03-04-2019

Tutto su Identità di Pasta 2019, cuoco per cuoco, piatto per piatto

La decima edizione del format in partnerhsip con Monograno Felicetti va in archivio con una super-sequenza di idee e bontà

Pummarola delle Alpi, il piatto con cui Alessandro

Pummarola delle Alpi, il piatto con cui Alessandro Negrini e Fabio Pisani de Il Luogo di Aimo e Nadia hanno aperto la decima edizione di Identità di Pasta, domenica 24 marzo al MiCo di Milano (foto dei piatti di Brambilla/Serrani)

Identità di Pasta 2019 era iniziata con un commosso ricordo di Luciano Zazzeri, scomparso da pochi giorni: il cuoco toscano era salito in diverse occasioni sul palco di Identità.

I primi chef della giornata - condotta come sempre, da ormai 10 edizioni, dalla straordinaria Eleonora Cozzella - sono stati Alessandro Negrini e Fabio Pisani. Chi può parlare di “Costruire nuove memorie” meglio di loro, che avevano 52 anni in due quando hanno preso in mano le cucine de Il Luogo di Aimo e Nadia, tempio della ristorazione italiana che, sotto la loro guida, ha continuato a far risplendere le due stelle Michelin? Sul palco il duo si è alternato a preparare due piatti di pasta ispirati alle loro due provenienze geografiche. Il pugliese Pisani ha fatto uno gnocco di tarallo (riscaldato in acqua, poi passato in padella e in forno) con un ragù di agnello del Gargano e una crema di latte all’aceto.

Gli Gnocchi di tarallo di Negrini e Pisani

Gli Gnocchi di tarallo di Negrini e Pisani

Il valtellinese Negrini ha invece azzardato una ricetta eretica: una “pummarola delle Alpi” con burro, cipolla, concentrato di Pomodoro e Grana. Come quella che gli preparava sua mamma - e come quella che ancora rappresenta l’idea di “sugo all’italiana” in buona parte del mondo. Come formato gli Spaghetti Felicetti, 100% Monograno Senatore Cappelli con un diametro particolarmente grosso che richiede una cottura di 14 minuti: «Siamo orgogliosi di portare sul palco la pasta secca, sempre un po’ snobbata dagli chef,» dice Riccardo Felicetti.

Passiamo in Israele con il secondo protagonista della giornata, Ezra Kedem, fondatore del ristorante Arcadia, dal 1995 al 2014 a Gerusalemme, e ora trasferito sulle colline di Ein Kerem e trasformato in un laboratorio di cucina con orto. Può sembrare bizzarro che uno chef israeliano insegni come si fa la pasta. Ma non lo è se si considera la storia personale di Kedem, da sempre appassionato di Italia e molto amico di chef come Massimo Riccioli e Pietro Zito, e soprattutto se si considera la storia della cucina mediterranea, segnata da continui scambi, incroci e meticciati culinari. Basti pensare al primo piatto che ha preparato, le orecchiette: il formato di pasta simbolo della Puglia ha sicuramente, racconta, un legame con le orecchie di Haman, biscotti preparati durante la festa ebraica di Purim. Lui le condisce con una combinazione agrodolce di sapori tipica della cucina mediorientale: uvetta, cipolla, triglia e i pinoli, simbolo di Gerusalemme e immancabili nelle sue ricette, «insieme all’uvetta. Il mio primo lavoro, da bambino, era vendere i pinoli per strada dentro bottiglie di plastica. Il mio primo ristorante.» Il secondo piatto invece erano maccheroni con fagioli “Jerusalem style”, una ricetta di cui Kedem ci tiene a sottolineare l’antichità. Non per niente lui è stato definito “il padre della cucina israeliana”, lo chef che prima, e con più forza, di tutti, ha rivendicato l’esistenza di una vera cucina israeliana - e i suoi legami con la cucina mediterranea prima ancora che con quella mediorientale.

Le orecchiette di Ezra Kedem

Le orecchiette di Ezra Kedem

Ultimo chef della mattinata a Identità di Pasta è stato Cristian Torsiello dell’Osteria Arbustico, trasferitosi l’anno scorso da Varva a Paestum. La sua è una cucina che parla di un territorio ancora inespresso, ricco di prodotti dall’identità spiccata, usando un linguaggio contemporaneo. «Per creare nuove memorie bisogna entrare nelle case della gente» afferma Torsiello. Lui ci entra con ricette come il Cilento Tonic: chiocciole di kamut, cotte per metà cottura in un brodo di ginepro (a ricordare appunto il gin tonic) e poi servite con canocchie e provola affumicata. Una concentrazione di sapori cilentani che però riesce a sembrare fluida, leggera, lasciando il palato pulito. La seconda ricetta portata sul piatto di Identità di Pasta invece sono tagliatelline cotte nell’acqua di cottura del polpo e condite con una conserva di pomodoro e una crema di miso e fagioli bianchi del Controne.

Il Cilento tonic di Cristian Torsiello

Il Cilento tonic di Cristian Torsiello

Le Tagliatelle di Torsiello

Le Tagliatelle di Torsiello

Danilo Ciavattini arriva da Viterbo, dove dopo il suo ritorno a casa dalle sue esperienze all'estero e poi a Roma, ha battezzato con il suo nome un ristorante molto particolare che ha preso la sua prima stella Michelin in men che non si dica. Quella di Ciavattini è per l'80% una cucina di territorio, «un ritorno al passato dopo essere andati molto avanti». Ne sono testimoni piatti come la Patata interrata, il Pomodoro dolce «ricostruiti come appaiono», o il dolce Terra spaccata «dal gusto di liquirizia, cacao, gelato al caramello a dare l'idea di ciò che accadendo alla terra a causa dei pesticidi». L'avanguardia come quella dei Paccheri nel muschio protagonisti della sua lezione a Identità di pasta, però, si lega sempre alla tradizione dei sapori: quello della cacio e pepe con cui condisce i mezzi paccheri Felicetti e della crema di scafata, un'antica minestra di carciofo, fave e punta d'aglio, «che altro non è che il germoglio che viene tagliato per far crescere la testa», sulla quale i paccheri sono impiattati con il muschio, prima di essere spruzzati con una clorofilla spray di erbe aromatiche con estrazione di tartufo che sprigiona i sapori.

C'è poco di campagna nel polpo, con cui Ciavattini costruisce i suoi Saghetti acqua di polpo e tartufo nero. «Abbiamo scelto di valorizzare la seconda parte del gusto del polpo, la sua parte buia che s'avvicina ai sapori della terra», spiega Ciavattini che cucina il polpo soltanto con un filo d'olio in una pentola coperta da pellicola e poi condisce con quell'acqua insaporita con olio, pepe e timo la pasta che poi manteca con il parmigiano. Ovviamente il polpo non viene buttato via, ma viene impiattato croccante con una zuppetta di pomodori appesi centrifugati. 

Ancora Ciavattini

Ancora Ciavattini

I Paccheri nel muschio di Danilo Ciavattini

Paccheri nel muschio di Danilo Ciavattini

Carlo Cracco l’ha fatto ancora. Magari è la televisione quella a cui deve la sua popolarità, con cui riesce a riempire tutta la sala di Identità di Pasta: ma poi è lui a farla divertire, quella sala, con un mix di humour caustico e spiazzante concretezza. E infatti il primo piatto che ha preparato al congresso non parte degli scintillanti fasti di Cracco In Galleria, bensì dalla sua infanzia vicentina.«Non scorderò mai l’aringa, da noi chiamata scopeton. Si metteva sulla brace poi si appendeva con un filo in mezzo al tavolo e ci si strofinava sopra la polenta. L’aringa dei miei ricordi da bambino è forte, quasi repellente, al punto che non l’ho usata per anni.» Al congresso, invece, ne ha fatto un olio - mettendola in oliocottura a 70 gradi - con cui ha saltare una pasta. Un pizzico di polvere di tè verde. Tocco finale, pescato direttamente dalle sue memorie di bambino: polenta saltata e frullata.

Lo spaghetto di Cracco

Lo spaghetto di Cracco

Sul palco anche Luca Sacchi, che incita sempre a parlare, a prendersi la sua parte i luci della ribalta, in senso letterale. Così accade nella spiegazione del suo secondo piatto, un omaggio a quella Milano che li accoglie e li ama entrambi, una pasta nobilita il concetto di cassoeula - e quindi dell’abbinamento di cavolo e maiale: «Un piatto di pancia dopo uno di testa.» I mezzi paccheri Felicetti vengono serviti con verza centrifugata, ragù di costine e musetto di maiale. «La parte più bella della pasta è l’obbligo di seguire un formato. C’è un elemento principale, una forma, da cui partire, poi puoi fare quel cacchio che vuoi.» Che è quello che lui ha sempre fatto, e continua a fare. Per fortuna.

L'omaggio alla cassoeula di Cracco

L'omaggio alla cassoeula di Cracco

Ha fatto il falegname, ha lavorato in stalla mungendo e ha allevato maiali Riccardo Gaspari che, in un'altra vita, è stato pure campione di sci. Oggi è semplicemente, si fa per dire, marito di Ludovica «la sua radice», quella per cui ha deciso di fermarsi, padre e cuoco felice. «Il segreto dei miei piatti è che prima esistono gli ingredienti senza i quali quei piatti non esisterebbero», spiega semplicemente. Tra gli ingredienti, «che non abbiamo inventato, ma ripreso a utilizzare», ci sono il pino mugo, l'acqua di levistico e il lichene di larice. Il primo è diventato l'emblema di uno dei suoi signature: lo spaghetto al pino mugo. Uno spaghetto condito con un olio di germogli di pino mugo e ginepro che macerano a 40° con un olio di vinacciolo. La pasta, cotta in un brodo di gallina molto saporito, viene mantecata con questo olio al sapore di bosco, e completata da un pizzico di sale e ginepro e da uno spray, sempre di pino mugo, che porta indietro nel tempo grazie al profumo di bosco. Prima dello spaghetto viene servito uno sciroppo di lichene di larice. «Mi piacerebbe che questo piatto diventasse un classico e che le mie figlie possano un giorno parlarne», rivela senza nascondere il rammarico per le scelte troppo tradizionali dei clienti italiani nei suoi due locali, El Brite de Larieto e il San Brite Agricucina.

Il Nido nel Bosco di Gaspari

Il Nido nel Bosco di Gaspari

Sono due, invece, i punti fermi di Adriano Baldassarre in cucina: la pasta, sulla quale il romano lavora dal 2004, e la tovaglia sulla tavola. Sia che si tratti del Tordomatto, il cui menu «è una dichiarazione d'amore a Roma con ogni piatto che racconta un quartiere cominciando da Panisperna, bignè di prosciutto, fichi e foie gras con in quale si apre il menù», sia che si tratti de L'Avvolgibile, la trattoria dove si mangia bene pagando poco.

«La cosa da sfatare è che tutto deve essere minimizzato all'assaggio. Si può anche andare fuori anche solo a mangiare un piatto», ammonisce lo chef. «Dal 2004 lavoro sui condimenti e a un sistema di risottatura della pasta con infusi a caldo o a freddo ottenuti per estrazione da vegetali e frutti attraverso un metodo brevettato», spiega Baldassarre che nei suoi piatti di pasta, «reidratata per non stressarla», utilizza liquidi invece di ingredienti solidi. Non esiste condimento (Puttanesca esclusa) che Baldassare prepara per la sua pasta in cui non ci sia l'acqua di pomodoro «che funge da concentratore di sapore» . «Di fatto – conclude senza presunzione Baldassarre – non ho inventato nulla. Tutti sanno che per un grande risotto serve un grande brodo e a noi serviva un grande liquido di cottura che poi reidrata la pasta». 

Baldassarre: pomodoro sempre

Baldassarre: pomodoro sempre

A vederla così minuta, delicata non è facile immaginarla impugnare un coltello, anche se solo per separare un petto d'anatra. Oppure alle prese con il sangue del maiale. E invece eccola lì, Isabella Potì che è perfettamente a suo agio sia in abiti glamour, sia che si tratti di spennare anatre o di mettere in tavola il Sanguinaccio Royal, che è stato uno dei piatti iconici del Bros' di Lecce. La determinazione non ha mai fatto difetto a questa ragazza classe '95 alla quale, dallo scorso gennaio, Floriano Pellegrino ha ceduto le redini della cucina del Bros.  E non certo soltanto per l'affetto (che è qualcosa di più visto che la sposerà presto) che nutre nei suoi confronti, ma perché Isabella è una che sa il fatto suo.

Anche quando, invece di parlare a braccio, srotola il foglietto con l'introduzione alla lezione che la vede protagonista in chiusura della maratona di Identità di pasta. «Leggerò il testo che ho scritto per cercare di spiegare al meglio quello che facciamo da Bros', quali sono i nostri concetti e qual è il nostro nuovo progetto, e per evitare di perdermi alcune cose», sottolinea. Di carne al fuoco, oltre quella d'anatra con cui sul palco ha preparato il Timballo di pasta, anatra, tartufo e frutti rossi anticipazione dal nuovo menu primaverile che sarà presentato il 4 aprile, da Bros ce n'è tanta.

Il Timballo di pasta di Isabella Potì

Il Timballo di pasta di Isabella Potì

 


IG2019: costruire nuove memorie

a cura di

Giorgia Cannarella e Mariella Caruso