16-06-2020

Fulvio Pierangelini ci racconta quale sia per lui il senso della cucina, anche dopo il Coronavirus

Parla il grande chef, oggi gestisce 13 ristoranti per il gruppo Rocco Forte: «Cucinare è atto sociale, servono cura, rispetto, ricerca. Ai miei ragazzi non insegno ricette, ma questi valori»

Fulvio Pierangelini in un recente scatto all'H

Fulvio Pierangelini in un recente scatto all'Hotel Savoy di Roma, struttura del gruppo Rocco Forte del quale in grande chef cura l'offerta ristorativa

Fulvio Pierangelini se ne sta a Roma, «nella mia piccola casetta, davvero microscopica, ma con un bel giardino». Quando lo chiamiamo è proprio lì, all'aperto, coi suoi ragazzi dell'Hotel de la Ville, «andate di là - dice subito loro - Rispondo alla telefonata, poi vi spiego le colazioni». Quindi invece, a me: «Perché mi cerchi?», un po' sospettoso. Vogliamo sentire l'opinione di una persona che ha molte cose da dire... «Ecco, sto organizzando qui da me gli incontri coi miei ragazzi. Li faccio venire, preparo loro qualcosa da mangiare e ci raccontiamo delle storie. L'unica certezza è l'incertezza su quello che succederà: siamo arrivati allora all'idea di doverci "semplicemente" riappropriare della nostra cucina, dei nostri valori fondamentali - dunque scegliere bene e con intelligenza le materie prime, limitare gli sprechi, essere coerenti e rispettosi - per ripartire da questa base, che è indiscutibile, ma nello stesso tempo mostrarci duttili il giusto per capire subito se le nostre scelte future si riveleranno d'interesse per il pubblico, così da poter eventualmente correggere un poco la rotta».

È un percorso difficile, una strada stretta: essere intransigenti sui valori, flessibili però nel declinarli, «oggi dirigo 13 cucine, guido 500 cuochi, ho quindi dei termini economici da rispettare - spiega - Ma attenzione: le due cose (ossia la verità nel piatto e una gestione d'impresa, ndr) non sono alternative, possono anzi convivere in maniera meravigliosa. È quello che ho imparato negli ultimi anni ed è quello che sto applicando anche in queste settimane in cui abbiamo analizzato la ripartenza e abbiamo via via delineato scenari spesso poi rivelatisi inutili, perché immediatamente dopo sono stati confutati da nuove situazioni. Posso dire che il mese iniziale di lockdown è stata la prima - terribile - vacanza della mia vita, dopo 50 anni ininterrotti in cucina; e che invece ho lavorato tantissimo negli ultimi sessanta giorni, anche se con una concentrazione solo a sprazzi».

Chi mi conosce lo sa è stata l'espressione ripetuta più volte da Pierangelini nella nostra chiacchierata. Chi mi conosce lo sa: ossia una rivendicazione della coerenza di pensiero, una chiamata a testimoniare come, nel pensare al futuro della ristorazione, i principi che oggi sono sulla bocca di tanti siano in verità nel suo bagaglio da molto, molto tempo. «Non c'è nulla di nuovo». Compreso il dubbio, legittimo, che persino dopo una pandemia si sia ripreso con vecchi difetti; e che dietro alle parole rimanga poco.

 

Pierangelini al lavoro

Pierangelini al lavoro

IL RUOLO DEL CUOCO - «Chi mi conosce lo sa: credo in certe cose da 25 o 30 anni. E le dico chiaramente. Quali? L'attenzione, il rispetto, la ricerca, la cura. E non accettare compromessi. E cercare il meglio. E non seguire le mode, ma mantenere sempre una propria ottica con la quale andare avanti, certo confrontandosi col mondo... Oggi è troppo facile stilare l'elenco: ma sono sempre state caratteristiche del mio percorso. Sento molto parlare di questi principi, come fossero novità. C'è stato davvero bisogno di una pandemia per scoprirli? Posto che bisogna vedere se verranno davvero acquisiti, al di là delle chiacchiere. Io di certo ho sempre avuto i miei contadini; ho sempre allevato i miei animali; ho sempre detto che cucinare è un atto sociale; che noi cuochi siamo l'ultimo baluardo - ahimè microscopico - contro la massificazione del gusto e a tutela di sostenibilità e biodiversità. Ogni nostro gesto è un piccolo segno che possiamo regalare, ad esempio comprando una carota invece che un'altra. È inefficace? Probabilmente sì. Probabilmente non sarà il famoso battito d'ali della farfalla in grado di provocare un uragano... Ma se tutti insieme riuscissimo a testimoniare le nostre scelte, i nostri valori... Chissà! Intendiamoci: senza farla troppo lunga, senza grancasse. Io non ho mai scritto sui miei menu: "Prodotto bio". Per me è una semplice necessità, che senso avrebbe ostentarla? Ecco, se mi chiedi una previsione: in Francia si dice che la rentrée sia un momento che vale quasi più della stessa vacanza; attendevo dunque questa rentrée italiana come un possibile momento gioioso in cui il mondo dimostrasse di aver acquisito nuova consapevolezza. Poi m'è venuto invece il terrore che certe dinamiche potessero rimanere immutate, che interessi e cricche si confermassero più forti. All'inizio era un dubbio, ma temo ora di aver avuto naso».

 

Fulvio Pierangelini sul palco di Identità Golose, nel 2006, ha presentato questo piatto, Pensieri Semplici, un uovo all'occhio di bue con lardo

Fulvio Pierangelini sul palco di Identità Golose, nel 2006, ha presentato questo piatto, Pensieri Semplici, un uovo all'occhio di bue con lardo

LE REGOLE E L'INSEGNAMENTO - «In questi mesi ho cucinato tutti i giorni, due volte al giorno; ho riscoperto la gioia di lavare i piatti e di preparare cose buone. In una fase come l'attuale, ho avuto ancora una volta la conferma del mio credo: l'importanza della qualità della materia prima, dell'esecuzione, dell'affetto che va messo in ciò che si fa. Il tutto al servizio di qualunque piatto, nella convinzione che non ne esista uno più importante dell'altro, ma ognuno vada preparato con uguale attenzione e rispetto (nel 2006 Pierangelini salì sul palco di Identità Golose portando Pensieri Semplici, ossia un uovo - ma un grandissimo uovo - fritto con un lardo - ma un grandissimo lardo - «è una delle cose più belle che abbia mai fatto». Abbiamo narrato quest'episodio anche recentemente, con le parole di Matteo Baronetto, qui: Baronetto ci racconta la grandezza di Fulvio Pierangelinindr). È la regola della mia vita, l'ho sempre portata avanti: la base di tutto sta nell'esecuzione e nell'istante, oltre che in quello che si compra. Io ai miei ragazzi non insegno ricette, ma cerco di far capire la cucina; devono apprendere come pulire un broccoletto, perché con quel lì broccoletto lì, ben pulito, poi possono realizzare mille cose. Se invece insegnassi loro una ricetta coi broccoletti, non sarebbero poi in grado di elaborarne una seconda».

 

Le Jardin de Russie dell'Hotel de Russie a Roma. È uno dei ristoranti gestiti da Pierangelini negli hotel del gruppo Rocco Forte 

Le Jardin de Russie dell'Hotel de Russie a Roma. È uno dei ristoranti gestiti da Pierangelini negli hotel del gruppo Rocco Forte 

RISTORANTE COME IMPRESA - L'attenzione al gesto e la coerenza coi propri valori non sono per Pierangelini idee inconciliabili con un approccio "contemporaneo" all'impresa ristorativa, in grado anche di far numeri e chiudere bene i bilanci. «Da quando ho lasciato il Gambero Rosso e a lavorare in strutture diverse - quelle importanti del gruppo Rocco Forte, ndr - in cui c'è bisogno di un rapporto razionale con il fatturato, ho imparato anche tale aspetto. Oggi dirigo 13 cucine, guido 500 cuochi, ho quindi dei precisi termini economici da rispettare. Ma è possibile a farlo senza deflettere dai miei principi. E non è solo una potenzialità: riesco concretamente a farlo, e questa è stata una scoperta meravigliosa. Servono conoscenza, certezza d'idee, onestà intellettuale nel voler far coincidere le due cose. È la mia attuale opera quotidiana nella gestione della ristorazione in questi hotel dove - a causa del mio carattere - sono sempre più coinvolto e voglio far tutto, dall'acquisto della materia prima, via via a seguire i vari passaggi fino a che il piatto non torna sporco e vuoto in cucina. M'impegno in ogni cosa e la maggiore attenzione è nel procedere in un percorso economico oculato senza mai perdere di vista il gusto, la qualità, l'intransigenza, il rispetto, la coerenza. Senza compromessi. E avendo un'esperienza sufficiente per capire cosa si può e non si può fare, dove si può guadagnare, dove non si deve tornare indietro, dove non si può prescindere da certe scelte. Questo è molto bello. Lo so che è anche molto difficile, che bisogna essere bravi. Ma a dirla tutta, anche prima del Covid-19 se uno non era bravo, prima o poi falliva».

 

ALLORA E ORA - «Penso ai tempi di San Vincenzo. Il Gambero Rosso non era un'operazione economicamente sostenibile di per sé, non per mia incapacità ma per un dato oggettivo. E quindi, per poter andare avanti, nei miei giorni di riposo ero impegnato in consulenze, anche per industrie alimentari. Conosco insomma le difficoltà, i sacrifici, la necessità di trovare altri introiti. Sono abituato a tirare la cinghia. Ma dico che è possibile far tutto questo» senza perdere la propria personalità. Anzi arricchendola: «Do il massimo perché i conti quadrino. Oggi facciamo da mangiare per 20 ore al giorno a tantissime persone, le più diverse tra loro per ceto, ricchezza, nazionalità, cultura. Posso quindi dire che la mia esperienza negli alberghi è clamorosa, mi ha dato tantissimo».

 

La celeberrima Passatina di ceci con gamberi (1986). Foto di Bob Noto

La celeberrima Passatina di ceci con gamberi (1986). Foto di Bob Noto

LA CUCINA ITALIANA - «Non mi sono mai posto il problema di cosa manchi alla cucina o alla ristorazione italiana, per il semplice motivo che io ho sempre lavorato nell'unico modo che considero possibile, stop. C'è il problema del personale, quello dei fornitori... E quello dei giornalisti, mi viene in mente Carlo Verdone, il "famolo strano": spesso date spazio al soufflé di nero di seppia col calamaro cotto a bassa temperatura e il gel bla bla per avere storie nuove, anche se magari siete i primi a non crederci. Io dico sempre ai miei ragazzi: è inutile che vogliate fare questo soufflé e poi, quando uscite a cena, ordinate una frittura. Fatela voi, la frittura, e semmai dannatevi per ottenere la migliore possibile. È oscurantismo? Non so. Credo nella manualità, nell'emozione della cucina, e nella capacità. Non sono qui per épater le bourgeois».

 

CHE SIGNIFICA AUTENTICITÀ? - Dunque è un bisogno di autenticità? «Non mi piace questa parola, non la dico. Non abbiamo più termini di confronto, non esiste più la nozione di autentico. E forse è meglio così. Oggi "autentico" rischia di essere in realtà solo folcloristico. Paul Bocuse mi ha insegnato che, quando assaggi un piatto e chiudi gli occhi, devi sentire il terroir. La mano, il territorio. Non dev'essere necessariamente un piatto classico, o iconico, o di tradizione, o popolare: l'importante è raggiungere quell'obiettivo. Perciò non so cosa voglia dire autentico. In un mondo così falso, poi, diventa davvero un paradosso».

 

Fulvio e Fulvietto Pierangelini

Fulvio e Fulvietto Pierangelini

STUPIRE CON UN PESCE ALLA GRIGLIA - «So, in compenso, una cosa: è proprio bravo chi riesce a stupire con un semplice pesce alla griglia, la cosa più banale e quotidiana che mi viene in mente. È vero: è possibile stupire anche facendo il funambolo e così ottenendo pure di far parlare di sé. Però, però... Penso a Fulvietto, mio figlio. Sta lavorando benissimom nel suo Il Bucaniere. I suoi gesti quotidiani sono di grande attenzione - il pane che si prepara da solo con le farine che si prepara da solo, il pesce dell'omino che va a pescare e poi glielo porta... - e ciò fa sì che le persone vadano da lui, stiano andando anche in questi giorni nonostante il disastro del turismo. Vuol dire che si fidano; hanno voglia di tornare e quindi sono felici. A volte ho sentito dire: Fulvietto è bravo, ma non fornisce argomenti per scrivere di lui, perché non racconta le tecniche del polpo soffiato, per dire. Vero: ma intanto se lo pesca da solo. Tali gesti quotidiani non sono certo sufficienti, perché poi bisogna saperlo cucinare, saperlo raccontare, saperlo vendere. Ma credo che in questo momento abbiano senso. Più che mai».

Baccalà mantecato con bottarga (1988). Foto di Bob Noto

Baccalà mantecato con bottarga (1988). Foto di Bob Noto

Capesante con mortadella, mele e finocchi (prima versione, 2005). Foto di Bob Noto

Capesante con mortadella, mele e finocchi (prima versione, 2005). Foto di Bob Noto

Il Verdura Resort a Sciacca, in Sicilia, del gruppo Rocco Forte 

Il Verdura Resort a Sciacca, in Sicilia, del gruppo Rocco Forte 

Il Carosello della Masseria Torre Maizza a Savelletri di Fasano, in Puglia. È uno dei ristoranti gestiti da Pierangelini negli hotel del gruppo Rocco Forte 

Il Carosello della Masseria Torre Maizza a Savelletri di Fasano, in Puglia. È uno dei ristoranti gestiti da Pierangelini negli hotel del gruppo Rocco Forte 


Dall'Italia

Recensioni, segnalazioni e tendenze dal Buonpaese, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose

Carlo Passera

di

Carlo Passera

classe 1974, milanese orgoglioso di esserlo, giornalista professionista dal 1999, ossia un millennio fa, si è a lungo occupato di politica e nel tempo libero di cibo. Ora fa l'opposto ed è assai contento così. Appena può, si butta su viaggi e buona tavola. Coordinatore della redazione di identitagolose.it e curatore della Guida di Identità Golose alle Pizzerie e Cocktail Bar d'autore. Instagram: carlopassera

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