05-09-2011

Cracovia: direzione tradizione

Tra le svariate insegne "d'importazione" in città c'è chi non perde di vista la nobile cucina locale. La nostra fotogallery

La piazza principale del Wawel, il colle che domin

La piazza principale del Wawel, il colle che domina Cracovia, sulla Vistola, con il castello e la cattedrale

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Quest’uomo dagli occhi intelligenti e il sorriso bonario si chiama Adam Chrząstowski ed è il profeta della Nowe kuchni polskiej, la nuova cucina polacca, secondo una sua stessa definizione. Quarantatreenne di Varsavia, da quattro anni ha aperto il suo ristorante Ancora (all’italiana, con l’accento sulla prima “a”. Come a dire: di nuovo) a Cracovia, seconda città della Polonia, ma da sempre principale centro culturale, artistico e universitario del Paese.

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Quest’uomo dagli occhi intelligenti e il sorriso bonario si chiama Adam Chrząstowski ed è il profeta della Nowe kuchni polskiej, la nuova cucina polacca, secondo una sua stessa definizione. Quarantatreenne di Varsavia, da quattro anni ha aperto il suo ristorante Ancora (all’italiana, con l’accento sulla prima “a”. Come a dire: di nuovo) a Cracovia, seconda città della Polonia, ma da sempre principale centro culturale, artistico e universitario del Paese.

Kraków è una bella città, con un nucleo storico (Stare Miasto) ricco di attrattive anche perché quasi del tutto immune dalle distruzioni della seconda guerra mondiale, che hanno invece martoriato, ad esempio, Varsavia o Breslavia. Per secoli è stata residenza dei re polacchi – è tuttora Pantheon della nazione – poi terza città dell’impero asburgico dopo Vienna e Budapest, sempre animata da una vivace vita commerciale, ci si trova all’intersezione tra l’antica via dell’ambra, tra Carpazi e Baltico, e quella Est-Ovest che da Kiev conduce a Praga. Anche per queste molteplici influenze, dal punto di vista architettonico vanta un armonioso sovrapporsi di stili: romanico, gotico, rinascimentale (di diretta derivazione italiana, anche grazie a Bona Sforza, figlia di Gian Galeazzo, andata sposa a Sigismondo I Jagellone e dunque diventata regina), barocco... Nella foto, Rynek Głowny, ossia la più grande piazza medioevale d’Europa, cuore della città, con sulla sinistra la Sukiennice, gotico mercato dei tessuti, e a destra la Kościół Mariacki, chiesa dedicata a Maria.

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Quest’uomo dagli occhi intelligenti e il sorriso bonario si chiama Adam Chrząstowski ed è il profeta della Nowe kuchni polskiej, la nuova cucina polacca, secondo una sua stessa definizione. Quarantatreenne di Varsavia, da quattro anni ha aperto il suo ristorante Ancora (all’italiana, con l’accento sulla prima “a”. Come a dire: di nuovo) a Cracovia, seconda città della Polonia, ma da sempre principale centro culturale, artistico e universitario del Paese.








Kraków è una bella città, con un nucleo storico (Stare Miasto) ricco di attrattive anche perché quasi del tutto immune dalle distruzioni della seconda guerra mondiale, che hanno invece martoriato, ad esempio, Varsavia o Breslavia. Per secoli è stata residenza dei re polacchi – è tuttora Pantheon della nazione – poi terza città dell’impero asburgico dopo Vienna e Budapest, sempre animata da una vivace vita commerciale, ci si trova all’intersezione tra l’antica via dell’ambra, tra Carpazi e Baltico, e quella Est-Ovest che da Kiev conduce a Praga. Anche per queste molteplici influenze, dal punto di vista architettonico vanta un armonioso sovrapporsi di stili: romanico, gotico, rinascimentale (di diretta derivazione italiana, anche grazie a Bona Sforza, figlia di Gian Galeazzo, andata sposa a Sigismondo I Jagellone e dunque diventata regina), barocco... Nella foto, Rynek Głowny, ossia la più grande piazza medioevale d’Europa, cuore della città, con sulla sinistra la Sukiennice, gotico mercato dei tessuti, e a destra la Kościół Mariacki, chiesa dedicata a Maria.

L’intensità della vita sociale cracovienne si è sempre riscontrata anche in cucina, ma i decenni sotto l’ombrello sovietico hanno prodotto una cesura che solo ora, faticosamente, si sta cercando di ricucire. L’isolamento è durato troppo per non pesare ancora e fa sì che in città furoreggino i ristoranti “d’importazione” – italiani in primis – di qualità spesso discutibile: oggi tutto ciò che è (più o meno) esotico attira, dal momento che fino all’altro ieri era vietato... L’alta cucina è tendenzialmente d’ispirazione francese e/o internazionale (ma senza alcun particolare acuto), mentre della tradizione polacca viene recuperata solo l’anima popolare, non particolarmente raffinata: da qui la messe di trattorie “tipiche” spesso acchiappa-turisti, con menu che richiedono dosi massicce finali di Alka Seltzer. E’ un trionfo di aringhe, żurek (una zuppa d’orzo da sempre assai utile per tamponare i sintomi post-sbornia), gołąbki (involtini di cavolo ripieni), barszcz (versione locale del borsch russo), gli onnipresenti pierogi (ravioli quadrati), per finire con gran piatti di carne arrosto, stufata, grigliata... Nella foto: spiedini, spezzatino e patate in vendita a un chiosco in centro città.

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Quest’uomo dagli occhi intelligenti e il sorriso bonario si chiama Adam Chrząstowski ed è il profeta della Nowe kuchni polskiej, la nuova cucina polacca, secondo una sua stessa definizione. Quarantatreenne di Varsavia, da quattro anni ha aperto il suo ristorante Ancora (all’italiana, con l’accento sulla prima “a”. Come a dire: di nuovo) a Cracovia, seconda città della Polonia, ma da sempre principale centro culturale, artistico e universitario del Paese.








Kraków è una bella città, con un nucleo storico (Stare Miasto) ricco di attrattive anche perché quasi del tutto immune dalle distruzioni della seconda guerra mondiale, che hanno invece martoriato, ad esempio, Varsavia o Breslavia. Per secoli è stata residenza dei re polacchi – è tuttora Pantheon della nazione – poi terza città dell’impero asburgico dopo Vienna e Budapest, sempre animata da una vivace vita commerciale, ci si trova all’intersezione tra l’antica via dell’ambra, tra Carpazi e Baltico, e quella Est-Ovest che da Kiev conduce a Praga. Anche per queste molteplici influenze, dal punto di vista architettonico vanta un armonioso sovrapporsi di stili: romanico, gotico, rinascimentale (di diretta derivazione italiana, anche grazie a Bona Sforza, figlia di Gian Galeazzo, andata sposa a Sigismondo I Jagellone e dunque diventata regina), barocco... Nella foto, Rynek Głowny, ossia la più grande piazza medioevale d’Europa, cuore della città, con sulla sinistra la Sukiennice, gotico mercato dei tessuti, e a destra la Kościół Mariacki, chiesa dedicata a Maria.








L’intensità della vita sociale cracovienne si è sempre riscontrata anche in cucina, ma i decenni sotto l’ombrello sovietico hanno prodotto una cesura che solo ora, faticosamente, si sta cercando di ricucire. L’isolamento è durato troppo per non pesare ancora e fa sì che in città furoreggino i ristoranti “d’importazione” – italiani in primis – di qualità spesso discutibile: oggi tutto ciò che è (più o meno) esotico attira, dal momento che fino all’altro ieri era vietato... L’alta cucina è tendenzialmente d’ispirazione francese e/o internazionale (ma senza alcun particolare acuto), mentre della tradizione polacca viene recuperata solo l’anima popolare, non particolarmente raffinata: da qui la messe di trattorie “tipiche” spesso acchiappa-turisti, con menu che richiedono dosi massicce finali di Alka Seltzer. E’ un trionfo di aringhe, żurek (una zuppa d’orzo da sempre assai utile per tamponare i sintomi post-sbornia), gołąbki (involtini di cavolo ripieni), barszcz (versione locale del borsch russo), gli onnipresenti pierogi (ravioli quadrati), per finire con gran piatti di carne arrosto, stufata, grigliata... Nella foto: spiedini, spezzatino e patate in vendita a un chiosco in centro città.

Proprio a modificare questo andazzo punta Adam Chrząstowski col suo Ancora (nella foto). Capofila di un – ancora esiguo - gruppo di colleghi sparsi per il Paese, vuole recuperare anche la tradizione polacca nobile, nel senso letterale del termine (ci si rifà alle pietanze delle tavole aristocratiche), del tutto dimenticata sotto la cappa comunista. Dunque a Cracovia innovazione significa ora, innanzi tutto, riannodare i fili di una storia gourmand che pareva essersi persa per sempre (la Polonia, ad esempio, è leader nell’allevamento di oche, ma poi solo il 5% di quella carne prelibata viene consumato in loco, fresco o lavorato; il mar Baltico offre a sua volta prodotti straordinari, però gran parte del pescato finisce in Scandinavia...); in secondo luogo, significa andare alla ricerca dei tanti piccoli produttori d’eccellenza sparsi sul grande territorio, sostenendone l’attività e diffondendo una cultura slow food; infine, vuol anche dire applicare a tali materie prime e alle ricette d’antan qualche tecnica contemporanea, stando però attenti a non epater les bourgeois, che son di casa (la cultura borghese è storicamente così forte da queste parti, che la città risultava assai invisa ai dirigenti del defunto regime; fecero così costruire una sorta di Cracovia 2, ammasso periferico di acciaierie e inquinamento, proprio per innestarvi un’anima proletaria, seppur posticcia).

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Quest’uomo dagli occhi intelligenti e il sorriso bonario si chiama Adam Chrząstowski ed è il profeta della Nowe kuchni polskiej, la nuova cucina polacca, secondo una sua stessa definizione. Quarantatreenne di Varsavia, da quattro anni ha aperto il suo ristorante Ancora (all’italiana, con l’accento sulla prima “a”. Come a dire: di nuovo) a Cracovia, seconda città della Polonia, ma da sempre principale centro culturale, artistico e universitario del Paese.








Kraków è una bella città, con un nucleo storico (Stare Miasto) ricco di attrattive anche perché quasi del tutto immune dalle distruzioni della seconda guerra mondiale, che hanno invece martoriato, ad esempio, Varsavia o Breslavia. Per secoli è stata residenza dei re polacchi – è tuttora Pantheon della nazione – poi terza città dell’impero asburgico dopo Vienna e Budapest, sempre animata da una vivace vita commerciale, ci si trova all’intersezione tra l’antica via dell’ambra, tra Carpazi e Baltico, e quella Est-Ovest che da Kiev conduce a Praga. Anche per queste molteplici influenze, dal punto di vista architettonico vanta un armonioso sovrapporsi di stili: romanico, gotico, rinascimentale (di diretta derivazione italiana, anche grazie a Bona Sforza, figlia di Gian Galeazzo, andata sposa a Sigismondo I Jagellone e dunque diventata regina), barocco... Nella foto, Rynek Głowny, ossia la più grande piazza medioevale d’Europa, cuore della città, con sulla sinistra la Sukiennice, gotico mercato dei tessuti, e a destra la Kościół Mariacki, chiesa dedicata a Maria.








L’intensità della vita sociale cracovienne si è sempre riscontrata anche in cucina, ma i decenni sotto l’ombrello sovietico hanno prodotto una cesura che solo ora, faticosamente, si sta cercando di ricucire. L’isolamento è durato troppo per non pesare ancora e fa sì che in città furoreggino i ristoranti “d’importazione” – italiani in primis – di qualità spesso discutibile: oggi tutto ciò che è (più o meno) esotico attira, dal momento che fino all’altro ieri era vietato... L’alta cucina è tendenzialmente d’ispirazione francese e/o internazionale (ma senza alcun particolare acuto), mentre della tradizione polacca viene recuperata solo l’anima popolare, non particolarmente raffinata: da qui la messe di trattorie “tipiche” spesso acchiappa-turisti, con menu che richiedono dosi massicce finali di Alka Seltzer. E’ un trionfo di aringhe, żurek (una zuppa d’orzo da sempre assai utile per tamponare i sintomi post-sbornia), gołąbki (involtini di cavolo ripieni), barszcz (versione locale del borsch russo), gli onnipresenti pierogi (ravioli quadrati), per finire con gran piatti di carne arrosto, stufata, grigliata... Nella foto: spiedini, spezzatino e patate in vendita a un chiosco in centro città.








Proprio a modificare questo andazzo punta Adam Chrząstowski col suo Ancora (nella foto). Capofila di un – ancora esiguo - gruppo di colleghi sparsi per il Paese, vuole recuperare anche la tradizione polacca nobile, nel senso letterale del termine (ci si rifà alle pietanze delle tavole aristocratiche), del tutto dimenticata sotto la cappa comunista. Dunque a Cracovia innovazione significa ora, innanzi tutto, riannodare i fili di una storia gourmand che pareva essersi persa per sempre (la Polonia, ad esempio, è leader nell’allevamento di oche, ma poi solo il 5% di quella carne prelibata viene consumato in loco, fresco o lavorato; il mar Baltico offre a sua volta prodotti straordinari, però gran parte del pescato finisce in Scandinavia...); in secondo luogo, significa andare alla ricerca dei tanti piccoli produttori d’eccellenza sparsi sul grande territorio, sostenendone l’attività e diffondendo una cultura slow food; infine, vuol anche dire applicare a tali materie prime e alle ricette d’antan qualche tecnica contemporanea, stando però attenti a non epater les bourgeois, che son di casa (la cultura borghese è storicamente così forte da queste parti, che la città risultava assai invisa ai dirigenti del defunto regime; fecero così costruire una sorta di Cracovia 2, ammasso periferico di acciaierie e inquinamento, proprio per innestarvi un’anima proletaria, seppur posticcia).

Non siamo quindi certamente al molecolare, l’avanguardia è altrove: la nuova cucina polacca si sostanzia in portate che prevedono perlopiù materie prime di qualità, del territorio, assemblate recuperando ricette dell’alta cucina locale (con qualche spunto creativo) ma in modo da risultare alleggerite, modernizzate e con un impiatto elegante. Per dire: la preparazione di uno simil-zabaione con frutti di bosco sostituisce al marsala un liquore polacco al miele; il (delizioso) sorbetto a metà pasto è a base di cetriolo affogato nella Zubrowka, la pregevole “vodka all’erba del bisonte”, aromatizzata cioè con queste erbette brucate dagli ultimi bisonti europei che pascolano nelle lande semi-disabitate ai confini con la Bielorussia. Chrząstowski non rinuncia mai al sapore, le preparazioni sono d’immediata soddisfazione, a rischio di perdere un poco d’eleganza. Ma mai in piacevolezza. Menu degustazione di sette portate a 190 złoty, ossia circa 45 euro. Nella foto (invero un po’ scura, ci scuserete), il Filetto di cervo in crosta di funghi di bosco, con funghi e zucchine: carne portentosa, cotta in modo encomiabile, il miglior cervo che abbia mai mangiato.

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Quest’uomo dagli occhi intelligenti e il sorriso bonario si chiama Adam Chrząstowski ed è il profeta della Nowe kuchni polskiej, la nuova cucina polacca, secondo una sua stessa definizione. Quarantatreenne di Varsavia, da quattro anni ha aperto il suo ristorante Ancora (all’italiana, con l’accento sulla prima “a”. Come a dire: di nuovo) a Cracovia, seconda città della Polonia, ma da sempre principale centro culturale, artistico e universitario del Paese.








Kraków è una bella città, con un nucleo storico (Stare Miasto) ricco di attrattive anche perché quasi del tutto immune dalle distruzioni della seconda guerra mondiale, che hanno invece martoriato, ad esempio, Varsavia o Breslavia. Per secoli è stata residenza dei re polacchi – è tuttora Pantheon della nazione – poi terza città dell’impero asburgico dopo Vienna e Budapest, sempre animata da una vivace vita commerciale, ci si trova all’intersezione tra l’antica via dell’ambra, tra Carpazi e Baltico, e quella Est-Ovest che da Kiev conduce a Praga. Anche per queste molteplici influenze, dal punto di vista architettonico vanta un armonioso sovrapporsi di stili: romanico, gotico, rinascimentale (di diretta derivazione italiana, anche grazie a Bona Sforza, figlia di Gian Galeazzo, andata sposa a Sigismondo I Jagellone e dunque diventata regina), barocco... Nella foto, Rynek Głowny, ossia la più grande piazza medioevale d’Europa, cuore della città, con sulla sinistra la Sukiennice, gotico mercato dei tessuti, e a destra la Kościół Mariacki, chiesa dedicata a Maria.








L’intensità della vita sociale cracovienne si è sempre riscontrata anche in cucina, ma i decenni sotto l’ombrello sovietico hanno prodotto una cesura che solo ora, faticosamente, si sta cercando di ricucire. L’isolamento è durato troppo per non pesare ancora e fa sì che in città furoreggino i ristoranti “d’importazione” – italiani in primis – di qualità spesso discutibile: oggi tutto ciò che è (più o meno) esotico attira, dal momento che fino all’altro ieri era vietato... L’alta cucina è tendenzialmente d’ispirazione francese e/o internazionale (ma senza alcun particolare acuto), mentre della tradizione polacca viene recuperata solo l’anima popolare, non particolarmente raffinata: da qui la messe di trattorie “tipiche” spesso acchiappa-turisti, con menu che richiedono dosi massicce finali di Alka Seltzer. E’ un trionfo di aringhe, żurek (una zuppa d’orzo da sempre assai utile per tamponare i sintomi post-sbornia), gołąbki (involtini di cavolo ripieni), barszcz (versione locale del borsch russo), gli onnipresenti pierogi (ravioli quadrati), per finire con gran piatti di carne arrosto, stufata, grigliata... Nella foto: spiedini, spezzatino e patate in vendita a un chiosco in centro città.








Proprio a modificare questo andazzo punta Adam Chrząstowski col suo Ancora (nella foto). Capofila di un – ancora esiguo - gruppo di colleghi sparsi per il Paese, vuole recuperare anche la tradizione polacca nobile, nel senso letterale del termine (ci si rifà alle pietanze delle tavole aristocratiche), del tutto dimenticata sotto la cappa comunista. Dunque a Cracovia innovazione significa ora, innanzi tutto, riannodare i fili di una storia gourmand che pareva essersi persa per sempre (la Polonia, ad esempio, è leader nell’allevamento di oche, ma poi solo il 5% di quella carne prelibata viene consumato in loco, fresco o lavorato; il mar Baltico offre a sua volta prodotti straordinari, però gran parte del pescato finisce in Scandinavia...); in secondo luogo, significa andare alla ricerca dei tanti piccoli produttori d’eccellenza sparsi sul grande territorio, sostenendone l’attività e diffondendo una cultura slow food; infine, vuol anche dire applicare a tali materie prime e alle ricette d’antan qualche tecnica contemporanea, stando però attenti a non epater les bourgeois, che son di casa (la cultura borghese è storicamente così forte da queste parti, che la città risultava assai invisa ai dirigenti del defunto regime; fecero così costruire una sorta di Cracovia 2, ammasso periferico di acciaierie e inquinamento, proprio per innestarvi un’anima proletaria, seppur posticcia).








Non siamo quindi certamente al molecolare, l’avanguardia è altrove: la nuova cucina polacca si sostanzia in portate che prevedono perlopiù materie prime di qualità, del territorio, assemblate recuperando ricette dell’alta cucina locale (con qualche spunto creativo) ma in modo da risultare alleggerite, modernizzate e con un impiatto elegante. Per dire: la preparazione di uno simil-zabaione con frutti di bosco sostituisce al marsala un liquore polacco al miele; il (delizioso) sorbetto a metà pasto è a base di cetriolo affogato nella Zubrowka, la pregevole “vodka all’erba del bisonte”, aromatizzata cioè con queste erbette brucate dagli ultimi bisonti europei che pascolano nelle lande semi-disabitate ai confini con la Bielorussia. Chrząstowski non rinuncia mai al sapore, le preparazioni sono d’immediata soddisfazione, a rischio di perdere un poco d’eleganza. Ma mai in piacevolezza. Menu degustazione di sette portate a 190 złoty, ossia circa 45 euro. Nella foto (invero un po’ scura, ci scuserete), il Filetto di cervo in crosta di funghi di bosco, con funghi e zucchine: carne portentosa, cotta in modo encomiabile, il miglior cervo che abbia mai mangiato.

Molto buona anche la crema di gambero, con gamberetti e pane tostato al formaggio bianco. E da ricordare il piatto nella foto, una sorta di millefoglie dove strati di filetti di triglia si alternano alla pasta delle nostre chiacchiere carnascialesche (tradizione gastronomica dolce che esiste anche da queste parti), presentata in versione salata e fritta “easy”, il tutto a galleggiare su un mare di splendida salsa alla vaniglia e zafferano. Davvero squisito.

Galleria fotografica






Quest’uomo dagli occhi intelligenti e il sorriso bonario si chiama Adam Chrząstowski ed è il profeta della Nowe kuchni polskiej, la nuova cucina polacca, secondo una sua stessa definizione. Quarantatreenne di Varsavia, da quattro anni ha aperto il suo ristorante Ancora (all’italiana, con l’accento sulla prima “a”. Come a dire: di nuovo) a Cracovia, seconda città della Polonia, ma da sempre principale centro culturale, artistico e universitario del Paese.








Kraków è una bella città, con un nucleo storico (Stare Miasto) ricco di attrattive anche perché quasi del tutto immune dalle distruzioni della seconda guerra mondiale, che hanno invece martoriato, ad esempio, Varsavia o Breslavia. Per secoli è stata residenza dei re polacchi – è tuttora Pantheon della nazione – poi terza città dell’impero asburgico dopo Vienna e Budapest, sempre animata da una vivace vita commerciale, ci si trova all’intersezione tra l’antica via dell’ambra, tra Carpazi e Baltico, e quella Est-Ovest che da Kiev conduce a Praga. Anche per queste molteplici influenze, dal punto di vista architettonico vanta un armonioso sovrapporsi di stili: romanico, gotico, rinascimentale (di diretta derivazione italiana, anche grazie a Bona Sforza, figlia di Gian Galeazzo, andata sposa a Sigismondo I Jagellone e dunque diventata regina), barocco... Nella foto, Rynek Głowny, ossia la più grande piazza medioevale d’Europa, cuore della città, con sulla sinistra la Sukiennice, gotico mercato dei tessuti, e a destra la Kościół Mariacki, chiesa dedicata a Maria.








L’intensità della vita sociale cracovienne si è sempre riscontrata anche in cucina, ma i decenni sotto l’ombrello sovietico hanno prodotto una cesura che solo ora, faticosamente, si sta cercando di ricucire. L’isolamento è durato troppo per non pesare ancora e fa sì che in città furoreggino i ristoranti “d’importazione” – italiani in primis – di qualità spesso discutibile: oggi tutto ciò che è (più o meno) esotico attira, dal momento che fino all’altro ieri era vietato... L’alta cucina è tendenzialmente d’ispirazione francese e/o internazionale (ma senza alcun particolare acuto), mentre della tradizione polacca viene recuperata solo l’anima popolare, non particolarmente raffinata: da qui la messe di trattorie “tipiche” spesso acchiappa-turisti, con menu che richiedono dosi massicce finali di Alka Seltzer. E’ un trionfo di aringhe, żurek (una zuppa d’orzo da sempre assai utile per tamponare i sintomi post-sbornia), gołąbki (involtini di cavolo ripieni), barszcz (versione locale del borsch russo), gli onnipresenti pierogi (ravioli quadrati), per finire con gran piatti di carne arrosto, stufata, grigliata... Nella foto: spiedini, spezzatino e patate in vendita a un chiosco in centro città.








Proprio a modificare questo andazzo punta Adam Chrząstowski col suo Ancora (nella foto). Capofila di un – ancora esiguo - gruppo di colleghi sparsi per il Paese, vuole recuperare anche la tradizione polacca nobile, nel senso letterale del termine (ci si rifà alle pietanze delle tavole aristocratiche), del tutto dimenticata sotto la cappa comunista. Dunque a Cracovia innovazione significa ora, innanzi tutto, riannodare i fili di una storia gourmand che pareva essersi persa per sempre (la Polonia, ad esempio, è leader nell’allevamento di oche, ma poi solo il 5% di quella carne prelibata viene consumato in loco, fresco o lavorato; il mar Baltico offre a sua volta prodotti straordinari, però gran parte del pescato finisce in Scandinavia...); in secondo luogo, significa andare alla ricerca dei tanti piccoli produttori d’eccellenza sparsi sul grande territorio, sostenendone l’attività e diffondendo una cultura slow food; infine, vuol anche dire applicare a tali materie prime e alle ricette d’antan qualche tecnica contemporanea, stando però attenti a non epater les bourgeois, che son di casa (la cultura borghese è storicamente così forte da queste parti, che la città risultava assai invisa ai dirigenti del defunto regime; fecero così costruire una sorta di Cracovia 2, ammasso periferico di acciaierie e inquinamento, proprio per innestarvi un’anima proletaria, seppur posticcia).








Non siamo quindi certamente al molecolare, l’avanguardia è altrove: la nuova cucina polacca si sostanzia in portate che prevedono perlopiù materie prime di qualità, del territorio, assemblate recuperando ricette dell’alta cucina locale (con qualche spunto creativo) ma in modo da risultare alleggerite, modernizzate e con un impiatto elegante. Per dire: la preparazione di uno simil-zabaione con frutti di bosco sostituisce al marsala un liquore polacco al miele; il (delizioso) sorbetto a metà pasto è a base di cetriolo affogato nella Zubrowka, la pregevole “vodka all’erba del bisonte”, aromatizzata cioè con queste erbette brucate dagli ultimi bisonti europei che pascolano nelle lande semi-disabitate ai confini con la Bielorussia. Chrząstowski non rinuncia mai al sapore, le preparazioni sono d’immediata soddisfazione, a rischio di perdere un poco d’eleganza. Ma mai in piacevolezza. Menu degustazione di sette portate a 190 złoty, ossia circa 45 euro. Nella foto (invero un po’ scura, ci scuserete), il Filetto di cervo in crosta di funghi di bosco, con funghi e zucchine: carne portentosa, cotta in modo encomiabile, il miglior cervo che abbia mai mangiato.








Molto buona anche la crema di gambero, con gamberetti e pane tostato al formaggio bianco. E da ricordare il piatto nella foto, una sorta di millefoglie dove strati di filetti di triglia si alternano alla pasta delle nostre chiacchiere carnascialesche (tradizione gastronomica dolce che esiste anche da queste parti), presentata in versione salata e fritta “easy”, il tutto a galleggiare su un mare di splendida salsa alla vaniglia e zafferano. Davvero squisito.

In primo piano una zapiekanka, piatto sacro di studenti squattrinati e nottambuli d’ogni età. Trattasi dello street food per eccellenza di Cracovia, l’epicentro del cui consumo è nell’antico quartiere ebraico di Kazimierz, appena a Sud di Stare Miasto: dopo decenni di abbandono sta rinascendo, è ricco di localini ed è ora piacevole meta serale della gioventù (autoctona o di passaggio) in cerca di divertimento. Al centro della Plac Nowy (piazza Nuova) c’è l’Okrqglak (la Rotonda), un edificio con tante finestre da ognuna delle quali s’affaccia un diverso venditore di zapiekanki. E’ in sostanza una mezza baguette, tagliata per il lungo, spalmata di burro od olio e poi riccamente condita con formaggi, salumi, verdure, paté o quant’altro, con tocco finale di maionese, o salsa tartara, o salsa all’aglio... Il tutto viene infine tostato al momento. Tante finestre nella Rotonda, dicevamo, ma cercate quella giusta, perché il principe della zapiekanka è Endzior: davanti a questa gloriosa insegna noi abbiamo addentato la zapiekanka agli spinaci, che sono in crema e accompagnati da salsa tartara: gustosissima, anche se davvero inadatta a chi non ama l’aglio. Nella foto, un altro nostro assaggio (si fa per dire: sono fette enormi!), la zapiekanka con salame e formaggio Pucok (sotto gli strati salsicciosi si nascondono anche dei funghi): una vera bomba capace di calmare i morsi della fame almeno per tre generazioni. Il tutto costa tra i 5 e i 10 złoty (ossia comunque meno di 3 euro) a seconda del condimento

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Quest’uomo dagli occhi intelligenti e il sorriso bonario si chiama Adam Chrząstowski ed è il profeta della Nowe kuchni polskiej, la nuova cucina polacca, secondo una sua stessa definizione. Quarantatreenne di Varsavia, da quattro anni ha aperto il suo ristorante Ancora (all’italiana, con l’accento sulla prima “a”. Come a dire: di nuovo) a Cracovia, seconda città della Polonia, ma da sempre principale centro culturale, artistico e universitario del Paese.








Kraków è una bella città, con un nucleo storico (Stare Miasto) ricco di attrattive anche perché quasi del tutto immune dalle distruzioni della seconda guerra mondiale, che hanno invece martoriato, ad esempio, Varsavia o Breslavia. Per secoli è stata residenza dei re polacchi – è tuttora Pantheon della nazione – poi terza città dell’impero asburgico dopo Vienna e Budapest, sempre animata da una vivace vita commerciale, ci si trova all’intersezione tra l’antica via dell’ambra, tra Carpazi e Baltico, e quella Est-Ovest che da Kiev conduce a Praga. Anche per queste molteplici influenze, dal punto di vista architettonico vanta un armonioso sovrapporsi di stili: romanico, gotico, rinascimentale (di diretta derivazione italiana, anche grazie a Bona Sforza, figlia di Gian Galeazzo, andata sposa a Sigismondo I Jagellone e dunque diventata regina), barocco... Nella foto, Rynek Głowny, ossia la più grande piazza medioevale d’Europa, cuore della città, con sulla sinistra la Sukiennice, gotico mercato dei tessuti, e a destra la Kościół Mariacki, chiesa dedicata a Maria.








L’intensità della vita sociale cracovienne si è sempre riscontrata anche in cucina, ma i decenni sotto l’ombrello sovietico hanno prodotto una cesura che solo ora, faticosamente, si sta cercando di ricucire. L’isolamento è durato troppo per non pesare ancora e fa sì che in città furoreggino i ristoranti “d’importazione” – italiani in primis – di qualità spesso discutibile: oggi tutto ciò che è (più o meno) esotico attira, dal momento che fino all’altro ieri era vietato... L’alta cucina è tendenzialmente d’ispirazione francese e/o internazionale (ma senza alcun particolare acuto), mentre della tradizione polacca viene recuperata solo l’anima popolare, non particolarmente raffinata: da qui la messe di trattorie “tipiche” spesso acchiappa-turisti, con menu che richiedono dosi massicce finali di Alka Seltzer. E’ un trionfo di aringhe, żurek (una zuppa d’orzo da sempre assai utile per tamponare i sintomi post-sbornia), gołąbki (involtini di cavolo ripieni), barszcz (versione locale del borsch russo), gli onnipresenti pierogi (ravioli quadrati), per finire con gran piatti di carne arrosto, stufata, grigliata... Nella foto: spiedini, spezzatino e patate in vendita a un chiosco in centro città.








Proprio a modificare questo andazzo punta Adam Chrząstowski col suo Ancora (nella foto). Capofila di un – ancora esiguo - gruppo di colleghi sparsi per il Paese, vuole recuperare anche la tradizione polacca nobile, nel senso letterale del termine (ci si rifà alle pietanze delle tavole aristocratiche), del tutto dimenticata sotto la cappa comunista. Dunque a Cracovia innovazione significa ora, innanzi tutto, riannodare i fili di una storia gourmand che pareva essersi persa per sempre (la Polonia, ad esempio, è leader nell’allevamento di oche, ma poi solo il 5% di quella carne prelibata viene consumato in loco, fresco o lavorato; il mar Baltico offre a sua volta prodotti straordinari, però gran parte del pescato finisce in Scandinavia...); in secondo luogo, significa andare alla ricerca dei tanti piccoli produttori d’eccellenza sparsi sul grande territorio, sostenendone l’attività e diffondendo una cultura slow food; infine, vuol anche dire applicare a tali materie prime e alle ricette d’antan qualche tecnica contemporanea, stando però attenti a non epater les bourgeois, che son di casa (la cultura borghese è storicamente così forte da queste parti, che la città risultava assai invisa ai dirigenti del defunto regime; fecero così costruire una sorta di Cracovia 2, ammasso periferico di acciaierie e inquinamento, proprio per innestarvi un’anima proletaria, seppur posticcia).








Non siamo quindi certamente al molecolare, l’avanguardia è altrove: la nuova cucina polacca si sostanzia in portate che prevedono perlopiù materie prime di qualità, del territorio, assemblate recuperando ricette dell’alta cucina locale (con qualche spunto creativo) ma in modo da risultare alleggerite, modernizzate e con un impiatto elegante. Per dire: la preparazione di uno simil-zabaione con frutti di bosco sostituisce al marsala un liquore polacco al miele; il (delizioso) sorbetto a metà pasto è a base di cetriolo affogato nella Zubrowka, la pregevole “vodka all’erba del bisonte”, aromatizzata cioè con queste erbette brucate dagli ultimi bisonti europei che pascolano nelle lande semi-disabitate ai confini con la Bielorussia. Chrząstowski non rinuncia mai al sapore, le preparazioni sono d’immediata soddisfazione, a rischio di perdere un poco d’eleganza. Ma mai in piacevolezza. Menu degustazione di sette portate a 190 złoty, ossia circa 45 euro. Nella foto (invero un po’ scura, ci scuserete), il Filetto di cervo in crosta di funghi di bosco, con funghi e zucchine: carne portentosa, cotta in modo encomiabile, il miglior cervo che abbia mai mangiato.








Molto buona anche la crema di gambero, con gamberetti e pane tostato al formaggio bianco. E da ricordare il piatto nella foto, una sorta di millefoglie dove strati di filetti di triglia si alternano alla pasta delle nostre chiacchiere carnascialesche (tradizione gastronomica dolce che esiste anche da queste parti), presentata in versione salata e fritta “easy”, il tutto a galleggiare su un mare di splendida salsa alla vaniglia e zafferano. Davvero squisito.








In primo piano una zapiekanka, piatto sacro di studenti squattrinati e nottambuli d’ogni età. Trattasi dello street food per eccellenza di Cracovia, l’epicentro del cui consumo è nell’antico quartiere ebraico di Kazimierz, appena a Sud di Stare Miasto: dopo decenni di abbandono sta rinascendo, è ricco di localini ed è ora piacevole meta serale della gioventù (autoctona o di passaggio) in cerca di divertimento. Al centro della Plac Nowy (piazza Nuova) c’è l’Okrqglak (la Rotonda), un edificio con tante finestre da ognuna delle quali s’affaccia un diverso venditore di zapiekanki. E’ in sostanza una mezza baguette, tagliata per il lungo, spalmata di burro od olio e poi riccamente condita con formaggi, salumi, verdure, paté o quant’altro, con tocco finale di maionese, o salsa tartara, o salsa all’aglio... Il tutto viene infine tostato al momento. Tante finestre nella Rotonda, dicevamo, ma cercate quella giusta, perché il principe della zapiekanka è Endzior: davanti a questa gloriosa insegna noi abbiamo addentato la zapiekanka agli spinaci, che sono in crema e accompagnati da salsa tartara: gustosissima, anche se davvero inadatta a chi non ama l’aglio. Nella foto, un altro nostro assaggio (si fa per dire: sono fette enormi!), la zapiekanka con salame e formaggio Pucok (sotto gli strati salsicciosi si nascondono anche dei funghi): una vera bomba capace di calmare i morsi della fame almeno per tre generazioni. Il tutto costa tra i 5 e i 10 złoty (ossia comunque meno di 3 euro) a seconda del condimento

Abbiamo chiesto a Chrząstowski, a termine cena: dove ci consigli di mangiare nei prossimi giorni? Lui non ama molto i colleghi di Cracovia che si siedono sugli allori («La città è piena di turisti cui va benissimo gustare, finché sono in città, sempre i soliti piatti. Così nessuno inventa, nessuno rischia...») e ci ha dato pertanto un’imbeccata originale: Pijalnia (nella foto). E’ la versione polacca del tapas bar spagnolo, wódki i piva. Si trova in Tomasza 16, è aperto 24 ore su 24 e funziona così: si sceglie tra una breve elenco di piattini (che tanto “ini” non sono, anzi: con due o tre si fa cena) a 8 złoty, circa 2 euro, e li si accompagna ciascuno con una bevanda, tutte a 4 złoty, un euro (di base si dovrebbero abbinare essenzialmente shots di vodka, ma ci sono alternative meno alcoliche). Non male, oltre a essere divertente. Simile è l’Ambasada Śledzia in Stolarskiej, proprio davanti al consolato statunitense.

Galleria fotografica






Quest’uomo dagli occhi intelligenti e il sorriso bonario si chiama Adam Chrząstowski ed è il profeta della Nowe kuchni polskiej, la nuova cucina polacca, secondo una sua stessa definizione. Quarantatreenne di Varsavia, da quattro anni ha aperto il suo ristorante Ancora (all’italiana, con l’accento sulla prima “a”. Come a dire: di nuovo) a Cracovia, seconda città della Polonia, ma da sempre principale centro culturale, artistico e universitario del Paese.








Kraków è una bella città, con un nucleo storico (Stare Miasto) ricco di attrattive anche perché quasi del tutto immune dalle distruzioni della seconda guerra mondiale, che hanno invece martoriato, ad esempio, Varsavia o Breslavia. Per secoli è stata residenza dei re polacchi – è tuttora Pantheon della nazione – poi terza città dell’impero asburgico dopo Vienna e Budapest, sempre animata da una vivace vita commerciale, ci si trova all’intersezione tra l’antica via dell’ambra, tra Carpazi e Baltico, e quella Est-Ovest che da Kiev conduce a Praga. Anche per queste molteplici influenze, dal punto di vista architettonico vanta un armonioso sovrapporsi di stili: romanico, gotico, rinascimentale (di diretta derivazione italiana, anche grazie a Bona Sforza, figlia di Gian Galeazzo, andata sposa a Sigismondo I Jagellone e dunque diventata regina), barocco... Nella foto, Rynek Głowny, ossia la più grande piazza medioevale d’Europa, cuore della città, con sulla sinistra la Sukiennice, gotico mercato dei tessuti, e a destra la Kościół Mariacki, chiesa dedicata a Maria.








L’intensità della vita sociale cracovienne si è sempre riscontrata anche in cucina, ma i decenni sotto l’ombrello sovietico hanno prodotto una cesura che solo ora, faticosamente, si sta cercando di ricucire. L’isolamento è durato troppo per non pesare ancora e fa sì che in città furoreggino i ristoranti “d’importazione” – italiani in primis – di qualità spesso discutibile: oggi tutto ciò che è (più o meno) esotico attira, dal momento che fino all’altro ieri era vietato... L’alta cucina è tendenzialmente d’ispirazione francese e/o internazionale (ma senza alcun particolare acuto), mentre della tradizione polacca viene recuperata solo l’anima popolare, non particolarmente raffinata: da qui la messe di trattorie “tipiche” spesso acchiappa-turisti, con menu che richiedono dosi massicce finali di Alka Seltzer. E’ un trionfo di aringhe, żurek (una zuppa d’orzo da sempre assai utile per tamponare i sintomi post-sbornia), gołąbki (involtini di cavolo ripieni), barszcz (versione locale del borsch russo), gli onnipresenti pierogi (ravioli quadrati), per finire con gran piatti di carne arrosto, stufata, grigliata... Nella foto: spiedini, spezzatino e patate in vendita a un chiosco in centro città.








Proprio a modificare questo andazzo punta Adam Chrząstowski col suo Ancora (nella foto). Capofila di un – ancora esiguo - gruppo di colleghi sparsi per il Paese, vuole recuperare anche la tradizione polacca nobile, nel senso letterale del termine (ci si rifà alle pietanze delle tavole aristocratiche), del tutto dimenticata sotto la cappa comunista. Dunque a Cracovia innovazione significa ora, innanzi tutto, riannodare i fili di una storia gourmand che pareva essersi persa per sempre (la Polonia, ad esempio, è leader nell’allevamento di oche, ma poi solo il 5% di quella carne prelibata viene consumato in loco, fresco o lavorato; il mar Baltico offre a sua volta prodotti straordinari, però gran parte del pescato finisce in Scandinavia...); in secondo luogo, significa andare alla ricerca dei tanti piccoli produttori d’eccellenza sparsi sul grande territorio, sostenendone l’attività e diffondendo una cultura slow food; infine, vuol anche dire applicare a tali materie prime e alle ricette d’antan qualche tecnica contemporanea, stando però attenti a non epater les bourgeois, che son di casa (la cultura borghese è storicamente così forte da queste parti, che la città risultava assai invisa ai dirigenti del defunto regime; fecero così costruire una sorta di Cracovia 2, ammasso periferico di acciaierie e inquinamento, proprio per innestarvi un’anima proletaria, seppur posticcia).








Non siamo quindi certamente al molecolare, l’avanguardia è altrove: la nuova cucina polacca si sostanzia in portate che prevedono perlopiù materie prime di qualità, del territorio, assemblate recuperando ricette dell’alta cucina locale (con qualche spunto creativo) ma in modo da risultare alleggerite, modernizzate e con un impiatto elegante. Per dire: la preparazione di uno simil-zabaione con frutti di bosco sostituisce al marsala un liquore polacco al miele; il (delizioso) sorbetto a metà pasto è a base di cetriolo affogato nella Zubrowka, la pregevole “vodka all’erba del bisonte”, aromatizzata cioè con queste erbette brucate dagli ultimi bisonti europei che pascolano nelle lande semi-disabitate ai confini con la Bielorussia. Chrząstowski non rinuncia mai al sapore, le preparazioni sono d’immediata soddisfazione, a rischio di perdere un poco d’eleganza. Ma mai in piacevolezza. Menu degustazione di sette portate a 190 złoty, ossia circa 45 euro. Nella foto (invero un po’ scura, ci scuserete), il Filetto di cervo in crosta di funghi di bosco, con funghi e zucchine: carne portentosa, cotta in modo encomiabile, il miglior cervo che abbia mai mangiato.








Molto buona anche la crema di gambero, con gamberetti e pane tostato al formaggio bianco. E da ricordare il piatto nella foto, una sorta di millefoglie dove strati di filetti di triglia si alternano alla pasta delle nostre chiacchiere carnascialesche (tradizione gastronomica dolce che esiste anche da queste parti), presentata in versione salata e fritta “easy”, il tutto a galleggiare su un mare di splendida salsa alla vaniglia e zafferano. Davvero squisito.








In primo piano una zapiekanka, piatto sacro di studenti squattrinati e nottambuli d’ogni età. Trattasi dello street food per eccellenza di Cracovia, l’epicentro del cui consumo è nell’antico quartiere ebraico di Kazimierz, appena a Sud di Stare Miasto: dopo decenni di abbandono sta rinascendo, è ricco di localini ed è ora piacevole meta serale della gioventù (autoctona o di passaggio) in cerca di divertimento. Al centro della Plac Nowy (piazza Nuova) c’è l’Okrqglak (la Rotonda), un edificio con tante finestre da ognuna delle quali s’affaccia un diverso venditore di zapiekanki. E’ in sostanza una mezza baguette, tagliata per il lungo, spalmata di burro od olio e poi riccamente condita con formaggi, salumi, verdure, paté o quant’altro, con tocco finale di maionese, o salsa tartara, o salsa all’aglio... Il tutto viene infine tostato al momento. Tante finestre nella Rotonda, dicevamo, ma cercate quella giusta, perché il principe della zapiekanka è Endzior: davanti a questa gloriosa insegna noi abbiamo addentato la zapiekanka agli spinaci, che sono in crema e accompagnati da salsa tartara: gustosissima, anche se davvero inadatta a chi non ama l’aglio. Nella foto, un altro nostro assaggio (si fa per dire: sono fette enormi!), la zapiekanka con salame e formaggio Pucok (sotto gli strati salsicciosi si nascondono anche dei funghi): una vera bomba capace di calmare i morsi della fame almeno per tre generazioni. Il tutto costa tra i 5 e i 10 złoty (ossia comunque meno di 3 euro) a seconda del condimento








Abbiamo chiesto a Chrząstowski, a termine cena: dove ci consigli di mangiare nei prossimi giorni? Lui non ama molto i colleghi di Cracovia che si siedono sugli allori («La città è piena di turisti cui va benissimo gustare, finché sono in città, sempre i soliti piatti. Così nessuno inventa, nessuno rischia...») e ci ha dato pertanto un’imbeccata originale: Pijalnia (nella foto). E’ la versione polacca del tapas bar spagnolo, wódki i piva. Si trova in Tomasza 16, è aperto 24 ore su 24 e funziona così: si sceglie tra una breve elenco di piattini (che tanto “ini” non sono, anzi: con due o tre si fa cena) a 8 złoty, circa 2 euro, e li si accompagna ciascuno con una bevanda, tutte a 4 złoty, un euro (di base si dovrebbero abbinare essenzialmente shots di vodka, ma ci sono alternative meno alcoliche). Non male, oltre a essere divertente. Simile è l’Ambasada Śledzia in Stolarskiej, proprio davanti al consolato statunitense.

Praticamente a fianco del Pijalnia sta un altro bel localino assai apprezzato da indigeni e turisti. Il Café Camelot è uno di quei classici posti utili dalla mattina presto a tarda notte, offre un assortimento di buone colazioni diverse tra loro, poi insalatone, qualche piatto, dessert (non più che discreti), cocktail d’ogni tipo, un’attenta selezione di té, vodke e liquori artigianali, e ancora frullati, gelati e quant’altro. Tutto viene servito con garbo, un certo stile e un abbondante uso di frutta, che da queste parti non è poi banale. Una sosta piacevole.

Galleria fotografica






Quest’uomo dagli occhi intelligenti e il sorriso bonario si chiama Adam Chrząstowski ed è il profeta della Nowe kuchni polskiej, la nuova cucina polacca, secondo una sua stessa definizione. Quarantatreenne di Varsavia, da quattro anni ha aperto il suo ristorante Ancora (all’italiana, con l’accento sulla prima “a”. Come a dire: di nuovo) a Cracovia, seconda città della Polonia, ma da sempre principale centro culturale, artistico e universitario del Paese.








Kraków è una bella città, con un nucleo storico (Stare Miasto) ricco di attrattive anche perché quasi del tutto immune dalle distruzioni della seconda guerra mondiale, che hanno invece martoriato, ad esempio, Varsavia o Breslavia. Per secoli è stata residenza dei re polacchi – è tuttora Pantheon della nazione – poi terza città dell’impero asburgico dopo Vienna e Budapest, sempre animata da una vivace vita commerciale, ci si trova all’intersezione tra l’antica via dell’ambra, tra Carpazi e Baltico, e quella Est-Ovest che da Kiev conduce a Praga. Anche per queste molteplici influenze, dal punto di vista architettonico vanta un armonioso sovrapporsi di stili: romanico, gotico, rinascimentale (di diretta derivazione italiana, anche grazie a Bona Sforza, figlia di Gian Galeazzo, andata sposa a Sigismondo I Jagellone e dunque diventata regina), barocco... Nella foto, Rynek Głowny, ossia la più grande piazza medioevale d’Europa, cuore della città, con sulla sinistra la Sukiennice, gotico mercato dei tessuti, e a destra la Kościół Mariacki, chiesa dedicata a Maria.








L’intensità della vita sociale cracovienne si è sempre riscontrata anche in cucina, ma i decenni sotto l’ombrello sovietico hanno prodotto una cesura che solo ora, faticosamente, si sta cercando di ricucire. L’isolamento è durato troppo per non pesare ancora e fa sì che in città furoreggino i ristoranti “d’importazione” – italiani in primis – di qualità spesso discutibile: oggi tutto ciò che è (più o meno) esotico attira, dal momento che fino all’altro ieri era vietato... L’alta cucina è tendenzialmente d’ispirazione francese e/o internazionale (ma senza alcun particolare acuto), mentre della tradizione polacca viene recuperata solo l’anima popolare, non particolarmente raffinata: da qui la messe di trattorie “tipiche” spesso acchiappa-turisti, con menu che richiedono dosi massicce finali di Alka Seltzer. E’ un trionfo di aringhe, żurek (una zuppa d’orzo da sempre assai utile per tamponare i sintomi post-sbornia), gołąbki (involtini di cavolo ripieni), barszcz (versione locale del borsch russo), gli onnipresenti pierogi (ravioli quadrati), per finire con gran piatti di carne arrosto, stufata, grigliata... Nella foto: spiedini, spezzatino e patate in vendita a un chiosco in centro città.








Proprio a modificare questo andazzo punta Adam Chrząstowski col suo Ancora (nella foto). Capofila di un – ancora esiguo - gruppo di colleghi sparsi per il Paese, vuole recuperare anche la tradizione polacca nobile, nel senso letterale del termine (ci si rifà alle pietanze delle tavole aristocratiche), del tutto dimenticata sotto la cappa comunista. Dunque a Cracovia innovazione significa ora, innanzi tutto, riannodare i fili di una storia gourmand che pareva essersi persa per sempre (la Polonia, ad esempio, è leader nell’allevamento di oche, ma poi solo il 5% di quella carne prelibata viene consumato in loco, fresco o lavorato; il mar Baltico offre a sua volta prodotti straordinari, però gran parte del pescato finisce in Scandinavia...); in secondo luogo, significa andare alla ricerca dei tanti piccoli produttori d’eccellenza sparsi sul grande territorio, sostenendone l’attività e diffondendo una cultura slow food; infine, vuol anche dire applicare a tali materie prime e alle ricette d’antan qualche tecnica contemporanea, stando però attenti a non epater les bourgeois, che son di casa (la cultura borghese è storicamente così forte da queste parti, che la città risultava assai invisa ai dirigenti del defunto regime; fecero così costruire una sorta di Cracovia 2, ammasso periferico di acciaierie e inquinamento, proprio per innestarvi un’anima proletaria, seppur posticcia).








Non siamo quindi certamente al molecolare, l’avanguardia è altrove: la nuova cucina polacca si sostanzia in portate che prevedono perlopiù materie prime di qualità, del territorio, assemblate recuperando ricette dell’alta cucina locale (con qualche spunto creativo) ma in modo da risultare alleggerite, modernizzate e con un impiatto elegante. Per dire: la preparazione di uno simil-zabaione con frutti di bosco sostituisce al marsala un liquore polacco al miele; il (delizioso) sorbetto a metà pasto è a base di cetriolo affogato nella Zubrowka, la pregevole “vodka all’erba del bisonte”, aromatizzata cioè con queste erbette brucate dagli ultimi bisonti europei che pascolano nelle lande semi-disabitate ai confini con la Bielorussia. Chrząstowski non rinuncia mai al sapore, le preparazioni sono d’immediata soddisfazione, a rischio di perdere un poco d’eleganza. Ma mai in piacevolezza. Menu degustazione di sette portate a 190 złoty, ossia circa 45 euro. Nella foto (invero un po’ scura, ci scuserete), il Filetto di cervo in crosta di funghi di bosco, con funghi e zucchine: carne portentosa, cotta in modo encomiabile, il miglior cervo che abbia mai mangiato.








Molto buona anche la crema di gambero, con gamberetti e pane tostato al formaggio bianco. E da ricordare il piatto nella foto, una sorta di millefoglie dove strati di filetti di triglia si alternano alla pasta delle nostre chiacchiere carnascialesche (tradizione gastronomica dolce che esiste anche da queste parti), presentata in versione salata e fritta “easy”, il tutto a galleggiare su un mare di splendida salsa alla vaniglia e zafferano. Davvero squisito.








In primo piano una zapiekanka, piatto sacro di studenti squattrinati e nottambuli d’ogni età. Trattasi dello street food per eccellenza di Cracovia, l’epicentro del cui consumo è nell’antico quartiere ebraico di Kazimierz, appena a Sud di Stare Miasto: dopo decenni di abbandono sta rinascendo, è ricco di localini ed è ora piacevole meta serale della gioventù (autoctona o di passaggio) in cerca di divertimento. Al centro della Plac Nowy (piazza Nuova) c’è l’Okrqglak (la Rotonda), un edificio con tante finestre da ognuna delle quali s’affaccia un diverso venditore di zapiekanki. E’ in sostanza una mezza baguette, tagliata per il lungo, spalmata di burro od olio e poi riccamente condita con formaggi, salumi, verdure, paté o quant’altro, con tocco finale di maionese, o salsa tartara, o salsa all’aglio... Il tutto viene infine tostato al momento. Tante finestre nella Rotonda, dicevamo, ma cercate quella giusta, perché il principe della zapiekanka è Endzior: davanti a questa gloriosa insegna noi abbiamo addentato la zapiekanka agli spinaci, che sono in crema e accompagnati da salsa tartara: gustosissima, anche se davvero inadatta a chi non ama l’aglio. Nella foto, un altro nostro assaggio (si fa per dire: sono fette enormi!), la zapiekanka con salame e formaggio Pucok (sotto gli strati salsicciosi si nascondono anche dei funghi): una vera bomba capace di calmare i morsi della fame almeno per tre generazioni. Il tutto costa tra i 5 e i 10 złoty (ossia comunque meno di 3 euro) a seconda del condimento








Abbiamo chiesto a Chrząstowski, a termine cena: dove ci consigli di mangiare nei prossimi giorni? Lui non ama molto i colleghi di Cracovia che si siedono sugli allori («La città è piena di turisti cui va benissimo gustare, finché sono in città, sempre i soliti piatti. Così nessuno inventa, nessuno rischia...») e ci ha dato pertanto un’imbeccata originale: Pijalnia (nella foto). E’ la versione polacca del tapas bar spagnolo, wódki i piva. Si trova in Tomasza 16, è aperto 24 ore su 24 e funziona così: si sceglie tra una breve elenco di piattini (che tanto “ini” non sono, anzi: con due o tre si fa cena) a 8 złoty, circa 2 euro, e li si accompagna ciascuno con una bevanda, tutte a 4 złoty, un euro (di base si dovrebbero abbinare essenzialmente shots di vodka, ma ci sono alternative meno alcoliche). Non male, oltre a essere divertente. Simile è l’Ambasada Śledzia in Stolarskiej, proprio davanti al consolato statunitense.








Praticamente a fianco del Pijalnia sta un altro bel localino assai apprezzato da indigeni e turisti. Il Café Camelot è uno di quei classici posti utili dalla mattina presto a tarda notte, offre un assortimento di buone colazioni diverse tra loro, poi insalatone, qualche piatto, dessert (non più che discreti), cocktail d’ogni tipo, un’attenta selezione di té, vodke e liquori artigianali, e ancora frullati, gelati e quant’altro. Tutto viene servito con garbo, un certo stile e un abbondante uso di frutta, che da queste parti non è poi banale. Una sosta piacevole.

Chi ha buona memoria e legge da tempo le newsletter di Identità Golose ricorderà forse la storia dei Blikle, famiglia di pasticceri da cinque generazioni: la prima serranda salì a Varsavia nel 1869. Gabriele Zanatta faceva parlare Andrzej Blikle, oggi gestore del marchio assieme al figlio, che raccontava la parabola dei paczek, dolcetto da colazione o merenda più famoso di Polonia, sorta di ciambella senza buco, ripieno di confettura (rosa canina selvatica, fragola, mirtillo, lampone...) o crema bavarese, poi spalmato di zucchero a velo con piccoli zest d’arancia. «Ai tempi del comunismo – narrava l’Andrzej - le arance costavano 50 volte tanto così come tutti gli altri agrumi e le marmellate. Nessuno poteva permettersele. Il regime poi proibiva crema e cioccolato, simboli del capitalismo. E vietava anche il servizio al tavolo nei bar. Stando così le cose, io preferii andare a studiare ingegneria a Pisa: chi me lo faceva fare di portare avanti il deli di famiglia in condizioni così penalizzanti?». Ora i Blikle son tornati, anzi si sono espansi. E hanno aperto un centralissimo punto vendita anche a Cracovia (Św. Jana 12): ci sono tutte le loro prelibatezze da pasticceria, ma il locale fa anche da sala da té (poi però ti portano il té Lipton, con tutto il rispetto, e un po’ di magia se ne va). Nella foto, il buon paczek finito nel mio stomaco, affiancato dal deludentissimo té.

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Quest’uomo dagli occhi intelligenti e il sorriso bonario si chiama Adam Chrząstowski ed è il profeta della Nowe kuchni polskiej, la nuova cucina polacca, secondo una sua stessa definizione. Quarantatreenne di Varsavia, da quattro anni ha aperto il suo ristorante Ancora (all’italiana, con l’accento sulla prima “a”. Come a dire: di nuovo) a Cracovia, seconda città della Polonia, ma da sempre principale centro culturale, artistico e universitario del Paese.








Kraków è una bella città, con un nucleo storico (Stare Miasto) ricco di attrattive anche perché quasi del tutto immune dalle distruzioni della seconda guerra mondiale, che hanno invece martoriato, ad esempio, Varsavia o Breslavia. Per secoli è stata residenza dei re polacchi – è tuttora Pantheon della nazione – poi terza città dell’impero asburgico dopo Vienna e Budapest, sempre animata da una vivace vita commerciale, ci si trova all’intersezione tra l’antica via dell’ambra, tra Carpazi e Baltico, e quella Est-Ovest che da Kiev conduce a Praga. Anche per queste molteplici influenze, dal punto di vista architettonico vanta un armonioso sovrapporsi di stili: romanico, gotico, rinascimentale (di diretta derivazione italiana, anche grazie a Bona Sforza, figlia di Gian Galeazzo, andata sposa a Sigismondo I Jagellone e dunque diventata regina), barocco... Nella foto, Rynek Głowny, ossia la più grande piazza medioevale d’Europa, cuore della città, con sulla sinistra la Sukiennice, gotico mercato dei tessuti, e a destra la Kościół Mariacki, chiesa dedicata a Maria.








L’intensità della vita sociale cracovienne si è sempre riscontrata anche in cucina, ma i decenni sotto l’ombrello sovietico hanno prodotto una cesura che solo ora, faticosamente, si sta cercando di ricucire. L’isolamento è durato troppo per non pesare ancora e fa sì che in città furoreggino i ristoranti “d’importazione” – italiani in primis – di qualità spesso discutibile: oggi tutto ciò che è (più o meno) esotico attira, dal momento che fino all’altro ieri era vietato... L’alta cucina è tendenzialmente d’ispirazione francese e/o internazionale (ma senza alcun particolare acuto), mentre della tradizione polacca viene recuperata solo l’anima popolare, non particolarmente raffinata: da qui la messe di trattorie “tipiche” spesso acchiappa-turisti, con menu che richiedono dosi massicce finali di Alka Seltzer. E’ un trionfo di aringhe, żurek (una zuppa d’orzo da sempre assai utile per tamponare i sintomi post-sbornia), gołąbki (involtini di cavolo ripieni), barszcz (versione locale del borsch russo), gli onnipresenti pierogi (ravioli quadrati), per finire con gran piatti di carne arrosto, stufata, grigliata... Nella foto: spiedini, spezzatino e patate in vendita a un chiosco in centro città.








Proprio a modificare questo andazzo punta Adam Chrząstowski col suo Ancora (nella foto). Capofila di un – ancora esiguo - gruppo di colleghi sparsi per il Paese, vuole recuperare anche la tradizione polacca nobile, nel senso letterale del termine (ci si rifà alle pietanze delle tavole aristocratiche), del tutto dimenticata sotto la cappa comunista. Dunque a Cracovia innovazione significa ora, innanzi tutto, riannodare i fili di una storia gourmand che pareva essersi persa per sempre (la Polonia, ad esempio, è leader nell’allevamento di oche, ma poi solo il 5% di quella carne prelibata viene consumato in loco, fresco o lavorato; il mar Baltico offre a sua volta prodotti straordinari, però gran parte del pescato finisce in Scandinavia...); in secondo luogo, significa andare alla ricerca dei tanti piccoli produttori d’eccellenza sparsi sul grande territorio, sostenendone l’attività e diffondendo una cultura slow food; infine, vuol anche dire applicare a tali materie prime e alle ricette d’antan qualche tecnica contemporanea, stando però attenti a non epater les bourgeois, che son di casa (la cultura borghese è storicamente così forte da queste parti, che la città risultava assai invisa ai dirigenti del defunto regime; fecero così costruire una sorta di Cracovia 2, ammasso periferico di acciaierie e inquinamento, proprio per innestarvi un’anima proletaria, seppur posticcia).








Non siamo quindi certamente al molecolare, l’avanguardia è altrove: la nuova cucina polacca si sostanzia in portate che prevedono perlopiù materie prime di qualità, del territorio, assemblate recuperando ricette dell’alta cucina locale (con qualche spunto creativo) ma in modo da risultare alleggerite, modernizzate e con un impiatto elegante. Per dire: la preparazione di uno simil-zabaione con frutti di bosco sostituisce al marsala un liquore polacco al miele; il (delizioso) sorbetto a metà pasto è a base di cetriolo affogato nella Zubrowka, la pregevole “vodka all’erba del bisonte”, aromatizzata cioè con queste erbette brucate dagli ultimi bisonti europei che pascolano nelle lande semi-disabitate ai confini con la Bielorussia. Chrząstowski non rinuncia mai al sapore, le preparazioni sono d’immediata soddisfazione, a rischio di perdere un poco d’eleganza. Ma mai in piacevolezza. Menu degustazione di sette portate a 190 złoty, ossia circa 45 euro. Nella foto (invero un po’ scura, ci scuserete), il Filetto di cervo in crosta di funghi di bosco, con funghi e zucchine: carne portentosa, cotta in modo encomiabile, il miglior cervo che abbia mai mangiato.








Molto buona anche la crema di gambero, con gamberetti e pane tostato al formaggio bianco. E da ricordare il piatto nella foto, una sorta di millefoglie dove strati di filetti di triglia si alternano alla pasta delle nostre chiacchiere carnascialesche (tradizione gastronomica dolce che esiste anche da queste parti), presentata in versione salata e fritta “easy”, il tutto a galleggiare su un mare di splendida salsa alla vaniglia e zafferano. Davvero squisito.








In primo piano una zapiekanka, piatto sacro di studenti squattrinati e nottambuli d’ogni età. Trattasi dello street food per eccellenza di Cracovia, l’epicentro del cui consumo è nell’antico quartiere ebraico di Kazimierz, appena a Sud di Stare Miasto: dopo decenni di abbandono sta rinascendo, è ricco di localini ed è ora piacevole meta serale della gioventù (autoctona o di passaggio) in cerca di divertimento. Al centro della Plac Nowy (piazza Nuova) c’è l’Okrqglak (la Rotonda), un edificio con tante finestre da ognuna delle quali s’affaccia un diverso venditore di zapiekanki. E’ in sostanza una mezza baguette, tagliata per il lungo, spalmata di burro od olio e poi riccamente condita con formaggi, salumi, verdure, paté o quant’altro, con tocco finale di maionese, o salsa tartara, o salsa all’aglio... Il tutto viene infine tostato al momento. Tante finestre nella Rotonda, dicevamo, ma cercate quella giusta, perché il principe della zapiekanka è Endzior: davanti a questa gloriosa insegna noi abbiamo addentato la zapiekanka agli spinaci, che sono in crema e accompagnati da salsa tartara: gustosissima, anche se davvero inadatta a chi non ama l’aglio. Nella foto, un altro nostro assaggio (si fa per dire: sono fette enormi!), la zapiekanka con salame e formaggio Pucok (sotto gli strati salsicciosi si nascondono anche dei funghi): una vera bomba capace di calmare i morsi della fame almeno per tre generazioni. Il tutto costa tra i 5 e i 10 złoty (ossia comunque meno di 3 euro) a seconda del condimento








Abbiamo chiesto a Chrząstowski, a termine cena: dove ci consigli di mangiare nei prossimi giorni? Lui non ama molto i colleghi di Cracovia che si siedono sugli allori («La città è piena di turisti cui va benissimo gustare, finché sono in città, sempre i soliti piatti. Così nessuno inventa, nessuno rischia...») e ci ha dato pertanto un’imbeccata originale: Pijalnia (nella foto). E’ la versione polacca del tapas bar spagnolo, wódki i piva. Si trova in Tomasza 16, è aperto 24 ore su 24 e funziona così: si sceglie tra una breve elenco di piattini (che tanto “ini” non sono, anzi: con due o tre si fa cena) a 8 złoty, circa 2 euro, e li si accompagna ciascuno con una bevanda, tutte a 4 złoty, un euro (di base si dovrebbero abbinare essenzialmente shots di vodka, ma ci sono alternative meno alcoliche). Non male, oltre a essere divertente. Simile è l’Ambasada Śledzia in Stolarskiej, proprio davanti al consolato statunitense.








Praticamente a fianco del Pijalnia sta un altro bel localino assai apprezzato da indigeni e turisti. Il Café Camelot è uno di quei classici posti utili dalla mattina presto a tarda notte, offre un assortimento di buone colazioni diverse tra loro, poi insalatone, qualche piatto, dessert (non più che discreti), cocktail d’ogni tipo, un’attenta selezione di té, vodke e liquori artigianali, e ancora frullati, gelati e quant’altro. Tutto viene servito con garbo, un certo stile e un abbondante uso di frutta, che da queste parti non è poi banale. Una sosta piacevole.








Chi ha buona memoria e legge da tempo le newsletter di Identità Golose ricorderà forse la storia dei Blikle, famiglia di pasticceri da cinque generazioni: la prima serranda salì a Varsavia nel 1869. Gabriele Zanatta faceva parlare Andrzej Blikle, oggi gestore del marchio assieme al figlio, che raccontava la parabola dei paczek, dolcetto da colazione o merenda più famoso di Polonia, sorta di ciambella senza buco, ripieno di confettura (rosa canina selvatica, fragola, mirtillo, lampone...) o crema bavarese, poi spalmato di zucchero a velo con piccoli zest d’arancia. «Ai tempi del comunismo – narrava l’Andrzej - le arance costavano 50 volte tanto così come tutti gli altri agrumi e le marmellate. Nessuno poteva permettersele. Il regime poi proibiva crema e cioccolato, simboli del capitalismo. E vietava anche il servizio al tavolo nei bar. Stando così le cose, io preferii andare a studiare ingegneria a Pisa: chi me lo faceva fare di portare avanti il deli di famiglia in condizioni così penalizzanti?». Ora i Blikle son tornati, anzi si sono espansi. E hanno aperto un centralissimo punto vendita anche a Cracovia (Św. Jana 12): ci sono tutte le loro prelibatezze da pasticceria, ma il locale fa anche da sala da té (poi però ti portano il té Lipton, con tutto il rispetto, e un po’ di magia se ne va). Nella foto, il buon paczek finito nel mio stomaco, affiancato dal deludentissimo té.

Potevamo lasciare Cracovia senza assaggiare quella cucina tipica che Chrząstowski tanto aborre? Jamais! Sopra, l’insegna del Pod Baranem (è come dire: “Al montone”) di św. Gertrudy 21, buon locale borghese di piatti popolari tipici, ma ingentiliti. Incontra il gusto del turista medio: gli utenti di Tripadvisor lo proiettano al primo posto tra i ristoranti in città. In effetti la tavola è più che corretta: davvero ottima la selezione di pesci affumicati in proprio che fa da gustoso antipasto; sorprendentemente delizioso e corroborante lo żurek (vedi sopra) alla maniera di Cracovia, ossia con pezzi di salsiccia, uovo sodo e patate. Così così, invece, il montone arrosto, che pure è la specialità della casa: frollatura da registrare. Dolci dimenticabili... vabbé, allora è proprio il momento di tornare in Italia.

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Quest’uomo dagli occhi intelligenti e il sorriso bonario si chiama Adam Chrząstowski ed è il profeta della Nowe kuchni polskiej, la nuova cucina polacca, secondo una sua stessa definizione. Quarantatreenne di Varsavia, da quattro anni ha aperto il suo ristorante Ancora (all’italiana, con l’accento sulla prima “a”. Come a dire: di nuovo) a Cracovia, seconda città della Polonia, ma da sempre principale centro culturale, artistico e universitario del Paese.

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Quest’uomo dagli occhi intelligenti e il sorriso bonario si chiama Adam Chrząstowski ed è il profeta della Nowe kuchni polskiej, la nuova cucina polacca, secondo una sua stessa definizione. Quarantatreenne di Varsavia, da quattro anni ha aperto il suo ristorante Ancora (all’italiana, con l’accento sulla prima “a”. Come a dire: di nuovo) a Cracovia, seconda città della Polonia, ma da sempre principale centro culturale, artistico e universitario del Paese.

Kraków è una bella città, con un nucleo storico (Stare Miasto) ricco di attrattive anche perché quasi del tutto immune dalle distruzioni della seconda guerra mondiale, che hanno invece martoriato, ad esempio, Varsavia o Breslavia. Per secoli è stata residenza dei re polacchi – è tuttora Pantheon della nazione – poi terza città dell’impero asburgico dopo Vienna e Budapest, sempre animata da una vivace vita commerciale, ci si trova all’intersezione tra l’antica via dell’ambra, tra Carpazi e Baltico, e quella Est-Ovest che da Kiev conduce a Praga. Anche per queste molteplici influenze, dal punto di vista architettonico vanta un armonioso sovrapporsi di stili: romanico, gotico, rinascimentale (di diretta derivazione italiana, anche grazie a Bona Sforza, figlia di Gian Galeazzo, andata sposa a Sigismondo I Jagellone e dunque diventata regina), barocco... Nella foto, Rynek Głowny, ossia la più grande piazza medioevale d’Europa, cuore della città, con sulla sinistra la Sukiennice, gotico mercato dei tessuti, e a destra la Kościół Mariacki, chiesa dedicata a Maria.

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Quest’uomo dagli occhi intelligenti e il sorriso bonario si chiama Adam Chrząstowski ed è il profeta della Nowe kuchni polskiej, la nuova cucina polacca, secondo una sua stessa definizione. Quarantatreenne di Varsavia, da quattro anni ha aperto il suo ristorante Ancora (all’italiana, con l’accento sulla prima “a”. Come a dire: di nuovo) a Cracovia, seconda città della Polonia, ma da sempre principale centro culturale, artistico e universitario del Paese.








Kraków è una bella città, con un nucleo storico (Stare Miasto) ricco di attrattive anche perché quasi del tutto immune dalle distruzioni della seconda guerra mondiale, che hanno invece martoriato, ad esempio, Varsavia o Breslavia. Per secoli è stata residenza dei re polacchi – è tuttora Pantheon della nazione – poi terza città dell’impero asburgico dopo Vienna e Budapest, sempre animata da una vivace vita commerciale, ci si trova all’intersezione tra l’antica via dell’ambra, tra Carpazi e Baltico, e quella Est-Ovest che da Kiev conduce a Praga. Anche per queste molteplici influenze, dal punto di vista architettonico vanta un armonioso sovrapporsi di stili: romanico, gotico, rinascimentale (di diretta derivazione italiana, anche grazie a Bona Sforza, figlia di Gian Galeazzo, andata sposa a Sigismondo I Jagellone e dunque diventata regina), barocco... Nella foto, Rynek Głowny, ossia la più grande piazza medioevale d’Europa, cuore della città, con sulla sinistra la Sukiennice, gotico mercato dei tessuti, e a destra la Kościół Mariacki, chiesa dedicata a Maria.

L’intensità della vita sociale cracovienne si è sempre riscontrata anche in cucina, ma i decenni sotto l’ombrello sovietico hanno prodotto una cesura che solo ora, faticosamente, si sta cercando di ricucire. L’isolamento è durato troppo per non pesare ancora e fa sì che in città furoreggino i ristoranti “d’importazione” – italiani in primis – di qualità spesso discutibile: oggi tutto ciò che è (più o meno) esotico attira, dal momento che fino all’altro ieri era vietato... L’alta cucina è tendenzialmente d’ispirazione francese e/o internazionale (ma senza alcun particolare acuto), mentre della tradizione polacca viene recuperata solo l’anima popolare, non particolarmente raffinata: da qui la messe di trattorie “tipiche” spesso acchiappa-turisti, con menu che richiedono dosi massicce finali di Alka Seltzer. E’ un trionfo di aringhe, żurek (una zuppa d’orzo da sempre assai utile per tamponare i sintomi post-sbornia), gołąbki (involtini di cavolo ripieni), barszcz (versione locale del borsch russo), gli onnipresenti pierogi (ravioli quadrati), per finire con gran piatti di carne arrosto, stufata, grigliata... Nella foto: spiedini, spezzatino e patate in vendita a un chiosco in centro città.

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Quest’uomo dagli occhi intelligenti e il sorriso bonario si chiama Adam Chrząstowski ed è il profeta della Nowe kuchni polskiej, la nuova cucina polacca, secondo una sua stessa definizione. Quarantatreenne di Varsavia, da quattro anni ha aperto il suo ristorante Ancora (all’italiana, con l’accento sulla prima “a”. Come a dire: di nuovo) a Cracovia, seconda città della Polonia, ma da sempre principale centro culturale, artistico e universitario del Paese.








Kraków è una bella città, con un nucleo storico (Stare Miasto) ricco di attrattive anche perché quasi del tutto immune dalle distruzioni della seconda guerra mondiale, che hanno invece martoriato, ad esempio, Varsavia o Breslavia. Per secoli è stata residenza dei re polacchi – è tuttora Pantheon della nazione – poi terza città dell’impero asburgico dopo Vienna e Budapest, sempre animata da una vivace vita commerciale, ci si trova all’intersezione tra l’antica via dell’ambra, tra Carpazi e Baltico, e quella Est-Ovest che da Kiev conduce a Praga. Anche per queste molteplici influenze, dal punto di vista architettonico vanta un armonioso sovrapporsi di stili: romanico, gotico, rinascimentale (di diretta derivazione italiana, anche grazie a Bona Sforza, figlia di Gian Galeazzo, andata sposa a Sigismondo I Jagellone e dunque diventata regina), barocco... Nella foto, Rynek Głowny, ossia la più grande piazza medioevale d’Europa, cuore della città, con sulla sinistra la Sukiennice, gotico mercato dei tessuti, e a destra la Kościół Mariacki, chiesa dedicata a Maria.








L’intensità della vita sociale cracovienne si è sempre riscontrata anche in cucina, ma i decenni sotto l’ombrello sovietico hanno prodotto una cesura che solo ora, faticosamente, si sta cercando di ricucire. L’isolamento è durato troppo per non pesare ancora e fa sì che in città furoreggino i ristoranti “d’importazione” – italiani in primis – di qualità spesso discutibile: oggi tutto ciò che è (più o meno) esotico attira, dal momento che fino all’altro ieri era vietato... L’alta cucina è tendenzialmente d’ispirazione francese e/o internazionale (ma senza alcun particolare acuto), mentre della tradizione polacca viene recuperata solo l’anima popolare, non particolarmente raffinata: da qui la messe di trattorie “tipiche” spesso acchiappa-turisti, con menu che richiedono dosi massicce finali di Alka Seltzer. E’ un trionfo di aringhe, żurek (una zuppa d’orzo da sempre assai utile per tamponare i sintomi post-sbornia), gołąbki (involtini di cavolo ripieni), barszcz (versione locale del borsch russo), gli onnipresenti pierogi (ravioli quadrati), per finire con gran piatti di carne arrosto, stufata, grigliata... Nella foto: spiedini, spezzatino e patate in vendita a un chiosco in centro città.

Proprio a modificare questo andazzo punta Adam Chrząstowski col suo Ancora (nella foto). Capofila di un – ancora esiguo - gruppo di colleghi sparsi per il Paese, vuole recuperare anche la tradizione polacca nobile, nel senso letterale del termine (ci si rifà alle pietanze delle tavole aristocratiche), del tutto dimenticata sotto la cappa comunista. Dunque a Cracovia innovazione significa ora, innanzi tutto, riannodare i fili di una storia gourmand che pareva essersi persa per sempre (la Polonia, ad esempio, è leader nell’allevamento di oche, ma poi solo il 5% di quella carne prelibata viene consumato in loco, fresco o lavorato; il mar Baltico offre a sua volta prodotti straordinari, però gran parte del pescato finisce in Scandinavia...); in secondo luogo, significa andare alla ricerca dei tanti piccoli produttori d’eccellenza sparsi sul grande territorio, sostenendone l’attività e diffondendo una cultura slow food; infine, vuol anche dire applicare a tali materie prime e alle ricette d’antan qualche tecnica contemporanea, stando però attenti a non epater les bourgeois, che son di casa (la cultura borghese è storicamente così forte da queste parti, che la città risultava assai invisa ai dirigenti del defunto regime; fecero così costruire una sorta di Cracovia 2, ammasso periferico di acciaierie e inquinamento, proprio per innestarvi un’anima proletaria, seppur posticcia).

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Quest’uomo dagli occhi intelligenti e il sorriso bonario si chiama Adam Chrząstowski ed è il profeta della Nowe kuchni polskiej, la nuova cucina polacca, secondo una sua stessa definizione. Quarantatreenne di Varsavia, da quattro anni ha aperto il suo ristorante Ancora (all’italiana, con l’accento sulla prima “a”. Come a dire: di nuovo) a Cracovia, seconda città della Polonia, ma da sempre principale centro culturale, artistico e universitario del Paese.








Kraków è una bella città, con un nucleo storico (Stare Miasto) ricco di attrattive anche perché quasi del tutto immune dalle distruzioni della seconda guerra mondiale, che hanno invece martoriato, ad esempio, Varsavia o Breslavia. Per secoli è stata residenza dei re polacchi – è tuttora Pantheon della nazione – poi terza città dell’impero asburgico dopo Vienna e Budapest, sempre animata da una vivace vita commerciale, ci si trova all’intersezione tra l’antica via dell’ambra, tra Carpazi e Baltico, e quella Est-Ovest che da Kiev conduce a Praga. Anche per queste molteplici influenze, dal punto di vista architettonico vanta un armonioso sovrapporsi di stili: romanico, gotico, rinascimentale (di diretta derivazione italiana, anche grazie a Bona Sforza, figlia di Gian Galeazzo, andata sposa a Sigismondo I Jagellone e dunque diventata regina), barocco... Nella foto, Rynek Głowny, ossia la più grande piazza medioevale d’Europa, cuore della città, con sulla sinistra la Sukiennice, gotico mercato dei tessuti, e a destra la Kościół Mariacki, chiesa dedicata a Maria.








L’intensità della vita sociale cracovienne si è sempre riscontrata anche in cucina, ma i decenni sotto l’ombrello sovietico hanno prodotto una cesura che solo ora, faticosamente, si sta cercando di ricucire. L’isolamento è durato troppo per non pesare ancora e fa sì che in città furoreggino i ristoranti “d’importazione” – italiani in primis – di qualità spesso discutibile: oggi tutto ciò che è (più o meno) esotico attira, dal momento che fino all’altro ieri era vietato... L’alta cucina è tendenzialmente d’ispirazione francese e/o internazionale (ma senza alcun particolare acuto), mentre della tradizione polacca viene recuperata solo l’anima popolare, non particolarmente raffinata: da qui la messe di trattorie “tipiche” spesso acchiappa-turisti, con menu che richiedono dosi massicce finali di Alka Seltzer. E’ un trionfo di aringhe, żurek (una zuppa d’orzo da sempre assai utile per tamponare i sintomi post-sbornia), gołąbki (involtini di cavolo ripieni), barszcz (versione locale del borsch russo), gli onnipresenti pierogi (ravioli quadrati), per finire con gran piatti di carne arrosto, stufata, grigliata... Nella foto: spiedini, spezzatino e patate in vendita a un chiosco in centro città.








Proprio a modificare questo andazzo punta Adam Chrząstowski col suo Ancora (nella foto). Capofila di un – ancora esiguo - gruppo di colleghi sparsi per il Paese, vuole recuperare anche la tradizione polacca nobile, nel senso letterale del termine (ci si rifà alle pietanze delle tavole aristocratiche), del tutto dimenticata sotto la cappa comunista. Dunque a Cracovia innovazione significa ora, innanzi tutto, riannodare i fili di una storia gourmand che pareva essersi persa per sempre (la Polonia, ad esempio, è leader nell’allevamento di oche, ma poi solo il 5% di quella carne prelibata viene consumato in loco, fresco o lavorato; il mar Baltico offre a sua volta prodotti straordinari, però gran parte del pescato finisce in Scandinavia...); in secondo luogo, significa andare alla ricerca dei tanti piccoli produttori d’eccellenza sparsi sul grande territorio, sostenendone l’attività e diffondendo una cultura slow food; infine, vuol anche dire applicare a tali materie prime e alle ricette d’antan qualche tecnica contemporanea, stando però attenti a non epater les bourgeois, che son di casa (la cultura borghese è storicamente così forte da queste parti, che la città risultava assai invisa ai dirigenti del defunto regime; fecero così costruire una sorta di Cracovia 2, ammasso periferico di acciaierie e inquinamento, proprio per innestarvi un’anima proletaria, seppur posticcia).

Non siamo quindi certamente al molecolare, l’avanguardia è altrove: la nuova cucina polacca si sostanzia in portate che prevedono perlopiù materie prime di qualità, del territorio, assemblate recuperando ricette dell’alta cucina locale (con qualche spunto creativo) ma in modo da risultare alleggerite, modernizzate e con un impiatto elegante. Per dire: la preparazione di uno simil-zabaione con frutti di bosco sostituisce al marsala un liquore polacco al miele; il (delizioso) sorbetto a metà pasto è a base di cetriolo affogato nella Zubrowka, la pregevole “vodka all’erba del bisonte”, aromatizzata cioè con queste erbette brucate dagli ultimi bisonti europei che pascolano nelle lande semi-disabitate ai confini con la Bielorussia. Chrząstowski non rinuncia mai al sapore, le preparazioni sono d’immediata soddisfazione, a rischio di perdere un poco d’eleganza. Ma mai in piacevolezza. Menu degustazione di sette portate a 190 złoty, ossia circa 45 euro. Nella foto (invero un po’ scura, ci scuserete), il Filetto di cervo in crosta di funghi di bosco, con funghi e zucchine: carne portentosa, cotta in modo encomiabile, il miglior cervo che abbia mai mangiato.

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Quest’uomo dagli occhi intelligenti e il sorriso bonario si chiama Adam Chrząstowski ed è il profeta della Nowe kuchni polskiej, la nuova cucina polacca, secondo una sua stessa definizione. Quarantatreenne di Varsavia, da quattro anni ha aperto il suo ristorante Ancora (all’italiana, con l’accento sulla prima “a”. Come a dire: di nuovo) a Cracovia, seconda città della Polonia, ma da sempre principale centro culturale, artistico e universitario del Paese.








Kraków è una bella città, con un nucleo storico (Stare Miasto) ricco di attrattive anche perché quasi del tutto immune dalle distruzioni della seconda guerra mondiale, che hanno invece martoriato, ad esempio, Varsavia o Breslavia. Per secoli è stata residenza dei re polacchi – è tuttora Pantheon della nazione – poi terza città dell’impero asburgico dopo Vienna e Budapest, sempre animata da una vivace vita commerciale, ci si trova all’intersezione tra l’antica via dell’ambra, tra Carpazi e Baltico, e quella Est-Ovest che da Kiev conduce a Praga. Anche per queste molteplici influenze, dal punto di vista architettonico vanta un armonioso sovrapporsi di stili: romanico, gotico, rinascimentale (di diretta derivazione italiana, anche grazie a Bona Sforza, figlia di Gian Galeazzo, andata sposa a Sigismondo I Jagellone e dunque diventata regina), barocco... Nella foto, Rynek Głowny, ossia la più grande piazza medioevale d’Europa, cuore della città, con sulla sinistra la Sukiennice, gotico mercato dei tessuti, e a destra la Kościół Mariacki, chiesa dedicata a Maria.








L’intensità della vita sociale cracovienne si è sempre riscontrata anche in cucina, ma i decenni sotto l’ombrello sovietico hanno prodotto una cesura che solo ora, faticosamente, si sta cercando di ricucire. L’isolamento è durato troppo per non pesare ancora e fa sì che in città furoreggino i ristoranti “d’importazione” – italiani in primis – di qualità spesso discutibile: oggi tutto ciò che è (più o meno) esotico attira, dal momento che fino all’altro ieri era vietato... L’alta cucina è tendenzialmente d’ispirazione francese e/o internazionale (ma senza alcun particolare acuto), mentre della tradizione polacca viene recuperata solo l’anima popolare, non particolarmente raffinata: da qui la messe di trattorie “tipiche” spesso acchiappa-turisti, con menu che richiedono dosi massicce finali di Alka Seltzer. E’ un trionfo di aringhe, żurek (una zuppa d’orzo da sempre assai utile per tamponare i sintomi post-sbornia), gołąbki (involtini di cavolo ripieni), barszcz (versione locale del borsch russo), gli onnipresenti pierogi (ravioli quadrati), per finire con gran piatti di carne arrosto, stufata, grigliata... Nella foto: spiedini, spezzatino e patate in vendita a un chiosco in centro città.








Proprio a modificare questo andazzo punta Adam Chrząstowski col suo Ancora (nella foto). Capofila di un – ancora esiguo - gruppo di colleghi sparsi per il Paese, vuole recuperare anche la tradizione polacca nobile, nel senso letterale del termine (ci si rifà alle pietanze delle tavole aristocratiche), del tutto dimenticata sotto la cappa comunista. Dunque a Cracovia innovazione significa ora, innanzi tutto, riannodare i fili di una storia gourmand che pareva essersi persa per sempre (la Polonia, ad esempio, è leader nell’allevamento di oche, ma poi solo il 5% di quella carne prelibata viene consumato in loco, fresco o lavorato; il mar Baltico offre a sua volta prodotti straordinari, però gran parte del pescato finisce in Scandinavia...); in secondo luogo, significa andare alla ricerca dei tanti piccoli produttori d’eccellenza sparsi sul grande territorio, sostenendone l’attività e diffondendo una cultura slow food; infine, vuol anche dire applicare a tali materie prime e alle ricette d’antan qualche tecnica contemporanea, stando però attenti a non epater les bourgeois, che son di casa (la cultura borghese è storicamente così forte da queste parti, che la città risultava assai invisa ai dirigenti del defunto regime; fecero così costruire una sorta di Cracovia 2, ammasso periferico di acciaierie e inquinamento, proprio per innestarvi un’anima proletaria, seppur posticcia).








Non siamo quindi certamente al molecolare, l’avanguardia è altrove: la nuova cucina polacca si sostanzia in portate che prevedono perlopiù materie prime di qualità, del territorio, assemblate recuperando ricette dell’alta cucina locale (con qualche spunto creativo) ma in modo da risultare alleggerite, modernizzate e con un impiatto elegante. Per dire: la preparazione di uno simil-zabaione con frutti di bosco sostituisce al marsala un liquore polacco al miele; il (delizioso) sorbetto a metà pasto è a base di cetriolo affogato nella Zubrowka, la pregevole “vodka all’erba del bisonte”, aromatizzata cioè con queste erbette brucate dagli ultimi bisonti europei che pascolano nelle lande semi-disabitate ai confini con la Bielorussia. Chrząstowski non rinuncia mai al sapore, le preparazioni sono d’immediata soddisfazione, a rischio di perdere un poco d’eleganza. Ma mai in piacevolezza. Menu degustazione di sette portate a 190 złoty, ossia circa 45 euro. Nella foto (invero un po’ scura, ci scuserete), il Filetto di cervo in crosta di funghi di bosco, con funghi e zucchine: carne portentosa, cotta in modo encomiabile, il miglior cervo che abbia mai mangiato.

Molto buona anche la crema di gambero, con gamberetti e pane tostato al formaggio bianco. E da ricordare il piatto nella foto, una sorta di millefoglie dove strati di filetti di triglia si alternano alla pasta delle nostre chiacchiere carnascialesche (tradizione gastronomica dolce che esiste anche da queste parti), presentata in versione salata e fritta “easy”, il tutto a galleggiare su un mare di splendida salsa alla vaniglia e zafferano. Davvero squisito.

Galleria fotografica






Quest’uomo dagli occhi intelligenti e il sorriso bonario si chiama Adam Chrząstowski ed è il profeta della Nowe kuchni polskiej, la nuova cucina polacca, secondo una sua stessa definizione. Quarantatreenne di Varsavia, da quattro anni ha aperto il suo ristorante Ancora (all’italiana, con l’accento sulla prima “a”. Come a dire: di nuovo) a Cracovia, seconda città della Polonia, ma da sempre principale centro culturale, artistico e universitario del Paese.








Kraków è una bella città, con un nucleo storico (Stare Miasto) ricco di attrattive anche perché quasi del tutto immune dalle distruzioni della seconda guerra mondiale, che hanno invece martoriato, ad esempio, Varsavia o Breslavia. Per secoli è stata residenza dei re polacchi – è tuttora Pantheon della nazione – poi terza città dell’impero asburgico dopo Vienna e Budapest, sempre animata da una vivace vita commerciale, ci si trova all’intersezione tra l’antica via dell’ambra, tra Carpazi e Baltico, e quella Est-Ovest che da Kiev conduce a Praga. Anche per queste molteplici influenze, dal punto di vista architettonico vanta un armonioso sovrapporsi di stili: romanico, gotico, rinascimentale (di diretta derivazione italiana, anche grazie a Bona Sforza, figlia di Gian Galeazzo, andata sposa a Sigismondo I Jagellone e dunque diventata regina), barocco... Nella foto, Rynek Głowny, ossia la più grande piazza medioevale d’Europa, cuore della città, con sulla sinistra la Sukiennice, gotico mercato dei tessuti, e a destra la Kościół Mariacki, chiesa dedicata a Maria.








L’intensità della vita sociale cracovienne si è sempre riscontrata anche in cucina, ma i decenni sotto l’ombrello sovietico hanno prodotto una cesura che solo ora, faticosamente, si sta cercando di ricucire. L’isolamento è durato troppo per non pesare ancora e fa sì che in città furoreggino i ristoranti “d’importazione” – italiani in primis – di qualità spesso discutibile: oggi tutto ciò che è (più o meno) esotico attira, dal momento che fino all’altro ieri era vietato... L’alta cucina è tendenzialmente d’ispirazione francese e/o internazionale (ma senza alcun particolare acuto), mentre della tradizione polacca viene recuperata solo l’anima popolare, non particolarmente raffinata: da qui la messe di trattorie “tipiche” spesso acchiappa-turisti, con menu che richiedono dosi massicce finali di Alka Seltzer. E’ un trionfo di aringhe, żurek (una zuppa d’orzo da sempre assai utile per tamponare i sintomi post-sbornia), gołąbki (involtini di cavolo ripieni), barszcz (versione locale del borsch russo), gli onnipresenti pierogi (ravioli quadrati), per finire con gran piatti di carne arrosto, stufata, grigliata... Nella foto: spiedini, spezzatino e patate in vendita a un chiosco in centro città.








Proprio a modificare questo andazzo punta Adam Chrząstowski col suo Ancora (nella foto). Capofila di un – ancora esiguo - gruppo di colleghi sparsi per il Paese, vuole recuperare anche la tradizione polacca nobile, nel senso letterale del termine (ci si rifà alle pietanze delle tavole aristocratiche), del tutto dimenticata sotto la cappa comunista. Dunque a Cracovia innovazione significa ora, innanzi tutto, riannodare i fili di una storia gourmand che pareva essersi persa per sempre (la Polonia, ad esempio, è leader nell’allevamento di oche, ma poi solo il 5% di quella carne prelibata viene consumato in loco, fresco o lavorato; il mar Baltico offre a sua volta prodotti straordinari, però gran parte del pescato finisce in Scandinavia...); in secondo luogo, significa andare alla ricerca dei tanti piccoli produttori d’eccellenza sparsi sul grande territorio, sostenendone l’attività e diffondendo una cultura slow food; infine, vuol anche dire applicare a tali materie prime e alle ricette d’antan qualche tecnica contemporanea, stando però attenti a non epater les bourgeois, che son di casa (la cultura borghese è storicamente così forte da queste parti, che la città risultava assai invisa ai dirigenti del defunto regime; fecero così costruire una sorta di Cracovia 2, ammasso periferico di acciaierie e inquinamento, proprio per innestarvi un’anima proletaria, seppur posticcia).








Non siamo quindi certamente al molecolare, l’avanguardia è altrove: la nuova cucina polacca si sostanzia in portate che prevedono perlopiù materie prime di qualità, del territorio, assemblate recuperando ricette dell’alta cucina locale (con qualche spunto creativo) ma in modo da risultare alleggerite, modernizzate e con un impiatto elegante. Per dire: la preparazione di uno simil-zabaione con frutti di bosco sostituisce al marsala un liquore polacco al miele; il (delizioso) sorbetto a metà pasto è a base di cetriolo affogato nella Zubrowka, la pregevole “vodka all’erba del bisonte”, aromatizzata cioè con queste erbette brucate dagli ultimi bisonti europei che pascolano nelle lande semi-disabitate ai confini con la Bielorussia. Chrząstowski non rinuncia mai al sapore, le preparazioni sono d’immediata soddisfazione, a rischio di perdere un poco d’eleganza. Ma mai in piacevolezza. Menu degustazione di sette portate a 190 złoty, ossia circa 45 euro. Nella foto (invero un po’ scura, ci scuserete), il Filetto di cervo in crosta di funghi di bosco, con funghi e zucchine: carne portentosa, cotta in modo encomiabile, il miglior cervo che abbia mai mangiato.








Molto buona anche la crema di gambero, con gamberetti e pane tostato al formaggio bianco. E da ricordare il piatto nella foto, una sorta di millefoglie dove strati di filetti di triglia si alternano alla pasta delle nostre chiacchiere carnascialesche (tradizione gastronomica dolce che esiste anche da queste parti), presentata in versione salata e fritta “easy”, il tutto a galleggiare su un mare di splendida salsa alla vaniglia e zafferano. Davvero squisito.

In primo piano una zapiekanka, piatto sacro di studenti squattrinati e nottambuli d’ogni età. Trattasi dello street food per eccellenza di Cracovia, l’epicentro del cui consumo è nell’antico quartiere ebraico di Kazimierz, appena a Sud di Stare Miasto: dopo decenni di abbandono sta rinascendo, è ricco di localini ed è ora piacevole meta serale della gioventù (autoctona o di passaggio) in cerca di divertimento. Al centro della Plac Nowy (piazza Nuova) c’è l’Okrqglak (la Rotonda), un edificio con tante finestre da ognuna delle quali s’affaccia un diverso venditore di zapiekanki. E’ in sostanza una mezza baguette, tagliata per il lungo, spalmata di burro od olio e poi riccamente condita con formaggi, salumi, verdure, paté o quant’altro, con tocco finale di maionese, o salsa tartara, o salsa all’aglio... Il tutto viene infine tostato al momento. Tante finestre nella Rotonda, dicevamo, ma cercate quella giusta, perché il principe della zapiekanka è Endzior: davanti a questa gloriosa insegna noi abbiamo addentato la zapiekanka agli spinaci, che sono in crema e accompagnati da salsa tartara: gustosissima, anche se davvero inadatta a chi non ama l’aglio. Nella foto, un altro nostro assaggio (si fa per dire: sono fette enormi!), la zapiekanka con salame e formaggio Pucok (sotto gli strati salsicciosi si nascondono anche dei funghi): una vera bomba capace di calmare i morsi della fame almeno per tre generazioni. Il tutto costa tra i 5 e i 10 złoty (ossia comunque meno di 3 euro) a seconda del condimento

Galleria fotografica






Quest’uomo dagli occhi intelligenti e il sorriso bonario si chiama Adam Chrząstowski ed è il profeta della Nowe kuchni polskiej, la nuova cucina polacca, secondo una sua stessa definizione. Quarantatreenne di Varsavia, da quattro anni ha aperto il suo ristorante Ancora (all’italiana, con l’accento sulla prima “a”. Come a dire: di nuovo) a Cracovia, seconda città della Polonia, ma da sempre principale centro culturale, artistico e universitario del Paese.








Kraków è una bella città, con un nucleo storico (Stare Miasto) ricco di attrattive anche perché quasi del tutto immune dalle distruzioni della seconda guerra mondiale, che hanno invece martoriato, ad esempio, Varsavia o Breslavia. Per secoli è stata residenza dei re polacchi – è tuttora Pantheon della nazione – poi terza città dell’impero asburgico dopo Vienna e Budapest, sempre animata da una vivace vita commerciale, ci si trova all’intersezione tra l’antica via dell’ambra, tra Carpazi e Baltico, e quella Est-Ovest che da Kiev conduce a Praga. Anche per queste molteplici influenze, dal punto di vista architettonico vanta un armonioso sovrapporsi di stili: romanico, gotico, rinascimentale (di diretta derivazione italiana, anche grazie a Bona Sforza, figlia di Gian Galeazzo, andata sposa a Sigismondo I Jagellone e dunque diventata regina), barocco... Nella foto, Rynek Głowny, ossia la più grande piazza medioevale d’Europa, cuore della città, con sulla sinistra la Sukiennice, gotico mercato dei tessuti, e a destra la Kościół Mariacki, chiesa dedicata a Maria.








L’intensità della vita sociale cracovienne si è sempre riscontrata anche in cucina, ma i decenni sotto l’ombrello sovietico hanno prodotto una cesura che solo ora, faticosamente, si sta cercando di ricucire. L’isolamento è durato troppo per non pesare ancora e fa sì che in città furoreggino i ristoranti “d’importazione” – italiani in primis – di qualità spesso discutibile: oggi tutto ciò che è (più o meno) esotico attira, dal momento che fino all’altro ieri era vietato... L’alta cucina è tendenzialmente d’ispirazione francese e/o internazionale (ma senza alcun particolare acuto), mentre della tradizione polacca viene recuperata solo l’anima popolare, non particolarmente raffinata: da qui la messe di trattorie “tipiche” spesso acchiappa-turisti, con menu che richiedono dosi massicce finali di Alka Seltzer. E’ un trionfo di aringhe, żurek (una zuppa d’orzo da sempre assai utile per tamponare i sintomi post-sbornia), gołąbki (involtini di cavolo ripieni), barszcz (versione locale del borsch russo), gli onnipresenti pierogi (ravioli quadrati), per finire con gran piatti di carne arrosto, stufata, grigliata... Nella foto: spiedini, spezzatino e patate in vendita a un chiosco in centro città.








Proprio a modificare questo andazzo punta Adam Chrząstowski col suo Ancora (nella foto). Capofila di un – ancora esiguo - gruppo di colleghi sparsi per il Paese, vuole recuperare anche la tradizione polacca nobile, nel senso letterale del termine (ci si rifà alle pietanze delle tavole aristocratiche), del tutto dimenticata sotto la cappa comunista. Dunque a Cracovia innovazione significa ora, innanzi tutto, riannodare i fili di una storia gourmand che pareva essersi persa per sempre (la Polonia, ad esempio, è leader nell’allevamento di oche, ma poi solo il 5% di quella carne prelibata viene consumato in loco, fresco o lavorato; il mar Baltico offre a sua volta prodotti straordinari, però gran parte del pescato finisce in Scandinavia...); in secondo luogo, significa andare alla ricerca dei tanti piccoli produttori d’eccellenza sparsi sul grande territorio, sostenendone l’attività e diffondendo una cultura slow food; infine, vuol anche dire applicare a tali materie prime e alle ricette d’antan qualche tecnica contemporanea, stando però attenti a non epater les bourgeois, che son di casa (la cultura borghese è storicamente così forte da queste parti, che la città risultava assai invisa ai dirigenti del defunto regime; fecero così costruire una sorta di Cracovia 2, ammasso periferico di acciaierie e inquinamento, proprio per innestarvi un’anima proletaria, seppur posticcia).








Non siamo quindi certamente al molecolare, l’avanguardia è altrove: la nuova cucina polacca si sostanzia in portate che prevedono perlopiù materie prime di qualità, del territorio, assemblate recuperando ricette dell’alta cucina locale (con qualche spunto creativo) ma in modo da risultare alleggerite, modernizzate e con un impiatto elegante. Per dire: la preparazione di uno simil-zabaione con frutti di bosco sostituisce al marsala un liquore polacco al miele; il (delizioso) sorbetto a metà pasto è a base di cetriolo affogato nella Zubrowka, la pregevole “vodka all’erba del bisonte”, aromatizzata cioè con queste erbette brucate dagli ultimi bisonti europei che pascolano nelle lande semi-disabitate ai confini con la Bielorussia. Chrząstowski non rinuncia mai al sapore, le preparazioni sono d’immediata soddisfazione, a rischio di perdere un poco d’eleganza. Ma mai in piacevolezza. Menu degustazione di sette portate a 190 złoty, ossia circa 45 euro. Nella foto (invero un po’ scura, ci scuserete), il Filetto di cervo in crosta di funghi di bosco, con funghi e zucchine: carne portentosa, cotta in modo encomiabile, il miglior cervo che abbia mai mangiato.








Molto buona anche la crema di gambero, con gamberetti e pane tostato al formaggio bianco. E da ricordare il piatto nella foto, una sorta di millefoglie dove strati di filetti di triglia si alternano alla pasta delle nostre chiacchiere carnascialesche (tradizione gastronomica dolce che esiste anche da queste parti), presentata in versione salata e fritta “easy”, il tutto a galleggiare su un mare di splendida salsa alla vaniglia e zafferano. Davvero squisito.








In primo piano una zapiekanka, piatto sacro di studenti squattrinati e nottambuli d’ogni età. Trattasi dello street food per eccellenza di Cracovia, l’epicentro del cui consumo è nell’antico quartiere ebraico di Kazimierz, appena a Sud di Stare Miasto: dopo decenni di abbandono sta rinascendo, è ricco di localini ed è ora piacevole meta serale della gioventù (autoctona o di passaggio) in cerca di divertimento. Al centro della Plac Nowy (piazza Nuova) c’è l’Okrqglak (la Rotonda), un edificio con tante finestre da ognuna delle quali s’affaccia un diverso venditore di zapiekanki. E’ in sostanza una mezza baguette, tagliata per il lungo, spalmata di burro od olio e poi riccamente condita con formaggi, salumi, verdure, paté o quant’altro, con tocco finale di maionese, o salsa tartara, o salsa all’aglio... Il tutto viene infine tostato al momento. Tante finestre nella Rotonda, dicevamo, ma cercate quella giusta, perché il principe della zapiekanka è Endzior: davanti a questa gloriosa insegna noi abbiamo addentato la zapiekanka agli spinaci, che sono in crema e accompagnati da salsa tartara: gustosissima, anche se davvero inadatta a chi non ama l’aglio. Nella foto, un altro nostro assaggio (si fa per dire: sono fette enormi!), la zapiekanka con salame e formaggio Pucok (sotto gli strati salsicciosi si nascondono anche dei funghi): una vera bomba capace di calmare i morsi della fame almeno per tre generazioni. Il tutto costa tra i 5 e i 10 złoty (ossia comunque meno di 3 euro) a seconda del condimento

Abbiamo chiesto a Chrząstowski, a termine cena: dove ci consigli di mangiare nei prossimi giorni? Lui non ama molto i colleghi di Cracovia che si siedono sugli allori («La città è piena di turisti cui va benissimo gustare, finché sono in città, sempre i soliti piatti. Così nessuno inventa, nessuno rischia...») e ci ha dato pertanto un’imbeccata originale: Pijalnia (nella foto). E’ la versione polacca del tapas bar spagnolo, wódki i piva. Si trova in Tomasza 16, è aperto 24 ore su 24 e funziona così: si sceglie tra una breve elenco di piattini (che tanto “ini” non sono, anzi: con due o tre si fa cena) a 8 złoty, circa 2 euro, e li si accompagna ciascuno con una bevanda, tutte a 4 złoty, un euro (di base si dovrebbero abbinare essenzialmente shots di vodka, ma ci sono alternative meno alcoliche). Non male, oltre a essere divertente. Simile è l’Ambasada Śledzia in Stolarskiej, proprio davanti al consolato statunitense.

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Quest’uomo dagli occhi intelligenti e il sorriso bonario si chiama Adam Chrząstowski ed è il profeta della Nowe kuchni polskiej, la nuova cucina polacca, secondo una sua stessa definizione. Quarantatreenne di Varsavia, da quattro anni ha aperto il suo ristorante Ancora (all’italiana, con l’accento sulla prima “a”. Come a dire: di nuovo) a Cracovia, seconda città della Polonia, ma da sempre principale centro culturale, artistico e universitario del Paese.








Kraków è una bella città, con un nucleo storico (Stare Miasto) ricco di attrattive anche perché quasi del tutto immune dalle distruzioni della seconda guerra mondiale, che hanno invece martoriato, ad esempio, Varsavia o Breslavia. Per secoli è stata residenza dei re polacchi – è tuttora Pantheon della nazione – poi terza città dell’impero asburgico dopo Vienna e Budapest, sempre animata da una vivace vita commerciale, ci si trova all’intersezione tra l’antica via dell’ambra, tra Carpazi e Baltico, e quella Est-Ovest che da Kiev conduce a Praga. Anche per queste molteplici influenze, dal punto di vista architettonico vanta un armonioso sovrapporsi di stili: romanico, gotico, rinascimentale (di diretta derivazione italiana, anche grazie a Bona Sforza, figlia di Gian Galeazzo, andata sposa a Sigismondo I Jagellone e dunque diventata regina), barocco... Nella foto, Rynek Głowny, ossia la più grande piazza medioevale d’Europa, cuore della città, con sulla sinistra la Sukiennice, gotico mercato dei tessuti, e a destra la Kościół Mariacki, chiesa dedicata a Maria.








L’intensità della vita sociale cracovienne si è sempre riscontrata anche in cucina, ma i decenni sotto l’ombrello sovietico hanno prodotto una cesura che solo ora, faticosamente, si sta cercando di ricucire. L’isolamento è durato troppo per non pesare ancora e fa sì che in città furoreggino i ristoranti “d’importazione” – italiani in primis – di qualità spesso discutibile: oggi tutto ciò che è (più o meno) esotico attira, dal momento che fino all’altro ieri era vietato... L’alta cucina è tendenzialmente d’ispirazione francese e/o internazionale (ma senza alcun particolare acuto), mentre della tradizione polacca viene recuperata solo l’anima popolare, non particolarmente raffinata: da qui la messe di trattorie “tipiche” spesso acchiappa-turisti, con menu che richiedono dosi massicce finali di Alka Seltzer. E’ un trionfo di aringhe, żurek (una zuppa d’orzo da sempre assai utile per tamponare i sintomi post-sbornia), gołąbki (involtini di cavolo ripieni), barszcz (versione locale del borsch russo), gli onnipresenti pierogi (ravioli quadrati), per finire con gran piatti di carne arrosto, stufata, grigliata... Nella foto: spiedini, spezzatino e patate in vendita a un chiosco in centro città.








Proprio a modificare questo andazzo punta Adam Chrząstowski col suo Ancora (nella foto). Capofila di un – ancora esiguo - gruppo di colleghi sparsi per il Paese, vuole recuperare anche la tradizione polacca nobile, nel senso letterale del termine (ci si rifà alle pietanze delle tavole aristocratiche), del tutto dimenticata sotto la cappa comunista. Dunque a Cracovia innovazione significa ora, innanzi tutto, riannodare i fili di una storia gourmand che pareva essersi persa per sempre (la Polonia, ad esempio, è leader nell’allevamento di oche, ma poi solo il 5% di quella carne prelibata viene consumato in loco, fresco o lavorato; il mar Baltico offre a sua volta prodotti straordinari, però gran parte del pescato finisce in Scandinavia...); in secondo luogo, significa andare alla ricerca dei tanti piccoli produttori d’eccellenza sparsi sul grande territorio, sostenendone l’attività e diffondendo una cultura slow food; infine, vuol anche dire applicare a tali materie prime e alle ricette d’antan qualche tecnica contemporanea, stando però attenti a non epater les bourgeois, che son di casa (la cultura borghese è storicamente così forte da queste parti, che la città risultava assai invisa ai dirigenti del defunto regime; fecero così costruire una sorta di Cracovia 2, ammasso periferico di acciaierie e inquinamento, proprio per innestarvi un’anima proletaria, seppur posticcia).








Non siamo quindi certamente al molecolare, l’avanguardia è altrove: la nuova cucina polacca si sostanzia in portate che prevedono perlopiù materie prime di qualità, del territorio, assemblate recuperando ricette dell’alta cucina locale (con qualche spunto creativo) ma in modo da risultare alleggerite, modernizzate e con un impiatto elegante. Per dire: la preparazione di uno simil-zabaione con frutti di bosco sostituisce al marsala un liquore polacco al miele; il (delizioso) sorbetto a metà pasto è a base di cetriolo affogato nella Zubrowka, la pregevole “vodka all’erba del bisonte”, aromatizzata cioè con queste erbette brucate dagli ultimi bisonti europei che pascolano nelle lande semi-disabitate ai confini con la Bielorussia. Chrząstowski non rinuncia mai al sapore, le preparazioni sono d’immediata soddisfazione, a rischio di perdere un poco d’eleganza. Ma mai in piacevolezza. Menu degustazione di sette portate a 190 złoty, ossia circa 45 euro. Nella foto (invero un po’ scura, ci scuserete), il Filetto di cervo in crosta di funghi di bosco, con funghi e zucchine: carne portentosa, cotta in modo encomiabile, il miglior cervo che abbia mai mangiato.








Molto buona anche la crema di gambero, con gamberetti e pane tostato al formaggio bianco. E da ricordare il piatto nella foto, una sorta di millefoglie dove strati di filetti di triglia si alternano alla pasta delle nostre chiacchiere carnascialesche (tradizione gastronomica dolce che esiste anche da queste parti), presentata in versione salata e fritta “easy”, il tutto a galleggiare su un mare di splendida salsa alla vaniglia e zafferano. Davvero squisito.








In primo piano una zapiekanka, piatto sacro di studenti squattrinati e nottambuli d’ogni età. Trattasi dello street food per eccellenza di Cracovia, l’epicentro del cui consumo è nell’antico quartiere ebraico di Kazimierz, appena a Sud di Stare Miasto: dopo decenni di abbandono sta rinascendo, è ricco di localini ed è ora piacevole meta serale della gioventù (autoctona o di passaggio) in cerca di divertimento. Al centro della Plac Nowy (piazza Nuova) c’è l’Okrqglak (la Rotonda), un edificio con tante finestre da ognuna delle quali s’affaccia un diverso venditore di zapiekanki. E’ in sostanza una mezza baguette, tagliata per il lungo, spalmata di burro od olio e poi riccamente condita con formaggi, salumi, verdure, paté o quant’altro, con tocco finale di maionese, o salsa tartara, o salsa all’aglio... Il tutto viene infine tostato al momento. Tante finestre nella Rotonda, dicevamo, ma cercate quella giusta, perché il principe della zapiekanka è Endzior: davanti a questa gloriosa insegna noi abbiamo addentato la zapiekanka agli spinaci, che sono in crema e accompagnati da salsa tartara: gustosissima, anche se davvero inadatta a chi non ama l’aglio. Nella foto, un altro nostro assaggio (si fa per dire: sono fette enormi!), la zapiekanka con salame e formaggio Pucok (sotto gli strati salsicciosi si nascondono anche dei funghi): una vera bomba capace di calmare i morsi della fame almeno per tre generazioni. Il tutto costa tra i 5 e i 10 złoty (ossia comunque meno di 3 euro) a seconda del condimento








Abbiamo chiesto a Chrząstowski, a termine cena: dove ci consigli di mangiare nei prossimi giorni? Lui non ama molto i colleghi di Cracovia che si siedono sugli allori («La città è piena di turisti cui va benissimo gustare, finché sono in città, sempre i soliti piatti. Così nessuno inventa, nessuno rischia...») e ci ha dato pertanto un’imbeccata originale: Pijalnia (nella foto). E’ la versione polacca del tapas bar spagnolo, wódki i piva. Si trova in Tomasza 16, è aperto 24 ore su 24 e funziona così: si sceglie tra una breve elenco di piattini (che tanto “ini” non sono, anzi: con due o tre si fa cena) a 8 złoty, circa 2 euro, e li si accompagna ciascuno con una bevanda, tutte a 4 złoty, un euro (di base si dovrebbero abbinare essenzialmente shots di vodka, ma ci sono alternative meno alcoliche). Non male, oltre a essere divertente. Simile è l’Ambasada Śledzia in Stolarskiej, proprio davanti al consolato statunitense.

Praticamente a fianco del Pijalnia sta un altro bel localino assai apprezzato da indigeni e turisti. Il Café Camelot è uno di quei classici posti utili dalla mattina presto a tarda notte, offre un assortimento di buone colazioni diverse tra loro, poi insalatone, qualche piatto, dessert (non più che discreti), cocktail d’ogni tipo, un’attenta selezione di té, vodke e liquori artigianali, e ancora frullati, gelati e quant’altro. Tutto viene servito con garbo, un certo stile e un abbondante uso di frutta, che da queste parti non è poi banale. Una sosta piacevole.

Galleria fotografica






Quest’uomo dagli occhi intelligenti e il sorriso bonario si chiama Adam Chrząstowski ed è il profeta della Nowe kuchni polskiej, la nuova cucina polacca, secondo una sua stessa definizione. Quarantatreenne di Varsavia, da quattro anni ha aperto il suo ristorante Ancora (all’italiana, con l’accento sulla prima “a”. Come a dire: di nuovo) a Cracovia, seconda città della Polonia, ma da sempre principale centro culturale, artistico e universitario del Paese.








Kraków è una bella città, con un nucleo storico (Stare Miasto) ricco di attrattive anche perché quasi del tutto immune dalle distruzioni della seconda guerra mondiale, che hanno invece martoriato, ad esempio, Varsavia o Breslavia. Per secoli è stata residenza dei re polacchi – è tuttora Pantheon della nazione – poi terza città dell’impero asburgico dopo Vienna e Budapest, sempre animata da una vivace vita commerciale, ci si trova all’intersezione tra l’antica via dell’ambra, tra Carpazi e Baltico, e quella Est-Ovest che da Kiev conduce a Praga. Anche per queste molteplici influenze, dal punto di vista architettonico vanta un armonioso sovrapporsi di stili: romanico, gotico, rinascimentale (di diretta derivazione italiana, anche grazie a Bona Sforza, figlia di Gian Galeazzo, andata sposa a Sigismondo I Jagellone e dunque diventata regina), barocco... Nella foto, Rynek Głowny, ossia la più grande piazza medioevale d’Europa, cuore della città, con sulla sinistra la Sukiennice, gotico mercato dei tessuti, e a destra la Kościół Mariacki, chiesa dedicata a Maria.








L’intensità della vita sociale cracovienne si è sempre riscontrata anche in cucina, ma i decenni sotto l’ombrello sovietico hanno prodotto una cesura che solo ora, faticosamente, si sta cercando di ricucire. L’isolamento è durato troppo per non pesare ancora e fa sì che in città furoreggino i ristoranti “d’importazione” – italiani in primis – di qualità spesso discutibile: oggi tutto ciò che è (più o meno) esotico attira, dal momento che fino all’altro ieri era vietato... L’alta cucina è tendenzialmente d’ispirazione francese e/o internazionale (ma senza alcun particolare acuto), mentre della tradizione polacca viene recuperata solo l’anima popolare, non particolarmente raffinata: da qui la messe di trattorie “tipiche” spesso acchiappa-turisti, con menu che richiedono dosi massicce finali di Alka Seltzer. E’ un trionfo di aringhe, żurek (una zuppa d’orzo da sempre assai utile per tamponare i sintomi post-sbornia), gołąbki (involtini di cavolo ripieni), barszcz (versione locale del borsch russo), gli onnipresenti pierogi (ravioli quadrati), per finire con gran piatti di carne arrosto, stufata, grigliata... Nella foto: spiedini, spezzatino e patate in vendita a un chiosco in centro città.








Proprio a modificare questo andazzo punta Adam Chrząstowski col suo Ancora (nella foto). Capofila di un – ancora esiguo - gruppo di colleghi sparsi per il Paese, vuole recuperare anche la tradizione polacca nobile, nel senso letterale del termine (ci si rifà alle pietanze delle tavole aristocratiche), del tutto dimenticata sotto la cappa comunista. Dunque a Cracovia innovazione significa ora, innanzi tutto, riannodare i fili di una storia gourmand che pareva essersi persa per sempre (la Polonia, ad esempio, è leader nell’allevamento di oche, ma poi solo il 5% di quella carne prelibata viene consumato in loco, fresco o lavorato; il mar Baltico offre a sua volta prodotti straordinari, però gran parte del pescato finisce in Scandinavia...); in secondo luogo, significa andare alla ricerca dei tanti piccoli produttori d’eccellenza sparsi sul grande territorio, sostenendone l’attività e diffondendo una cultura slow food; infine, vuol anche dire applicare a tali materie prime e alle ricette d’antan qualche tecnica contemporanea, stando però attenti a non epater les bourgeois, che son di casa (la cultura borghese è storicamente così forte da queste parti, che la città risultava assai invisa ai dirigenti del defunto regime; fecero così costruire una sorta di Cracovia 2, ammasso periferico di acciaierie e inquinamento, proprio per innestarvi un’anima proletaria, seppur posticcia).








Non siamo quindi certamente al molecolare, l’avanguardia è altrove: la nuova cucina polacca si sostanzia in portate che prevedono perlopiù materie prime di qualità, del territorio, assemblate recuperando ricette dell’alta cucina locale (con qualche spunto creativo) ma in modo da risultare alleggerite, modernizzate e con un impiatto elegante. Per dire: la preparazione di uno simil-zabaione con frutti di bosco sostituisce al marsala un liquore polacco al miele; il (delizioso) sorbetto a metà pasto è a base di cetriolo affogato nella Zubrowka, la pregevole “vodka all’erba del bisonte”, aromatizzata cioè con queste erbette brucate dagli ultimi bisonti europei che pascolano nelle lande semi-disabitate ai confini con la Bielorussia. Chrząstowski non rinuncia mai al sapore, le preparazioni sono d’immediata soddisfazione, a rischio di perdere un poco d’eleganza. Ma mai in piacevolezza. Menu degustazione di sette portate a 190 złoty, ossia circa 45 euro. Nella foto (invero un po’ scura, ci scuserete), il Filetto di cervo in crosta di funghi di bosco, con funghi e zucchine: carne portentosa, cotta in modo encomiabile, il miglior cervo che abbia mai mangiato.








Molto buona anche la crema di gambero, con gamberetti e pane tostato al formaggio bianco. E da ricordare il piatto nella foto, una sorta di millefoglie dove strati di filetti di triglia si alternano alla pasta delle nostre chiacchiere carnascialesche (tradizione gastronomica dolce che esiste anche da queste parti), presentata in versione salata e fritta “easy”, il tutto a galleggiare su un mare di splendida salsa alla vaniglia e zafferano. Davvero squisito.








In primo piano una zapiekanka, piatto sacro di studenti squattrinati e nottambuli d’ogni età. Trattasi dello street food per eccellenza di Cracovia, l’epicentro del cui consumo è nell’antico quartiere ebraico di Kazimierz, appena a Sud di Stare Miasto: dopo decenni di abbandono sta rinascendo, è ricco di localini ed è ora piacevole meta serale della gioventù (autoctona o di passaggio) in cerca di divertimento. Al centro della Plac Nowy (piazza Nuova) c’è l’Okrqglak (la Rotonda), un edificio con tante finestre da ognuna delle quali s’affaccia un diverso venditore di zapiekanki. E’ in sostanza una mezza baguette, tagliata per il lungo, spalmata di burro od olio e poi riccamente condita con formaggi, salumi, verdure, paté o quant’altro, con tocco finale di maionese, o salsa tartara, o salsa all’aglio... Il tutto viene infine tostato al momento. Tante finestre nella Rotonda, dicevamo, ma cercate quella giusta, perché il principe della zapiekanka è Endzior: davanti a questa gloriosa insegna noi abbiamo addentato la zapiekanka agli spinaci, che sono in crema e accompagnati da salsa tartara: gustosissima, anche se davvero inadatta a chi non ama l’aglio. Nella foto, un altro nostro assaggio (si fa per dire: sono fette enormi!), la zapiekanka con salame e formaggio Pucok (sotto gli strati salsicciosi si nascondono anche dei funghi): una vera bomba capace di calmare i morsi della fame almeno per tre generazioni. Il tutto costa tra i 5 e i 10 złoty (ossia comunque meno di 3 euro) a seconda del condimento








Abbiamo chiesto a Chrząstowski, a termine cena: dove ci consigli di mangiare nei prossimi giorni? Lui non ama molto i colleghi di Cracovia che si siedono sugli allori («La città è piena di turisti cui va benissimo gustare, finché sono in città, sempre i soliti piatti. Così nessuno inventa, nessuno rischia...») e ci ha dato pertanto un’imbeccata originale: Pijalnia (nella foto). E’ la versione polacca del tapas bar spagnolo, wódki i piva. Si trova in Tomasza 16, è aperto 24 ore su 24 e funziona così: si sceglie tra una breve elenco di piattini (che tanto “ini” non sono, anzi: con due o tre si fa cena) a 8 złoty, circa 2 euro, e li si accompagna ciascuno con una bevanda, tutte a 4 złoty, un euro (di base si dovrebbero abbinare essenzialmente shots di vodka, ma ci sono alternative meno alcoliche). Non male, oltre a essere divertente. Simile è l’Ambasada Śledzia in Stolarskiej, proprio davanti al consolato statunitense.








Praticamente a fianco del Pijalnia sta un altro bel localino assai apprezzato da indigeni e turisti. Il Café Camelot è uno di quei classici posti utili dalla mattina presto a tarda notte, offre un assortimento di buone colazioni diverse tra loro, poi insalatone, qualche piatto, dessert (non più che discreti), cocktail d’ogni tipo, un’attenta selezione di té, vodke e liquori artigianali, e ancora frullati, gelati e quant’altro. Tutto viene servito con garbo, un certo stile e un abbondante uso di frutta, che da queste parti non è poi banale. Una sosta piacevole.

Chi ha buona memoria e legge da tempo le newsletter di Identità Golose ricorderà forse la storia dei Blikle, famiglia di pasticceri da cinque generazioni: la prima serranda salì a Varsavia nel 1869. Gabriele Zanatta faceva parlare Andrzej Blikle, oggi gestore del marchio assieme al figlio, che raccontava la parabola dei paczek, dolcetto da colazione o merenda più famoso di Polonia, sorta di ciambella senza buco, ripieno di confettura (rosa canina selvatica, fragola, mirtillo, lampone...) o crema bavarese, poi spalmato di zucchero a velo con piccoli zest d’arancia. «Ai tempi del comunismo – narrava l’Andrzej - le arance costavano 50 volte tanto così come tutti gli altri agrumi e le marmellate. Nessuno poteva permettersele. Il regime poi proibiva crema e cioccolato, simboli del capitalismo. E vietava anche il servizio al tavolo nei bar. Stando così le cose, io preferii andare a studiare ingegneria a Pisa: chi me lo faceva fare di portare avanti il deli di famiglia in condizioni così penalizzanti?». Ora i Blikle son tornati, anzi si sono espansi. E hanno aperto un centralissimo punto vendita anche a Cracovia (Św. Jana 12): ci sono tutte le loro prelibatezze da pasticceria, ma il locale fa anche da sala da té (poi però ti portano il té Lipton, con tutto il rispetto, e un po’ di magia se ne va). Nella foto, il buon paczek finito nel mio stomaco, affiancato dal deludentissimo té.

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Quest’uomo dagli occhi intelligenti e il sorriso bonario si chiama Adam Chrząstowski ed è il profeta della Nowe kuchni polskiej, la nuova cucina polacca, secondo una sua stessa definizione. Quarantatreenne di Varsavia, da quattro anni ha aperto il suo ristorante Ancora (all’italiana, con l’accento sulla prima “a”. Come a dire: di nuovo) a Cracovia, seconda città della Polonia, ma da sempre principale centro culturale, artistico e universitario del Paese.








Kraków è una bella città, con un nucleo storico (Stare Miasto) ricco di attrattive anche perché quasi del tutto immune dalle distruzioni della seconda guerra mondiale, che hanno invece martoriato, ad esempio, Varsavia o Breslavia. Per secoli è stata residenza dei re polacchi – è tuttora Pantheon della nazione – poi terza città dell’impero asburgico dopo Vienna e Budapest, sempre animata da una vivace vita commerciale, ci si trova all’intersezione tra l’antica via dell’ambra, tra Carpazi e Baltico, e quella Est-Ovest che da Kiev conduce a Praga. Anche per queste molteplici influenze, dal punto di vista architettonico vanta un armonioso sovrapporsi di stili: romanico, gotico, rinascimentale (di diretta derivazione italiana, anche grazie a Bona Sforza, figlia di Gian Galeazzo, andata sposa a Sigismondo I Jagellone e dunque diventata regina), barocco... Nella foto, Rynek Głowny, ossia la più grande piazza medioevale d’Europa, cuore della città, con sulla sinistra la Sukiennice, gotico mercato dei tessuti, e a destra la Kościół Mariacki, chiesa dedicata a Maria.








L’intensità della vita sociale cracovienne si è sempre riscontrata anche in cucina, ma i decenni sotto l’ombrello sovietico hanno prodotto una cesura che solo ora, faticosamente, si sta cercando di ricucire. L’isolamento è durato troppo per non pesare ancora e fa sì che in città furoreggino i ristoranti “d’importazione” – italiani in primis – di qualità spesso discutibile: oggi tutto ciò che è (più o meno) esotico attira, dal momento che fino all’altro ieri era vietato... L’alta cucina è tendenzialmente d’ispirazione francese e/o internazionale (ma senza alcun particolare acuto), mentre della tradizione polacca viene recuperata solo l’anima popolare, non particolarmente raffinata: da qui la messe di trattorie “tipiche” spesso acchiappa-turisti, con menu che richiedono dosi massicce finali di Alka Seltzer. E’ un trionfo di aringhe, żurek (una zuppa d’orzo da sempre assai utile per tamponare i sintomi post-sbornia), gołąbki (involtini di cavolo ripieni), barszcz (versione locale del borsch russo), gli onnipresenti pierogi (ravioli quadrati), per finire con gran piatti di carne arrosto, stufata, grigliata... Nella foto: spiedini, spezzatino e patate in vendita a un chiosco in centro città.








Proprio a modificare questo andazzo punta Adam Chrząstowski col suo Ancora (nella foto). Capofila di un – ancora esiguo - gruppo di colleghi sparsi per il Paese, vuole recuperare anche la tradizione polacca nobile, nel senso letterale del termine (ci si rifà alle pietanze delle tavole aristocratiche), del tutto dimenticata sotto la cappa comunista. Dunque a Cracovia innovazione significa ora, innanzi tutto, riannodare i fili di una storia gourmand che pareva essersi persa per sempre (la Polonia, ad esempio, è leader nell’allevamento di oche, ma poi solo il 5% di quella carne prelibata viene consumato in loco, fresco o lavorato; il mar Baltico offre a sua volta prodotti straordinari, però gran parte del pescato finisce in Scandinavia...); in secondo luogo, significa andare alla ricerca dei tanti piccoli produttori d’eccellenza sparsi sul grande territorio, sostenendone l’attività e diffondendo una cultura slow food; infine, vuol anche dire applicare a tali materie prime e alle ricette d’antan qualche tecnica contemporanea, stando però attenti a non epater les bourgeois, che son di casa (la cultura borghese è storicamente così forte da queste parti, che la città risultava assai invisa ai dirigenti del defunto regime; fecero così costruire una sorta di Cracovia 2, ammasso periferico di acciaierie e inquinamento, proprio per innestarvi un’anima proletaria, seppur posticcia).








Non siamo quindi certamente al molecolare, l’avanguardia è altrove: la nuova cucina polacca si sostanzia in portate che prevedono perlopiù materie prime di qualità, del territorio, assemblate recuperando ricette dell’alta cucina locale (con qualche spunto creativo) ma in modo da risultare alleggerite, modernizzate e con un impiatto elegante. Per dire: la preparazione di uno simil-zabaione con frutti di bosco sostituisce al marsala un liquore polacco al miele; il (delizioso) sorbetto a metà pasto è a base di cetriolo affogato nella Zubrowka, la pregevole “vodka all’erba del bisonte”, aromatizzata cioè con queste erbette brucate dagli ultimi bisonti europei che pascolano nelle lande semi-disabitate ai confini con la Bielorussia. Chrząstowski non rinuncia mai al sapore, le preparazioni sono d’immediata soddisfazione, a rischio di perdere un poco d’eleganza. Ma mai in piacevolezza. Menu degustazione di sette portate a 190 złoty, ossia circa 45 euro. Nella foto (invero un po’ scura, ci scuserete), il Filetto di cervo in crosta di funghi di bosco, con funghi e zucchine: carne portentosa, cotta in modo encomiabile, il miglior cervo che abbia mai mangiato.








Molto buona anche la crema di gambero, con gamberetti e pane tostato al formaggio bianco. E da ricordare il piatto nella foto, una sorta di millefoglie dove strati di filetti di triglia si alternano alla pasta delle nostre chiacchiere carnascialesche (tradizione gastronomica dolce che esiste anche da queste parti), presentata in versione salata e fritta “easy”, il tutto a galleggiare su un mare di splendida salsa alla vaniglia e zafferano. Davvero squisito.








In primo piano una zapiekanka, piatto sacro di studenti squattrinati e nottambuli d’ogni età. Trattasi dello street food per eccellenza di Cracovia, l’epicentro del cui consumo è nell’antico quartiere ebraico di Kazimierz, appena a Sud di Stare Miasto: dopo decenni di abbandono sta rinascendo, è ricco di localini ed è ora piacevole meta serale della gioventù (autoctona o di passaggio) in cerca di divertimento. Al centro della Plac Nowy (piazza Nuova) c’è l’Okrqglak (la Rotonda), un edificio con tante finestre da ognuna delle quali s’affaccia un diverso venditore di zapiekanki. E’ in sostanza una mezza baguette, tagliata per il lungo, spalmata di burro od olio e poi riccamente condita con formaggi, salumi, verdure, paté o quant’altro, con tocco finale di maionese, o salsa tartara, o salsa all’aglio... Il tutto viene infine tostato al momento. Tante finestre nella Rotonda, dicevamo, ma cercate quella giusta, perché il principe della zapiekanka è Endzior: davanti a questa gloriosa insegna noi abbiamo addentato la zapiekanka agli spinaci, che sono in crema e accompagnati da salsa tartara: gustosissima, anche se davvero inadatta a chi non ama l’aglio. Nella foto, un altro nostro assaggio (si fa per dire: sono fette enormi!), la zapiekanka con salame e formaggio Pucok (sotto gli strati salsicciosi si nascondono anche dei funghi): una vera bomba capace di calmare i morsi della fame almeno per tre generazioni. Il tutto costa tra i 5 e i 10 złoty (ossia comunque meno di 3 euro) a seconda del condimento








Abbiamo chiesto a Chrząstowski, a termine cena: dove ci consigli di mangiare nei prossimi giorni? Lui non ama molto i colleghi di Cracovia che si siedono sugli allori («La città è piena di turisti cui va benissimo gustare, finché sono in città, sempre i soliti piatti. Così nessuno inventa, nessuno rischia...») e ci ha dato pertanto un’imbeccata originale: Pijalnia (nella foto). E’ la versione polacca del tapas bar spagnolo, wódki i piva. Si trova in Tomasza 16, è aperto 24 ore su 24 e funziona così: si sceglie tra una breve elenco di piattini (che tanto “ini” non sono, anzi: con due o tre si fa cena) a 8 złoty, circa 2 euro, e li si accompagna ciascuno con una bevanda, tutte a 4 złoty, un euro (di base si dovrebbero abbinare essenzialmente shots di vodka, ma ci sono alternative meno alcoliche). Non male, oltre a essere divertente. Simile è l’Ambasada Śledzia in Stolarskiej, proprio davanti al consolato statunitense.








Praticamente a fianco del Pijalnia sta un altro bel localino assai apprezzato da indigeni e turisti. Il Café Camelot è uno di quei classici posti utili dalla mattina presto a tarda notte, offre un assortimento di buone colazioni diverse tra loro, poi insalatone, qualche piatto, dessert (non più che discreti), cocktail d’ogni tipo, un’attenta selezione di té, vodke e liquori artigianali, e ancora frullati, gelati e quant’altro. Tutto viene servito con garbo, un certo stile e un abbondante uso di frutta, che da queste parti non è poi banale. Una sosta piacevole.








Chi ha buona memoria e legge da tempo le newsletter di Identità Golose ricorderà forse la storia dei Blikle, famiglia di pasticceri da cinque generazioni: la prima serranda salì a Varsavia nel 1869. Gabriele Zanatta faceva parlare Andrzej Blikle, oggi gestore del marchio assieme al figlio, che raccontava la parabola dei paczek, dolcetto da colazione o merenda più famoso di Polonia, sorta di ciambella senza buco, ripieno di confettura (rosa canina selvatica, fragola, mirtillo, lampone...) o crema bavarese, poi spalmato di zucchero a velo con piccoli zest d’arancia. «Ai tempi del comunismo – narrava l’Andrzej - le arance costavano 50 volte tanto così come tutti gli altri agrumi e le marmellate. Nessuno poteva permettersele. Il regime poi proibiva crema e cioccolato, simboli del capitalismo. E vietava anche il servizio al tavolo nei bar. Stando così le cose, io preferii andare a studiare ingegneria a Pisa: chi me lo faceva fare di portare avanti il deli di famiglia in condizioni così penalizzanti?». Ora i Blikle son tornati, anzi si sono espansi. E hanno aperto un centralissimo punto vendita anche a Cracovia (Św. Jana 12): ci sono tutte le loro prelibatezze da pasticceria, ma il locale fa anche da sala da té (poi però ti portano il té Lipton, con tutto il rispetto, e un po’ di magia se ne va). Nella foto, il buon paczek finito nel mio stomaco, affiancato dal deludentissimo té.

Potevamo lasciare Cracovia senza assaggiare quella cucina tipica che Chrząstowski tanto aborre? Jamais! Sopra, l’insegna del Pod Baranem (è come dire: “Al montone”) di św. Gertrudy 21, buon locale borghese di piatti popolari tipici, ma ingentiliti. Incontra il gusto del turista medio: gli utenti di Tripadvisor lo proiettano al primo posto tra i ristoranti in città. In effetti la tavola è più che corretta: davvero ottima la selezione di pesci affumicati in proprio che fa da gustoso antipasto; sorprendentemente delizioso e corroborante lo żurek (vedi sopra) alla maniera di Cracovia, ossia con pezzi di salsiccia, uovo sodo e patate. Così così, invece, il montone arrosto, che pure è la specialità della casa: frollatura da registrare. Dolci dimenticabili... vabbé, allora è proprio il momento di tornare in Italia.


Carlo Mangio

Gita fuoriporta o viaggio dall'altra parte del mondo?
La meta è comunque golosa, per Carlo Passera

Carlo Passera

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Carlo Passera

classe 1974, milanese orgoglioso di esserlo, giornalista professionista dal 1999, ossia un millennio fa, si è a lungo occupato di politica e nel tempo libero di cibo. Ora fa l'opposto ed è assai contento così. Appena può, si butta su viaggi e buona tavola. Coordinatore della redazione di identitagolose.it e curatore della Guida di Identità Golose alle Pizzerie e Cocktail Bar d'autore. Instagram: carlopassera

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