Partiamo per una volta da una foto, quella che vedete qui sopra in apertura: è di un piatto, Salsiccia di branzino in budello di montone con rafano e torsolo di mela fermentato, «un omaggio a Piergiorgio Parini, lui ne propone una versione dolce, io gliel’ho “copiata” ma declinandola al mondo salato». La salsiccia è aromatizzata con cannella, chiodi di garofano, pepe; la mela è in osmosi di melograno, alloro, di nuovo chiodi di garafano.
Passiamo poi a un altro scatto, quello qui sotto, come degli altri Tanio Liotta ne è l’autore: Cotechino di mare, rosa di Gorizia, polvere di trombetta da morto. La rosa di Gorizia è quella vera, non le sue imitazioni, garantisce l’azienda agricola Lucia di Andrea Gattesco, ovviamente nella città isontina: in questo caso è in versione marinata in vasocottura a crudo, con una nota di melograno e aceto per far sì che gli aromi si esaltino e non si perda il colore. Ma ancor più interessante è il cotechino, «lo facciamo col matàn. I vecchi pescatori lo apprezzavano, ora viene evitato anche perché con le spine della coda strappa le reti».

Cotechino di mare, rosa di Gorizia, polvere di trombetta da morto
A sentire queste parole - vi diciamo tra poco chi le ha pronunciate - viene in mente
Paolo Lopriore quando, due anni e mezzo fa, – era ancora a Como – ci raccontava della bottarice, gran pesce del suo lago: «Durante le vacanze ho letto un libro,
L'arte della cucina sovietica (Einaudi). Parla anche di Como - spiegava - Racconta che alla corte degli zar il fegato di bottatrice, un pesce d’acqua dolce, era considerato una prelibatezza al pari del foie gras. I buongustai russi poi adoravano il suo dorso fritto, che paragonavano alla pinna di squalo. Qui nel lago di Como la bottatrice è diffusa. Ho parlato con alcuni pescatori, il suo fegato viene gettato in acqua come mangime per le anatre. Questo è un territorio d’invasioni e contrabbando, la gente è sempre stata troppo presa a difendersi con la baionetta per sviluppare una cultura gastronomica. Manca una cucina raccontata, è un lavoro da fare».
Grado è un altro luogo di frontiera. E i concetti espressi allora da
Lopriore sono applicati perfettamente
Roberto Franzin, autore dei piatti dei quali vi abbiamo parlato e chef del quasi neonato
Tarabusino delle Oche Selvatiche (lo abbiamo raccontato qui:
Franzin vola alto col Tarabusino), per noi una delle rivelazioni dell’anno. Lui lavora sui prodotti della laguna gradese, è un vulcano silenzioso che in pochi mesi ha eruttato idee a getto continuo: prima
Macino, la farina ottenuta con gli scarti della lavorazione dell’uva, vi sta producendo in questi giorni deliziosi panettoni, oltre che pane, grissini, pasta e quant’altro, naturalmente; adesso anche questi salumi di mare, ottimi all’assaggio, e allora torniamo alla sua descrizione, al
matàn che nessuno più apprezza, «
matàn è il nome che gli danno i pescatori locali, si tratta dell’aquila di mare, pesce imparentato con le razze (e coi pescecani,
ndr). I vecchi lo mettevano a essiccare sulla barca, poi veniva ammollato e consumato previa mantecazione».

I salumi di mare di Franzin: salsiccia di branzino e cotechino di matàn
Franzin ci fa un cotechino di mare, appunto, con l’aggiunta di un po’ di trippa di baccalà, il tutto racchiuso nella pelle d’anguilla, come fosse un budello di maiale, e poi passato all’oliocottura. Squisito, lo serve come abbiamo visto col contrappunto aromatico della rosa di Gorizia e poi la polvere di trombetta da morto, per dare una nota terrosa.
Spiega l'
Ersa (Agenzia regionale per lo sviluppo rurale del Friuli-Venezia Giulia) che "la preparazione del
matàn, del peso variabile fra 1 e 3 chilogrammi, avviene durante l’estate. Viene tagliato a fette messe ad asciugare ed essiccare al sole da giugno ad agosto. Ogni piccola parte viene legata l’una all’altra per mezzo di un piccolo spago infilato in un grosso ago, spago che alla fine sostiene tutte le parti dell’intero
matàn. Resta esposto a tutte le intemperie rimanendo però sempre all’aria marina. Quando è ben essicato, dopo due-tre mesi, è pronto per essere adoperato per fini gastronomici. (...) Un tempo i pescatori usavano, immediatamente dopo averlo pescato, tagliare a fette il
matàn, cucirlo e appenderlo sul pennone della barca per farlo essiccare".
E ancora: "La tradizione del
matàn risale ancora a quando i pescatori vivevano nei casoni della laguna (ritornavano sulla terra ferma solo tre volte all’anno), addirittura ben oltre un secolo fa. Anche questo pesce veniva conservato per i momenti di carestia o di mancanza di pesce. Talvolta veniva barattato, con la gente della Bassa Friulana, con farina bianca per fare la polenta. Un tempo questa era necessità di vita, oggi il
matàn è considerato quasi una rarità, comunque una prelibatezza".
Franzin ne sta valorizzando la versatilità gastronomica, sulla base però di una logica di fondo che caratterizza tutta la sua proposta di menu, lo vediamo nella nostra fotogallery: il recupero di lavorazioni tradizionali ha anche un valore sociale, poiché declina concetti contemporanei. No scarti, sostenibilità alimentare: proprio su questi temi lo chef sta organizzando per i primi giorni del maggio 2018 un evento che si chiamerà Ethos, con l'obiettivo di promuovere un messaggio sostenibile ma concreto da declinarsi nel food, moda, design e arte.
Ci sarà una "tavola sostenibile" di produttori locali che andranno a servire ristoranti di livello in un menu dedicato Ethos per 3 giorni; e poi anche un convegno e attività didattiche con i ragazzi.