Per una volta invertiamo i fattori: non è stata una cucina a indurci alla trasferta, per poi scoprire anche l'hotel dove alloggiare, ma viceversa. E quindi siamo saliti su su fino a Selva di Val Gardena attirati dalla bella storia del Granbaita Dolomites, hotel immerso in quel gruzzolo di edifici che, lasciata sulla destra la statale 242 che sale da Ortisei, popola la breve ascesa verso lo skilift Nives; ma immerso, soprattutto, in oltre 4mila metri quadrati fra spa e giardino, con le piscine interna ed esterna fra loro collegate.
Bella storia, quella del Granbaita, perché a sua volta mescola i fattori: è diventato un cinque stelle, meritate, dal 2019, quando è stato completamente e sapientemente rinnovato, il progetto - firmato dall’architetto Rudolf Perathoner - è stato insignito del Premio In/Architettura 2020 Willis Towers Watson dall’Istituto Nazionale di Architettura. Eppure ha mantenuto l'atmosfera calda, accogliente, autentica ed empatica che deriva da quello che era prima, dalla sua lunga storia: l'albergo è nato dalle idee e dai sogni della famiglia Perathoner-Puntscher, che l’aveva aperto nel 1961 e che quattro anni fa, come abbiamo detto, ha deciso di rinnovarlo radicalmente con un’impegnativa e riuscita ristrutturazione: ora dispone di ambienti ampi e luminosi, linee eleganti di legno, vetro e pietra che rievoca le Dolomiti che si scorgono al di là delle ampie vetrate, focolari che invitano al tepore familiare, tessuti naturali.

Insomma un upgrade totale, ma mantenendo l'anima di sempre: perché è un particolare non da poco, la gestione familiare a questi livelli, oggi "lusso" non significa opulenza e ostentazione, ma senso d'intimità e cordialità. Quelli garantiti da
Carmen e
Raphael con i figli
Marco, Alexander e
Anna, che curano personalmente ogni dettaglio per rendere la vacanza un’esperienza eccellente, convinti che anche un piccolo particolare la può trasformare in un ricordo carico di emozione.
A un certo punto di questa storia, sempre nel fatidico 2019, i Perathoner-Puntscher hanno pensato che sì, anche la cucina dovesse operare il salto di qualità. E l'uomo giusto cui affidare i fornelli di un nuovo indirizzo gastronomico interno l'avevano già: scalpitava infatti Andrea Moccia, aversano classe 1980, giunto qui in strada Nives 11 già nel 2012 dopo essere stato a lungo, per cinque anni e mezzo, sous chef di Felix Lo Basso quando il pugliese si trovava alla guida dell'Alpenroyal, sempre a Selva. Detto fatto: ecco il ristorante Granbaita Gourmet.
Che è esperienza del gusto mica male.
Moccia non ha confini, non si accoda al filone della nuova cucina di montagna, tutti emuli di
Norbert Niederkofler, che oggi va per la maggiore; ma nemmeno si limita al compitino goloso, ossia a proporre una piaciona tavola mediterranea che pure sarebbe nelle sue corde, campano com'è. No: lui mixa e aggiunge, contamina e sperimenta. Per dire, in un menu di qualche tempo fa,
Predator (ossia plancton, gambero rosso di Mazara, alici di lampara, calamaretto spillo, sgombro, tonno rosso e
Amaro M Zero) stava a braccetto con
Wellington Dolomitico (filetto di capriolo, speck e porcini in pasta sfoglia, gel di rapa rossa, crauti, zucchine, spugnole e tartufo nero). Quindi libertà creativa assoluta. Ora come al momento della nostra visita, uno dei piatti più interessanti è
Buffalo (bisonte del Kentucky al bbq, il suo fondo di cottura, carote di montagne, la loro purea, patata soufflé, foie gras scaloppato, crema alle arachidi e ketchup di fichi), ossia di nuovo: l'unica bussola è il gusto. E funziona.
Moccia è bravo. Possiede ottima tecnica, idee, creatività e una bella conoscenza della materia prima che è di suo di eccellente qualità. Gli consigliamo solo di pulire il piatto, di non esagerare con gli elementi e le lavorazioni: a volte è inutile complicarsi la vita e voler strafare, magari per ambizione. La sintesi è un dono.