05-02-2022

Dimora Palanca: viaggio a Firenze nella villa (con un ristorante di livello) che non voleva essere un hotel

Stucchi, affreschi, marmi e luminoso design contemporaneo: vi raccontiamo la raffinata ma informale ospitalità di Dimora Palanca, ospitalità di lusso con la cucina di Giovanni Cerroni. Già sta facendo molto parlare di sé...

Uno dei soffitti affrescati di Dimora Palanca, nuo

Uno dei soffitti affrescati di Dimora Palanca, nuova struttura per l'ospitalità di lusso a Firenze. Ospita anche un gran ristorante, Mimesi, chef Giovanni Cerroni

«L’arte è l’incontro inatteso di forme e spazi e colori che prima si ignoravano», sostiene lo scrittore torinese Fabrizio Caramagna. Un incontro che si carica di sorpresa e di colore per disegnare nuovi mondi. Ecco allora che l’amore per l’arte della famiglia Ugliano ha plasmato forme e spazi di una villa ottocentesca di Firenze, Dimora Palanca, dandole nuova linfa, vita, luce. «Abbiamo voluto restituire una bellezza naturale, mantenendo l’anima del palazzo. E al contempo abbiamo voluto esaltare la nuova vita attraverso l’arte contemporanea e il design», ci ha spiegato Michele Ugliano. Nasce così, da un restauro conservativo progettato dall’architetto e interior designer Stefano Viviani, il nuovo cinque stelle che ambisce ad essere una casa, un buen retiro, più che un albergo. Dove il ritmo rallenta, il silenzio inonda gli ambienti, la convivialità si anima tra il bistrot all’ora di pranzo, il lounge bar e il ristorante gastronomico, la sera.

Giovanni Cerroni

Giovanni Cerroni

In tavola, ad allietare gli ospiti ci pensa il talentuoso Giovanni Cerroni, executive chef del ristorante Mimesi, aperto anche agli esterni, nuovo indirizzo fine dining da non perdere nel capoluogo toscano. Romano, classe 1991, punta ad una cucina «concettuale ma accessibile, tecnica ma avanguardista», come spiega lui stesso. Stagionalità, essenza, etica, territorio e passione i valori del suo stile, ancorato alla potenza del gusto, in un armonioso gioco di creatività e senso estetico. È anche cosmopolita perché plasmata tra Giappone, Francia, Spagna e Italia: tra le altre si distingue chiaramente il ricordo dell’esperienza al bistellato Mugaritz del geniale Andoni Luis Aduriz. La rivoluzione è servita, «la mia rivoluzione gastronomica è una cucina che deve parlare a tutti - sostiene Cerroni - Una cucina che sia chiara e buona, realmente sostenibile».

La luminosa sala del Bistrot

La luminosa sala del Bistrot

La luce al Mimesi è soffusa e intima: solo 20 coperti, l’attenzione per gli oggetti che impreziosiscono l’arredo, il servizio discreto. È una squadra, quella dello chef, che lavora per accompagnare l’ospite in un viaggio nel gusto, declinato in tre intriganti menu degustazione ispirati alla psicoanalisi freudiana: Super Io, Io ed Es, rispettivamente da 5, 7 e 9 portate. In accompagnamento, una selezione di 400 etichette. Le verdure di stagione sono protagoniste: cardoncelli, cavolfiori, carciofi, topinambur, porri, verze, patate, levistico, pere, agrumi (bergamotto e limone nero), di provenienza locale ove possibile. Si comincia con un divertissement di amuse bouche per tutti i sensi, come il Fake croissant con chantilly al rafano e uova di salmone, serviti su piccoli cubi di marmo toscano. In carta, piatti come Fungo, levistico e radice di prezzemolo oppure Cavolfiore, mandorla e latticello. Eccellenti i primi: Cappelletto al topinambur, carciofi e limone nero e Risotto alle ostriche affumicate e shiso. Si prosegue con Ombrina, funghi e porro e l’unico piatto di carne, Agnello con verza e patate. Semplice quanto appagante il dolce, la Pera… no waste!, summa della sua filosofia.

Fake croissant con chantilly al rafano e uova di salmone

Fake croissant con chantilly al rafano e uova di salmone

Fungo, levistico e radice di prezzemolo

Fungo, levistico e radice di prezzemolo

Cavolfiore, mandorla e latticello

Cavolfiore, mandorla e latticello

Cappelletti al topinambur, carciofi e limone nero

Cappelletti al topinambur, carciofi e limone nero

Ombrina, funghi e porro

Ombrina, funghi e porro

Pera… no waste!

Pera… no waste!

Si soggiorna in una delle 18 camere e suites, che garantiscono una dimensione riservata, in una Firenze insolita, a pochi passi dal centro storico, ma al contempo in posizione defilata, in Via della Scala, a ridosso della cerchia delle mura medievali, non lontano dalla cupola del Brunelleschi. La villa si riconnette al genius loci, spazi interni e tessuto urbano dialogano senza soluzione di continuità: la dimora è una finestra su Firenze, nella sua dimensione di crocevia di incontri, passaggi e passioni. Fatta costruire dalla nobile famiglia Palanca, originaria di Orbetello, negli anni di Firenze Capitale (1865-1871), l'edificio è citato nel Repertorio delle architetture civili della città. Pare che nel XV secolo, la via sia stata lo sfondo della fuga segreta di Caterina de’ Medici, costretta a vivere nascosta per alcuni anni per sfuggire ai sicari del padre. «Abbiamo voluto restituire alla città e alla vita questo palazzo, legato a un periodo di grande cambiamento di Firenze, con l’ambizione di ritrovare l’aura che lo caratterizzava: la famiglia Palanca lo aveva immaginato, infatti, come punto di incontro e passaggio di respiro internazionale», ci racconta la direttrice Laura Stopani. La villa nacque, infatti, anche quale spazio d’elezione per ricevere ospiti e condividere con loro la passione per l’arte; dalla fine del 1800 divenne un punto di incontro per viaggiatori cosmopoliti e cultori dell’arte di sosta a Firenze.

Ambienti di Dimora Palanca

Ambienti di Dimora Palanca

Ritornano alla luce e recuperano l’antico splendore gli affreschi dei soffitti, gli stucchi, il classico impianto pavimentale in pavé toscano, le colonne al primo piano, il marmo delle scalinate e il ferro battuto dei corrimano. Rivive il giardino e la luminosa serra. Tutto è vestito di pezzi di design, è un invito a vivere un’ospitalità colta. Ieri come oggi, l’arte e la bellezza al centro: elementi di arredo e decorativi di grandi firme si alternano all’arte contemporanea, realizzate in esclusiva dall’artista toscano Paolo Dovichi, in un percorso di 40 opere distribuite tra aree comuni, scalone centrale, camere e suite. Lo studio delle luci plasma ambienti caldi e accoglienti come in una casa: si spazia da Microsurf di Neil Poulton, a elementi che hanno davvero fatto la storia, quali le lampade da tavolo Taccia di Achille e Pietro Castiglioni per Flos, del 1962, o novità piene di carattere come Setareth di Francesco Albrizzi per Fontana Arte del 2017. Letti, sedute, imbottiti, tavolini sono di Antonio Citterio, Pietro Lissoni e Naoto Fukasawa, il gigantesco lampadario di Marcel Wanders; i complementi d’arredo, i vasi e le ceramiche di Paola Navone, le luci, solo per citarne alcune, di Castiglioni, Claesson Koivisto Rune, Magistretti, Starck e Anastassiades; i pezzi disegnati e fatti realizzare in loco su misura, chiaro omaggio alla maestria artigiana fiorentina. La ricerca artistica si ispira ai quattro elementi: l’esterno è dedicato alla Terra; al -1 è protagonista il Fuoco, con la cucina; al primo piano l’Acqua, camere con vasche idromassaggio e docce emozionali; il secondo piano è associato all’Aria, quadri con nuance leggere e le finestre che aprono lo sguardo verso il cielo, a contemplar le stelle.


Hôtellerie

Radiografia, notizie e curiosità sugli hotel e le locande più importanti in Italia e nel mondo.

a cura di

Elisabetta Canoro

Giornalista professionista, è consulente di Identità Golose, vice direttore di The CUBE Magazine e collaboratrice di AD Architectural Digest italia e Panorama. Autrice di guide e di libri editi da WhiteStar e Marco Polo

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