27-03-2019
Catia e Mauro Uliassi sul palco di Identità Milano 2019 (tutte le foto sono di Brambilla-Serrani)
C’era un friccicore nell’auditorium, un’atmosfera di sospensione carica di elettricità per l’attesa dei fratelli di Senigallia freschi di ascesa nell’ultimo cielo dove i cuochi trionfano. E quando il momento è arrivato l’abbraccio di Catia e Mauro Uliassi ha sciolto pure i cuori più algidi - quelli per cui Identità Milano è un salto in lungo di selfie con e senz’asta, uno sfoggio di muscoli golosi, una traversata impettita nel beau monde dei master chef. In quella morsa d’affetto fra fratello cuoco e sorella di sala si sono liquefatte tutte le tensioni, sopra e sotto il palco, almeno per un po’. Perché è certo che Catia ha avuto la voce rotta dalla prima all’ultima sillaba. Mentre Mauro, per far finta che no, ha tenuto la sua lectio magistralis al ritmo acceleratissimo di chi combatte con una emozione impossibile da domare.
Ciascuno dei due ha affrontato quest’altra notte degli oscar con la sua strategia, e si capisce: la folla assiepata nella sala più grande di Identità farebbe tremare le ginocchia anche a Roberto Bolle. Lei affidandosi a poche righe buttate giù su un foglio strapazzato fra le mani. Il coronamento di 29 anni di lavoro, vissuti per tre quarti della giornata fondendo vita privata e professionale. La sala e la cucina in un unico respiro. La manifestazione d’affetto dei nostri amici. Un attestato d’amore, che ci ha veramente commosso. Il risultato lo stiamo festeggiando oggi. E poi la fuga nell’angolo più al riparo dai riflettori.
Catia Uliassi, sulla destra, con la presentatrice Lisa Casali
Mauro Uliassi
Panbollito di agnello con agnello fuori di testa
Come l’Anguilla affumicata agli agrumi e conditella. Stesso ragionamento dell’agnello, rimettere in campo un ingrediente scomparso dalle tavole, per recuperare il quale Mauro Uliassi ha attinto alla memoria di Mariagrazia Soncini, lady chef de La Capanna di Eraclio nelle valli di Comacchio. «Mi ha raccontato tutto quello che sapeva, le sono molto grato». O l’Ossobuco alla marinara, partendo dall’intuizione che la «collagenosità dell’ossobuco poteva essere simile a quella delle trippe del baccalà». Roba forte, una spazzolata ai luoghi comuni e un bagno di memoria lucidata a nuovo per il futuro.
a cura di
Cronista di professione, curiosa di fatto e costituzione, attitudine applicata al giornalismo d’inchiesta e alle cose di gusto. Scrive per Repubblica, Gambero rosso, Dispensa