13-12-2023

A scuola di Trentodoc, la bollicina d'alta quota

Note da una degustazione alla cieca: tutto quel che c'è da sapere su questo spumante di montagna, longevo, fresco e dalla decisa sapidità

Cosa accade quando durante un pranzo ci viene offerta la possibilità di assaggiare ben 66 etichette di Trentodoc?

Verrebbe spontaneo rispondere: lo si beve. Ma prima ancora di farlo, vale la pena osservarlo, seguire quella linea verticale di bollicine che dal basso si muove verso l’alto; soffermarsi sull’intensità del colore che da oro, via via, muove verso tonalità più calde, rame, fino allo splendore di un rosato.

Quindi si passa al naso e solo dopo al palato, lasciando il primo calice e poi passando all’altro per ritornare ancora sul primo, in un gioco senza fine, che diventa ancora più intrigante quando si degusta alla cieca: a questo punto, lasciamo che siano i sensi a parlare, a raccogliere tutte le informazioni che queste bollicine hanno da offrire, imprimendo il ricordo personale di uno dato vino che diventa, così, emozione.

"66" non è una cifra a caso, bensì il numero delle case spumantistiche che si impegnano quotidianamente a produrre vino spumante di qualità Trentodoc, da piccole realtà a quelle più grandi, di valle in valle, scalando altitudini che oscillano tra i 200 mt s.l.m. fino agli 800 mt, ragion per cui viene naturale parlare di bollicina di montagna.

Ma in sostanza, in che maniera l’altitudine incide sulla qualità di queste bolle?
Consideriamo che in montagna la temperatura cala di circa 0,6 C° ogni 100 mt di altezza; consideriamo pure che l'escursione termica, notevole, agisce sulla componente aromatica e così non risulta necessario anticipare significativamente la vendemmia, dal momento che le condizioni climatiche garantiscono già di per sè una maturazione ideale dell'uva.

Quanto alla lavorazione, la scelta non poteva che ricadere sul metodo classico, le cui radici affondano proprio in questa terra, il Trentino, quando un giovane di nome Giulio Ferrari, enologo dell’Istituto agrario di San Michele all’Adige, durante i suoi viaggi d'oltralpe, rintraccia una somiglianza orografica e climatica tra la Champagne e la sua regione. E così nel 1902 si impegna a produrre il primo vino spumante a Trento seguendo il medesimo metodo dello Champagne appunto.

Il risultato? Uno spumante sempre fresco, dalla buona acidità, che fugge finali amari, rimanendo sempre teso sul palato, sapido.

Peculiarità che si accentuano o si mitigano a seconda del dosaggio, della sosta sui lieviti che, da disciplinare, dura almeno 15 mesi. Un minimo puramente simbolico perché la qualità delle uve e del metodo di lavorazione (parliamo rigorosamente di metodo classico) si traduce nella magnifica capacità di invecchiamento: lo sperimentiamo approcciandoci a diverse annate alla cieca.

Consideriamo un calice che, visivamente, tende al giallo paglierino, limpido, un vino gioviale, una bolla leggera; al naso frutto turgido, croccante, matita temperata e poi una venatura balsamica, mentolata; nel sorso c'è tensione, è pimpante, entra piano e poi accelera; è sinuoso, ha un sorso stretto, sintomo della presenza di Chardonnay, sul palato arriva il fiore di cappero: un vino giovane, sebbene la sua gioventù - e siamo ancora all'inizio - lo colloca nell'annata 2017, quasi 7 anni fa. 

Un Trentodoc costituito anche da Pinot Nero, invece, avrà un impatto cromatico più marcato, palesi note di frutta rossa al naso e all'assaggio, un vino decisamente più rotondo; ancora, più mesi sui lieviti apportano una bolla più cremosa. Interessante è la possibilità di lasciare intiepidire il vino: perchè bolla non vuole dire necessariamente freddo, ma è piacevole anche servito a qualche grado in più, potenziandone il gusto.

Tante varianti, ma una immutabile freschezza e quella sapidità che invita a un nuovo sorso: un Trentodoc rosato, annata 2010, 60% Pinot nero e 40% Chardonnay con 90 mesi di sosta sui lieviti, presenta un naso caratterizzato da ciliegia, cipolla caramellata, chutney appena speziato, mentre al palato c’è del pomodoro secco, origano, tabacco; presenta un’ampiezza consistente, complessità; diversamente, un 2015, 100% Chardonnay, ha un naso meno schivo, più estivo, il frutto si fa più dolce, c'è meno frutta verde e, in compenso, prevale quella esotica; il palato è tannico, - segno di un passaggio in legno - ma anche più teso.

Sfumature che ben si prestano ad abbinamenti in cucina a dir poco millimetrici e non meno soddisfacente è l’accostamento delle bollcine di montagna alla pizza contemporanea: per ripulire dalla grassezza, per accompagnare ingredienti ostici, per "dissetare" o apportare acidità in momenti opportuni. Una bolla ideale per i gioiosi brindisi delle feste, ma anche un vino da consumare a tutto pasto: per i consigli dei nostri esperti, consultare Bollicine del mondo, la nostra app e Guida dedicata al mondo degli spumanti, disponibile gratuitamente su Google Play e App Store


In cantina

Storie di uomini, donne e bottiglie che fanno grande la galassia del vino, in Italia e nel mondo

a cura di

Marialuisa Iannuzzi

Classe 1991. Irpina. Si laurea in Lingue e poi in Studi Internazionali, ma segue il cuore e nella New Forest (Regno Unito) nasce il suo amore per l'hospitality. Quello per il cibo era acceso da sempre.  Dopo aver curato l'accoglienza di Identità Golose Milano, oggi è narratrice di sapori per Identità Golose. Isa viaggia, assaggia. Tiene vive le sue sensazioni attraverso le parole.

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