04-04-2021

Fabrizio Picano: «A fare il cameriere si diventa adulti in fretta»

L'amore per il mestiere, le tendenze della sala, i vini e gli indirizzi del cuore. A tu per tu col maître dell'anno di Identità

Fabrizio Picano, 37 anni, maitre in forze al risto

Fabrizio Picano, 37 anni, maitre in forze al ristorante Per Me – Giulio Terrinoni di Roma (foto Onstage Studio)

«Romano di Anzio, alla prima esperienza di rilievo come sommelier e maître, in 5 anni ha dimostrato una spiccata sensibilità all'accoglienza, sorridente e precisa, ma anche alla realizzazione di una carta dei vini originale, ricercata e di respiro internazionale». È la motivazione con cui abbiamo premiato Fabrizio Picano, maître dell’anno per la Guida di Identità 2021. Abbiamo scambiato due chiacchiere per conoscerlo meglio.

Quando è nata la tua vocazione per l’accoglienza?
A 15 anni, l'età in cui si inizia a voler essere indipendenti, a fare lavoretti estivi. Anzio è una località sul mare e allora inizio coi lavori stagionali, nei lidi. Prendo confidenza col significato di 'accontentare': la signora che vuole il cappuccino bollente, quella tiepido senza schiuma… Piccole accortezze per cominciare ad accumulare qualche soldino.

Chi reputi essere i tuoi maestri? E cos'hai imparato da ciascuno di loro?
Giulio Bruni, attualmente estate manager di Tascante, la tenuta di Tasca d’Almerita sull’Etna. Mi ha introdotto lui a questo mondo e nelle brigate di Acquolina, All’Oro e Per Me. È lui che mi ha fatto appassionare al mondo del vino. Stimoli continui, quotidiani.

Come vi confrontate con la cucina?
Il rapporto con la cucina è molto buono. Tutti i ragazzi si rapportano a me. Capita, per esempio, che il ragazzo che fa il pane mi faccia assaggiare i suoi prodotti, mi chieda un parere sul lievito che impiega, se l’acidità di quella pagnotta è della giusta misura... Tutte dinamiche molto stimolanti. Ogni giorno c’è un briefing di circa un quarto d’ora, in cui ci diciamo tutto: i piatti cambiano a cadenza quotidiana - come dice lo chef, ‘al mare non si fa la spesa’ – e così di conseguenza la nostre proposte di pairing.

Quale logica seguono le scelte dalla cantina?
È una proposta che spazia su tutto lo Stivale, soprattutto vitigni autoctoni. Cioè ciò che un cliente internazionale non può bere in altre parti del mondo. Nel pairing cerco sempre di abbinare un calice ad almeno due piatti consecutivi; trovo eccessivi i pairing singoli.

Stefano Bellotti, indimenticato vignaiolo Cascina degli Ulivi di Novi Ligure

Stefano Bellotti, indimenticato vignaiolo Cascina degli Ulivi di Novi Ligure

Perché un giovane dovrebbe essere attratto dal tuo mestiere?
Io incoraggio a fare questo lavoro solo i giovani che vedo realmente appassionati di cibo e di vino, intenzionati a fare le cose seriamente; non quelli che lo fanno tanto per farlo. Ai giovani con forti motivazioni dico sempre che a svolgere questo mestiere si diventa adulti in fretta perché si impara a confrontarsi con una clientela che viene da qualsiasi parte del mondo, di qualsiasi estrazione sociale e culturale.

E’ il lato più bello di stare in sala?
Sì, e anche perché la sfida più stimolante per noi è sempre quella di capire chi hai davanti e confezionargli un racconto su misura: ci sono quelli incuriositi dalla filosofia di Per Me ma anche i clienti che vengono semplicemente per festeggiare o celebrare qualcosa.

Quali trend vedi nel tuo mestiere?
Il mondo dei caffè e degli specialty coffee. Sul quale però occorre stare molto attenti, almeno nel nostro ristorante: i nostri clienti sono internazionali ma cercano sempre il caffè all’italiana, l’espresso classico. L’altro grande trend è la mixology, un filone che m’affascina ma che cerco di assecondare con misura: non è detto che un cameriere debba fare per forza il bartender; si rischia di mettersi in competizione esasperata con se stessi. L’errore frequente è quello di farlo senza competenze, al solo scopo di dimostrare di non essere rimasti indietro in materia.

A cosa dovreste fare sempre più attenzione da Per Me?
Nel nostro caso, alla clientela romana e a quella italiana. Occorre sempre sforzarsi di trovare un tavolo per chi chiama e vuole prenotare alle 19: è un vezzo molto romano e poco internazionale; gli stranieri prenotano un tavolo subito dopo aver comprato il volo. Ma fidelizzare la clientela locale è fondamentale.

C’è un vino o un produttore sottovalutato che vorresti segnalare?
Sono tanti. Faccio due nomi. Il primo è Cascina degli Ulivi a Novi Ligure, in Piemonte, per me l’azienda più sottovalutata d’Italia. Stefano Bellotti, scomparso due anni e mezzo fa, ha messo in piedi un’azienda di circa 30 ettari, piantati con metodi totalmente biodinamici. Solo una parte di questi sono coltivati a vigna. Il mio preferito è il Filagnotti, un fantastico bianco macerato da uve Cortese: il 2012 è in questo momento il vino che servo a chi mi chiede di assaggiare qualcosa di nuovo.

Il secondo consiglio?
I vini di De Fermo, un’azienda agricola di Loreto Aprutino, in provincia di Pescara. Un altro produttore tra i più under-rated d’Italia.

Qual è, infine, il tuo ristorante del cuore? Quello in cui vai per stare bene?
Cesare al Casaletto: vado lì se devo festeggiare qualcosa ma anche se devo stare tranquillo con la compagna. Un altro indirizzo sottovalutato in cui sto bene è Da Michele, quartiere San Paolo: hanno una cantina profonda e cucinano molto bene il pesce, in modo semplice.

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In sala

Il lato pubblico del ristorante visto dai suoi protagonisti: maître e camerieri

a cura di

Gabriele Zanatta

classe 1973, laurea in Filosofia, coordina la Guida ai Ristoranti di Identità Golose e tiene lezioni di storia della gastronomia presso istituti e università. 
instagram @gabrielezanatt

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