Pubblichiamo quest'articolo a firma Giovanni Fiorin di Pisacco a Milano, per lanciare Misture Alcoliche, tre serate speciali organizzate in occasione di Identità Golose dal bistrot di via Solferino: mercoledì 6, giovedì 7 e venerdì 8 febbraio, tre serate-percorso nell'arte del bere miscelato, alla scoperta di ricette e ingredienti dimenticati.
A tavola si beve vino, siamo italiani. Questo è probabilmente uno dei principali fattori che ha contribuito, per molti anni a tenermi lontano dal bere miscelato, dai cocktail o dalle "misture alcoliche" (come ho letto in un vecchio libro). I corsi di sommelier e la convinzione (l’equivoco) che bere bene sia naturalmente il contrario di bere cocktail.
Poi, quasi per caso e seguendo un percorso dettato dalla curiosità mi capita di attraversare (letteralmente) il muro che divide un anonimo fast food del Lower East Side di Manhattan e il Pdt, Please Don’t Tell, un nome che ben esprime il senso del trend che si è sviluppato anni or sono nella Grande Mela, arrivando anche in Europa soprattutto a Londra, l'altra grande capitale del bartending. Gli speak-easy, quei locali nati durante il proibizionismo negli Stati Uniti che erano obbligati a nascondersi, a mascherarsi dietro ad altri negozi per vendere alcolici.

Ma le mode sono mode e questa probabilmente è gia passata. Qualcosa però sembra essere rimasto: fioriscono nel mondo locali e cocktail bar nei quali giovani barman studiano, ricercano e ripropongono vecchi classici ormai dimenticati, che ci riportano indietro all'epoca d'oro in cui i cocktail nascevano prima e si sviluppavano poi. Le attenzioni maniacali a tutti gli aspetti della preparazione fanno pensare all'alta cucina, dal ghiaccio all'attrezzatura (magari di ideazione giapponese, nuovo eldorado di talenti). Il recupero poi di vecchi liquori, vermut inclusi, suggerisce un movimento orientato alla ritrovata qualità delle materie prime, che abbiamo visto pervadere altri settori dell'ospitalità e della ristorazione.
E che potrebbe essere la svolta definitiva. Ecco allora
Death&Co,
Employees Only, il glorioso
Pegu Club o il trendy
Flatiron Lounge di New York City piuttosto che il bar del
Connaught (uno dei migliori, un italiano allo shaker,
Agostino Perrone) o del
Langham, il mitico
Savoy (la versione di
Corpse Reviver inventata qui, da
Joe Gilmor nel 1954 parla decisamente italiano con l'aggiunta di Fernet Branca) ma anche il
Night Jar (questo davvero difficile da individuare_ ben nascosto in un interrato fuori dal ogni giro di locali londinesi). I tre
Constellation di Shanghai ed anche
el Còctel dal richiamo spagnolo ma guidato da giapponesi o lo
Sugar c/o
Maison Pourcel sempre a Shanghai (alla guida un'altro italiano,
Guglielmo Miriello). Ed anche la bella novità di
Le Coq, a Parigi, grande qualità in un garage
trés chic.
Milano? No, per il momento non pervenuta. In molti dichiarano di fare il miglior mojito della città. Basta?