Il cuoco Riccardo Orfino, veneto, 29 anni, ha ottenuto un po' di notorietà e visibilità, in particolare milanese, quando si è preso sulle spalle la cucina della trattoria/bistrot LadyBù, gestendone l'apertura sotto la supervisione di Alessandro Negrini e Fabio Pisani del Luogo di Aimo e Nadia. In circa un anno e mezzo di lavoro ha dimostrato talento, gusto e inventiva, portando LadyBù a conquistarsi lodi e spazio su diverse guide, tra cui anche quella di Identità Golose.
Da qualche mese ha però lasciato quel locale per prepararsi a una nuova avventura, che lo porterà dai primi di marzo a Eataly New York. Conversando con lui qualche giorno prima della sua partenza, è interessante ascoltarlo ricordare alcuni passaggi importanti della sua crescita professionale.
«Dopo la scuola alberghiera e un po' di gavetta, a 23 anni, in Sardegna, mi venne affidata la gestione della cucina di un ristorantino semplice, anche carino, ma molto lontano da qualsiasi idea di ristorazione gourmet. Alla fine di quella stagione, un po' spavaldo, decisi di partire per un'esperienza a Londra. Ed è stato un trauma, mi hanno massacrato.»
In che senso?
«Pensavo di sapere, se non tutto, almeno qualcosa. Invece in una grande cucina, in mezzo a una brigata di 15 persone, mi sono reso conto di non saper fare nulla! E' stata una rivelazione dura, ma importante. Ho proseguito per un po' a Londra, poi grazie a un amico sono arrivato nella cucina dell'Hilton Molino Stucky a Venezia, e dopo 8 mesi l'executive chef dell'Hilton mi mise in contatto con Fabio Pisani per un'esperienza al Luogo di Aimo e Nadia.»

Riccardo Orfino, Fabio Pisani, Alessandro Negrini e lo staff del ristorante Al Fresco, celebrano il titolo di "Miglior trattoria di Milano 2014" assegnato a LadyBù dalla guida de I Cento. La cucina di LadyBù è stata ora affidata a Nico Rizzi, sempre proveniente dal "vivaio" del Luogo di Aimo e Nadia
Non potevi sapere ancora che sarebbe stata la svolta della tua carriera...
«No, ma ricordo perfettamente ogni dettaglio. Era il 31 ottobre del 2010 e arrivai a Milano per un colloquio con
Fabio. Prima ancora di iniziare mi portò a visitare le celle frigorifere: la carne, le verdure, tutte le primizie e le bontà che da sempre distinguono il ristorante. Rimasi davvero impressionato dalla qualità incredibile di quei prodotti.
Fabio mi chiese solo se avevo voglia e passione: risposi di sì e così iniziò la mia esperienza più importante.»
Come racconteresti il periodo da Aimo e Nadia?
«I primi sei mesi, durissimi. Per la pressione, soprattutto psicologica, che ti viene messa addosso, credo giustamente: serve a capire quanto tu possa dare e quanto ti si possa chiedere. Anche se
Aimo e
Nadia in cucina non c'erano più quando sono arrivato, poterli conoscere è stato illuminante. Ricordo tanti momenti di crescita, umana e professionale, avuti con loro. Ed è grazie a quei momenti che è nata dentro di me questa voglia di ricerca dell'eccellenza assoluta nella materia prima.»
Poi è arrivata l'avventura LadyBù.
«Dopo tre anni e mezzo, manifestai a
Pisani e
Negrini la mia voglia di fare nuove esperienze, sentivo di aver compiuto un percorso. E da loro arrivò questa opportunità del lancio di
LadyBù. Era una sfida che mi entusiasmava, perché voleva dire non solo stare in cucina, ma anche gestire il rapporto con i clienti. Il piccolo successo che abbiamo ottenuto è frutto del lavoro di squadra e della grande attenzione che mi hanno dedicato
Fabio e
Alessandro, dal primo all'ultimo giorno. Trovo straordinario il modo in cui si concentrano sulla formazione, mi hanno davvero dato tantissimo. Sono orgoglioso di quello che abbiamo fatto insieme.»
E ora ti aspetta Eataly New York. Come è arrivata questa occasione?
«Ci tengo a raccontare la storia, perché tempo fa avevo letto in un articolo che
Oscar Farinetti sarebbe venuto a mangiare da
LadyBù per poi farmi un'offerta. Non è vero. Sono stato io a cercarmi questa occasione, parlando con
Nicola Farinetti. Lui era un mio cliente, e io ho sempre avuto il grande desiderio di andare in America. Così decisi di parlarne con lui, di chiedergli consigli.
Nicola mi disse che stavano cercando uno chef italiano per New York, per il ristorante del nuovo negozio che apriranno a Ground Zero, e io, pur con molte insicurezze iniziali, ho deciso di buttarmi e di propormi.»

Orfino ritratto insieme a Paolo Marchi durante l'ultima edizione di Tutti a Tavola
Quindi cosa farai al tuo arrivo a New York?
«Formalmente la mia qualifica sarà di executive chef, ma non significa che non starò in cucina: ho ancora molto bisogno di cucinare e di crescere. Nei primi mesi sarò al fianco di
Fitz Tallon, l'executive dell'attuale negozio
Eataly, senza certamente voler cambiare quel progetto già così straordinariamente efficace. Contemporaneamente cominceremo a lavorare sull'apertura, prevista per novembre 2015, del nuovo
Eataly a Ground Zero. E' entusiasmante come prospettiva; l'idea di costruire io, in prima persona, una brigata e una proposta gastronomica mi emoziona molto.»
Hai già qualche idea a riguardo?
«Da subito ho detto a
Nicola Farinetti che non voglio assolutamente scendere a compromessi con il mercato americano. Voglio continuare a seguire la mia filosofia di italianità e di ricerca sulla materia prima. E' ancora molto presto per pensare a cosa ci sarà nel menu: voglio riproporre la filosofia del
Luogo di Aimo e Nadia, che ho sentito ribadire solo qualche giorno fa da
Alessandro e
Fabio sul palco di
Identità Milano. Parlavano di 82 produttori che forniscono materie prime straordinarie, io so quanto questo sia vero e quanto sia sincero e diretto il rapporto con queste persone, un rapporto che va al di là del semplice ambito professionale. Mi piacerebbe riuscire a fare lo stesso a New York, e trasmettere alle persone con cui lavorerò il grande rispetto che un cuoco deve sempre avere per i contadini, gli agricoltori, gli allevatori. Per chi con il proprio lavoro onesto e appassionato ti porta in cucina quello che serve per fare un grande piatto.»