazione di un classico street food istanbuliota di cui parleremo tra poco, il panino col pesce del mar Nero e un goccio di succo di limone che si compra ancor oggi facendo la fila davanti ai barconi ancorati vicino al ponte di Galata

Ecco un piatto che invece è solo accostamento di prodotti selezionati, pura materia. Dried beef, ossia una carne di manzo a mò di bresaola, con il Kars gravyer, formaggio vaccino che è una sorta di gruviera stagionato circa 10 mesi e proveniente da Kars, città a poca distante dal confine armeno, famosa per i suoi pascoli e bestiame

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Boğaziçi Köprüsü, il ponte sul Bosforo che unisce i due continenti








Tornati recentemente a Istanbul dopo alcuni anni di assenza, abbiamo notato con piacere un netto risveglio (o una nascita tout court) dello spirito gourmand “all’occidentale” in città. E’ un fiorire di iniziative, spazi, proposte, stili che superano quel certo anonimato vagamente mediocre che caratterizzava fino a non molto tempo fa anche le tavole di maggior prestigio – o la schietta ruralità della cucina basic. C’è sempre stata cultura del cibo, oggi cresce anche la capacità di comunicarla e renderla fruibile a chi giunge da queste parti per qualche giorno di vacanza. Sono d’aiuto anche parecchi siti o blog di foodies turchi, che offrono consigli utilissimi, su tutti istanbuleats.com. (in foto, un piatto del talentuoso chef Mehmet Gürs, già presentato a Identità Golose 2011: Dessert di zucca candita, marinata 24 ore in acqua di calce, con gelato di pistacchio e sciroppo di sesamo)








Ogni discettazione sull’alta cucina istanbuliota trova l’alfa e l’omega al diciottesimo piano del Marmara Pera, elegante hotel che ospita il miglior ristorante di Turchia, Mikla, regno di Mehmet Gürs (nella foto). La stessa sua biografia ne fa il rappresentante perfetto della Istanbul sfaccettata della quale abbiamo accennato: papà turco, mamma finlandese, nonna svedese, l’infanzia trascorsa a Tammisaari, 90 chilometri da Helsinki, scuola alberghiera a Providence, Rhode Island, Usa. E’ il profeta della New Anatolian Cuisine








La vista che si gode dalle finestre di Mikla – se c’è bel tempo e la temperatura lo consente si può cenare anche in terrazza, sotto le stelle – è meravigliosa: le luci della città ai vostri piedi, a milioni, il Corno d’Oro col traffico di battelli, sull’altra sponda il vecchio quartiere di Sultanahmet, il Topkapi, Santa Sofia, più in là i minareti della Moschea Blu, a destra la Süleymaniye Camii, moschea di Solimano... Imperdibile. Ma prima di accomodarvi al tavolo salite ancora d’un piano, al diciannovesimo e ultimo, per godervi una flute di champagne (o, dopo cena, un cocktail), magari appoggiati alla balaustra con panorama sull’infinito, il cielo come soffitto, la mente che spazia libera








Mehmet Gürs segue in fondo “solo” le tracce di chi (penso ad Alex Atala in Brasile, René Redzepi in Danimarca, Gastón Acurio in Perù...) un bel giorno decide di fare delle proprie radici culinarie un poco disconosciute, dei prodotti di farmers a chilometro zero o mille, ma comunque del territorio (che se è l’Amazzonia, è un territorio gigantesco. E anche la Turchia non scherza), il punto di partenza per reinventare una tradizione. Il suo menu è proprio, innanzi tutto, un inno alle materie prime scovate nei più remoti angoli in un Paese di 780mila chilometri quadrati, ossia più di due volte e mezza l’Italia: gli agnelli Kıvırcık allevati in Tracia, una sorta di gruviera che viene dall’Anatolia del Nordest, i vini della Cappadocia, i pistacchi da Gaziantep, la marmellata di lavanda selvatica ancora prodotta dalle donne di un villaggetto non lontano da Smirne... Menu degustazione a 140 lire turche, 210 col wine pairing (sono rispettivamente 55 e 83 euro)








Nella foto, un antipasto che è una sorta di riassunto perfetto di come la tradizione possa essere reinventata in modo creativo, creando un piatto che è intimamente turco eppure al 100% partorito dalla mente di Gürs. Sardine crisp, lemon è la reinterpretazione di un classico street food istanbuliota di cui parleremo tra poco, il panino col pesce del mar Nero e un goccio di succo di limone che si compra ancor oggi facendo la fila davanti ai barconi ancorati vicino al ponte di Galata








Ecco un piatto che invece è solo accostamento di prodotti selezionati, pura materia. Dried beef, ossia una carne di manzo a mò di bresaola, con il Kars gravyer, formaggio vaccino che è una sorta di gruviera stagionato circa 10 mesi e proveniente da Kars, città a poca distante dal confine armeno, famosa per i suoi pascoli e bestiame

Il piatto della serata, che è ormai un cavallo di battaglia dello chef, è la spalla di agnello Kıvırcık, cotta sottovuoto per 24 ore a bassa temperatura, accompagnato da un pilaf  “umido” di farro, pestil di prugna e melassa di melograno

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Boğaziçi Köprüsü, il ponte sul Bosforo che unisce i due continenti








Tornati recentemente a Istanbul dopo alcuni anni di assenza, abbiamo notato con piacere un netto risveglio (o una nascita tout court) dello spirito gourmand “all’occidentale” in città. E’ un fiorire di iniziative, spazi, proposte, stili che superano quel certo anonimato vagamente mediocre che caratterizzava fino a non molto tempo fa anche le tavole di maggior prestigio – o la schietta ruralità della cucina basic. C’è sempre stata cultura del cibo, oggi cresce anche la capacità di comunicarla e renderla fruibile a chi giunge da queste parti per qualche giorno di vacanza. Sono d’aiuto anche parecchi siti o blog di foodies turchi, che offrono consigli utilissimi, su tutti istanbuleats.com. (in foto, un piatto del talentuoso chef Mehmet Gürs, già presentato a Identità Golose 2011: Dessert di zucca candita, marinata 24 ore in acqua di calce, con gelato di pistacchio e sciroppo di sesamo)








Ogni discettazione sull’alta cucina istanbuliota trova l’alfa e l’omega al diciottesimo piano del Marmara Pera, elegante hotel che ospita il miglior ristorante di Turchia, Mikla, regno di Mehmet Gürs (nella foto). La stessa sua biografia ne fa il rappresentante perfetto della Istanbul sfaccettata della quale abbiamo accennato: papà turco, mamma finlandese, nonna svedese, l’infanzia trascorsa a Tammisaari, 90 chilometri da Helsinki, scuola alberghiera a Providence, Rhode Island, Usa. E’ il profeta della New Anatolian Cuisine








La vista che si gode dalle finestre di Mikla – se c’è bel tempo e la temperatura lo consente si può cenare anche in terrazza, sotto le stelle – è meravigliosa: le luci della città ai vostri piedi, a milioni, il Corno d’Oro col traffico di battelli, sull’altra sponda il vecchio quartiere di Sultanahmet, il Topkapi, Santa Sofia, più in là i minareti della Moschea Blu, a destra la Süleymaniye Camii, moschea di Solimano... Imperdibile. Ma prima di accomodarvi al tavolo salite ancora d’un piano, al diciannovesimo e ultimo, per godervi una flute di champagne (o, dopo cena, un cocktail), magari appoggiati alla balaustra con panorama sull’infinito, il cielo come soffitto, la mente che spazia libera








Mehmet Gürs segue in fondo “solo” le tracce di chi (penso ad Alex Atala in Brasile, René Redzepi in Danimarca, Gastón Acurio in Perù...) un bel giorno decide di fare delle proprie radici culinarie un poco disconosciute, dei prodotti di farmers a chilometro zero o mille, ma comunque del territorio (che se è l’Amazzonia, è un territorio gigantesco. E anche la Turchia non scherza), il punto di partenza per reinventare una tradizione. Il suo menu è proprio, innanzi tutto, un inno alle materie prime scovate nei più remoti angoli in un Paese di 780mila chilometri quadrati, ossia più di due volte e mezza l’Italia: gli agnelli Kıvırcık allevati in Tracia, una sorta di gruviera che viene dall’Anatolia del Nordest, i vini della Cappadocia, i pistacchi da Gaziantep, la marmellata di lavanda selvatica ancora prodotta dalle donne di un villaggetto non lontano da Smirne... Menu degustazione a 140 lire turche, 210 col wine pairing (sono rispettivamente 55 e 83 euro)








Nella foto, un antipasto che è una sorta di riassunto perfetto di come la tradizione possa essere reinventata in modo creativo, creando un piatto che è intimamente turco eppure al 100% partorito dalla mente di Gürs. Sardine crisp, lemon è la reinterpretazione di un classico street food istanbuliota di cui parleremo tra poco, il panino col pesce del mar Nero e un goccio di succo di limone che si compra ancor oggi facendo la fila davanti ai barconi ancorati vicino al ponte di Galata








Ecco un piatto che invece è solo accostamento di prodotti selezionati, pura materia. Dried beef, ossia una carne di manzo a mò di bresaola, con il Kars gravyer, formaggio vaccino che è una sorta di gruviera stagionato circa 10 mesi e proveniente da Kars, città a poca distante dal confine armeno, famosa per i suoi pascoli e bestiame








Il piatto della serata, che è ormai un cavallo di battaglia dello chef, è la spalla di agnello Kıvırcık, cotta sottovuoto per 24 ore a bassa temperatura, accompagnato da un pilaf  “umido” di farro, pestil di prugna e melassa di melograno

Detto di Gürs, un weekend gastronomico a Istanbul offre anche molto altro. La cosa più divertente è uscire dalle zone turistiche per scoprire indirizzi nascosti, magari sfacciatamente retrò ma custodi di luminose pepite del gusto. Come Pando, negozietto anonimo nel bel quartiere di Besiktas, Mumcu Bakkal Sokok 5, dove andare a far colazione o uno spuntino veloce per pranzo, magari seduti placidamente ai tavolini apparecchiati sulla strada chiusa al traffico dove fervono le più disparate attività commerciali. Ad accogliervi sarà lo stesso Pando, un incredibile vecchietto 85enne d’origine bulgara che prima vi scruterà con curiosità e poi vi delizierà con un sorriso. E non solo…

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Boğaziçi Köprüsü, il ponte sul Bosforo che unisce i due continenti








Tornati recentemente a Istanbul dopo alcuni anni di assenza, abbiamo notato con piacere un netto risveglio (o una nascita tout court) dello spirito gourmand “all’occidentale” in città. E’ un fiorire di iniziative, spazi, proposte, stili che superano quel certo anonimato vagamente mediocre che caratterizzava fino a non molto tempo fa anche le tavole di maggior prestigio – o la schietta ruralità della cucina basic. C’è sempre stata cultura del cibo, oggi cresce anche la capacità di comunicarla e renderla fruibile a chi giunge da queste parti per qualche giorno di vacanza. Sono d’aiuto anche parecchi siti o blog di foodies turchi, che offrono consigli utilissimi, su tutti istanbuleats.com. (in foto, un piatto del talentuoso chef Mehmet Gürs, già presentato a Identità Golose 2011: Dessert di zucca candita, marinata 24 ore in acqua di calce, con gelato di pistacchio e sciroppo di sesamo)








Ogni discettazione sull’alta cucina istanbuliota trova l’alfa e l’omega al diciottesimo piano del Marmara Pera, elegante hotel che ospita il miglior ristorante di Turchia, Mikla, regno di Mehmet Gürs (nella foto). La stessa sua biografia ne fa il rappresentante perfetto della Istanbul sfaccettata della quale abbiamo accennato: papà turco, mamma finlandese, nonna svedese, l’infanzia trascorsa a Tammisaari, 90 chilometri da Helsinki, scuola alberghiera a Providence, Rhode Island, Usa. E’ il profeta della New Anatolian Cuisine








La vista che si gode dalle finestre di Mikla – se c’è bel tempo e la temperatura lo consente si può cenare anche in terrazza, sotto le stelle – è meravigliosa: le luci della città ai vostri piedi, a milioni, il Corno d’Oro col traffico di battelli, sull’altra sponda il vecchio quartiere di Sultanahmet, il Topkapi, Santa Sofia, più in là i minareti della Moschea Blu, a destra la Süleymaniye Camii, moschea di Solimano... Imperdibile. Ma prima di accomodarvi al tavolo salite ancora d’un piano, al diciannovesimo e ultimo, per godervi una flute di champagne (o, dopo cena, un cocktail), magari appoggiati alla balaustra con panorama sull’infinito, il cielo come soffitto, la mente che spazia libera








Mehmet Gürs segue in fondo “solo” le tracce di chi (penso ad Alex Atala in Brasile, René Redzepi in Danimarca, Gastón Acurio in Perù...) un bel giorno decide di fare delle proprie radici culinarie un poco disconosciute, dei prodotti di farmers a chilometro zero o mille, ma comunque del territorio (che se è l’Amazzonia, è un territorio gigantesco. E anche la Turchia non scherza), il punto di partenza per reinventare una tradizione. Il suo menu è proprio, innanzi tutto, un inno alle materie prime scovate nei più remoti angoli in un Paese di 780mila chilometri quadrati, ossia più di due volte e mezza l’Italia: gli agnelli Kıvırcık allevati in Tracia, una sorta di gruviera che viene dall’Anatolia del Nordest, i vini della Cappadocia, i pistacchi da Gaziantep, la marmellata di lavanda selvatica ancora prodotta dalle donne di un villaggetto non lontano da Smirne... Menu degustazione a 140 lire turche, 210 col wine pairing (sono rispettivamente 55 e 83 euro)








Nella foto, un antipasto che è una sorta di riassunto perfetto di come la tradizione possa essere reinventata in modo creativo, creando un piatto che è intimamente turco eppure al 100% partorito dalla mente di Gürs. Sardine crisp, lemon è la reinterpretazione di un classico street food istanbuliota di cui parleremo tra poco, il panino col pesce del mar Nero e un goccio di succo di limone che si compra ancor oggi facendo la fila davanti ai barconi ancorati vicino al ponte di Galata








Ecco un piatto che invece è solo accostamento di prodotti selezionati, pura materia. Dried beef, ossia una carne di manzo a mò di bresaola, con il Kars gravyer, formaggio vaccino che è una sorta di gruviera stagionato circa 10 mesi e proveniente da Kars, città a poca distante dal confine armeno, famosa per i suoi pascoli e bestiame








Il piatto della serata, che è ormai un cavallo di battaglia dello chef, è la spalla di agnello Kıvırcık, cotta sottovuoto per 24 ore a bassa temperatura, accompagnato da un pilaf  “umido” di farro, pestil di prugna e melassa di melograno








Detto di Gürs, un weekend gastronomico a Istanbul offre anche molto altro. La cosa più divertente è uscire dalle zone turistiche per scoprire indirizzi nascosti, magari sfacciatamente retrò ma custodi di luminose pepite del gusto. Come Pando, negozietto anonimo nel bel quartiere di Besiktas, Mumcu Bakkal Sokok 5, dove andare a far colazione o uno spuntino veloce per pranzo, magari seduti placidamente ai tavolini apparecchiati sulla strada chiusa al traffico dove fervono le più disparate attività commerciali. Ad accogliervi sarà lo stesso Pando, un incredibile vecchietto 85enne d’origine bulgara che prima vi scruterà con curiosità e poi vi delizierà con un sorriso. E non solo…

È il regno del kaimak, versione turco-balcanica della nostra panna, ottenuto dalla fermentazione del grasso estratto durante la cottura del latte crudo vaccino. Fresco – come in questo caso – ha un gusto più dolce. Viene quindi servito accompagnato da miele e pane bianco, per uno spuntino paradisiaco, specie se preceduto – come sarà lo stesso Pando a suggerirvi – da un paio di uova freschissime cotte al tegamino, per dare anche una nota salata alla vostra colazione. Il negozio è aperto dal 1895 e i prezzi sembrano rimasti quelli di allora: kaimak col miele, pane, uova (buonissime!) al tegamino e un té o un caffé a 10 lire turche, poco meno di 4 euro

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Boğaziçi Köprüsü, il ponte sul Bosforo che unisce i due continenti








Tornati recentemente a Istanbul dopo alcuni anni di assenza, abbiamo notato con piacere un netto risveglio (o una nascita tout court) dello spirito gourmand “all’occidentale” in città. E’ un fiorire di iniziative, spazi, proposte, stili che superano quel certo anonimato vagamente mediocre che caratterizzava fino a non molto tempo fa anche le tavole di maggior prestigio – o la schietta ruralità della cucina basic. C’è sempre stata cultura del cibo, oggi cresce anche la capacità di comunicarla e renderla fruibile a chi giunge da queste parti per qualche giorno di vacanza. Sono d’aiuto anche parecchi siti o blog di foodies turchi, che offrono consigli utilissimi, su tutti istanbuleats.com. (in foto, un piatto del talentuoso chef Mehmet Gürs, già presentato a Identità Golose 2011: Dessert di zucca candita, marinata 24 ore in acqua di calce, con gelato di pistacchio e sciroppo di sesamo)








Ogni discettazione sull’alta cucina istanbuliota trova l’alfa e l’omega al diciottesimo piano del Marmara Pera, elegante hotel che ospita il miglior ristorante di Turchia, Mikla, regno di Mehmet Gürs (nella foto). La stessa sua biografia ne fa il rappresentante perfetto della Istanbul sfaccettata della quale abbiamo accennato: papà turco, mamma finlandese, nonna svedese, l’infanzia trascorsa a Tammisaari, 90 chilometri da Helsinki, scuola alberghiera a Providence, Rhode Island, Usa. E’ il profeta della New Anatolian Cuisine








La vista che si gode dalle finestre di Mikla – se c’è bel tempo e la temperatura lo consente si può cenare anche in terrazza, sotto le stelle – è meravigliosa: le luci della città ai vostri piedi, a milioni, il Corno d’Oro col traffico di battelli, sull’altra sponda il vecchio quartiere di Sultanahmet, il Topkapi, Santa Sofia, più in là i minareti della Moschea Blu, a destra la Süleymaniye Camii, moschea di Solimano... Imperdibile. Ma prima di accomodarvi al tavolo salite ancora d’un piano, al diciannovesimo e ultimo, per godervi una flute di champagne (o, dopo cena, un cocktail), magari appoggiati alla balaustra con panorama sull’infinito, il cielo come soffitto, la mente che spazia libera








Mehmet Gürs segue in fondo “solo” le tracce di chi (penso ad Alex Atala in Brasile, René Redzepi in Danimarca, Gastón Acurio in Perù...) un bel giorno decide di fare delle proprie radici culinarie un poco disconosciute, dei prodotti di farmers a chilometro zero o mille, ma comunque del territorio (che se è l’Amazzonia, è un territorio gigantesco. E anche la Turchia non scherza), il punto di partenza per reinventare una tradizione. Il suo menu è proprio, innanzi tutto, un inno alle materie prime scovate nei più remoti angoli in un Paese di 780mila chilometri quadrati, ossia più di due volte e mezza l’Italia: gli agnelli Kıvırcık allevati in Tracia, una sorta di gruviera che viene dall’Anatolia del Nordest, i vini della Cappadocia, i pistacchi da Gaziantep, la marmellata di lavanda selvatica ancora prodotta dalle donne di un villaggetto non lontano da Smirne... Menu degustazione a 140 lire turche, 210 col wine pairing (sono rispettivamente 55 e 83 euro)








Nella foto, un antipasto che è una sorta di riassunto perfetto di come la tradizione possa essere reinventata in modo creativo, creando un piatto che è intimamente turco eppure al 100% partorito dalla mente di Gürs. Sardine crisp, lemon è la reinterpretazione di un classico street food istanbuliota di cui parleremo tra poco, il panino col pesce del mar Nero e un goccio di succo di limone che si compra ancor oggi facendo la fila davanti ai barconi ancorati vicino al ponte di Galata








Ecco un piatto che invece è solo accostamento di prodotti selezionati, pura materia. Dried beef, ossia una carne di manzo a mò di bresaola, con il Kars gravyer, formaggio vaccino che è una sorta di gruviera stagionato circa 10 mesi e proveniente da Kars, città a poca distante dal confine armeno, famosa per i suoi pascoli e bestiame








Il piatto della serata, che è ormai un cavallo di battaglia dello chef, è la spalla di agnello Kıvırcık, cotta sottovuoto per 24 ore a bassa temperatura, accompagnato da un pilaf  “umido” di farro, pestil di prugna e melassa di melograno








Detto di Gürs, un weekend gastronomico a Istanbul offre anche molto altro. La cosa più divertente è uscire dalle zone turistiche per scoprire indirizzi nascosti, magari sfacciatamente retrò ma custodi di luminose pepite del gusto. Come Pando, negozietto anonimo nel bel quartiere di Besiktas, Mumcu Bakkal Sokok 5, dove andare a far colazione o uno spuntino veloce per pranzo, magari seduti placidamente ai tavolini apparecchiati sulla strada chiusa al traffico dove fervono le più disparate attività commerciali. Ad accogliervi sarà lo stesso Pando, un incredibile vecchietto 85enne d’origine bulgara che prima vi scruterà con curiosità e poi vi delizierà con un sorriso. E non solo…








È il regno del kaimak, versione turco-balcanica della nostra panna, ottenuto dalla fermentazione del grasso estratto durante la cottura del latte crudo vaccino. Fresco – come in questo caso – ha un gusto più dolce. Viene quindi servito accompagnato da miele e pane bianco, per uno spuntino paradisiaco, specie se preceduto – come sarà lo stesso Pando a suggerirvi – da un paio di uova freschissime cotte al tegamino, per dare anche una nota salata alla vostra colazione. Il negozio è aperto dal 1895 e i prezzi sembrano rimasti quelli di allora: kaimak col miele, pane, uova (buonissime!) al tegamino e un té o un caffé a 10 lire turche, poco meno di 4 euro

Un altro indirizzo prezioso: Kiblecesme Caddesi 96, a Kantarcilar (Kucuk Pazari), nel quartiere di Eminonu, un poco fuori mano anche questo. Ci troviamo in un dedalo di viuzze polverose e di caravanserragli di epoca ottomana non lontani dal Corno d’Oro: diciamo che il modo più facile per raggiungerlo è scendervi – puntando verso il mare - dopo aver visitato la Süleymaniye Camii. Qui è Altan Sekerleme, bottega di dolciumi, un po’ fané ma che trasuda autenticità. Di proprietà della stessa famiglia da quattro generazioni, banconi di marmo, espositori di legno usurato: il tempo da queste parti sembra essersi fermato

Galleria fotografica






Boğaziçi Köprüsü, il ponte sul Bosforo che unisce i due continenti








Tornati recentemente a Istanbul dopo alcuni anni di assenza, abbiamo notato con piacere un netto risveglio (o una nascita tout court) dello spirito gourmand “all’occidentale” in città. E’ un fiorire di iniziative, spazi, proposte, stili che superano quel certo anonimato vagamente mediocre che caratterizzava fino a non molto tempo fa anche le tavole di maggior prestigio – o la schietta ruralità della cucina basic. C’è sempre stata cultura del cibo, oggi cresce anche la capacità di comunicarla e renderla fruibile a chi giunge da queste parti per qualche giorno di vacanza. Sono d’aiuto anche parecchi siti o blog di foodies turchi, che offrono consigli utilissimi, su tutti istanbuleats.com. (in foto, un piatto del talentuoso chef Mehmet Gürs, già presentato a Identità Golose 2011: Dessert di zucca candita, marinata 24 ore in acqua di calce, con gelato di pistacchio e sciroppo di sesamo)








Ogni discettazione sull’alta cucina istanbuliota trova l’alfa e l’omega al diciottesimo piano del Marmara Pera, elegante hotel che ospita il miglior ristorante di Turchia, Mikla, regno di Mehmet Gürs (nella foto). La stessa sua biografia ne fa il rappresentante perfetto della Istanbul sfaccettata della quale abbiamo accennato: papà turco, mamma finlandese, nonna svedese, l’infanzia trascorsa a Tammisaari, 90 chilometri da Helsinki, scuola alberghiera a Providence, Rhode Island, Usa. E’ il profeta della New Anatolian Cuisine








La vista che si gode dalle finestre di Mikla – se c’è bel tempo e la temperatura lo consente si può cenare anche in terrazza, sotto le stelle – è meravigliosa: le luci della città ai vostri piedi, a milioni, il Corno d’Oro col traffico di battelli, sull’altra sponda il vecchio quartiere di Sultanahmet, il Topkapi, Santa Sofia, più in là i minareti della Moschea Blu, a destra la Süleymaniye Camii, moschea di Solimano... Imperdibile. Ma prima di accomodarvi al tavolo salite ancora d’un piano, al diciannovesimo e ultimo, per godervi una flute di champagne (o, dopo cena, un cocktail), magari appoggiati alla balaustra con panorama sull’infinito, il cielo come soffitto, la mente che spazia libera








Mehmet Gürs segue in fondo “solo” le tracce di chi (penso ad Alex Atala in Brasile, René Redzepi in Danimarca, Gastón Acurio in Perù...) un bel giorno decide di fare delle proprie radici culinarie un poco disconosciute, dei prodotti di farmers a chilometro zero o mille, ma comunque del territorio (che se è l’Amazzonia, è un territorio gigantesco. E anche la Turchia non scherza), il punto di partenza per reinventare una tradizione. Il suo menu è proprio, innanzi tutto, un inno alle materie prime scovate nei più remoti angoli in un Paese di 780mila chilometri quadrati, ossia più di due volte e mezza l’Italia: gli agnelli Kıvırcık allevati in Tracia, una sorta di gruviera che viene dall’Anatolia del Nordest, i vini della Cappadocia, i pistacchi da Gaziantep, la marmellata di lavanda selvatica ancora prodotta dalle donne di un villaggetto non lontano da Smirne... Menu degustazione a 140 lire turche, 210 col wine pairing (sono rispettivamente 55 e 83 euro)








Nella foto, un antipasto che è una sorta di riassunto perfetto di come la tradizione possa essere reinventata in modo creativo, creando un piatto che è intimamente turco eppure al 100% partorito dalla mente di Gürs. Sardine crisp, lemon è la reinterpretazione di un classico street food istanbuliota di cui parleremo tra poco, il panino col pesce del mar Nero e un goccio di succo di limone che si compra ancor oggi facendo la fila davanti ai barconi ancorati vicino al ponte di Galata








Ecco un piatto che invece è solo accostamento di prodotti selezionati, pura materia. Dried beef, ossia una carne di manzo a mò di bresaola, con il Kars gravyer, formaggio vaccino che è una sorta di gruviera stagionato circa 10 mesi e proveniente da Kars, città a poca distante dal confine armeno, famosa per i suoi pascoli e bestiame








Il piatto della serata, che è ormai un cavallo di battaglia dello chef, è la spalla di agnello Kıvırcık, cotta sottovuoto per 24 ore a bassa temperatura, accompagnato da un pilaf  “umido” di farro, pestil di prugna e melassa di melograno








Detto di Gürs, un weekend gastronomico a Istanbul offre anche molto altro. La cosa più divertente è uscire dalle zone turistiche per scoprire indirizzi nascosti, magari sfacciatamente retrò ma custodi di luminose pepite del gusto. Come Pando, negozietto anonimo nel bel quartiere di Besiktas, Mumcu Bakkal Sokok 5, dove andare a far colazione o uno spuntino veloce per pranzo, magari seduti placidamente ai tavolini apparecchiati sulla strada chiusa al traffico dove fervono le più disparate attività commerciali. Ad accogliervi sarà lo stesso Pando, un incredibile vecchietto 85enne d’origine bulgara che prima vi scruterà con curiosità e poi vi delizierà con un sorriso. E non solo…








È il regno del kaimak, versione turco-balcanica della nostra panna, ottenuto dalla fermentazione del grasso estratto durante la cottura del latte crudo vaccino. Fresco – come in questo caso – ha un gusto più dolce. Viene quindi servito accompagnato da miele e pane bianco, per uno spuntino paradisiaco, specie se preceduto – come sarà lo stesso Pando a suggerirvi – da un paio di uova freschissime cotte al tegamino, per dare anche una nota salata alla vostra colazione. Il negozio è aperto dal 1895 e i prezzi sembrano rimasti quelli di allora: kaimak col miele, pane, uova (buonissime!) al tegamino e un té o un caffé a 10 lire turche, poco meno di 4 euro








Un altro indirizzo prezioso: Kiblecesme Caddesi 96, a Kantarcilar (Kucuk Pazari), nel quartiere di Eminonu, un poco fuori mano anche questo. Ci troviamo in un dedalo di viuzze polverose e di caravanserragli di epoca ottomana non lontani dal Corno d’Oro: diciamo che il modo più facile per raggiungerlo è scendervi – puntando verso il mare - dopo aver visitato la Süleymaniye Camii. Qui è Altan Sekerleme, bottega di dolciumi, un po’ fané ma che trasuda autenticità. Di proprietà della stessa famiglia da quattro generazioni, banconi di marmo, espositori di legno usurato: il tempo da queste parti sembra essersi fermato

Se avete già assaggiato una scatola di lokum, anche detti turkish delight (così li chiamarono gli inglesi, che per primi li portarono in Europa), magari di fattura industriale e comprata all’ultimo momento in aeroporto, avete solo una vaga di idea di cosa siano questi dolcetti antichissimi (venivano prodotti già nel XV secolo lavorando la melassa e il miele, oggi sostituiti da amido e zucchero). Sono quadrotti di consistenza gelatinosa, che invitano al morso, aromatizzati - qui da Altan con deliziosi aromi fatti in casa – nei modi più svariati: alla rosa canina, ai frutti rossi, al limone, alla cannella, alle spezie.... A volte racchiudono una gemma croccante di pistacchio, mandorla o nocciola; sono ricoperti di zucchero a velo o cocco grattugiato. Impossibile non comprarne almeno una scatola, visti anche i prezzi (10 lire turche al chilo, meno di 4 euro; qualcosa in più la variante al pistacchio o alla mandorla). Da Altan sono prodotti anche buonissimi dolcetti di mandorla (nella foto) e caramelle artigianali

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Boğaziçi Köprüsü, il ponte sul Bosforo che unisce i due continenti








Tornati recentemente a Istanbul dopo alcuni anni di assenza, abbiamo notato con piacere un netto risveglio (o una nascita tout court) dello spirito gourmand “all’occidentale” in città. E’ un fiorire di iniziative, spazi, proposte, stili che superano quel certo anonimato vagamente mediocre che caratterizzava fino a non molto tempo fa anche le tavole di maggior prestigio – o la schietta ruralità della cucina basic. C’è sempre stata cultura del cibo, oggi cresce anche la capacità di comunicarla e renderla fruibile a chi giunge da queste parti per qualche giorno di vacanza. Sono d’aiuto anche parecchi siti o blog di foodies turchi, che offrono consigli utilissimi, su tutti istanbuleats.com. (in foto, un piatto del talentuoso chef Mehmet Gürs, già presentato a Identità Golose 2011: Dessert di zucca candita, marinata 24 ore in acqua di calce, con gelato di pistacchio e sciroppo di sesamo)








Ogni discettazione sull’alta cucina istanbuliota trova l’alfa e l’omega al diciottesimo piano del Marmara Pera, elegante hotel che ospita il miglior ristorante di Turchia, Mikla, regno di Mehmet Gürs (nella foto). La stessa sua biografia ne fa il rappresentante perfetto della Istanbul sfaccettata della quale abbiamo accennato: papà turco, mamma finlandese, nonna svedese, l’infanzia trascorsa a Tammisaari, 90 chilometri da Helsinki, scuola alberghiera a Providence, Rhode Island, Usa. E’ il profeta della New Anatolian Cuisine








La vista che si gode dalle finestre di Mikla – se c’è bel tempo e la temperatura lo consente si può cenare anche in terrazza, sotto le stelle – è meravigliosa: le luci della città ai vostri piedi, a milioni, il Corno d’Oro col traffico di battelli, sull’altra sponda il vecchio quartiere di Sultanahmet, il Topkapi, Santa Sofia, più in là i minareti della Moschea Blu, a destra la Süleymaniye Camii, moschea di Solimano... Imperdibile. Ma prima di accomodarvi al tavolo salite ancora d’un piano, al diciannovesimo e ultimo, per godervi una flute di champagne (o, dopo cena, un cocktail), magari appoggiati alla balaustra con panorama sull’infinito, il cielo come soffitto, la mente che spazia libera








Mehmet Gürs segue in fondo “solo” le tracce di chi (penso ad Alex Atala in Brasile, René Redzepi in Danimarca, Gastón Acurio in Perù...) un bel giorno decide di fare delle proprie radici culinarie un poco disconosciute, dei prodotti di farmers a chilometro zero o mille, ma comunque del territorio (che se è l’Amazzonia, è un territorio gigantesco. E anche la Turchia non scherza), il punto di partenza per reinventare una tradizione. Il suo menu è proprio, innanzi tutto, un inno alle materie prime scovate nei più remoti angoli in un Paese di 780mila chilometri quadrati, ossia più di due volte e mezza l’Italia: gli agnelli Kıvırcık allevati in Tracia, una sorta di gruviera che viene dall’Anatolia del Nordest, i vini della Cappadocia, i pistacchi da Gaziantep, la marmellata di lavanda selvatica ancora prodotta dalle donne di un villaggetto non lontano da Smirne... Menu degustazione a 140 lire turche, 210 col wine pairing (sono rispettivamente 55 e 83 euro)








Nella foto, un antipasto che è una sorta di riassunto perfetto di come la tradizione possa essere reinventata in modo creativo, creando un piatto che è intimamente turco eppure al 100% partorito dalla mente di Gürs. Sardine crisp, lemon è la reinterpretazione di un classico street food istanbuliota di cui parleremo tra poco, il panino col pesce del mar Nero e un goccio di succo di limone che si compra ancor oggi facendo la fila davanti ai barconi ancorati vicino al ponte di Galata








Ecco un piatto che invece è solo accostamento di prodotti selezionati, pura materia. Dried beef, ossia una carne di manzo a mò di bresaola, con il Kars gravyer, formaggio vaccino che è una sorta di gruviera stagionato circa 10 mesi e proveniente da Kars, città a poca distante dal confine armeno, famosa per i suoi pascoli e bestiame








Il piatto della serata, che è ormai un cavallo di battaglia dello chef, è la spalla di agnello Kıvırcık, cotta sottovuoto per 24 ore a bassa temperatura, accompagnato da un pilaf  “umido” di farro, pestil di prugna e melassa di melograno








Detto di Gürs, un weekend gastronomico a Istanbul offre anche molto altro. La cosa più divertente è uscire dalle zone turistiche per scoprire indirizzi nascosti, magari sfacciatamente retrò ma custodi di luminose pepite del gusto. Come Pando, negozietto anonimo nel bel quartiere di Besiktas, Mumcu Bakkal Sokok 5, dove andare a far colazione o uno spuntino veloce per pranzo, magari seduti placidamente ai tavolini apparecchiati sulla strada chiusa al traffico dove fervono le più disparate attività commerciali. Ad accogliervi sarà lo stesso Pando, un incredibile vecchietto 85enne d’origine bulgara che prima vi scruterà con curiosità e poi vi delizierà con un sorriso. E non solo…








È il regno del kaimak, versione turco-balcanica della nostra panna, ottenuto dalla fermentazione del grasso estratto durante la cottura del latte crudo vaccino. Fresco – come in questo caso – ha un gusto più dolce. Viene quindi servito accompagnato da miele e pane bianco, per uno spuntino paradisiaco, specie se preceduto – come sarà lo stesso Pando a suggerirvi – da un paio di uova freschissime cotte al tegamino, per dare anche una nota salata alla vostra colazione. Il negozio è aperto dal 1895 e i prezzi sembrano rimasti quelli di allora: kaimak col miele, pane, uova (buonissime!) al tegamino e un té o un caffé a 10 lire turche, poco meno di 4 euro








Un altro indirizzo prezioso: Kiblecesme Caddesi 96, a Kantarcilar (Kucuk Pazari), nel quartiere di Eminonu, un poco fuori mano anche questo. Ci troviamo in un dedalo di viuzze polverose e di caravanserragli di epoca ottomana non lontani dal Corno d’Oro: diciamo che il modo più facile per raggiungerlo è scendervi – puntando verso il mare - dopo aver visitato la Süleymaniye Camii. Qui è Altan Sekerleme, bottega di dolciumi, un po’ fané ma che trasuda autenticità. Di proprietà della stessa famiglia da quattro generazioni, banconi di marmo, espositori di legno usurato: il tempo da queste parti sembra essersi fermato








Se avete già assaggiato una scatola di lokum, anche detti turkish delight (così li chiamarono gli inglesi, che per primi li portarono in Europa), magari di fattura industriale e comprata all’ultimo momento in aeroporto, avete solo una vaga di idea di cosa siano questi dolcetti antichissimi (venivano prodotti già nel XV secolo lavorando la melassa e il miele, oggi sostituiti da amido e zucchero). Sono quadrotti di consistenza gelatinosa, che invitano al morso, aromatizzati  - qui da Altan con deliziosi aromi fatti in casa – nei modi più svariati: alla rosa canina, ai frutti rossi, al limone, alla cannella, alle spezie.... A volte racchiudono una gemma croccante di pistacchio, mandorla o nocciola; sono ricoperti di zucchero a velo o cocco grattugiato. Impossibile non comprarne almeno una scatola, visti anche i prezzi (10 lire turche al chilo, meno di 4 euro; qualcosa in più la variante al pistacchio o alla mandorla). Da Altan sono prodotti anche buonissimi dolcetti di mandorla (nella foto) e caramelle artigianali

Un posto come Çiya Sofrası (Güneşli Bahçe Sokak 43) piacerebbe enormemente a Carlin Petrini: è il luogo della tradizione riscoperta. E’ entrato anche nei nostri cuori, intanto perché si trova a Kadiköy, sponda asiatica, almeno mezz’ora di taxi (ma tanto costano pochissimo), quartiere del tutto fuori dai giri turistici ma di splendida autenticità: una Istanbul vera, vivace, vitale, che ama uscire la sera (è un susseguirsi di ristorantini, caffé, pasticcerie, chioschi da street food...) e mangiare bene. Qualcuno considera addirittura Çiya il miglior ristorante in città: di certo è uno spettacolo ammirare la serie infinita di squisite pietanze nei pentoloni, già pronte per essere servite, tra le quali scegliere i vostri molteplici assaggi, a prezzi a dir poco irrisori (si cena pantagruelicamente, bevendo birra, per 15-20 lire turche, 6-8 euro)

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Boğaziçi Köprüsü, il ponte sul Bosforo che unisce i due continenti








Tornati recentemente a Istanbul dopo alcuni anni di assenza, abbiamo notato con piacere un netto risveglio (o una nascita tout court) dello spirito gourmand “all’occidentale” in città. E’ un fiorire di iniziative, spazi, proposte, stili che superano quel certo anonimato vagamente mediocre che caratterizzava fino a non molto tempo fa anche le tavole di maggior prestigio – o la schietta ruralità della cucina basic. C’è sempre stata cultura del cibo, oggi cresce anche la capacità di comunicarla e renderla fruibile a chi giunge da queste parti per qualche giorno di vacanza. Sono d’aiuto anche parecchi siti o blog di foodies turchi, che offrono consigli utilissimi, su tutti istanbuleats.com. (in foto, un piatto del talentuoso chef Mehmet Gürs, già presentato a Identità Golose 2011: Dessert di zucca candita, marinata 24 ore in acqua di calce, con gelato di pistacchio e sciroppo di sesamo)








Ogni discettazione sull’alta cucina istanbuliota trova l’alfa e l’omega al diciottesimo piano del Marmara Pera, elegante hotel che ospita il miglior ristorante di Turchia, Mikla, regno di Mehmet Gürs (nella foto). La stessa sua biografia ne fa il rappresentante perfetto della Istanbul sfaccettata della quale abbiamo accennato: papà turco, mamma finlandese, nonna svedese, l’infanzia trascorsa a Tammisaari, 90 chilometri da Helsinki, scuola alberghiera a Providence, Rhode Island, Usa. E’ il profeta della New Anatolian Cuisine








La vista che si gode dalle finestre di Mikla – se c’è bel tempo e la temperatura lo consente si può cenare anche in terrazza, sotto le stelle – è meravigliosa: le luci della città ai vostri piedi, a milioni, il Corno d’Oro col traffico di battelli, sull’altra sponda il vecchio quartiere di Sultanahmet, il Topkapi, Santa Sofia, più in là i minareti della Moschea Blu, a destra la Süleymaniye Camii, moschea di Solimano... Imperdibile. Ma prima di accomodarvi al tavolo salite ancora d’un piano, al diciannovesimo e ultimo, per godervi una flute di champagne (o, dopo cena, un cocktail), magari appoggiati alla balaustra con panorama sull’infinito, il cielo come soffitto, la mente che spazia libera








Mehmet Gürs segue in fondo “solo” le tracce di chi (penso ad Alex Atala in Brasile, René Redzepi in Danimarca, Gastón Acurio in Perù...) un bel giorno decide di fare delle proprie radici culinarie un poco disconosciute, dei prodotti di farmers a chilometro zero o mille, ma comunque del territorio (che se è l’Amazzonia, è un territorio gigantesco. E anche la Turchia non scherza), il punto di partenza per reinventare una tradizione. Il suo menu è proprio, innanzi tutto, un inno alle materie prime scovate nei più remoti angoli in un Paese di 780mila chilometri quadrati, ossia più di due volte e mezza l’Italia: gli agnelli Kıvırcık allevati in Tracia, una sorta di gruviera che viene dall’Anatolia del Nordest, i vini della Cappadocia, i pistacchi da Gaziantep, la marmellata di lavanda selvatica ancora prodotta dalle donne di un villaggetto non lontano da Smirne... Menu degustazione a 140 lire turche, 210 col wine pairing (sono rispettivamente 55 e 83 euro)








Nella foto, un antipasto che è una sorta di riassunto perfetto di come la tradizione possa essere reinventata in modo creativo, creando un piatto che è intimamente turco eppure al 100% partorito dalla mente di Gürs. Sardine crisp, lemon è la reinterpretazione di un classico street food istanbuliota di cui parleremo tra poco, il panino col pesce del mar Nero e un goccio di succo di limone che si compra ancor oggi facendo la fila davanti ai barconi ancorati vicino al ponte di Galata








Ecco un piatto che invece è solo accostamento di prodotti selezionati, pura materia. Dried beef, ossia una carne di manzo a mò di bresaola, con il Kars gravyer, formaggio vaccino che è una sorta di gruviera stagionato circa 10 mesi e proveniente da Kars, città a poca distante dal confine armeno, famosa per i suoi pascoli e bestiame








Il piatto della serata, che è ormai un cavallo di battaglia dello chef, è la spalla di agnello Kıvırcık, cotta sottovuoto per 24 ore a bassa temperatura, accompagnato da un pilaf  “umido” di farro, pestil di prugna e melassa di melograno








Detto di Gürs, un weekend gastronomico a Istanbul offre anche molto altro. La cosa più divertente è uscire dalle zone turistiche per scoprire indirizzi nascosti, magari sfacciatamente retrò ma custodi di luminose pepite del gusto. Come Pando, negozietto anonimo nel bel quartiere di Besiktas, Mumcu Bakkal Sokok 5, dove andare a far colazione o uno spuntino veloce per pranzo, magari seduti placidamente ai tavolini apparecchiati sulla strada chiusa al traffico dove fervono le più disparate attività commerciali. Ad accogliervi sarà lo stesso Pando, un incredibile vecchietto 85enne d’origine bulgara che prima vi scruterà con curiosità e poi vi delizierà con un sorriso. E non solo…








È il regno del kaimak, versione turco-balcanica della nostra panna, ottenuto dalla fermentazione del grasso estratto durante la cottura del latte crudo vaccino. Fresco – come in questo caso – ha un gusto più dolce. Viene quindi servito accompagnato da miele e pane bianco, per uno spuntino paradisiaco, specie se preceduto – come sarà lo stesso Pando a suggerirvi – da un paio di uova freschissime cotte al tegamino, per dare anche una nota salata alla vostra colazione. Il negozio è aperto dal 1895 e i prezzi sembrano rimasti quelli di allora: kaimak col miele, pane, uova (buonissime!) al tegamino e un té o un caffé a 10 lire turche, poco meno di 4 euro








Un altro indirizzo prezioso: Kiblecesme Caddesi 96, a Kantarcilar (Kucuk Pazari), nel quartiere di Eminonu, un poco fuori mano anche questo. Ci troviamo in un dedalo di viuzze polverose e di caravanserragli di epoca ottomana non lontani dal Corno d’Oro: diciamo che il modo più facile per raggiungerlo è scendervi – puntando verso il mare - dopo aver visitato la Süleymaniye Camii. Qui è Altan Sekerleme, bottega di dolciumi, un po’ fané ma che trasuda autenticità. Di proprietà della stessa famiglia da quattro generazioni, banconi di marmo, espositori di legno usurato: il tempo da queste parti sembra essersi fermato








Se avete già assaggiato una scatola di lokum, anche detti turkish delight (così li chiamarono gli inglesi, che per primi li portarono in Europa), magari di fattura industriale e comprata all’ultimo momento in aeroporto, avete solo una vaga di idea di cosa siano questi dolcetti antichissimi (venivano prodotti già nel XV secolo lavorando la melassa e il miele, oggi sostituiti da amido e zucchero). Sono quadrotti di consistenza gelatinosa, che invitano al morso, aromatizzati  - qui da Altan con deliziosi aromi fatti in casa – nei modi più svariati: alla rosa canina, ai frutti rossi, al limone, alla cannella, alle spezie.... A volte racchiudono una gemma croccante di pistacchio, mandorla o nocciola; sono ricoperti di zucchero a velo o cocco grattugiato. Impossibile non comprarne almeno una scatola, visti anche i prezzi (10 lire turche al chilo, meno di 4 euro; qualcosa in più la variante al pistacchio o alla mandorla). Da Altan sono prodotti anche buonissimi dolcetti di mandorla (nella foto) e caramelle artigianali








Un posto come Çiya Sofrası (Güneşli Bahçe Sokak 43) piacerebbe enormemente a Carlin Petrini: è il luogo della tradizione riscoperta. E’ entrato anche nei nostri cuori, intanto perché si trova a Kadiköy, sponda asiatica, almeno mezz’ora di taxi (ma tanto costano pochissimo), quartiere del tutto fuori dai giri turistici ma di splendida autenticità: una Istanbul vera, vivace, vitale, che ama uscire la sera (è un susseguirsi di ristorantini, caffé, pasticcerie, chioschi da street food...) e mangiare bene. Qualcuno considera addirittura Çiya il miglior ristorante in città: di certo è uno spettacolo ammirare la serie infinita di squisite pietanze nei pentoloni, già pronte per essere servite, tra le quali scegliere i vostri molteplici assaggi, a prezzi a dir poco irrisori (si cena pantagruelicamente, bevendo birra, per 15-20 lire turche, 6-8 euro)

Sia chiaro: Çiya è una trattoriaccia con banconi di legno, cibo pronto e servizio avventuroso. Ma la qualità è eccellente e qui davvero potrete sbizzarrirvi creando da soli una sorta di menu degustazione tra i più tipici piatti turchi (le verdure sono tutte da urlo). Inutile elencarvi i piatti: sono decine e cambiano di continuo a seconda della stagione e del mercato. Costituiscono una sorta di compendio delle cucine regionali grazie all’opera instancabile del proprietario e chef Musa Dagdeviren, originario della città sud-orientale di Gaziantep e sorta di antropologo culinario: raccoglie e pubblica ricette da tutto il Paese e pubblica persino una rivista dedicata alla cultura del cibo turco (Yemek ve Kultur). Di fronte a Çiya Sofrası è Çiya Kebap, figlioccio ancor più easy tutto dedito al tipico piatto turco-arabo a base di carne. E per un perfetto dopocena, sempre in zona, c’è Fazil Bey (Serasker Caddesi 1), che vi aiuterà a superare ogni possibile pregiudizio attorno al turkish coffee

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Boğaziçi Köprüsü, il ponte sul Bosforo che unisce i due continenti








Tornati recentemente a Istanbul dopo alcuni anni di assenza, abbiamo notato con piacere un netto risveglio (o una nascita tout court) dello spirito gourmand “all’occidentale” in città. E’ un fiorire di iniziative, spazi, proposte, stili che superano quel certo anonimato vagamente mediocre che caratterizzava fino a non molto tempo fa anche le tavole di maggior prestigio – o la schietta ruralità della cucina basic. C’è sempre stata cultura del cibo, oggi cresce anche la capacità di comunicarla e renderla fruibile a chi giunge da queste parti per qualche giorno di vacanza. Sono d’aiuto anche parecchi siti o blog di foodies turchi, che offrono consigli utilissimi, su tutti istanbuleats.com. (in foto, un piatto del talentuoso chef Mehmet Gürs, già presentato a Identità Golose 2011: Dessert di zucca candita, marinata 24 ore in acqua di calce, con gelato di pistacchio e sciroppo di sesamo)








Ogni discettazione sull’alta cucina istanbuliota trova l’alfa e l’omega al diciottesimo piano del Marmara Pera, elegante hotel che ospita il miglior ristorante di Turchia, Mikla, regno di Mehmet Gürs (nella foto). La stessa sua biografia ne fa il rappresentante perfetto della Istanbul sfaccettata della quale abbiamo accennato: papà turco, mamma finlandese, nonna svedese, l’infanzia trascorsa a Tammisaari, 90 chilometri da Helsinki, scuola alberghiera a Providence, Rhode Island, Usa. E’ il profeta della New Anatolian Cuisine








La vista che si gode dalle finestre di Mikla – se c’è bel tempo e la temperatura lo consente si può cenare anche in terrazza, sotto le stelle – è meravigliosa: le luci della città ai vostri piedi, a milioni, il Corno d’Oro col traffico di battelli, sull’altra sponda il vecchio quartiere di Sultanahmet, il Topkapi, Santa Sofia, più in là i minareti della Moschea Blu, a destra la Süleymaniye Camii, moschea di Solimano... Imperdibile. Ma prima di accomodarvi al tavolo salite ancora d’un piano, al diciannovesimo e ultimo, per godervi una flute di champagne (o, dopo cena, un cocktail), magari appoggiati alla balaustra con panorama sull’infinito, il cielo come soffitto, la mente che spazia libera








Mehmet Gürs segue in fondo “solo” le tracce di chi (penso ad Alex Atala in Brasile, René Redzepi in Danimarca, Gastón Acurio in Perù...) un bel giorno decide di fare delle proprie radici culinarie un poco disconosciute, dei prodotti di farmers a chilometro zero o mille, ma comunque del territorio (che se è l’Amazzonia, è un territorio gigantesco. E anche la Turchia non scherza), il punto di partenza per reinventare una tradizione. Il suo menu è proprio, innanzi tutto, un inno alle materie prime scovate nei più remoti angoli in un Paese di 780mila chilometri quadrati, ossia più di due volte e mezza l’Italia: gli agnelli Kıvırcık allevati in Tracia, una sorta di gruviera che viene dall’Anatolia del Nordest, i vini della Cappadocia, i pistacchi da Gaziantep, la marmellata di lavanda selvatica ancora prodotta dalle donne di un villaggetto non lontano da Smirne... Menu degustazione a 140 lire turche, 210 col wine pairing (sono rispettivamente 55 e 83 euro)








Nella foto, un antipasto che è una sorta di riassunto perfetto di come la tradizione possa essere reinventata in modo creativo, creando un piatto che è intimamente turco eppure al 100% partorito dalla mente di Gürs. Sardine crisp, lemon è la reinterpretazione di un classico street food istanbuliota di cui parleremo tra poco, il panino col pesce del mar Nero e un goccio di succo di limone che si compra ancor oggi facendo la fila davanti ai barconi ancorati vicino al ponte di Galata








Ecco un piatto che invece è solo accostamento di prodotti selezionati, pura materia. Dried beef, ossia una carne di manzo a mò di bresaola, con il Kars gravyer, formaggio vaccino che è una sorta di gruviera stagionato circa 10 mesi e proveniente da Kars, città a poca distante dal confine armeno, famosa per i suoi pascoli e bestiame








Il piatto della serata, che è ormai un cavallo di battaglia dello chef, è la spalla di agnello Kıvırcık, cotta sottovuoto per 24 ore a bassa temperatura, accompagnato da un pilaf  “umido” di farro, pestil di prugna e melassa di melograno








Detto di Gürs, un weekend gastronomico a Istanbul offre anche molto altro. La cosa più divertente è uscire dalle zone turistiche per scoprire indirizzi nascosti, magari sfacciatamente retrò ma custodi di luminose pepite del gusto. Come Pando, negozietto anonimo nel bel quartiere di Besiktas, Mumcu Bakkal Sokok 5, dove andare a far colazione o uno spuntino veloce per pranzo, magari seduti placidamente ai tavolini apparecchiati sulla strada chiusa al traffico dove fervono le più disparate attività commerciali. Ad accogliervi sarà lo stesso Pando, un incredibile vecchietto 85enne d’origine bulgara che prima vi scruterà con curiosità e poi vi delizierà con un sorriso. E non solo…








È il regno del kaimak, versione turco-balcanica della nostra panna, ottenuto dalla fermentazione del grasso estratto durante la cottura del latte crudo vaccino. Fresco – come in questo caso – ha un gusto più dolce. Viene quindi servito accompagnato da miele e pane bianco, per uno spuntino paradisiaco, specie se preceduto – come sarà lo stesso Pando a suggerirvi – da un paio di uova freschissime cotte al tegamino, per dare anche una nota salata alla vostra colazione. Il negozio è aperto dal 1895 e i prezzi sembrano rimasti quelli di allora: kaimak col miele, pane, uova (buonissime!) al tegamino e un té o un caffé a 10 lire turche, poco meno di 4 euro








Un altro indirizzo prezioso: Kiblecesme Caddesi 96, a Kantarcilar (Kucuk Pazari), nel quartiere di Eminonu, un poco fuori mano anche questo. Ci troviamo in un dedalo di viuzze polverose e di caravanserragli di epoca ottomana non lontani dal Corno d’Oro: diciamo che il modo più facile per raggiungerlo è scendervi – puntando verso il mare - dopo aver visitato la Süleymaniye Camii. Qui è Altan Sekerleme, bottega di dolciumi, un po’ fané ma che trasuda autenticità. Di proprietà della stessa famiglia da quattro generazioni, banconi di marmo, espositori di legno usurato: il tempo da queste parti sembra essersi fermato








Se avete già assaggiato una scatola di lokum, anche detti turkish delight (così li chiamarono gli inglesi, che per primi li portarono in Europa), magari di fattura industriale e comprata all’ultimo momento in aeroporto, avete solo una vaga di idea di cosa siano questi dolcetti antichissimi (venivano prodotti già nel XV secolo lavorando la melassa e il miele, oggi sostituiti da amido e zucchero). Sono quadrotti di consistenza gelatinosa, che invitano al morso, aromatizzati  - qui da Altan con deliziosi aromi fatti in casa – nei modi più svariati: alla rosa canina, ai frutti rossi, al limone, alla cannella, alle spezie.... A volte racchiudono una gemma croccante di pistacchio, mandorla o nocciola; sono ricoperti di zucchero a velo o cocco grattugiato. Impossibile non comprarne almeno una scatola, visti anche i prezzi (10 lire turche al chilo, meno di 4 euro; qualcosa in più la variante al pistacchio o alla mandorla). Da Altan sono prodotti anche buonissimi dolcetti di mandorla (nella foto) e caramelle artigianali








Un posto come Çiya Sofrası (Güneşli Bahçe Sokak 43) piacerebbe enormemente a Carlin Petrini: è il luogo della tradizione riscoperta. E’ entrato anche nei nostri cuori, intanto perché si trova a Kadiköy, sponda asiatica, almeno mezz’ora di taxi (ma tanto costano pochissimo), quartiere del tutto fuori dai giri turistici ma di splendida autenticità: una Istanbul vera, vivace, vitale, che ama uscire la sera (è un susseguirsi di ristorantini, caffé, pasticcerie, chioschi da street food...) e mangiare bene. Qualcuno considera addirittura Çiya il miglior ristorante in città: di certo è uno spettacolo ammirare la serie infinita di squisite pietanze nei pentoloni, già pronte per essere servite, tra le quali scegliere i vostri molteplici assaggi, a prezzi a dir poco irrisori (si cena pantagruelicamente, bevendo birra, per 15-20 lire turche, 6-8 euro)








Sia chiaro: Çiya è una trattoriaccia con banconi di legno, cibo pronto e servizio avventuroso. Ma la qualità è eccellente e qui davvero potrete sbizzarrirvi creando da soli una sorta di menu degustazione tra i più tipici piatti turchi (le verdure sono tutte da urlo). Inutile elencarvi i piatti: sono decine e cambiano di continuo a seconda della stagione e del mercato. Costituiscono una sorta di compendio delle cucine regionali grazie all’opera instancabile del proprietario e chef Musa Dagdeviren, originario della città sud-orientale di Gaziantep e sorta di antropologo culinario: raccoglie e pubblica ricette da tutto il Paese e pubblica persino una rivista dedicata alla cultura del cibo turco (Yemek ve Kultur). Di fronte a Çiya Sofrası è Çiya Kebap, figlioccio ancor più easy tutto dedito al tipico piatto turco-arabo a base di carne. E per un perfetto dopocena, sempre in zona, c’è Fazil Bey (Serasker Caddesi 1), che vi aiuterà a superare ogni possibile pregiudizio attorno al turkish coffee

Balik significa pane, ekmek pesce. Balik ekmek, dunque, è il tipicissimo panino col pesce che potrete degustare all’imbarcadero di Eminonu, all’estremità meridionale del ponte di Galata. Qui sono ancorate diverse barche-cucina con grandi griglie dove gli sgombri sfrigolano pronti per essere serviti tra due fette di pane bianco, un po’ di cipolla appena scottata, sale e limone a volontà, anche in funzione anti-vibrione. Non leggero, magari un po’ junk food, ma davvero gustoso

Galleria fotografica






Boğaziçi Köprüsü, il ponte sul Bosforo che unisce i due continenti








Tornati recentemente a Istanbul dopo alcuni anni di assenza, abbiamo notato con piacere un netto risveglio (o una nascita tout court) dello spirito gourmand “all’occidentale” in città. E’ un fiorire di iniziative, spazi, proposte, stili che superano quel certo anonimato vagamente mediocre che caratterizzava fino a non molto tempo fa anche le tavole di maggior prestigio – o la schietta ruralità della cucina basic. C’è sempre stata cultura del cibo, oggi cresce anche la capacità di comunicarla e renderla fruibile a chi giunge da queste parti per qualche giorno di vacanza. Sono d’aiuto anche parecchi siti o blog di foodies turchi, che offrono consigli utilissimi, su tutti istanbuleats.com. (in foto, un piatto del talentuoso chef Mehmet Gürs, già presentato a Identità Golose 2011: Dessert di zucca candita, marinata 24 ore in acqua di calce, con gelato di pistacchio e sciroppo di sesamo)








Ogni discettazione sull’alta cucina istanbuliota trova l’alfa e l’omega al diciottesimo piano del Marmara Pera, elegante hotel che ospita il miglior ristorante di Turchia, Mikla, regno di Mehmet Gürs (nella foto). La stessa sua biografia ne fa il rappresentante perfetto della Istanbul sfaccettata della quale abbiamo accennato: papà turco, mamma finlandese, nonna svedese, l’infanzia trascorsa a Tammisaari, 90 chilometri da Helsinki, scuola alberghiera a Providence, Rhode Island, Usa. E’ il profeta della New Anatolian Cuisine








La vista che si gode dalle finestre di Mikla – se c’è bel tempo e la temperatura lo consente si può cenare anche in terrazza, sotto le stelle – è meravigliosa: le luci della città ai vostri piedi, a milioni, il Corno d’Oro col traffico di battelli, sull’altra sponda il vecchio quartiere di Sultanahmet, il Topkapi, Santa Sofia, più in là i minareti della Moschea Blu, a destra la Süleymaniye Camii, moschea di Solimano... Imperdibile. Ma prima di accomodarvi al tavolo salite ancora d’un piano, al diciannovesimo e ultimo, per godervi una flute di champagne (o, dopo cena, un cocktail), magari appoggiati alla balaustra con panorama sull’infinito, il cielo come soffitto, la mente che spazia libera








Mehmet Gürs segue in fondo “solo” le tracce di chi (penso ad Alex Atala in Brasile, René Redzepi in Danimarca, Gastón Acurio in Perù...) un bel giorno decide di fare delle proprie radici culinarie un poco disconosciute, dei prodotti di farmers a chilometro zero o mille, ma comunque del territorio (che se è l’Amazzonia, è un territorio gigantesco. E anche la Turchia non scherza), il punto di partenza per reinventare una tradizione. Il suo menu è proprio, innanzi tutto, un inno alle materie prime scovate nei più remoti angoli in un Paese di 780mila chilometri quadrati, ossia più di due volte e mezza l’Italia: gli agnelli Kıvırcık allevati in Tracia, una sorta di gruviera che viene dall’Anatolia del Nordest, i vini della Cappadocia, i pistacchi da Gaziantep, la marmellata di lavanda selvatica ancora prodotta dalle donne di un villaggetto non lontano da Smirne... Menu degustazione a 140 lire turche, 210 col wine pairing (sono rispettivamente 55 e 83 euro)








Nella foto, un antipasto che è una sorta di riassunto perfetto di come la tradizione possa essere reinventata in modo creativo, creando un piatto che è intimamente turco eppure al 100% partorito dalla mente di Gürs. Sardine crisp, lemon è la reinterpretazione di un classico street food istanbuliota di cui parleremo tra poco, il panino col pesce del mar Nero e un goccio di succo di limone che si compra ancor oggi facendo la fila davanti ai barconi ancorati vicino al ponte di Galata








Ecco un piatto che invece è solo accostamento di prodotti selezionati, pura materia. Dried beef, ossia una carne di manzo a mò di bresaola, con il Kars gravyer, formaggio vaccino che è una sorta di gruviera stagionato circa 10 mesi e proveniente da Kars, città a poca distante dal confine armeno, famosa per i suoi pascoli e bestiame








Il piatto della serata, che è ormai un cavallo di battaglia dello chef, è la spalla di agnello Kıvırcık, cotta sottovuoto per 24 ore a bassa temperatura, accompagnato da un pilaf  “umido” di farro, pestil di prugna e melassa di melograno








Detto di Gürs, un weekend gastronomico a Istanbul offre anche molto altro. La cosa più divertente è uscire dalle zone turistiche per scoprire indirizzi nascosti, magari sfacciatamente retrò ma custodi di luminose pepite del gusto. Come Pando, negozietto anonimo nel bel quartiere di Besiktas, Mumcu Bakkal Sokok 5, dove andare a far colazione o uno spuntino veloce per pranzo, magari seduti placidamente ai tavolini apparecchiati sulla strada chiusa al traffico dove fervono le più disparate attività commerciali. Ad accogliervi sarà lo stesso Pando, un incredibile vecchietto 85enne d’origine bulgara che prima vi scruterà con curiosità e poi vi delizierà con un sorriso. E non solo…








È il regno del kaimak, versione turco-balcanica della nostra panna, ottenuto dalla fermentazione del grasso estratto durante la cottura del latte crudo vaccino. Fresco – come in questo caso – ha un gusto più dolce. Viene quindi servito accompagnato da miele e pane bianco, per uno spuntino paradisiaco, specie se preceduto – come sarà lo stesso Pando a suggerirvi – da un paio di uova freschissime cotte al tegamino, per dare anche una nota salata alla vostra colazione. Il negozio è aperto dal 1895 e i prezzi sembrano rimasti quelli di allora: kaimak col miele, pane, uova (buonissime!) al tegamino e un té o un caffé a 10 lire turche, poco meno di 4 euro








Un altro indirizzo prezioso: Kiblecesme Caddesi 96, a Kantarcilar (Kucuk Pazari), nel quartiere di Eminonu, un poco fuori mano anche questo. Ci troviamo in un dedalo di viuzze polverose e di caravanserragli di epoca ottomana non lontani dal Corno d’Oro: diciamo che il modo più facile per raggiungerlo è scendervi – puntando verso il mare - dopo aver visitato la Süleymaniye Camii. Qui è Altan Sekerleme, bottega di dolciumi, un po’ fané ma che trasuda autenticità. Di proprietà della stessa famiglia da quattro generazioni, banconi di marmo, espositori di legno usurato: il tempo da queste parti sembra essersi fermato








Se avete già assaggiato una scatola di lokum, anche detti turkish delight (così li chiamarono gli inglesi, che per primi li portarono in Europa), magari di fattura industriale e comprata all’ultimo momento in aeroporto, avete solo una vaga di idea di cosa siano questi dolcetti antichissimi (venivano prodotti già nel XV secolo lavorando la melassa e il miele, oggi sostituiti da amido e zucchero). Sono quadrotti di consistenza gelatinosa, che invitano al morso, aromatizzati  - qui da Altan con deliziosi aromi fatti in casa – nei modi più svariati: alla rosa canina, ai frutti rossi, al limone, alla cannella, alle spezie.... A volte racchiudono una gemma croccante di pistacchio, mandorla o nocciola; sono ricoperti di zucchero a velo o cocco grattugiato. Impossibile non comprarne almeno una scatola, visti anche i prezzi (10 lire turche al chilo, meno di 4 euro; qualcosa in più la variante al pistacchio o alla mandorla). Da Altan sono prodotti anche buonissimi dolcetti di mandorla (nella foto) e caramelle artigianali








Un posto come Çiya Sofrası (Güneşli Bahçe Sokak 43) piacerebbe enormemente a Carlin Petrini: è il luogo della tradizione riscoperta. E’ entrato anche nei nostri cuori, intanto perché si trova a Kadiköy, sponda asiatica, almeno mezz’ora di taxi (ma tanto costano pochissimo), quartiere del tutto fuori dai giri turistici ma di splendida autenticità: una Istanbul vera, vivace, vitale, che ama uscire la sera (è un susseguirsi di ristorantini, caffé, pasticcerie, chioschi da street food...) e mangiare bene. Qualcuno considera addirittura Çiya il miglior ristorante in città: di certo è uno spettacolo ammirare la serie infinita di squisite pietanze nei pentoloni, già pronte per essere servite, tra le quali scegliere i vostri molteplici assaggi, a prezzi a dir poco irrisori (si cena pantagruelicamente, bevendo birra, per 15-20 lire turche, 6-8 euro)








Sia chiaro: Çiya è una trattoriaccia con banconi di legno, cibo pronto e servizio avventuroso. Ma la qualità è eccellente e qui davvero potrete sbizzarrirvi creando da soli una sorta di menu degustazione tra i più tipici piatti turchi (le verdure sono tutte da urlo). Inutile elencarvi i piatti: sono decine e cambiano di continuo a seconda della stagione e del mercato. Costituiscono una sorta di compendio delle cucine regionali grazie all’opera instancabile del proprietario e chef Musa Dagdeviren, originario della città sud-orientale di Gaziantep e sorta di antropologo culinario: raccoglie e pubblica ricette da tutto il Paese e pubblica persino una rivista dedicata alla cultura del cibo turco (Yemek ve Kultur). Di fronte a Çiya Sofrası è Çiya Kebap, figlioccio ancor più easy tutto dedito al tipico piatto turco-arabo a base di carne. E per un perfetto dopocena, sempre in zona, c’è Fazil Bey (Serasker Caddesi 1), che vi aiuterà a superare ogni possibile pregiudizio attorno al turkish coffee








Balik significa pane, ekmek pesce. Balik ekmek, dunque, è il tipicissimo panino col pesce che potrete degustare all’imbarcadero di Eminonu, all’estremità meridionale del ponte di Galata. Qui sono ancorate diverse barche-cucina con grandi griglie dove gli sgombri sfrigolano pronti per essere serviti tra due fette di pane bianco, un po’ di cipolla appena scottata, sale e limone a volontà, anche in funzione anti-vibrione. Non leggero, magari un po’ junk food, ma davvero gustoso

Balik ekmek è solo uno dei tanti tipi di street food che potete assaggiare in città. Sempre all’imbarcadero di Eminonu (ma non solo lì) ci sono svariati chioschetti che vendono anche misir, la classica pannocchia arrostita, o tulumba, una specie di gnocco fritto e condito con abbondante sciroppo dolce (nella foto)

Galleria fotografica






Boğaziçi Köprüsü, il ponte sul Bosforo che unisce i due continenti








Tornati recentemente a Istanbul dopo alcuni anni di assenza, abbiamo notato con piacere un netto risveglio (o una nascita tout court) dello spirito gourmand “all’occidentale” in città. E’ un fiorire di iniziative, spazi, proposte, stili che superano quel certo anonimato vagamente mediocre che caratterizzava fino a non molto tempo fa anche le tavole di maggior prestigio – o la schietta ruralità della cucina basic. C’è sempre stata cultura del cibo, oggi cresce anche la capacità di comunicarla e renderla fruibile a chi giunge da queste parti per qualche giorno di vacanza. Sono d’aiuto anche parecchi siti o blog di foodies turchi, che offrono consigli utilissimi, su tutti istanbuleats.com. (in foto, un piatto del talentuoso chef Mehmet Gürs, già presentato a Identità Golose 2011: Dessert di zucca candita, marinata 24 ore in acqua di calce, con gelato di pistacchio e sciroppo di sesamo)








Ogni discettazione sull’alta cucina istanbuliota trova l’alfa e l’omega al diciottesimo piano del Marmara Pera, elegante hotel che ospita il miglior ristorante di Turchia, Mikla, regno di Mehmet Gürs (nella foto). La stessa sua biografia ne fa il rappresentante perfetto della Istanbul sfaccettata della quale abbiamo accennato: papà turco, mamma finlandese, nonna svedese, l’infanzia trascorsa a Tammisaari, 90 chilometri da Helsinki, scuola alberghiera a Providence, Rhode Island, Usa. E’ il profeta della New Anatolian Cuisine








La vista che si gode dalle finestre di Mikla – se c’è bel tempo e la temperatura lo consente si può cenare anche in terrazza, sotto le stelle – è meravigliosa: le luci della città ai vostri piedi, a milioni, il Corno d’Oro col traffico di battelli, sull’altra sponda il vecchio quartiere di Sultanahmet, il Topkapi, Santa Sofia, più in là i minareti della Moschea Blu, a destra la Süleymaniye Camii, moschea di Solimano... Imperdibile. Ma prima di accomodarvi al tavolo salite ancora d’un piano, al diciannovesimo e ultimo, per godervi una flute di champagne (o, dopo cena, un cocktail), magari appoggiati alla balaustra con panorama sull’infinito, il cielo come soffitto, la mente che spazia libera








Mehmet Gürs segue in fondo “solo” le tracce di chi (penso ad Alex Atala in Brasile, René Redzepi in Danimarca, Gastón Acurio in Perù...) un bel giorno decide di fare delle proprie radici culinarie un poco disconosciute, dei prodotti di farmers a chilometro zero o mille, ma comunque del territorio (che se è l’Amazzonia, è un territorio gigantesco. E anche la Turchia non scherza), il punto di partenza per reinventare una tradizione. Il suo menu è proprio, innanzi tutto, un inno alle materie prime scovate nei più remoti angoli in un Paese di 780mila chilometri quadrati, ossia più di due volte e mezza l’Italia: gli agnelli Kıvırcık allevati in Tracia, una sorta di gruviera che viene dall’Anatolia del Nordest, i vini della Cappadocia, i pistacchi da Gaziantep, la marmellata di lavanda selvatica ancora prodotta dalle donne di un villaggetto non lontano da Smirne... Menu degustazione a 140 lire turche, 210 col wine pairing (sono rispettivamente 55 e 83 euro)








Nella foto, un antipasto che è una sorta di riassunto perfetto di come la tradizione possa essere reinventata in modo creativo, creando un piatto che è intimamente turco eppure al 100% partorito dalla mente di Gürs. Sardine crisp, lemon è la reinterpretazione di un classico street food istanbuliota di cui parleremo tra poco, il panino col pesce del mar Nero e un goccio di succo di limone che si compra ancor oggi facendo la fila davanti ai barconi ancorati vicino al ponte di Galata








Ecco un piatto che invece è solo accostamento di prodotti selezionati, pura materia. Dried beef, ossia una carne di manzo a mò di bresaola, con il Kars gravyer, formaggio vaccino che è una sorta di gruviera stagionato circa 10 mesi e proveniente da Kars, città a poca distante dal confine armeno, famosa per i suoi pascoli e bestiame








Il piatto della serata, che è ormai un cavallo di battaglia dello chef, è la spalla di agnello Kıvırcık, cotta sottovuoto per 24 ore a bassa temperatura, accompagnato da un pilaf  “umido” di farro, pestil di prugna e melassa di melograno








Detto di Gürs, un weekend gastronomico a Istanbul offre anche molto altro. La cosa più divertente è uscire dalle zone turistiche per scoprire indirizzi nascosti, magari sfacciatamente retrò ma custodi di luminose pepite del gusto. Come Pando, negozietto anonimo nel bel quartiere di Besiktas, Mumcu Bakkal Sokok 5, dove andare a far colazione o uno spuntino veloce per pranzo, magari seduti placidamente ai tavolini apparecchiati sulla strada chiusa al traffico dove fervono le più disparate attività commerciali. Ad accogliervi sarà lo stesso Pando, un incredibile vecchietto 85enne d’origine bulgara che prima vi scruterà con curiosità e poi vi delizierà con un sorriso. E non solo…








È il regno del kaimak, versione turco-balcanica della nostra panna, ottenuto dalla fermentazione del grasso estratto durante la cottura del latte crudo vaccino. Fresco – come in questo caso – ha un gusto più dolce. Viene quindi servito accompagnato da miele e pane bianco, per uno spuntino paradisiaco, specie se preceduto – come sarà lo stesso Pando a suggerirvi – da un paio di uova freschissime cotte al tegamino, per dare anche una nota salata alla vostra colazione. Il negozio è aperto dal 1895 e i prezzi sembrano rimasti quelli di allora: kaimak col miele, pane, uova (buonissime!) al tegamino e un té o un caffé a 10 lire turche, poco meno di 4 euro








Un altro indirizzo prezioso: Kiblecesme Caddesi 96, a Kantarcilar (Kucuk Pazari), nel quartiere di Eminonu, un poco fuori mano anche questo. Ci troviamo in un dedalo di viuzze polverose e di caravanserragli di epoca ottomana non lontani dal Corno d’Oro: diciamo che il modo più facile per raggiungerlo è scendervi – puntando verso il mare - dopo aver visitato la Süleymaniye Camii. Qui è Altan Sekerleme, bottega di dolciumi, un po’ fané ma che trasuda autenticità. Di proprietà della stessa famiglia da quattro generazioni, banconi di marmo, espositori di legno usurato: il tempo da queste parti sembra essersi fermato








Se avete già assaggiato una scatola di lokum, anche detti turkish delight (così li chiamarono gli inglesi, che per primi li portarono in Europa), magari di fattura industriale e comprata all’ultimo momento in aeroporto, avete solo una vaga di idea di cosa siano questi dolcetti antichissimi (venivano prodotti già nel XV secolo lavorando la melassa e il miele, oggi sostituiti da amido e zucchero). Sono quadrotti di consistenza gelatinosa, che invitano al morso, aromatizzati  - qui da Altan con deliziosi aromi fatti in casa – nei modi più svariati: alla rosa canina, ai frutti rossi, al limone, alla cannella, alle spezie.... A volte racchiudono una gemma croccante di pistacchio, mandorla o nocciola; sono ricoperti di zucchero a velo o cocco grattugiato. Impossibile non comprarne almeno una scatola, visti anche i prezzi (10 lire turche al chilo, meno di 4 euro; qualcosa in più la variante al pistacchio o alla mandorla). Da Altan sono prodotti anche buonissimi dolcetti di mandorla (nella foto) e caramelle artigianali








Un posto come Çiya Sofrası (Güneşli Bahçe Sokak 43) piacerebbe enormemente a Carlin Petrini: è il luogo della tradizione riscoperta. E’ entrato anche nei nostri cuori, intanto perché si trova a Kadiköy, sponda asiatica, almeno mezz’ora di taxi (ma tanto costano pochissimo), quartiere del tutto fuori dai giri turistici ma di splendida autenticità: una Istanbul vera, vivace, vitale, che ama uscire la sera (è un susseguirsi di ristorantini, caffé, pasticcerie, chioschi da street food...) e mangiare bene. Qualcuno considera addirittura Çiya il miglior ristorante in città: di certo è uno spettacolo ammirare la serie infinita di squisite pietanze nei pentoloni, già pronte per essere servite, tra le quali scegliere i vostri molteplici assaggi, a prezzi a dir poco irrisori (si cena pantagruelicamente, bevendo birra, per 15-20 lire turche, 6-8 euro)








Sia chiaro: Çiya è una trattoriaccia con banconi di legno, cibo pronto e servizio avventuroso. Ma la qualità è eccellente e qui davvero potrete sbizzarrirvi creando da soli una sorta di menu degustazione tra i più tipici piatti turchi (le verdure sono tutte da urlo). Inutile elencarvi i piatti: sono decine e cambiano di continuo a seconda della stagione e del mercato. Costituiscono una sorta di compendio delle cucine regionali grazie all’opera instancabile del proprietario e chef Musa Dagdeviren, originario della città sud-orientale di Gaziantep e sorta di antropologo culinario: raccoglie e pubblica ricette da tutto il Paese e pubblica persino una rivista dedicata alla cultura del cibo turco (Yemek ve Kultur). Di fronte a Çiya Sofrası è Çiya Kebap, figlioccio ancor più easy tutto dedito al tipico piatto turco-arabo a base di carne. E per un perfetto dopocena, sempre in zona, c’è Fazil Bey (Serasker Caddesi 1), che vi aiuterà a superare ogni possibile pregiudizio attorno al turkish coffee








Balik significa pane, ekmek pesce. Balik ekmek, dunque, è il tipicissimo panino col pesce che potrete degustare all’imbarcadero di Eminonu, all’estremità meridionale del ponte di Galata. Qui sono ancorate diverse barche-cucina con grandi griglie dove gli sgombri sfrigolano pronti per essere serviti tra due fette di pane bianco, un po’ di cipolla appena scottata, sale e limone a volontà, anche in funzione anti-vibrione. Non leggero, magari un po’ junk food, ma davvero gustoso








Balik ekmek è solo uno dei tanti tipi di street food che potete assaggiare in città. Sempre all’imbarcadero di Eminonu (ma non solo lì) ci sono svariati chioschetti che vendono anche misir, la classica pannocchia arrostita, o tulumba, una specie di gnocco fritto e condito con abbondante sciroppo dolce (nella foto)

Altra zona da street food per antonomasia è piazza Taksim e dintorni, centro nevralgico della Istanbul moderna e notturna. Chioschi e negozietti sono tantissimi, segnaliamo solo Kizilkayalar in Siraselviler Caddesi 6 per il suo islak burger (islak significa “bagnato”), che è risorsa straordinaria per uno spuntino alle ore piccole, post-disco e/o post-sbornia. E’ un panino curioso perché... fa il bagno turco: viene infatti prima inumidito con una salsa a base di pomodoro e poi, farcito con una polpetta di carne all’aglio, posto in una teca a vapore, sorta di hamam che lo consegna caldo e umoroso alle vostre fauci voraci. Da leccarsi le dita!

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Boğaziçi Köprüsü, il ponte sul Bosforo che unisce i due continenti








Tornati recentemente a Istanbul dopo alcuni anni di assenza, abbiamo notato con piacere un netto risveglio (o una nascita tout court) dello spirito gourmand “all’occidentale” in città. E’ un fiorire di iniziative, spazi, proposte, stili che superano quel certo anonimato vagamente mediocre che caratterizzava fino a non molto tempo fa anche le tavole di maggior prestigio – o la schietta ruralità della cucina basic. C’è sempre stata cultura del cibo, oggi cresce anche la capacità di comunicarla e renderla fruibile a chi giunge da queste parti per qualche giorno di vacanza. Sono d’aiuto anche parecchi siti o blog di foodies turchi, che offrono consigli utilissimi, su tutti istanbuleats.com. (in foto, un piatto del talentuoso chef Mehmet Gürs, già presentato a Identità Golose 2011: Dessert di zucca candita, marinata 24 ore in acqua di calce, con gelato di pistacchio e sciroppo di sesamo)








Ogni discettazione sull’alta cucina istanbuliota trova l’alfa e l’omega al diciottesimo piano del Marmara Pera, elegante hotel che ospita il miglior ristorante di Turchia, Mikla, regno di Mehmet Gürs (nella foto). La stessa sua biografia ne fa il rappresentante perfetto della Istanbul sfaccettata della quale abbiamo accennato: papà turco, mamma finlandese, nonna svedese, l’infanzia trascorsa a Tammisaari, 90 chilometri da Helsinki, scuola alberghiera a Providence, Rhode Island, Usa. E’ il profeta della New Anatolian Cuisine








La vista che si gode dalle finestre di Mikla – se c’è bel tempo e la temperatura lo consente si può cenare anche in terrazza, sotto le stelle – è meravigliosa: le luci della città ai vostri piedi, a milioni, il Corno d’Oro col traffico di battelli, sull’altra sponda il vecchio quartiere di Sultanahmet, il Topkapi, Santa Sofia, più in là i minareti della Moschea Blu, a destra la Süleymaniye Camii, moschea di Solimano... Imperdibile. Ma prima di accomodarvi al tavolo salite ancora d’un piano, al diciannovesimo e ultimo, per godervi una flute di champagne (o, dopo cena, un cocktail), magari appoggiati alla balaustra con panorama sull’infinito, il cielo come soffitto, la mente che spazia libera








Mehmet Gürs segue in fondo “solo” le tracce di chi (penso ad Alex Atala in Brasile, René Redzepi in Danimarca, Gastón Acurio in Perù...) un bel giorno decide di fare delle proprie radici culinarie un poco disconosciute, dei prodotti di farmers a chilometro zero o mille, ma comunque del territorio (che se è l’Amazzonia, è un territorio gigantesco. E anche la Turchia non scherza), il punto di partenza per reinventare una tradizione. Il suo menu è proprio, innanzi tutto, un inno alle materie prime scovate nei più remoti angoli in un Paese di 780mila chilometri quadrati, ossia più di due volte e mezza l’Italia: gli agnelli Kıvırcık allevati in Tracia, una sorta di gruviera che viene dall’Anatolia del Nordest, i vini della Cappadocia, i pistacchi da Gaziantep, la marmellata di lavanda selvatica ancora prodotta dalle donne di un villaggetto non lontano da Smirne... Menu degustazione a 140 lire turche, 210 col wine pairing (sono rispettivamente 55 e 83 euro)








Nella foto, un antipasto che è una sorta di riassunto perfetto di come la tradizione possa essere reinventata in modo creativo, creando un piatto che è intimamente turco eppure al 100% partorito dalla mente di Gürs. Sardine crisp, lemon è la reinterpretazione di un classico street food istanbuliota di cui parleremo tra poco, il panino col pesce del mar Nero e un goccio di succo di limone che si compra ancor oggi facendo la fila davanti ai barconi ancorati vicino al ponte di Galata








Ecco un piatto che invece è solo accostamento di prodotti selezionati, pura materia. Dried beef, ossia una carne di manzo a mò di bresaola, con il Kars gravyer, formaggio vaccino che è una sorta di gruviera stagionato circa 10 mesi e proveniente da Kars, città a poca distante dal confine armeno, famosa per i suoi pascoli e bestiame








Il piatto della serata, che è ormai un cavallo di battaglia dello chef, è la spalla di agnello Kıvırcık, cotta sottovuoto per 24 ore a bassa temperatura, accompagnato da un pilaf  “umido” di farro, pestil di prugna e melassa di melograno








Detto di Gürs, un weekend gastronomico a Istanbul offre anche molto altro. La cosa più divertente è uscire dalle zone turistiche per scoprire indirizzi nascosti, magari sfacciatamente retrò ma custodi di luminose pepite del gusto. Come Pando, negozietto anonimo nel bel quartiere di Besiktas, Mumcu Bakkal Sokok 5, dove andare a far colazione o uno spuntino veloce per pranzo, magari seduti placidamente ai tavolini apparecchiati sulla strada chiusa al traffico dove fervono le più disparate attività commerciali. Ad accogliervi sarà lo stesso Pando, un incredibile vecchietto 85enne d’origine bulgara che prima vi scruterà con curiosità e poi vi delizierà con un sorriso. E non solo…








È il regno del kaimak, versione turco-balcanica della nostra panna, ottenuto dalla fermentazione del grasso estratto durante la cottura del latte crudo vaccino. Fresco – come in questo caso – ha un gusto più dolce. Viene quindi servito accompagnato da miele e pane bianco, per uno spuntino paradisiaco, specie se preceduto – come sarà lo stesso Pando a suggerirvi – da un paio di uova freschissime cotte al tegamino, per dare anche una nota salata alla vostra colazione. Il negozio è aperto dal 1895 e i prezzi sembrano rimasti quelli di allora: kaimak col miele, pane, uova (buonissime!) al tegamino e un té o un caffé a 10 lire turche, poco meno di 4 euro








Un altro indirizzo prezioso: Kiblecesme Caddesi 96, a Kantarcilar (Kucuk Pazari), nel quartiere di Eminonu, un poco fuori mano anche questo. Ci troviamo in un dedalo di viuzze polverose e di caravanserragli di epoca ottomana non lontani dal Corno d’Oro: diciamo che il modo più facile per raggiungerlo è scendervi – puntando verso il mare - dopo aver visitato la Süleymaniye Camii. Qui è Altan Sekerleme, bottega di dolciumi, un po’ fané ma che trasuda autenticità. Di proprietà della stessa famiglia da quattro generazioni, banconi di marmo, espositori di legno usurato: il tempo da queste parti sembra essersi fermato








Se avete già assaggiato una scatola di lokum, anche detti turkish delight (così li chiamarono gli inglesi, che per primi li portarono in Europa), magari di fattura industriale e comprata all’ultimo momento in aeroporto, avete solo una vaga di idea di cosa siano questi dolcetti antichissimi (venivano prodotti già nel XV secolo lavorando la melassa e il miele, oggi sostituiti da amido e zucchero). Sono quadrotti di consistenza gelatinosa, che invitano al morso, aromatizzati  - qui da Altan con deliziosi aromi fatti in casa – nei modi più svariati: alla rosa canina, ai frutti rossi, al limone, alla cannella, alle spezie.... A volte racchiudono una gemma croccante di pistacchio, mandorla o nocciola; sono ricoperti di zucchero a velo o cocco grattugiato. Impossibile non comprarne almeno una scatola, visti anche i prezzi (10 lire turche al chilo, meno di 4 euro; qualcosa in più la variante al pistacchio o alla mandorla). Da Altan sono prodotti anche buonissimi dolcetti di mandorla (nella foto) e caramelle artigianali








Un posto come Çiya Sofrası (Güneşli Bahçe Sokak 43) piacerebbe enormemente a Carlin Petrini: è il luogo della tradizione riscoperta. E’ entrato anche nei nostri cuori, intanto perché si trova a Kadiköy, sponda asiatica, almeno mezz’ora di taxi (ma tanto costano pochissimo), quartiere del tutto fuori dai giri turistici ma di splendida autenticità: una Istanbul vera, vivace, vitale, che ama uscire la sera (è un susseguirsi di ristorantini, caffé, pasticcerie, chioschi da street food...) e mangiare bene. Qualcuno considera addirittura Çiya il miglior ristorante in città: di certo è uno spettacolo ammirare la serie infinita di squisite pietanze nei pentoloni, già pronte per essere servite, tra le quali scegliere i vostri molteplici assaggi, a prezzi a dir poco irrisori (si cena pantagruelicamente, bevendo birra, per 15-20 lire turche, 6-8 euro)








Sia chiaro: Çiya è una trattoriaccia con banconi di legno, cibo pronto e servizio avventuroso. Ma la qualità è eccellente e qui davvero potrete sbizzarrirvi creando da soli una sorta di menu degustazione tra i più tipici piatti turchi (le verdure sono tutte da urlo). Inutile elencarvi i piatti: sono decine e cambiano di continuo a seconda della stagione e del mercato. Costituiscono una sorta di compendio delle cucine regionali grazie all’opera instancabile del proprietario e chef Musa Dagdeviren, originario della città sud-orientale di Gaziantep e sorta di antropologo culinario: raccoglie e pubblica ricette da tutto il Paese e pubblica persino una rivista dedicata alla cultura del cibo turco (Yemek ve Kultur). Di fronte a Çiya Sofrası è Çiya Kebap, figlioccio ancor più easy tutto dedito al tipico piatto turco-arabo a base di carne. E per un perfetto dopocena, sempre in zona, c’è Fazil Bey (Serasker Caddesi 1), che vi aiuterà a superare ogni possibile pregiudizio attorno al turkish coffee








Balik significa pane, ekmek pesce. Balik ekmek, dunque, è il tipicissimo panino col pesce che potrete degustare all’imbarcadero di Eminonu, all’estremità meridionale del ponte di Galata. Qui sono ancorate diverse barche-cucina con grandi griglie dove gli sgombri sfrigolano pronti per essere serviti tra due fette di pane bianco, un po’ di cipolla appena scottata, sale e limone a volontà, anche in funzione anti-vibrione. Non leggero, magari un po’ junk food, ma davvero gustoso








Balik ekmek è solo uno dei tanti tipi di street food che potete assaggiare in città. Sempre all’imbarcadero di Eminonu (ma non solo lì) ci sono svariati chioschetti che vendono anche misir, la classica pannocchia arrostita, o tulumba, una specie di gnocco fritto e condito con abbondante sciroppo dolce (nella foto)








Altra zona da street food per antonomasia è piazza Taksim e dintorni, centro nevralgico della Istanbul moderna e notturna. Chioschi e negozietti sono tantissimi, segnaliamo solo Kizilkayalar in Siraselviler Caddesi 6 per il suo islak burger (islak significa “bagnato”), che è risorsa straordinaria per uno spuntino alle ore piccole, post-disco e/o post-sbornia. E’ un panino curioso perché... fa il bagno turco: viene infatti prima inumidito con una salsa a base di pomodoro e poi, farcito con una polpetta di carne all’aglio, posto in una teca a vapore, sorta di hamam che lo consegna caldo e umoroso alle vostre fauci voraci. Da leccarsi le dita!

Per restare in zona, Taksim (e İstiklâl Caddesi, che da lì diparte: è la via del passeggio e dello struscio della Istanbul moderna, nel quartiere di Beyoğlu) non è particolarmente consigliabile per il turista gourmand: si tratta di un’area turistica e frenetica, più adatta alla vita notturna che a una cena slow. Però due indirizzi non malvagi li forniamo volentieri. Il primo è quello di Zubeyir (Bekar Sokak 28), dove mangiare un buon kebap (o kebāb, in arabo), ossia un piatto di ottima carne arrostita, magari accompagnato – come usa - da un bicchiere di ayran, bibita a base di yogurt leggermente salato e allungato con acqua (attenti a non confondere il piatto di kebap col tipico panino condito, ormai diffuso come street food anche in Occidente e che noi chiamiamo spesso allo stesso modo, ma è in realtà si dice döner kebap, ossia “kebap che gira”, per ragioni evidenti). L’altro consiglio è Antiochia (Minare Sokak 21), dove assaggiare piatti di discreta fattura dell’Hatay, regione turca incuneata tra il confine con la Siria e il Mar Mediterraneo (nella foto)

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Boğaziçi Köprüsü, il ponte sul Bosforo che unisce i due continenti








Tornati recentemente a Istanbul dopo alcuni anni di assenza, abbiamo notato con piacere un netto risveglio (o una nascita tout court) dello spirito gourmand “all’occidentale” in città. E’ un fiorire di iniziative, spazi, proposte, stili che superano quel certo anonimato vagamente mediocre che caratterizzava fino a non molto tempo fa anche le tavole di maggior prestigio – o la schietta ruralità della cucina basic. C’è sempre stata cultura del cibo, oggi cresce anche la capacità di comunicarla e renderla fruibile a chi giunge da queste parti per qualche giorno di vacanza. Sono d’aiuto anche parecchi siti o blog di foodies turchi, che offrono consigli utilissimi, su tutti istanbuleats.com. (in foto, un piatto del talentuoso chef Mehmet Gürs, già presentato a Identità Golose 2011: Dessert di zucca candita, marinata 24 ore in acqua di calce, con gelato di pistacchio e sciroppo di sesamo)








Ogni discettazione sull’alta cucina istanbuliota trova l’alfa e l’omega al diciottesimo piano del Marmara Pera, elegante hotel che ospita il miglior ristorante di Turchia, Mikla, regno di Mehmet Gürs (nella foto). La stessa sua biografia ne fa il rappresentante perfetto della Istanbul sfaccettata della quale abbiamo accennato: papà turco, mamma finlandese, nonna svedese, l’infanzia trascorsa a Tammisaari, 90 chilometri da Helsinki, scuola alberghiera a Providence, Rhode Island, Usa. E’ il profeta della New Anatolian Cuisine








La vista che si gode dalle finestre di Mikla – se c’è bel tempo e la temperatura lo consente si può cenare anche in terrazza, sotto le stelle – è meravigliosa: le luci della città ai vostri piedi, a milioni, il Corno d’Oro col traffico di battelli, sull’altra sponda il vecchio quartiere di Sultanahmet, il Topkapi, Santa Sofia, più in là i minareti della Moschea Blu, a destra la Süleymaniye Camii, moschea di Solimano... Imperdibile. Ma prima di accomodarvi al tavolo salite ancora d’un piano, al diciannovesimo e ultimo, per godervi una flute di champagne (o, dopo cena, un cocktail), magari appoggiati alla balaustra con panorama sull’infinito, il cielo come soffitto, la mente che spazia libera








Mehmet Gürs segue in fondo “solo” le tracce di chi (penso ad Alex Atala in Brasile, René Redzepi in Danimarca, Gastón Acurio in Perù...) un bel giorno decide di fare delle proprie radici culinarie un poco disconosciute, dei prodotti di farmers a chilometro zero o mille, ma comunque del territorio (che se è l’Amazzonia, è un territorio gigantesco. E anche la Turchia non scherza), il punto di partenza per reinventare una tradizione. Il suo menu è proprio, innanzi tutto, un inno alle materie prime scovate nei più remoti angoli in un Paese di 780mila chilometri quadrati, ossia più di due volte e mezza l’Italia: gli agnelli Kıvırcık allevati in Tracia, una sorta di gruviera che viene dall’Anatolia del Nordest, i vini della Cappadocia, i pistacchi da Gaziantep, la marmellata di lavanda selvatica ancora prodotta dalle donne di un villaggetto non lontano da Smirne... Menu degustazione a 140 lire turche, 210 col wine pairing (sono rispettivamente 55 e 83 euro)








Nella foto, un antipasto che è una sorta di riassunto perfetto di come la tradizione possa essere reinventata in modo creativo, creando un piatto che è intimamente turco eppure al 100% partorito dalla mente di Gürs. Sardine crisp, lemon è la reinterpretazione di un classico street food istanbuliota di cui parleremo tra poco, il panino col pesce del mar Nero e un goccio di succo di limone che si compra ancor oggi facendo la fila davanti ai barconi ancorati vicino al ponte di Galata








Ecco un piatto che invece è solo accostamento di prodotti selezionati, pura materia. Dried beef, ossia una carne di manzo a mò di bresaola, con il Kars gravyer, formaggio vaccino che è una sorta di gruviera stagionato circa 10 mesi e proveniente da Kars, città a poca distante dal confine armeno, famosa per i suoi pascoli e bestiame








Il piatto della serata, che è ormai un cavallo di battaglia dello chef, è la spalla di agnello Kıvırcık, cotta sottovuoto per 24 ore a bassa temperatura, accompagnato da un pilaf  “umido” di farro, pestil di prugna e melassa di melograno








Detto di Gürs, un weekend gastronomico a Istanbul offre anche molto altro. La cosa più divertente è uscire dalle zone turistiche per scoprire indirizzi nascosti, magari sfacciatamente retrò ma custodi di luminose pepite del gusto. Come Pando, negozietto anonimo nel bel quartiere di Besiktas, Mumcu Bakkal Sokok 5, dove andare a far colazione o uno spuntino veloce per pranzo, magari seduti placidamente ai tavolini apparecchiati sulla strada chiusa al traffico dove fervono le più disparate attività commerciali. Ad accogliervi sarà lo stesso Pando, un incredibile vecchietto 85enne d’origine bulgara che prima vi scruterà con curiosità e poi vi delizierà con un sorriso. E non solo…








È il regno del kaimak, versione turco-balcanica della nostra panna, ottenuto dalla fermentazione del grasso estratto durante la cottura del latte crudo vaccino. Fresco – come in questo caso – ha un gusto più dolce. Viene quindi servito accompagnato da miele e pane bianco, per uno spuntino paradisiaco, specie se preceduto – come sarà lo stesso Pando a suggerirvi – da un paio di uova freschissime cotte al tegamino, per dare anche una nota salata alla vostra colazione. Il negozio è aperto dal 1895 e i prezzi sembrano rimasti quelli di allora: kaimak col miele, pane, uova (buonissime!) al tegamino e un té o un caffé a 10 lire turche, poco meno di 4 euro








Un altro indirizzo prezioso: Kiblecesme Caddesi 96, a Kantarcilar (Kucuk Pazari), nel quartiere di Eminonu, un poco fuori mano anche questo. Ci troviamo in un dedalo di viuzze polverose e di caravanserragli di epoca ottomana non lontani dal Corno d’Oro: diciamo che il modo più facile per raggiungerlo è scendervi – puntando verso il mare - dopo aver visitato la Süleymaniye Camii. Qui è Altan Sekerleme, bottega di dolciumi, un po’ fané ma che trasuda autenticità. Di proprietà della stessa famiglia da quattro generazioni, banconi di marmo, espositori di legno usurato: il tempo da queste parti sembra essersi fermato








Se avete già assaggiato una scatola di lokum, anche detti turkish delight (così li chiamarono gli inglesi, che per primi li portarono in Europa), magari di fattura industriale e comprata all’ultimo momento in aeroporto, avete solo una vaga di idea di cosa siano questi dolcetti antichissimi (venivano prodotti già nel XV secolo lavorando la melassa e il miele, oggi sostituiti da amido e zucchero). Sono quadrotti di consistenza gelatinosa, che invitano al morso, aromatizzati  - qui da Altan con deliziosi aromi fatti in casa – nei modi più svariati: alla rosa canina, ai frutti rossi, al limone, alla cannella, alle spezie.... A volte racchiudono una gemma croccante di pistacchio, mandorla o nocciola; sono ricoperti di zucchero a velo o cocco grattugiato. Impossibile non comprarne almeno una scatola, visti anche i prezzi (10 lire turche al chilo, meno di 4 euro; qualcosa in più la variante al pistacchio o alla mandorla). Da Altan sono prodotti anche buonissimi dolcetti di mandorla (nella foto) e caramelle artigianali








Un posto come Çiya Sofrası (Güneşli Bahçe Sokak 43) piacerebbe enormemente a Carlin Petrini: è il luogo della tradizione riscoperta. E’ entrato anche nei nostri cuori, intanto perché si trova a Kadiköy, sponda asiatica, almeno mezz’ora di taxi (ma tanto costano pochissimo), quartiere del tutto fuori dai giri turistici ma di splendida autenticità: una Istanbul vera, vivace, vitale, che ama uscire la sera (è un susseguirsi di ristorantini, caffé, pasticcerie, chioschi da street food...) e mangiare bene. Qualcuno considera addirittura Çiya il miglior ristorante in città: di certo è uno spettacolo ammirare la serie infinita di squisite pietanze nei pentoloni, già pronte per essere servite, tra le quali scegliere i vostri molteplici assaggi, a prezzi a dir poco irrisori (si cena pantagruelicamente, bevendo birra, per 15-20 lire turche, 6-8 euro)








Sia chiaro: Çiya è una trattoriaccia con banconi di legno, cibo pronto e servizio avventuroso. Ma la qualità è eccellente e qui davvero potrete sbizzarrirvi creando da soli una sorta di menu degustazione tra i più tipici piatti turchi (le verdure sono tutte da urlo). Inutile elencarvi i piatti: sono decine e cambiano di continuo a seconda della stagione e del mercato. Costituiscono una sorta di compendio delle cucine regionali grazie all’opera instancabile del proprietario e chef Musa Dagdeviren, originario della città sud-orientale di Gaziantep e sorta di antropologo culinario: raccoglie e pubblica ricette da tutto il Paese e pubblica persino una rivista dedicata alla cultura del cibo turco (Yemek ve Kultur). Di fronte a Çiya Sofrası è Çiya Kebap, figlioccio ancor più easy tutto dedito al tipico piatto turco-arabo a base di carne. E per un perfetto dopocena, sempre in zona, c’è Fazil Bey (Serasker Caddesi 1), che vi aiuterà a superare ogni possibile pregiudizio attorno al turkish coffee








Balik significa pane, ekmek pesce. Balik ekmek, dunque, è il tipicissimo panino col pesce che potrete degustare all’imbarcadero di Eminonu, all’estremità meridionale del ponte di Galata. Qui sono ancorate diverse barche-cucina con grandi griglie dove gli sgombri sfrigolano pronti per essere serviti tra due fette di pane bianco, un po’ di cipolla appena scottata, sale e limone a volontà, anche in funzione anti-vibrione. Non leggero, magari un po’ junk food, ma davvero gustoso








Balik ekmek è solo uno dei tanti tipi di street food che potete assaggiare in città. Sempre all’imbarcadero di Eminonu (ma non solo lì) ci sono svariati chioschetti che vendono anche misir, la classica pannocchia arrostita, o tulumba, una specie di gnocco fritto e condito con abbondante sciroppo dolce (nella foto)








Altra zona da street food per antonomasia è piazza Taksim e dintorni, centro nevralgico della Istanbul moderna e notturna. Chioschi e negozietti sono tantissimi, segnaliamo solo Kizilkayalar in Siraselviler Caddesi 6 per il suo islak burger (islak significa “bagnato”), che è risorsa straordinaria per uno spuntino alle ore piccole, post-disco e/o post-sbornia. E’ un panino curioso perché... fa il bagno turco: viene infatti prima inumidito con una salsa a base di pomodoro e poi, farcito con una polpetta di carne all’aglio, posto in una teca a vapore, sorta di hamam che lo consegna caldo e umoroso alle vostre fauci voraci. Da leccarsi le dita!








Per restare in zona, Taksim (e İstiklâl Caddesi, che da lì diparte: è la via del passeggio e dello struscio della Istanbul moderna, nel quartiere di Beyoğlu) non è particolarmente consigliabile per il turista gourmand: si tratta di un’area turistica e frenetica, più adatta alla vita notturna che a una cena slow. Però due indirizzi non malvagi li forniamo volentieri. Il primo è quello di Zubeyir (Bekar Sokak 28), dove mangiare un buon kebap (o kebāb, in arabo), ossia un piatto di ottima carne arrostita, magari accompagnato – come usa - da un bicchiere di ayran, bibita a base di yogurt leggermente salato e allungato con acqua (attenti a non confondere il piatto di kebap col tipico panino condito, ormai diffuso come street food anche in Occidente e che noi chiamiamo spesso allo stesso modo, ma è in realtà si dice döner kebap, ossia “kebap che gira”, per ragioni evidenti). L’altro consiglio è Antiochia (Minare Sokak 21), dove assaggiare piatti di discreta fattura dell’Hatay, regione turca incuneata tra il confine con la Siria e il Mar Mediterraneo (nella foto)

Ultimissima segnalazione: Istanbul è una città che, nonostante la fama, può essere abbastanza fredda. Ma se nella bella stagione, quando la temperatura sale parecchio, volete rinfrescarvi in un giardino segreto dissetandovi con bibitoni sani e naturali, il miglior posto è Limonlu Bahçe (Yeniçarşı Caddesi 98), ideale per sfuggire dalla frenesia della vicina İstiklâl. All’esterno è solo una porticina in un caseggiato dall’aspetto modesto, ma entrando una serie di scale e passaggi vi condurrà in una vera oasi di piante di limoni e arance. Le specialità della casa sono, ovviamente, le limonate (pure in una versione densa e cremosa, nella foto) e affini; ma anche tutta la caffetteria è di ottima fattura, mentre la cucina – da spuntino veloce – risulta senza infamia né lode


Carlo Mangio

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La meta è comunque golosa, per Carlo Passera

Carlo Passera

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Carlo Passera

classe 1974, milanese orgoglioso di esserlo, giornalista professionista dal 1999, ossia un millennio fa, si è a lungo occupato di politica e nel tempo libero di cibo. Ora fa l'opposto ed è assai contento così. Appena può, si butta su viaggi e buona tavola. Coordinatore della redazione di identitagolose.it e curatore della Guida di Identità Golose alle Pizzerie e Cocktail Bar d'autore. Instagram: carlopassera

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