La Calabria è una regione spesso lasciata ai margini, soprattutto dal punto di vista vitivinicolo e olivicolo. Eppure se ci si sofferma e se la si conosce più a fondo, ci si rende conto delle incredibili risorse e potenzialità che racchiude al suo interno. Lo scorso luglio, Cirò è stata protagonista di una interessante manifestazione intitolata Rosso Calabria. Di terra e di vino, organizzato da Regione, Arsac ed Enoteca Regionale Casa dei Vini della Calabria; evento che parte proprio dalle risorse e dalla loro valorizzazione. In questo contesto è stato altresì presentato il progetto sul turismo enogastronomico dell’Enoteca Regionale che vuole esser una sorta di cabina di regia, capace di mettere in rete tutti i potenziali interlocutori per la promozione e la valorizzazione di luoghi e tipicità attraverso lo sviluppo della filiera e del binomio turismo&enogastronomia. Fattore, quest’ultimo, che in modo trasversale è alla base della qualificazione dell’offerta e delle proposte per diverse nicchie di turismo, quali quello naturalistico, balneare, sportivo, culturale.

Come annunciato dal presidente della Regione
Mario Oliverio, «l’Enoteca Regionale dovrà essere sempre più punto di riferimento e dovrà avere un luogo consono. In tal senso ritengo che il castello di Cirò debba essere la sua sede. Abbiamo infatti già programmato un investimento, deliberato in giunta, destinandovi due milioni di euro, che si aggiungono ad altri due milioni che erano stati stanziati dal Mibact lo scorso anno. Noi dobbiamo aprire qui, appena il recupero del castello di Cirò sarà completato, spazi importanti e ambire a realizzare nel castello un punto di riferimento della viticoltura e della enogastronomia calabrese. Ma dobbiamo andare oltre e puntare a moltiplicare strutture come questa anche in altre città, in luoghi nei quali i nostri prodotti possano incontrarsi con i consumatori».

Grazie al contributo e alla partecipazione delle numerose aziende del territorio, è stato possibile approfondire e vivere da vicino i tesori e la forza del territorio. Inoltre, la scelta di Cirò per questo importante appuntamento è senza dubbio vincente, dal momento che è stata una delle realtà che si è mossa di più negli ultimi dieci anni. Questo è il regno indiscusso del Gaglioppo, tra i principali vitigni autoctoni calabresi, che ben si lega all’unicità del territorio cirotano, costituito di entroterra più che di costa; di vigne e di ulivi secolari.
Sono in questo senso risultate vincenti la visione e la determinazione di piccoli vigneron come
Francesco De Franco (cantina
'A Vita),
Cataldo Calabretta (
Cataldo Calabretta Viticultore), Sergio Arcuri (azienda agricola
Sergio Arcuri), che hanno creduto nelle potenzialità del Gaglioppo e sono stati tra i primi a scommettere sulle potenzialità di questo vitigno e sulla nuova strada da percorrere per la
Doc Cirò, ovviamente affiancati dall’esperienza di cantine storiche come
Librandi o
Ippolito 1845, che hanno da sempre investito nel territorio e nella viticoltura calabrese.

Alcuni esponenti della Cirò Revolution
È interessante, infatti, capire da vicino la filosofia che unisce questo gruppo di giovani produttori, che ama definirsi
CiròRevolution, tra cui oltre ai citati
Calabretta, Arcuri e
De Franco vale la pena annoverare anche i titolari di cantine come
Cote di Franze e
Tenuta del Conte; tutti uniti dal comune intento di lasciar esprimere il Gaglioppo senza compromessi sul suo carattere; capaci di fare squadra senza rivalità alcuna, rispettando la personalità che ognuno di loro riesce a dare ai propri prodotti.
Durante la manifestazione, le visite sul campo, le degustazioni guidate e i banchi di assaggio ci hanno permesso di approfondire le diverse realtà vitivinicole e i vini, non solo nella versione in rosso, ma anche in quella in rosato; tipologia, quest’ultima, a cui i produttori di Cirò sono fortemente legati, vista la loro memoria ancestrale, come produttori ma anche come consumatori di una tipologia già prodotta negli anni Cinquanta del Novecento.

Alcuni dei rosati che abbiamo assaggiato
Oggi il panorama del rosato calabrese soffre dell’indecisione della strada da perseguire: ossia se orientare le proprie scelte su un vino più ricco di estratto oppure optare per la visione modernista di un rosato più leggiadro e dalle tonalità più pallide. Bisogna dunque lavorare di più in una direzione che sia univoca, in modo da ridare lustro a una tipologia senza dubbio estremamente versatile e attuale, oltre che legata ad una importante storicità territoriale. A ogni modo, a prescindere dalla scuola di pensiero, la media dei rosati assaggiati è decisamente discreta, con qualche punta di diamante, in cui è possibile cogliere l’anima espressiva e la passione di chi lo produce.
Anche i rossi, dal punto di vista qualitativo, pur nella diversità di interpretazioni, hanno rivelato ottime potenzialità e l’indole mediterranea di tale tipologia; gradevoli, bevibili ed estremamente gastronomici, soprattutto se serviti freschi. Non resta quindi che tenere sott’occhio questo territorio e le tante peculiarità che ha da offrire.