04-01-2023

Nuovi protagonisti a Identità Milano 2023: Quintero, Lazzarini, Pandolfo e il duo Devoto & Ferrandi

Spazio da oggi i volti nuovi che saliranno per la prima volta sul palco del congresso. Partiamo con gli chef di Poggio Rosso nel Senese, Contrada Bricconi in Val Seriana, Cala Luna a Cefalù e di Locanda de Banchieri/Officine del Gusto nel Sarzanese

Dall'alto a sinistra, in senso orario: Juan Ca

Dall'alto a sinistra, in senso orario: Juan Camilo Quintero Merchan, Michele Lazzarini, Gianmarco Ferrandi, Giacomo Devoto e Dario Pandolfo

Da oggi iniziamo a presentarvi in questi spazi i "nuovi protagonisti" di Identità Milano 2023, ossia i relatori per la prima volta invitati a tenere lezioni sul palco nella diciottesima edizione del congresso internazionale di cucina d’autore più importante d’Italia e tra i più prestigiosi al mondo, nato nel 2005 per dare voce, visibilità e accompagnare la crescita degli chef italiani, poi via via allargatosi ai tanti "distretti confinanti", ossia il mondo della pizza, quello della pasticceria, del vino, della mixology, dei prodotti d'eccellenza, dell'ospitalità e dell'hôtellerie. Appuntamento all MiCo di Milano, da sabato 28 a lunedì 30 gennaio.

Tutti i testi sono di Carlo Passera.

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JUAN CAMILO QUINTERO MERCHAN
Poggio Rosso del Borgo San Felice a Castelnuovo Berardenga (Siena)
Identità Sud America, sabato 28 gennaio ore 12,30, sala Blu 1

Tanti si propongono di matchare la cucina (magari regionale) italiana con le più diverse culture gastronomiche internazionali; alcuni ci riescono, costruendo così piatti golosi e piacevoli; pochi son capaci di apportarvi anche piena armonia, insomma un senso di felice compiutezza; pochissimi addirittura sanno arrivare all’eccellenza, a un’esaltante condivisione di concetti, sapori, profumi che moltiplica i propri effetti, è insomma il classico caso nel quale 2 + 2 fa 5.

In quest’ultimo ristrettissimo gruppo collochiamo Juan Camilo Quintero.

Lui, colombiano di Bogotà, classe 1989, arrivato in Italia nel 2010 per studiare a Pollenzo, ci appare predestinato a una carriera da vero campione. Ciò, per la facilità con la quale risolve rebus gastronomici, ossia per l’assoluta padronanza nella composizione di quei mattoncini dell’aroma che vanno a comporre l’architettura gustativa del piatto. Con un ulteriore plus, non da poco: gestisce in scioltezza non solo quelli a noi ben conosciuti, d’area mediterranea per intenderci, o comunque sud-europea; ma apporta pure gli altri, i sudamericani a lui familiari. Mixa insieme e… sorpresa! Ne escono composizioni esatte, pulite, razionali eppure graffianti, solo con rare sbavature ben comprensibili visto il grado di difficoltà dell’impresa. In questa fase gli è solo di gran vantaggio la presenza di un fuoriclasse quale Enrico Bartolini come suo “supervisore” al Poggio Rosso del Borgo San Felice a Castelnuovo Berardenga (Siena).

Anno 2019, Quintero era tornato da sua madre a New York dopo la sua prima esperienza da chef, all’Osteria Volpaia nel Senese, dove già si era ben distinto. «Avevo alcune proposte di lavoro, in Italia e all’estero. Un giorno suona il cellulare, dall’altra parte c’è uno che dice di essere Enrico Bartolini. All’inizio pensai a un equivoco. Poi capii e ne fui lusingato». L’iperstellato Enrico aveva appena acquisito la guida dell’offerta gastronomica del Borgo San Felice, splendido Relais & Châteaux toscano; e come da sua abitudine cercava un talento vero da associare a sé per l’incombenza. Quintero accettò al volo: «Ci demmo appuntamento al Mudec per definire il da farsi. Atterrai a Milano dagli Stati Uniti, entrai al ristorante trascinando la valigia, ero arrivato direttamente dall’aeroporto senza perdere un minuto. Lui apprezzò la cosa. E ci trovammo subito d’accordo».

Quintero non è un creativo di quelli insofferenti a lacci e lacciuoli. Sa calibrare le accelerazioni come le nuances di gusto. È bravissimo nei primi piatti, meravigliosi, a dimostrazione di come un approccio diverso alla pasta “italiana” possa scaturire più facilmente da chi non è cresciuto mangiandola a casa propria e ha quindi meno vincoli di pensiero. E la sua Animella al burro di angostura, verdure marinate, tartare di manzo alla fava tonka, brodo di bucce di platano tostato - memorabile fusione di Italia e Sud America - è forse la migliore di sempre, per noi.

 

MICHELE LAZZARINI
Contrada Bricconi a Oltressenda Alta (Bergamo)
Identità di Pasta, domenica 29 gennaio ore 13,30, sala Blu 1

«È un sogno che si avvera» ci aveva raccontato Michele Lazzarini tempo fa, nel comunicare - era il marzo 2022 - la sua decisione di mollare la Val Badia dopo tanti anni, per "tornare a casa", ossia buttarsi in un'avventura tutta nuova e tutta da plasmare, quella di Contrada Bricconi a Oltressenda Alta, provincia di Bergamo, Valle Seriana, la zona della quale lui è originario. Noi avevamo titolato il nostro articolo "Lascia il 3 stelle, va a cucinare nella fattoria sui monti", leggi qui, perché questa era la sostanza del discorso e in fondo rappresentava anche una specie di segno dei tempi. Di più: può sembrare un paradosso, ma diventa(va) anche la realizzazione di un altro sogno di un'altra persona: quello di Norbert Niederkofler che, nel formulare il concetto-ideologia Cook the mountain, si proponeva non tanto e non solo di innervarvi i suoi locali, quanto di sviluppare una più generale scuola di pensiero gastronomico in grado poi, attraverso i suoi allievi, di propagarsi in tutta la Penisola, e chissà anche oltre, perché no.

E insomma: Lazzarini - l'allievo niederkofleriano per eccellenza, nove anni al fianco del sudtirolese - che se ne andava ma sposava un progetto perfettamente in linea con la filosofia del suo maestro, beh, era ed è anche una piccola vittoria di Norbert.

Lazzarini poi è l'interprete ideale - per età e drittezza di pensiero - per dare continuità nel tempo a Cook the mountain. È bergamasco di origine e di fatto, ossia nato e cresciuto a Gandellino, a 15 minuti d'auto da Oltressenda, ed appare determinato, umile, dedito al lavoro e silenzioso quanto possono essere solo gli orobici delle valli. Ancora giovanissimo, ma con tutta una brillantissima carriera già alle spalle vissuta soprattutto al St.Hubertus - del quale negli ultimi anni era ben più che un semplice braccio operativo - e inframmezzata da stages ed esperienze varie in tutto il mondo, «ho avuto la fortuna di viaggiare molto e conoscere grandi maestri. Come Virgilio Martinez, che mi ha trasmesso l’amore per le tradizioni andine e la ricerca dei prodotti dell’Amazzonia; o Rodolfo Guzman, che mi ha insegnato come si cucina l’agnello al palo della Patagonia; ed Eneko Atxa per la cultura basca; e ancora Magnus Nilsson per la cucina selvaggia del Nord Europa. Infine René Redzepi: entrare al suo Noma è stato come fare ingresso a Hogwarts».

Tanti stimoli, un solo grande punto di riferimento - Norbert, ovviamente - e le idee chiare, «Cook the mountain è una filosofia di cucina che ci auguriamo possa ispirare altri giovani cuochi a sviluppare rispetto e cura per la natura, ovunque si trovino», insomma una specie di appello alla generazione verde, lui che è un classe 1991 ma ha maturità (e talento) da vendere.

 

DARIO PANDOLFO
Cala Luna de Le Calette a Cefalù (Palermo)
Identità di Pasta, domenica 29 gennaio ore 15, sala Blu 1

A volte le avversità son sventure punto e basta; altre volte il fato decide di essere propizio, e dal letame - come direbbe Faber - nascono fiori.

Capitò quindi che Dario Pandolfo, classe 1991 da Milazzo, tornato a casa per le ferie - lavorava ormai da quattro anni al St. Hubertus con Norbert Niederkofler - rimanesse bloccato in Sicilia dal sopraggiungere del primo lockdown, era il marzo del 2020. Per non restare con le mani in mano, si mise in contatto con un imprenditore del luogo, che cercava semplicemente un ragazzo per preparare buoni panini nel bar del suo hotel, in vista della stagione estiva. Lui gli si presentò davanti senza presentarsi davvero, ossia senza rivelare come fosse ormai un (seppur giovane) professionista fatto e finito, per di più in forza a un locale tristellato. Comunque, ebbe subito l'incarico. Quando il patron capì con chi aveva a che fare, ossia ben presto, decise semmai di affidargli direttamente la cucina. Fu così che Pandolfo indossò per la prima volta la toque da chef capo, allo Ngonia Bay della sua Milazzo.

L'aneddoto racconta non solo un dato biografico di Pandolfo, ma anche un suo aspetto caratteriale fondante: l'estrema umiltà con la quale si approccia non tanto e non solo al mestiere, ma alla vita. Quanto alla seconda, non si finisce mai d'imparare; anche il primo non disvela mai tutti i propri segreti facilmente, ma c'è da dire che Pandolfo di esperienza se n'era già fatta parecchia e prima del celebre indirizzo in Val Badia aveva frequentato i pass del pari grado Geranium, a Copenhagen, e dei bistellati Villa Joya, ad Albufeira in Portogallo, e Terra, in Val Sarentino. Ora invece è passato, dall'inizio del 2022, a guidare l'offerta gastronomica del Cala Luna, l'insegna di fine dining del resort Le Calette di Cefalù.

Cosa vi impiatta? La proposta è di territorio, di cuore, di testa. Racconta certamente le origini dello chef e i luoghi circostanti; è sincera, vera, senza troppe sovrastrutture; declina con scrupolo anche concetti ormai davvero necessari per un giovane chef contemporaneo, come il no waste, l'attenzione alla sostenibilità, l'idea stessa di una certa consonanza con la natura. Lui tratta infatti con enorme rispetto la materia prima eccellente della quale dispone.

 

GIACOMO DEVOTO e GIANMARCO FERRANDI
Locanda de Banchieri aFosdinovo (Massa Carrara) e Officine del Cibo a Sarzana (La Spezia)

Giacomo Devoto a un certo punto poteva essere più fortunato. Ha aperto il suo indirizzo gastronomico, la Locanda de Banchieri - in un bel palazzo di campagna affacciato sulla Val di Magra da una specie di terrazza naturale, con panorama col mare in lontananza - sabato 7 marzo 2020. Il giorno dopo sarebbe scattato il lockdown per la pandemia. La sorte ha insomma deciso di allungare i tempi della sua definitiva affermazione. Ma Devoto ha stretto i denti ed è andato avanti per la propria strada: d'altra parte, non è tipo che teme le sfide.

Sarzanese classe 1981, è allievo di Angelo Paracucchi e non poteva essere diversamente visto dove ci troviamo: Fosdinovo, paesino già in Toscana ma sul confine con la Liguria, con appunto Sarzana a un passo. Eppure il suo periodo di formazione alla Locanda dell’Angelo, tra il ‘98 e il ’99, dunque pochi anni prima della scomparsa del celebre cuoco, non terminò nel migliore dei modi: «Il suo sous chef mi consigliò, in pratica, di cambiare mestiere». Devoto però non si diede per vinto, e cambiò invece aria. Anzi, ribaltò proprio le prospettive: «A poco più di 20 anni acquistai una baita sulle piste da sci a Champoluc, la Belvedere, a 2.400 metri in Val d’Aosta. Erano 3 ettari di terreno, lì arrivavano con la funivia 14mila cristiani, ogni sabato e domenica». Adattò il suo stile, «proponevo una cucina molto semplice, polenta e salsiccia, oppure hamburger, 400 coperti al giorno. Poi, in certe serate, proponevo anche una sorta di fine dining».

Il business funzionava, l’umore meno. «Arrivai al 2009 scoprendomi poco felice. Mia mamma, ottima gourmet (è Maria Candida Gentile, maître parfumeur italiana riconosciuta a livello internazionale, ndr) mi suggerì di staccare, e di andare con lei a provare un certo ristorante, a Modena. Rifiutai, ero troppo preso dal lavoro. Lei tornò alla carica tre anni dopo, nel 2012. Cenai quindi da Massimo Bottura. E piansi».

Abituato a una dimensione pop della cucina, ha costruito il suo riscatto in due tappe. La Locanda de Banchieri, dunque l'alta cucina, è venuta dopo. Prima di tutto, ha puntato sull'alimento più pop in assoluto: la pizza. Eccolo dunque aprire nel 2014 le Officine del Cibo, proprio a Sarzana: pizza di gran qualità, impasti studiati al millimetro, la cura per i topping che si può desumere dalla formazione da chef. Qui il suo braccio destro-alter ego è un gran professionista degli impasti, Gianmarco Ferrandi, classe 1990 e a sua volta di Sarzana. Del quale Devoto dice: «Unisce caparbietà e puntiglio, con precisione e attenzione al dettaglio. Perfetto "uomo squadra", ha passione e volontà».

Nell'uno e nell'altro locale, la coppia racconta l’identità gastronomica - e quindi culturale - della Lunezia, «che è un po’ Liguria, un po’ Toscana e un po’ persino Emilia; ha il proprio cuore negli Appennini e scende fino al mare». Lo fa in modo molto intelligente e gastronomicamente eccellente, Devoto e Ferrandi hanno mano naturale e capacità di gestione dei sapori assai sopra la media; riescono a conferire, nei rispettivi ambiti, tanta contemporaneità ma nel rispetto del solco già tracciato. Sanno insomma essere creativi e costruire coi mattoncini del gusto un’architettura del piatto complessa e fascinosa.

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IG2023: signore e signori, la rivoluzione è servita

a cura di

Identità Golose