Cena speciale, anzi straordinaria, l'altra sera nelle eleganti sale del Del Cambio di Torino. Due protagonisti d'eccezione: uno che ci saremmo aspettati, Matteo Baronetto, che nello storico ristorante sabaudo è di stanza ormai dal 2014; l'altro imprevisto - e imprevedibile di suo, per carattere - ossia Fulvio Pierangelini. Ventiquattro anni di distanza tra di loro (1977-1953) eppure un rapporto saldo, di stima e amicizia, nato a... Identità Milano. Una storia che merita di essere raccontata, perché dice tante cose.
Partiamo da una data precisa: domenica 29 gennaio 2006. È mattina. Baronetto: «Mi chiama Carlo (Cracco, ndr) e mi dice: "Domani c'è Pierangelini a Identità. Ha bisogno di un aiutante per la sua lezione, posso contare su di te?". Rispondo ovviamente di sì. Mi trovavo a casa dei miei genitori, domenica era il giorno di riposo: prendo e parto per Milano, così da incontrare Fulvio che stava al Westin. Ci vediamo la sera, volevo capire di cosa avesse bisogno; non lo conoscevo, sapevo chi era solo per chiara fama». I due si vedono, la richiesta di Pierangelini sconcerta Baronetto: «Dobbiamo preparare delle uova all'occhio di bue». Cosa?! Ha bisogno di un assistente per preparare delle uova fritte? «Ero perplesso. Ricordiamoci che in quel momento la scena era dominata dall'avanguardia spagnola, che sciorinava innovazioni incredibili, spettacolari. L'occhio di bue mi sembrava una cosa, come dire, particolare. Una provocazione, forse, pensai: ma che probabilmente non sarebbe nemmeno stata colta. Solo più tardi ho capito. Ma molto più tardi: lui era avanti».

Fulvio Pierangelini sul palco di Identità Milano, nel 2006

Con Paolo Marchi, sempre nel 2006
Nel frattempo
Baronetto fu dunque chiamato a preparare 150 uova all'occhio di bue ai congressisti di Identità, per l'assaggio. «Io ai fornelli, lui intanto commentava un filmato, che veniva proiettato sui maxischermi. S'intitolava
Pensieri semplici, se non ricordo male. Faceva vedere i suoi maiali, la lavorazione del lardo che veniva posto sopra l'uovo, cose così. Tutto strano, ma comunque mi affascinò» (in quella lezione lo chef del
Gambero Rosso di San Vincenzo parlò sul tema "L’uovo e il maiale"; e di una cucina frutto di “passaggi virtuosi”, di sperimentazioni, di errori. Galline alimentate con latte di pecora e capra, che producono uova dal delicato sapore di mandorla e vaniglia; suini nutriti con cereali biologici e macellati entro i quattro anni di età. Il tutto per proporre splendide uova fritte al lardo, uova in crosta con gelato di lardo e striscioline di lardo caramellato, ravioli di lardo e oro, cacao e pepe di Sichuan…).

Le uova all'occhio di bue con lardo presentate da Pierangelini, a cucinarle era Baronetto dietro le quinte
Riprende
Baronetto: «Oggi ho compreso il suo messaggio. È l'autenticità, il recupero del gesto del cuoco, a partire non dal momento in cui si trova a cucinare, ma dalla scelta della materia prima. Sono temi attuali, ma lui li aveva fatti propri ben prima, forse da sempre, e da quel palco cercava di ribadirli, riportarli alla luce, dare loro dignità».
La tappa successiva del rapporto tra Baronetto e Pierangelini è di un paio d'anni più tardi. «Immagino fosse il 2008, perché fu l'ultima stagione di attività del Gambero Rosso. Sono in vacanza in zona con mia moglie, voglio prenotare un tavolo, chiamo ma senza esito, lui era famoso perché staccava tranquillamente il telefono fisso del ristorante. Riprovo dopo qualche ora, mi dicono che non c'è posto, "mi dispiace siamo pieni" fa lui secco alla cornetta, non mi aveva riconosciuto. Decido comunque di andarlo a salutare: lo trovo all'ingresso, al suo piccolo desk, mi fa accomodare nel salottino, assaggiamo qualcosa e fissiamo un pranzo per l'indomani. Il giorno dopo abbiamo infatti mangiato insieme, cucinava e poi si sedeva con me: un'esperienza incredibile».
Da allora i due sono rimasti in stretto contatto. «Ho sempre provato ammirazione nei suoi confronti. Ritengo che fosse il cuoco al quale m'ispiravo di più. Emerse un'assonanza tra noi, il
simile che va col simile: non che sia paragonabile a
Pierangelini, intendiamoci. Ma si è creata una simbiosi, un idem sentire. E ho studiato a fondo la sua attività».
Tre anni fa Pierangelini invita Baronetto per una cena a quattro mani al Verdura Resort, la struttura siciliana della quale Fulvio ha la consulenza. «Da lì ho preso ad andarci regolarmente, era tempo che contraccambiassi l'ospitalità qui al Del Cambio». Ecco allora la serata dell'altro giorno.

Pierangelini al Del Cambio
Com'è stato
Pierangelini nelle cucine torinesi? «È stato sé stesso, che è poi quello che mi affascina di lui. È un uomo che, sotto spoglie quasi brutali, nasconde una sensibilità fortissima, la si nota in quello che fa. Ha un senso della
perfezione nell'imperfezione, ricerca la bellezza delle cose imperfette e la unisce a una certa maniacalità per il dettaglio. Da lì crea la magia, che solo lui sa trasferire nel piatto, col gesto». Una cosa ha colpito
Baronetto: «Stavamo parlando del più e del meno, lui appariva distratto. Improvvisamente s'irrigidisce: nota a dieci metri di distanza qualcosa che non va, se ne accorge subito, poteva essere una salsa troppo densa, una verdura tagliata male... Diventa implacabile, ha un occhio attentissimo. Carattere tosto. Dicono che con gli anni si sia ammorbidito, ma non è mica vero! Anche l'altra sera ha mandato a quel paese – per usare un eufemismo – un paio di ragazzi della mia brigata. Poi si è scusato, e io ridendo: “Ma no, sei qui per questo”, perché con lui abbiamo imparato una lezione. Ossia: per rimanere a certi livelli, occorre sempre rigore, precisione.
Fulvio è un patrimonio vivente».
A fine serata, ai commiati,
Pierangelini stava scambiando due chiacchiere con alcuni gastronomi. Lo abbiamo colto a borbottare: «Ormai la cucina è tutta di format già scritti, di regole dettate a prescindere. Pazienza: io proseguo per la mia strada. Si arrangino».
Ecco alcuni dei piatti che abbiamo assaggiato. Sono frutto dell'interazione costante tra i due chef, ognuno ha apportato qualcosa alle preparazioni dell'altro. Il tutto, innaffiato di Dom Pérignon.

Capesante, fichi d'India, olive e funghi

Ravioli di pomodoro con gamberi rossi

Fichi caramellati, gelato alla vaniglia