11-03-2024

Identità Milano 2024, anche la pizza è regina di disobbedienza

Irina Steccanella, Antonio Pappalardo, Francesco Capece, Davide Longoni, Vincenzo Capuano, Giuseppe Cutraro e Ciro Salvo hanno rotto gli schemi: topping intriganti, impasti più leggeri, sostenibilità umana e lo champagne come alleato

Un momento di Identità di Pizza a Identità Milan

Un momento di Identità di Pizza a Identità Milano 2024. Tutte le foto sono di Brambilla-Serrani

Era il 2011 quando per la prima volta nel mondo Identità Milano faceva salire sul palco di un congresso di cucina d'autore un pizzaiolo mettendo a segno una disobbedienza rivoluzionaria. Da allora la pizza è diventata gourmet e lo champagne ci va a braccetto. Identità di Pizza racconta questa evoluzione con la testimonianza di alcuni protagonisti talentuosi e disobbedienti. Il via lo dà Giovanni Amodio, vicepresidente della Latteria Sorrentina (partner di Identità in Identità di Pizza), che spiega «la rivoluzione appena messa in atto. Per noi la disobbedienza è la libertà di rompere gli schemi andando oltre il pensiero comune. Non è vero che sulla pizza va solo il fiordilatte, noi abbiamo sdoganato il fiordilatte in panna». Alla rivoluzione partecipa con sorridente orgoglio anche Antoine Billecart, sesta generazione (ma sono già alla settima) della storica maison francese nata nel 1818 e da allora, 206 anni, sempre con la stessa famiglia al timone. «Mio nonno – ha scherzato Antoine – si rivolterebbe nella tomba se sapesse che oggi il suo champagne è abbinato alla pizza e non a ostriche e astici. E, invece, è un accostamento geniale, è duttile e universale. Siamo felici di aver sfatato un luogo comune». Al suo fianco Gil Grigliatti conferma i grandi risultati del marchio importato e distribuito in Italia da 52 anni da Velier che lui rappresenta. Ma poi la pala, pardon, la parola passa ai pizzaioli.

 

IRINA STECCANELLA – Irina Trattoria e Pizzeria, Savigno (Bologna)

Irina Steccanella con Francesca Barberini, che ha condotto le lezioni di Identità di Pizza

Irina Steccanella con Francesca Barberini, che ha condotto le lezioni di Identità di Pizza

La pizza Scarpetta

La pizza Scarpetta

Irina Steccanella ha 45 anni ma è emozionata come una bambina prima di salire sul palco di Identità Milano. Lei è abituata a lavorare e a non stare mai ferma da quando subito dopo la scuola alberghiera bussò ad ogni porta per avere la possibilità di crescere ed alzare l'asticella. Pianse di gioia quando Massimo Bottura le telefonò per proporle uno stage all'Osteria Francescana («Dalle elementari finivo all'università tutta d'un colpo») e fece altrettanto quando a chiamarla al Reale fu Niko Romito. Alla fine Irina, nel 2019, la sua trattoria la apre davvero, a Savigno, sui colli bolognesi, dove mette alla prova la sua abilità con la tradizione, ma sorretta da un credo indissolubile: «La mia cucina deve essere riconoscibile, la mia mano non deve essere la fotocopia di altro». Poi nel 2020 arriva il Covid, «io ci casco dentro pesantemente – racconta – nella prima ondata. Perdo il gusto all'80%, i clienti iniziano a dirmi che i tortellini e le lasagne restano buoni ma non sono più come prima. Provo a correre ai ripari per salvarmi dai debiti lasciati dalla pandemia. Elimino la cucina, prendo un pizzaiolo e metto al centro della sala un grande forno per le pizze. Se non posso più essere chef, faccio l'imprenditrice mi dico. Già, ma poi...». Il pizzaiolo se ne va dopo 3 mesi e lei che fino ad allora le pizze le ha solo mangiate, non si tira indietro. Chiede consiglio prima all'amico Filippo Venturi e poi a Franco Pepe. Si trasforma in pizzaiola e torna a sorridere «come non succedeva da 3 anni. Dentro avevo una leggerezza mai provata». Qui ci fa provare la sua pizza Scarpetta fatta con il suo impasto speciale («Uso una sola farina, poco olio e niente sale»), il ragù leggero leggero (senza burro né latte e con solo un po' di grasso della pancetta) e il parmigiano. Abbinato al Billecart Salmon Brut Rosè, forse lo champagne più riconoscibile e icona della maison, è un matrimonio... per sempre. (P.P.)

 

 

ANTONIO PAPPALARDO - La Cascina dei Sapori a Rezzato (Bs) e Inedito a Brescia

Antonio Pappalardo

Antonio Pappalardo

La pizza Vittoria Alata

La pizza Vittoria Alata

Antonio Pappalardo è nato a Castellamare di Stabia, tifa Napoli ma la sua rivoluzione l'ha messa a segno nel bresciano. Lui e la pizza si sono scelti reciprocamente, nella ristorazione ci è cresciuto per tradizione famigliare e ha abbracciato un obiettivo: portare la pizza da prodotto popolare a prodotto culturale. Anche in questo caso i batticuori della pandemia hanno fatto da spartiacque. Antonio nel 2007 aveva aperto a Rezzato (Bs) La Cascina dei Sapori, locale di grande successo capace di arrivare fino a 200 coperti nel weekend, a Brescia, invece, nel 2021 inaugura l'Inedito con 45 coperti e la convinzione sempre più forte che si possa essere sostenibili economicamente anche facendo meno numeri. E così dal settembre 2023 anche La Cascina dei Sapori diventa un piccolo scrigno, ridisegnato con il coraggio del rivoluzionario. Coperti più che dimezzati, look completamente rifatto, una cura al dettaglio, al servizio, alla qualità del lavoro e della vita, alla scelta scrupolosa degli ingredienti, alla ricerca continua sui lievitati convinto che l'impasto si possa sempre migliorare. E poi la conoscenza del territorio battuto palmo a palmo per incontrare personalmente ogni singolo produttore. «Quando dico – spiega - che la pizza deve diventare un prodotto culturale significa che deve raccontare qualcosa di unico per quel luogo». Pappalardo si è agganciato a “Bergamo Brescia Capitale della cultura” per costruire un itinerario attraverso 7 pizze ispirate ai principali monumenti di Brescia e create con gli ingredienti del territorio e del lago. Anche in questo caso un calice di Billecart Blanc de Blancs Grand Cru si è accostato bene alla pizza Vittoria Alata con coregone del Lago d'Iseo, puntarelle e burro alle sarde di Montisola. (P.P)

 

 

FRANCESCO CAPECE - Confine a Milano

Francesco Capece presentato da Marialuisa Iannuzzi

Francesco Capece presentato da Marialuisa Iannuzzi

Marinara

Marinara

Eccolo Francesco Capece, 33 anni, nato a San Cipriano Picentino, nel Salernitano, che impara il mestiere in casa e poi va a fare la sua rivoluzione nella Milano da mangiare e da bere. «Mamma non voleva più parlarmi, disse che ero pazzo» racconta, ma lui sa che con al fianco Mario Ventura, sommelier e ricercatore di buone etichette, nulla è impossibile e così nell'aprile 2023 apre Confine. Per Francesco la rivoluzione è puntare subito sul concetto di pizzeria come luogo di esperienza, accoglienza e umanità. «Ho voluto dare valore alla pizzeria – racconta –, togliendo la retorica legata alla figura del pizzaiolo e mettendo diversi mondi in perfetto equilibrio. Abbiamo puntato a un locale sostenibile economicamente ma anche umanamente. È un luogo d'incontro e non di separazione. Da noi si deve stare bene, personale e commensali». E sottolinea un concetto importante: «Il tempo ha grande valore. Noi non vogliamo essere un moltiplicatore di numeri, il concetto di mangiare la pizza in 20 minuti e andarsene non esiste. Un commensale al nostro tavolo ci sta almeno 2 ore perché la pizza è un racconto e un incontro. Vogliamo rivoluzionare l'umanità di servizio». Francesco resta «un ragazzo di paese» e lo intuisci quando ti fa vedere come una semplice Marinara può andare oltre ogni aspettativa, portando all'estremo il concetto stesso di pizza grazie a un impasto dall'idratazione spinta utilizzando farina di tipo 1. La potenza degli ingredienti, anche in questo caso, si esalta bene con un Billecart Rosè che tiene botta a una serie di topping molto complessi. Qui serve agilità nel vino, per sorreggere l'intenso umami, l'aglio, il gel di basilico, l'affumicato, la dolcezza della polpa di San Marzano e della crema di datterino siciliano. Come dice Capece: «Viviamo bene se mangiamo e beviamo bene». (P.P)

 

 

DAVIDE LONGONI - Panificio Davide Longoni a Milano

Davide Longoni e Davide Orlando

Davide Longoni e Davide Orlando

I lieviti di Longoni

I lieviti di Longoni

Cinque tipi di lievito da assaggiare, invece della michetta, di una fetta di pane o di un lievitato grande o piccolo: sponge, biga, lievito in coltura liquida, pasta madre solida e lievito di birra. Un assaggio, quello proposto da Davide Longoni a Identità Milano, che stupisce. Ma soltanto chi non ha mai avuto modo di conoscerlo. Non è difficile infatti per Davide Longoni, che lo fa da sempre per stile di vita, adeguarsi al tema del congresso: la disubbidienza. La sua è un continuo perpetrare la prima ribellione adolescenziale: quella contro papà che, preoccupato dalla concorrenza delle catene della grande distribuzione che sfornavano il pane tutto il giorno, non l’avrebbe voluto panificatore come lui. «Mi fece capire che era meglio cambiare aria», racconta il panificatore milanese che ha studiato (e tanto) prima di tornare alle origini. Ribellandosi, naturalmente. «Dalla michetta passai al pane di filiera agricola: un pane grande, scuro, con la crosta». Per poi tornare di recente alla michetta, diversa da quella del passato, preparata con una biga e farina integrale senza additivi, e firmata “con disubbidienza” da Davide Orlando, che la sforna nel laboratorio del Mercato Centrale. Perché, rivoluzionando ancora una volta, Longoni si è trasformato da uomo con le mani in pasta a “padre putativo” di una nuova generazione di panificatori che sta facendo crescere. Confessa: «Il pane adesso lo fanno loro, a volte non so nemmeno come lo fanno: mi fido molto, anche se sbagliano. Mi sento come un padre che deve permettere ai figli di sbagliare per crescere». Questo non imbiancarsi più di farina, però, non ha spento il suo ardore: «L’ossessione di rimanere contemporaneo mi fa ancora tremare le mani», ammette Longoni che definisce il pane «il punto di contatto tra la natura e l’uomo: un fermentato come il vino e i formaggi». E il pane non può che partire dal lievito che, quindi, va assaggiato… anche a Identità Milano. Per la cronaca: al Panificio Longoni si usa la sponge, un prefermento con farina tipo 2 e segale e lievito di birra mantenuto a 5-7° come base per le pizze; la biga, con farine più bianche, minore idratazione della sponge e gestito a temperatura più alta, per la michetta e per il pane non agricolo; il lievito in coltura liquida che ha una prevalenza di batteri lattici su quelli acetici per il pane di grande formato e impasti più estensibili; la pasta madre solida che tende all’acetico per i grandi e piccoli lievitati, e il lievito di birra compresso che può essere utilizzato per quello che serve. Perché, conclude Longoni, «adesso non sono più dogmatico». E fuori da ogni dogma anche accompagnare gli irrituali assaggi di lieviti a un calice di champagne Billecart Blanc de Blancs Grand Cru SA, ma (è provato) il palato torna pulito! (M.C.)

 

 

VINCENZO CAPUANO - Pizzeria Vincenzo Capuano a Napoli

Vincenzo Capuano

Vincenzo Capuano

Oddio la panna

Oddio la panna

«Posso scrivere un libro sulle mie disobbedienze». Vincenzo Capuano, il pizzaiolo che ha Napoli nel cuore fa trovare in tavolo una forbice agli ospiti delle sue 23 (ormai quasi 24) pizzerie che portano il suo nome, cita la prima e la più rivoluzionaria delle sue disobbedienze: «Inseguire i miei sogni, perché a Scampia dove sono nato t’insegnano a non sognare». Che per Vincenzo ha significato dire al nonno, «pizzaiolo e mio maestro», di voler seguire la sua strada che è passata per Rosso Pomodoro, «dove crearono un lab per me perché continuavo a cambiare ogni cosa». Poi nel 2016 la vera rivoluzione si concretizza nella pizza che serve nella sua prima pizzeria: «Volevo posizionarmi e facevo la pizza piccola e alta: era nata la mia contemporanea con un cornicione di design più che riconoscibile, ma non gourmet: sopra metto molta cucina di famiglia, la parmigiana di nonno o la crema di zucchine di nonna». Pizza che, però, non è arrivata per caso: «Ho studiato farine, materie prime e lievitazione e ho codificato un metodo: prefermento solido al 100%, idratato all’80%, maturato a 24 ore di temperatura controllata». Metodo che è replicato dalla Campania a Milano, da Roma a Berlino e «speriamo di arrivare presto Oltreoceano». Forbici comprese, «che sono state l’ultima disobbedienza e sono parte di quella che io chiamo Capuano Experience che si ripete in tutti i locali al momento del taglio della pizza». Locali dove il menu è pressoché uguale – 7 uniche con una pizza dedicata alla città in cui si trova il locale, e 3 stagionali («Non credo sia un bene cambiare sempre la carta perché la gente s’affeziona alla proposta») – e dove lavora un piccolo esercito di oltre 400 persone. A queste si aggiunge il team che aiuta Capuano, che è anche influencer da oltre 630mila follower cui si aggiungono gli oltre 220mila della pizzeria, nella gestione dei social cui dedica parte della mattinata: «Sono diventato influencer perché quando ho cominciato a girare il mondo volevo essere un esempio per il mio quartiere». In assaggio una Provola e pepe contemporanea con pomodorini, e la Oddio la panna con fiordilatte in panna, crumble di prosciutto crudo e uovo. In abbinamento Billecart Rosè con morbidezze che reggono i picchi aromatici. (M.C.)

 

 

GIUSEPPE CUTRARO - Peppe Pizzeria a Parigi

Giuseppe Cutraro

Giuseppe Cutraro

Pizza con fiordilatte in panna, tartare di gambero, insalata di arancia e aneto

Pizza con fiordilatte in panna, tartare di gambero, insalata di arancia e aneto

Cinque pizzerie a Parigi che, fra poco, saranno sei cui presto seguirà un’apertura a Bordeaux. È il regno Oltralpe di Peppe Cutraro: classe 1998, nato ai Quartieri Spagnoli di Napoli, si considera un «disobbediente». Ad alimentare la sua disobbedienza è un’inquietudine che ciclicamente lo spinge a rompere la monotonia chiudendo le valigie. Lo ha fatto a 18 anni quando, salutata la mamma (che l’ha cresciuto da solo), vola a New York senza conoscere una parola d’inglese. «Dopo aver cominciato la formazione da pizzaiolo, ho capito che Napoli mi stava un po’ stretta perché c’era poco spazio per i giovani e gli anziani erano gelosi delle loro ricette», racconta Cutraro. L’esperienza è di quelle che cambiano la vita «personale e professionale», ma la nostalgia gli fa richiudere la valigia per tornare a Napoli dove, però, non trova lavoro. Riparte per Malta, dove conosce Sarah che poi diventerà sua moglie: rimane lì due anni. «Ma era troppo piccola (malta, non Sarahndr) per non starmi stretta. Cominciai a leggere tutti i libri che potevo sugli impasti e richiusi la valigia destinazione Losanna», racconta. In Svizzera, gestisce una pizzeria con altri tre soci: ma l’inquietudine era in agguato. «Nel 2017 conosco Big Mama: a loro mancava una persona che gestisse il loro boom, io avevo bisogno di crescere sul fronte manageriale, ci innamoriamo a vicenda e vado a Parigi. Divento una macchina da guerra, ma sono inquieto. Vinco il Trofeo Caputo di pizza napoletana contemporanea, mi licenzio, trovo un locale nel 20° arrondissement e apro Peppe Paris portando la pizza contemporanea con idratazione 72%: mia moglie alla cassa e io alle pizze. Non potevo sbagliare perché tutti mi aspettavano al varco, escono due recensioni su Le Figaro e Le Parisien e il giorno dopo trovo una fila di 200 metri». Oggi la pizza più venduta è proprio la vincitrice del Tropeo Caputo: ossia la Campione con fiordilatte in panna («che in Francia non è malvista»), prosciutto crudo, pomodoro giallo, confettura di fichi, provolone dolce e mandorle tostate, che porta in assaggio, insieme all’inedita con fiordilatte in panna, tartare di gambero, insalata di arancia e aneto. In abbinamento un calice di Billecart Blanc de Blancs. (M.C.)

 

 

CIRO SALVO - 50 Kalò a Napoli, Roma e Londra

Ciro Salvo con Francesca Barberini

Ciro Salvo con Francesca Barberini

Pizza e cavoli

Pizza e cavoli

A chiudere Identità di Pizza è Ciro Salvo, un pizzaiolo controcorrente rispetto al tema di Identità Milano: «Sono fedele alle tradizioni e poco indole alla disobbedienza. Però – butta lì - mi piace ripensare la cucina delle nonne per i topping». E piace anche a noi Pizza e patate, la prima delle tre pizze in assaggio, è un’esplosione dei sapori semplici della pasta e patate napoletana: base con parmigiano, provola e crema di patate. Una pizza che è uguale a Napoli, Roma e Londra, le tre città che ospitano gli altrettanti locali di Salvo a marchio 50 Kalò, nome mutuato dal linguaggio segreto dei pizzaioli dove 50 sta per pizza e Kalò per buona. La prima 50 Kalò, quella di piazza Sannazzaro a Napoli, festeggia quest’anno il decennale: «Quando aprimmo era l’alba delle pizzerie moderne: io ho portato il mio impasto che ricorda la pizza di una volta, l’ho pensato studiando da autodidatta per rendere la pizza più digeribile, soffice, leggera e uso farina con germe di grano. Poi è arrivato nel 2017 un locale di panini a Napoli. E ancora la sede di Londra a Trafalgar Square dove sono riuscito a consolidare e la barca va. E, infine, la pizzeria a Roma, che un po’ per bravura e un po’ per fortuna sta andando bene». La fortuna, però, centra poco. «Ho lavorato molto sulla standardizzazione. Mi avevano detto a Londra non mangiano salumi, ma io sono andato dritto per la mia strada: chi mangia a Roma o a Londra deve sentirsi a Napoli, per vini e ingredienti. Credo che quando ci sono radici solide, esperienza, serietà, costanza e saper fare, si ha successo». Radici e novità ci sono tutte nelle altre due pizze in degustazione: 50 Kalò Marinara con scarola cotta a vapore, pomodorini freschi datterini, olive, capperi, aglio, e Pizza e cavoli con crema di cavoli bianchi cotti in acqua e latte, e cavoli gialli, verdi e bianchi croccanti. A ogni pizza, Ciro Salvo, abbina un olio selezionato. Noi abbiamo chiuso con un Billecart Rosé. (M.C.)


IG2024: la disobbedienza

Tutti i contenuti di Identità Milano 2024, edizione numero 19 del nostro congresso internazionale.

a cura di

Mariella Caruso e Paola Pellai

giornaliste professioniste di razza, di quelle che san sempre trovare la soluzione. Mariella è catanese a Milano da una vita, Paola bustocca (vale a dire: di Busto Arsizio), entrambe hanno spaziato in ogni settore del giornalismo. Fan parte della squadra di Identità Golose

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