30-01-2023

La Colombia di Leonor Espinosa: la gastronomia come fonte di ricchezza

Sucre, Zotea, Laboratori gastronomici e Todos somos amazonas: quattro progetti della fondazione della chef che racconta il territorio colombiano  come nessun altro

Leonor Espinosa sul palco di Identià Milano 2023

Leonor Espinosa sul palco di Identià Milano 2023

La necessità e il desiderio che la Colombia sia conosciuta nel mondo perché si risvegli una consapevolezza globale sull'importanza che questa area ha sulla "salute" del pianeta. Basti pensare al problema del disboscamento della foresta tropicalee allo sfruttaento selvaggio del territorio che mettono in pericolo la vita di tutti noi.

Il lavoro di Leonor “Leo” Espinosa e della figlia Laura Hernández è quello di accendere un faro sulle 400 comunità indigene che abitano quest'area, che vanno protette perché,  dice la chef «conoscono la medicina ancestrale, ricette antichissime, sanno come proteggere le piante e usarle per fini di alimentazione o di benessere. Sono insegnamenti che non possono andare perduti».

«L'Amazzonia appartiene al mondo e il futuro del pianeta dipende dalla sua salvezza - dice la chef presentata sul palco da Gabriele Zanatta - Tutti facciamo parte della soluzione».

Seconda solo al Brasile per biodiversità, la Colombia è un luogo magico che unisce la foresta amazzonica, il deserto, la costa caraibica. La chef Espinosa è la portavoce di milioni di persone appartenenti alle comunità indigene africane che per anni sono state nascoste e non hanno avuto una voce. «E nessuno come Leo Espinosa riesce a raccontare tutto questo» dice Zanatta.

Tutto inizia con l'Associazione Funleo, fondazione che rivendica l’identità, la cultura e la gastronomia colombiana a partire dalle tradizioni indigene.

«Avevo appena aperto un ristorante di cucina colombiana e lì ho capito la possibilità di generare benessere grazie alla biodiversità. Ho capito che potevo fare di più - dice Espinosa -.Da lì abbiamo iniziato a organizzare in territorio colombiano una serie di laboratori gastronomici - ben 14 - per farla conoscere, oltre a 30 workshop con i bambini per sensibilizzarli sul tema della sostenibilità agricola. Queste innovazioni hanno consentito di migliorare i processi alimentari di queste comunità. Purtroppo sono zone con grandi crisi sociali e riuscire a formare cuoche e cuochi sono strumenti di empowerment, soprattutto per le donne».

Si continua con il progetto Zotea, dedicato al versante pacifico, dove la chef lavora con le comunità africane, portatrici di una enorme ricchezza identitaria. Si tratta di un progetto comunitario formato da un ristorante, una serra e una produzione di olio di cocco. «Una iniziativa incredibile che ha un enorme valore per la comunità e che racconta i piatti degli antenati come il tapao, pesce che veniva cucinato in periodi di schiavitù, cotto nelle foglie di banano con la sua salsa. Le mangrovie ospitano una folta fauna marina che bisogna proteggere e apprezzare» si racconta nel video.

Un altro importante progetto è Sucre - ha un sapore diverso, che vuole far risaltare nella carta geografica un luogo con ben 4 ecosistemi, tra cui il sistema montuoso dei Monti di Maria e la città di Cartagena, dove c’è stato un forte movimento schiavista. «Stiamo lavorando anche per la creazione di un centro gastronomico, come già per Zotea. Qui c'è un bel mix di popolazione indigena, meticcia, oltre alla comunità di ascendenza africana. L’idea è allontanarsi dalle ricette quotidiane senza però perderle. Ad esempio cuciniamo lo sformato di carne di caimano, con peperoncino e riso. E poi il guate, a base di granchi grandi con platano riso e latte di cocco, igname».

Un piatto del ristorante Leo

 

Un piatto del ristorante Leo

 

«E’ importante che le persone vengano a vedere come cuciniamo il cibo e possano assaggiarlo direttamente. Vivere con una natura così è unico. Ho visto persone che hanno risorse limitatissime ma che sanno vivere al meglio. Ho scoperto il macambo, un piatto ricco di gusti e sapori, mix di acido amaro dolce e aspro. Qui ci sono decine di tipologie di frutto della passione. E poi il porcellino  d’India,  buonissimo. Sono qui per appoggiare la biodiversità della Colombia e sensibilizzare al problema del disborscamento» dice lo chef Rasmus Munk nel vido mostrato dalla Espinosa.

Gli ingredienti colombiani

Gli ingredienti colombiani

Questi progetti culminano e continuano attraverso Leo, il ristorante che rapprresenta la biodiversità della Colombia, capace di raccontare storie uniche. «Abbiamo eliminato l’intermediario, che creava un “errore" nel  sistema - dice la chef-. Diamo la possibilità  ai piccoli produttori di venderci direttamente la merce. Lavoriamo sia sul cibo solido che sulla parte liquida, con produzioni sostenibili di vino e bevande che trovate nello spazio specifico chiamato La sala di Laura. Grazie per lo spazio che ci avete dato in questo Congresso e ci vediamo in Colombia!».

 


IG2023: signore e signori, la rivoluzione è servita

a cura di

Annalisa Leopolda Cavaleri

giornalista professionista e critico enogastronomico, è docente di Antropologia del Cibo e food marketing all'Università di Milano e all'Università Cattolica. Studia da anni il valore simbolico del cibo nelle religioni e collabora con alcune delle più importanti testate del settore

Consulta tutti gli articoli dell'autore